domenica 31 gennaio 2016

Lo specchietto, con le allodole, funziona sempre

 Le allodole hanno abboccato ancora: le battaglie da fare sono altre!


 di Claudio Montini
 
La mia libertà incomincia dove finisce quella altrui, ma darei la vita perchè chiunque possa esprimere le proprie opinioni. 
Le battaglie da fare per la famiglia, comunque la si intenda sono altre: un lavoro dignitoso per l'uomo e per la donna e retribuito il giusto, l'assistenza continua e gratuita per l'uomo e per la donna e per i figli, l'assistenza sanitaria per tutti i componenti della famiglia, l'istruzione necessaria affinchè si abbiano cittadini consapevoli e non sudditi beceri del primo scimmione che sbraita da un balcone o da una cassetta di frutta (peggio ancora dal predellino di una vettura), il sostegno materiale e spirituale e concettuale di chi ha l'inferno dentro di se o tra le quattro mura di casa (quando ce l'ha) e non è giusto che lo patisca in terra: potrei continuare all'infinito ad elencare, ma la sostanza rimane che al posto di uno Stato che mi guarda comunque in modo malevolo, come se fossi sempre in colpa o in difetto, come un fastidio necessario vorrei che lo stesso soggetto mi venisse a cercare, si interessasse a me e ai miei cari, si preoccupasse dei miei soldi e di come li guadagno oppure di come faccio quando non guadagno un bel nulla e riesco comunque a pagare le tasse e campare, esattamente come se fossi il suo bene più prezioso o come se fossi il suo mattone fondante, la trave su cui si regge tutto l'edificio ovvero la cosa più importante.
Perchè se i cittadini, come recita la Costituzione del 1948, proclama che sono tutti uguali davanti alla legge, è necessario che una legge ci sia così come, allo stesso tempo, è necessario che i rappresentanti che abbiamo mandato a Montecitorio facciano tutto il meglio possibile perche sia anche una legge giusta: se non ci riescono è meglio che si dimettano e noi si pensi a cercarne altri da mandare al posto loro.
E' terrificante che rappresentanti dello stato, incapaci di fare il loro mestiere nelle sedi opportune ma bravissimi a farsi vedere in giro a fare i gradassi mescolati in mezzo alla folla vociante, sfruttino l'occasione per un poco di visibilità e la forza della "piazza" per dare corpo alle ombre e ad idee in cui non credono affatto, ma che sono ottime per screditare, irridere, biasimare il governo cui si oppongono non per migliorarne l'azione bensì per trarne benefici elettorali futuri.

(c) 2016 Testo: Claudio Montini
(c) 2015 Immagine di Orazio Nullo "Dangerous Hypocrites" 

