domenica 3 luglio 2016

Miccium - terza puntata - inedito di Claudio Montini da un'idea di Silvio Curti

MICCIUM:
IL GATTO DELLA TELEVISIONE

TERZA PUNTATA
di Claudio Montini



Ora che non ha più importanza, mi sembra quasi ridicolo aver sentito un brivido di paura lungo la schiena: da un mese quella parte di me rimaneva per onor di firma ma era in silenzio stampa!
Ero già in coma e non me ne ero accorto? Erano i preamboli delle allucinazioni da mancata ossigenazione dei tessuti cerebrali? Insomma, ero morto e suor Agonia non mi aveva detto niente?
Accidenti a tutti i preti e alle suore del mondo, ho sempre diffidato di loro: sin da quando ho sepolto mia madre e sono stato messo in quel camerone con altri disgraziati come me; per non dire della volta che misero i miei quattro stracci in una valigia di cartone legata con lo spago e ci caricarono su una nave che si fermò in America dove ci sarebbero stati una nuova mamma e un nuovo papà, ma non ci dissero che parlavano straniero e che saremmo stati il bersaglio preferito dei beceri che si credevano i padroni solo perchè erano arrivati prima di noi.
Anche se mi trattarono come se fossi carne della loro carne, io lasciai sempre una certa distanza tra noi: forse è questo il mio peccato più grande; però piansi quando mi spedirono in licenza poco prima dell'imbarco per il mio primo incarico di comando e arrivai appena in tempo per vederli spegnersi a due ore l'uno dall'altra in due stanze diverse ma attigue: era il paradigma delle nostre vite, fare finta che stiamo bene e ogni cosa procede secondo programma anche se i sintomi del malessere sono evidenti, continuando a esistere in spazi contigui.
I nonni acquisiti e la carriera furono rimedi palliativi che mi anestetizzarono fino a che non mi ritrovai di nuovo solo, a un bivio senza indicazioni e senza punti di riferimento sul terreno fino all'orizzonte: allora la parte italiana del mio sangue reclamò le sue prerogative.
Italiani, popolo di santi e navigatori: con cosa si orientavano gli attraversatori di oceani senza satelliti o previsioni meteo o carte nautiche? Guardavano alle stelle e, allora, era giunto il momento anche per me di andare a vedere se davvero fossero piantate come chiodi luminosi nel tappeto scuro della notte: il mare e l'aria non avevano più segreti per me, ora volevo lo spazio interstellare.
Il programma Apollo era finito nell'indifferenza generale anche a causa della sconfitta e della fuga precipitosa da Saigon, dei boat people, dei prigionieri di guerra dimenticati nella boscaglia asiatica: i finti "civili" o "privati" avevano compiuto la propria parabola, si erano riempiti le tasche regalando al mondo intero nuovi giocattoli con cui drogare le coscienze, oltre a scatenare nuovi mostri, ma allora la partita tornava a giocarsi sulla terra e il pallino tornava in mano ai militari.
«Se la proiezione della tua vita è ai titoli di coda, tira giù la bobina, mettiti comodo e lascia perdere il campanello che oggi ci sono qua io ad occuparmi di te! Oggi musica, altro che prediche!»
Il gatto aveva preso in mano la situazione e il telecomando, accendendo la televisione e artigliando la manica del pigiama per distogliermi dai miei pensieri e rivolgere la maggiore attenzione possibile al suo spettacolo: come potevo oppormi se non avrei avuto nemmeno la forza di versarmi un bicchiere di succo d'arancia ghiacciato che miss Catetere portava tutti i giorni prima del cambio turno insieme alle pillole del pomeriggio?
Il cablaggio della base consentiva di avere a disposizione cinque canali dedicati all'intrattenimento: una sorta di televisione via cavo che trasmetteva, anche a richiesta purchè il materiale fosse presente e autorizzato nell'archivio centrale, sull'intero arco delle ventiquattro ore in ogni apparecchio installato nelle stanze e nelle parti comuni, come corridoi, sale di lettura, bar o mense o zone ricreative; l'idea era di non fare sentire nessuno degli "ospiti", volontari e non, recluso o peggio escluso dal resto del mondo: mi sembrava di essere stato catapultato in una puntata di "The Twilight Zone", con un gatto che cominciava a ballare a ritmo di shuffle imitando quello a cartoni animati protagonista della sigla d'apertura di un hit parade show, stando alle poche parole che riusciva ad afferrare tra un miagolio di soddisfazione e l'altro, di produzione italiana.
Miccium non si perdeva una mossa del collega sulla schermo e pareva volesse buttarsi dentro lo schermo per fare un passo a due; sapeva tutte le parole, pause comprese, della canzoncina che parlava di gatto ascoltatore e giudice di musica e televisione tanto da concedersi come premio per cantanti e divi del piccolo schermo: per forza, non avendo in Italia nè Hollywood nè l'Academy, poteva mancare qualcuno che s'inventasse un'Oscar per quell'aggeggio che regalava a tutti almeno un quarto d'ora di celebrità?
Quando una sfera rotante ricoperta di minuscoli specchi, come quella delle discoteche che volevano imitare lo Studio 54, su cui comparivano un paio d'occhi azzurri e una bocca ben disegnata che si apriva e si chiudeva al ritmo della scaletta del programma, venne in primo piano, il gatto riprese il suo autocontrollo e mi guardò.
«Goditi lo show, amico, e lascia perdere la penombra e il crepuscolo: io e te siamo già oltre i confini della realtà...più di quanto tu possa immaginare e capire adesso. E' tutta musica dei tuoi tempi.»
«Scherzi? Nello stato in cui sono, mi aspettavo che venisse a domandare quale fosse il mio ultimo desiderio...» «Ti sembra che sto ridendo?» mi interruppe bruscamente e si voltò verso la televisione fino al termine dello spettacolo.
- continua -
(c) 2016 testo inedito di Claudio Montini da un'idea di Silvio Curti
(c) 2016 immagine di Orazio Nullo "Television cat show"

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