giovedì 28 gennaio 2016

Cantori ruspanti di Lomellina

Giornata nazionale del Dialetto e delle Lingue Locali


 di Claudio Montini

A Sannazzaro de' Burgondi (PV) il 29 gennaio sarà celebrata la giornata nazionale del Dialetto e delle Lingue Locali con una serata di musica e poesia, condotta dal giornalista e scrittore sannazzarese Paolo Calvi.
Alle ore 21, presso la Biblioteca Civica "C.Tacconi" andrà in scena la rassegna di poesia in dialetto sannazzarese intitolata FUMA DI VERS! che vedrà anche l'esibizione del gruppo musicale dialettale I TANTO PER che proporranno una serie di brani dal loro repertorio di canzoni prodotte musicando proprio componimenti poetici in vernacolo lomellino.
Si tratta della seconda edizione del festival realizzato grazie alla collaborazione tra Assessorato alla Cultura del Comune di Sannazzaro de' Burgondi, commissione per la Biblioteca Civica, Pro Loco di Sannazzaro e che vanta il patrocinio dell'Amministrazione Provinciale di Pavia, dell'Ecomuseo del Paesaggio Lomellino e della Unione delle Pro Loco d'Italia; i componimenti sono stati "donati" da numerosi autori (Ermanno Boverio, Rita Chiaramondia, Bassano Guaschi, Peppino Magnani, Davide Rabuffi, Letterio Risitano, Giuseppina Serafini) e saranno letti da Rosalia Carpani e Renato Murelli.
FUMA DI VERS! si potrebbe tradurre Facciamo dei versi ovvero facciamo poesie e facciamolo nella lingua che fino a quarant'anni fa si parlava abitualmente in famiglia in queste contrade dell'Alta Italia e che anche gli altri italiani, venuti su per lavoro e per fuggire la fame, pur con storpiature esilaranti quanto innocenti, si sforzavano di imparare ad usare per accelerare l'accettazione sociale, ovvero quella che oggi chiamiamo integrazione.
Poi con la diffusione delle televisioni e delle radio libere (Paolo Calvi era il capocronista di Radio Sannazzaro: scriveva e leggeva il giornale radio della piccola emittente locale, ha curato e cura la cronaca dal territorio lomellino per il quotidiano La Provincia pavese) ci hanno fatto dimenticare il dialetto e quasi vergognare coloro ai quali sfuggivano di tanto in tanto espressioni vernacolari; eppure non è mai morto il dialetto e ha sempre convissuto con la lingua nazionale arrivando anche alla produzione di un buon numero di testi teatrali e al fiorire di un certo numero non esiguo di trovatori dialettali, tanto in Pavia città che in questa parte di provincia che pareva destinata a perdere memoria delle sue tradizioni anche a causa del polo petrolchimico Eni col notevole viavai di tecnici e maestranze provenienti da ogni parte d'Italia.
Non è, a mio parere, ma nemmeno sarà un'operazione nostalgica o reazionaria: sarà un momento di spettacolo, di intrattenimento intelligente, di conoscenza attraverso lo svago della vitalità della e della musicalità della lingua.
Sarà un momento di presa di coscienza delle radici che ci hanno portato fin qui e che, in quanto tali devono affondare saldamente nel terreno: ma noi siamo i fusti e i rami e le fronde e le foglie di questa Italia non deve smettere mai di tendere al sole e al cielo che sovrasta l'Europa.
Perchè noi siamo sannazzaresi (anche solo per una sera, forse, se assisterete alla rassegna), ma siamo anche lomellini e pavesi, pure italiani ed europei con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro.

(c) 2016 Testo: Claudio Montini
(c) 2016 Foto: Paolo Calvi dal profilo/diario  facebook
 
 

mercoledì 27 gennaio 2016

Shoah Memorial Day con Massimo Pistoja: poeta e poesia di gran classe per un giorno speciale

Shoah Memorial Day

Non siamo più scarpe vuote

 di Massimo Pistoja


Ho visto pezzi di vita,
andarsene da un camino.
Ho visto la mia vita,
nascosta in una tasca.
Ho implorato Dio,
e una mano mi ha portato
sulla spiaggia della libertà.
Uomo corri, ascolta la mia voce,
prigioniera della solitudine,
raccolgo brandelli di memorie,
di sguardi uccisi,
dalla follia senza pietà.
Non siamo più,
scarpe vuote.
I nostri passi,
sono desiderio di amore
per una nuova umanità.
 

Testo: ® Massimo Pistoja    2016    
                                                       (inedito dal profilo facebook)
Foto: Google Images Database
 Salvador Dalì  
           "LA PERSISTENZA DELLA MEMORIA" (1931)

lunedì 25 gennaio 2016

Ogni riferimento a fatti e persone reali è casuale e involontario...tranne la poesia!

Tutto è inventato fuorchè la poesia






di Claudio Montini
 

Rovistando in un cassetto della scrivania, cercavo il libretto sanitario del mio cane perchè dubitavo che domani fosse il suo compleanno (invece sarà il 28 gennaio), ho trovato la minuta di una poesia che scrissi per una donna che mise un po' in subbuglio la mia vita, qualche anno fa.
In realtà, le sono grato perchè ha svegliato dal torpore, o meglio, dal letargo pessimista da fine stagione in cui avevo rinchiuso l'anima: sì, mi ero innamorato di lei e nello stesso tempo avevo capito di non essere finito, che si poteva rinascere, che si poteva ricominciare a sperare in una nuova stagione. 
Ecco il testo che scrissi e che le inviai...

Mille e mille anni or sono
La stella più bella del firmamento
Percorse l'universo intero
Per vedere quanto poco bastasse,
All'Amor che muove cieli e terre,
Per manifestar la sua tenera potenza:
Medesima è la luce che infiamma
La mia anima inquieta,
Quando lo sguardo incrocia al largo
dei tuoi ridenti laghi di carbone
e lì affonda, inebriato e rapito,
per tanta grazia e sinuosa bellezza
.


Mi rispose che, sebbene fosse la prima volta che qualcuno le avesse dedicato una poesia e la cosa le faceva piacere ma la confondeva oltremodo, per noi non c'era futuro quantunque fosse sempre piacevole il tempo trascorso insieme.
Ne soffrii, ma ritenni giusto e onesto ricondurre il tutto entro binari di lealtà e rigore professionale: non mi sono mai pentito di averlo fatto e, perciò, conservo il ricordo di lei come quello di una donna forte, coraggiosa, capace, umana e simpatica ma giusta e leale che merita solo il meglio da questa vita, ovvero fortuna e salute e felicità.
Ma per un'artista tutto si inventa e nulla è più vero della poesia che avete letto: il vero e il reale esistono solo per chi non vuole fare la fatica di sognare.


(c) 2009 - 2016  Testi di Claudio Montini
(c) 2014 Google Database Images Umberto Boccioni "Studio di volto di donna" 1910

domenica 24 gennaio 2016

MESSAGGERIA ISTANTANEA - da ASSENTARSI PER UNA MANCIATA DI MINUTI ed. Youcanprint 2012



UN’AMICIZIA A MUSO DURO  

di Claudio Montini
 
Da Sugar  a Vento
Versiamoci ancora un bicchiere di ricordi, amico mio, da lasciare scendere per la gola a sciogliere il nodo di lacrime e rimpianti che ci toglie il fiato: sarà questo vino, fatto di parole e di immagini che ci sono state care, a trovare la strada giusta che ci riporterà ai sapori e ai suoni che hanno acceso la nostra comune passione. Un tempo eravamo artisti, ricordi? Inconsapevoli della nostra modestia, forse, ma orgogliosi di salire sulle assi di un qualsiasi palcoscenico e volare, coi suoni e con le parole, sulle teste dell’altra gente fingendo di regalare loro un’emozione, ma rubando la loro invidia e l’ammirazione per sfamare la nostra ambizione. Bastava così poco, del resto, per uscire dal cerchio di ferro delle abitudini consolidate: l’unico satellite che conoscevamo era la luna ed era gratis; gli elettroni lavoravano per noi ma solo per darci luce in casa e nelle strade; alla radio sognavamo ancora l’America e l’eccentrica (e libertina) Londra scimmiottandone vesti e gesta, non senza tralasciare di tormentare sei corde di chitarra con accordi captati con poco orecchio e molto…….beh, ci siamo capiti, no? A onor del vero, a qualcuno di noi, madre natura qualche dote artistica l’aveva pure data e, coltivata nei dovuti modi, l’avrebbe magari anche portato lontano, via da quel nostro paese troppo quieto e disteso, senza sorprese, all’estrema periferia della storia e del sistema solare. Però, tu lo sai meglio di me, i sogni spesso non hanno soldi e la realtà quotidiana ti butta giù dal letto, se va bene coi piedi a terra, senza complimenti e tanti saluti all’arte! Via, via, palla lunga e pedalare finché fatica e vecchiaia non ti schiantino. Questa è la fine che abbiamo fatto tutti, quelli che sono restati e quelli che hanno provato a mettere radici altrove. Perché, allora, mi viene voglia di tornare a vedere se è cresciuto e se è cambiato, se finge di dormire e se rincorre il futuro che sta passando o invecchia annoiato?
La risposta già la conosco ed è la stessa che si danno quelli che tornano solo per i funerali di un conoscente o, al principio di Novembre, vengono a salutare i sopravvissuti con la scusa di portare fiori e rispetto ai propri morti. 
Da Vento a Sugar
No, non te la prendere a male, ma mi rifiuto persino di avvicinarlo alle labbra questo tuo bicchiere: non è vino quello che mi stai esibendo ma rancore stanco e stantio, nostalgia arrugginita e bolsi luoghi comuni, vetriolo scaduto di uno che ha paura di guardare avanti e scommettere sul futuro e crede di essere arrivato alla frutta, solamente perché la vita gli ha dato qualche schiaffo e gli ha abbattuto qualche torre delle cento che i suoi castelli in aria vantavano. Anch’io alla tua età, ma anche prima, mi sono fermato a fare la conta dei vivi e dei morti e a dare un’occhiata alle macerie, mi sono guardato intorno e mi sono spolverato la giacca, ho annusato l’aria e poi sono andato incontro al domani a testa alta perché, una volta a terra, se non scavi puoi solo risalire: alla fossa ci penseranno quelli che restano giacchè tu sei già là dove non si torna. In fondo, ne sono convinto, il nostro vivere quotidiano è come l’acqua per una macina di mulino: va dalla sorgente al mare e non è mai la stessa a bagnare e muovere la ruota che, a sua volta, gira sempre in avanti; i giorni passano sotto la macina e diventano farina e crusca che il mugnaio eterno divide per te e di cui ti chiederà conto a tempo debito. Fei c’anduma e gnuma, mai pagura! Te la ricordi nona Carulina? (fin che andiamo e veniamo, mai paura! N.d.A.) Fino all’ultima volta che salì in paese a fare la spesa, a novanta e passa anni, a chi l’incontrava e gli domandava “Come va, Carolina?” lei rispondeva, con fiero ottimismo, “Finchè andiamo e veniamo, non c’è nulla da temere!” sottolineando il tutto con un luminosissimo sorriso in cui c’era più d’un dente latitante. Ora, io vivo in città e anche tu non vivi più al paese da tempo, anzi hai solo cambiato paese (mah, ancora mi domando il perché, dato che sei andato solo lontano…beh, sono comunque fatti tuoi): non apparteniamo più a quel posto, in senso fisico, siamo stranieri che vagheggiano un luogo che abbiamo edificato nella nostra memoria e può vivere solo lì, popolato di facce ed episodi che sono come l’acqua di quel mulino di cui ti dicevo prima, passata via verso il mare nebbioso e immenso dei ricordi e delle cose dimenticate. Ti concedo che, talvolta, accada che si comporti ugualmente a quello vero, in cui ami immergerti quindici giorni all’anno; le onde non smettono mai di rincorrersi e d’incontrare scogli e spiagge, ora infrangendosi spumeggiando,  ora carezzando le rive lisciando sabbia e sassi, ora restituendo un frammento di realtà fino a prima disperso nella sua scura immensità. Io preferisco lasciarlo là dove si trova, è meglio scrutare l’orizzonte per vedere se arriva qualche vela nuova o solo nubi di burrasca: entrambe saranno al porto l’indomani.
Da Sugar a Vento
Sulla tua spalla è difficile piangere perché strappi la maschera che uno ha indosso e lo costringi a guardarsi dentro, senza sconti né remore; poi, l’aiuti a vedere con chiarezza e con semplicità i fatti della vita per quel che sono: così va a finire che una ragione per tornare a scrutar le stelle e che sia già domani, ti prende per mano e non ti molla più.
Però, scusa se insisto, stavolta la magia del vecchio saggio di città non funziona: le macerie dei miei sogni sono lievitate, diventano malinconia che zavorra l’anima e annerisce l’orizzonte.
Allora, se il morale era sotto le scarpe, bastava uno di quei giri di accordi strani che cavavi dalla chitarra a farmi intonare una melodia, scritta solo nella mia testa e nelle mie orecchie, che rivestivo di parole solo per non farti smettere di suonare: proprio lì cominciava la magia perché quelle non si perdevano nell’aria come fumo di sigaretta, ma si depositavano in me, attecchivano in me e crescevano in me ridestando l’allegria e la convinzione di poter essere migliore di qualunque altro uomo comune. 
Sognavo, in realtà, che accadesse un miracolo, perché ancora ci credevo…
Da Vento a Sugar
Quale?
Da Sugar a Vento
Quello per cui un innocente passatempo artistico diventa un impegno a tempo pieno, un’attività con cui procurarsi di che vivere: fare ciò che più mi piace in modo tale che dia soddisfazione e piaccia ad altra gente, regalandogli una briciola di spensieratezza e una scintilla di speranza che incendi di nuovo entusiasmo il duro cammino quotidiano.
Da Vento a Sugar
Eccoci al punto, dunque! Tu quel miracolo lo stai ancora aspettando!! Ti contorci le budella e ti fai il sangue amaro perché il cielo, o chi per esso,  non t’ha mai più dato alcun segno. Povero illuso, scendi giù dal pero che, via dalle nuvole e le stelle, non c’è altro che polvere di galassie già bruciate. Non credere che scoprire a quale bivio tu abbia sbagliato strada possa giovarti: l’uomo che sei diventato lo devi anche a quegli errori là; è chiaro che, ora, ne commetterai altri, sicuramente non quelli, ma tutto ciò lo scoprirai solo vivendo con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro.
Da Sugar a Vento
Come un guerriero senza patria e senza spada, canterò le mie canzoni per la strada……
Se non avrò gli amici a farmi il coro, canterò a volti sconosciuti le nostre canzoni e le mie storie e, alla fine della strada, potrò dire che i miei giorni li ho vissuti.
Da Vento a Sugar
Bravo! Così il prossimo vino che mi offrirai sarà magari di carta e d’inchiostro, però sarà quello giusto che scalda il cuore e soffia via i veleni quotidiani.

Sugar
Vento

(c) 2010 Testo di Claudio Montini 
(c) 2012 Ed. youcanprint selfpublishing
(c) 2012 Foto di Orazio Nullo
(c) 2015 Paintings Orazio Nullo ABSTRACT PORTRAIT (sugar); DOWNHILL RACE (vento)

 

sabato 23 gennaio 2016

L'Italia è ancora un bel posto in cui nascere?

 A ciascuno il suo: riflessioni sul Family Day

di Claudio Montini

 

Oggi, in Italia si è celebrato il Family Day, a detta di molti organi d'informazione di massa.
Che tristezza! Sì, lasciatemelo dire: che tristezza vedere svilito, sturmentalizzato e frainteso un istituto fondamentale per la civile convivenza il quale funziona ed esiste ad ogni latitudine da millenni, pur essendosi evoluto e trasformato al pari dell'animale umano.
Andare in una piazza qualsiasi a gridare slogan vuoti come uova di cioccolata e senza sorpresa, sapendo che quando tornerai a casa ritroverai gli stessi problemi e le stesse carenze contro cui protesti e che nessuno ha intenzioni o idee serie per risolverli, nemmeno coloro i quali ti hanno spronato a muoverti, non vi suona come una presa per i fondelli di proporzioni colossali? 
Non vi rendete conto che ancora una volta hanno usato la vostra frustrazione, mettendovi davanti spauracchi sfocati o un nemico da dileggiare, per farsi belli davanti ai vostri occhi con altre vuote promesse e distrarvi dal domandare conto dei soldi che vi cavano dalle tasche e di quelli che non vi restituiscono?
Perchè il vero problema della famiglia, di ogni genere e tipo di famiglia, sono proprio i soldi e le opportunità di benessere e di vita dignitosa che questi consentono a chi ne dispone: molto dopo, in una ipotetica classifica vengono l'affetto, l'amore, il calore, la solidarietà, i valori...senza denaro non c'è sopravvivenza, non c'è vincolo affettivo che tenga, non c'è morale o religione che resista: si ritorna a homo homini lupus, senza porsi problemi di eterosessualità od omosessualità.
Se tutti quelli che sono andati in piazza oggi e negli anni scorsi e negli anni a venire, tutti i soloni e i sapientoni che intasano colonne di giornali, teleschermi (i tubi catodici sono desueti da tempo), microfoni e pixels si fossero domandati quanti soldi hanno generato le notizie delle manifestazioni, quanto sono costati striscioni e palloncini, quanto è costato il trasporto delle persone e le ore di straordinario delle forze dell'ordine, quanto è costato dare da mangiare e da bere ai manifestanti, quanto è costato rimettere tutto a posto e fare pulizia...se davvero se lo fossero domandato, sarebbero stati costretti a immaginare quanto bene quella montagna di denaro avrebbe potuto fare a tutte le famiglie che non hanno mezzi per sopravvivere, quanti lavori di manutenzione si sarebbero potuti fare ad asili e scuole e parchi e strade e palestre, quanti insegnanti di sostegno e specialisti della riabilitazione si sarebbero potuti impiegare, quanti pannolini e biberon e omogeneizzati e pappe e latte e medicinali si sarebbero potuti elargire indipendentemente dal sesso di mamma e papà, perchè i piccoli nuovi italiani non perdessero il sorriso e potessero conservare la fiammella della speranza che l'Italia è ancora un bel posto in cui nascere.
Forse avrebbero intuito che è tempo di chiedere politiche concrete a favore e in aiuto delle famiglie, qualunque esse siano, perchè il tempo speso a discutere di definizioni e di categorie è sintomo evidente quant'altri mai di distanza patologica dal mondo reale: allora le energie spese oggi avrebbero dovuto essere pungolo agli inerti statisti e a coloro i quali, per scelta vocazionale, una famiglia non ce l'hanno e non sanno nemmeno cosa voglia dire gestirla.


(c) 2016 testo di Claudio Montini    
(c) 2015 foto Google Images Database:  "L'albero della vita" di Gustav Klimt

giovedì 21 gennaio 2016

Peperoni con salsa Marta: antivampiro piemontese d.o.c. - Radio Patela Magazine

Peperoni con salsa Marta

(salsa all'aglio piemontese... 
che più piemontese non si può)

di Jena Sabauda

Con questa salsa, Marta non avrebbe dovuto scomodare Gesù per richiamare Lazzaro dall'aldilà e Lui, il Cristo, avrebbe steso Giuda Iscariota e tutto il Sinedrio con uno sbadiglio.
Scherzi a parte, questo è un contorno freddo e perciò va preparato molte ore prima di essere consumato...no, beh, non tre giorni...suvvia, non è sempre Pasqua.
Ecco gli ingredienti:
  • 4 peperoni ben sodi
  • 1/2 bicchiere da tavola di olio extra vergine di oliva
  • 4 filetti di acciuga sott'olio
  • 4 o cinque spicchi di aglio pelato
Dividete i peperoni in quattro parti, privateli di "torsolo", semi e costole biancastre che sono quelle che li rendono pesanti da digerire e tagliateli a falde larghe che griglierete o cuocerete in forno con la funzione grill per una decina di minuti.
Intanto preparate la salsa Marta, frullando l'aglio e i filetti di acciuga in mezzo bicchiere da tavola di olio extravergine di oliva fino a ottenere un composto fluido e omogeneo; chi lo volesse, è autorizzato ad incorporare anche del prezzemolo...ma se ne può fare tranquillamente a meno.
Quando i peperoni sono tiepidi, cospargeteli con la salsa all'aglio: il tutto va gustato a temperatura ambiente perchè accompagnano felicemente hamburgher o salsiccia alla piastra.
Tuttavia, se mangiate questo abbiate l'accortezza di non baciare nessuno: il soggetto interessato potrebbe avere un mancamento, ma non per amore!
Buon appetito da la Jena Sabauda.



(c) 2016 testo e ricetta di La Jena Sabauda (revisione testo di Claudio Montini)
(c) 2015 foto di Orazio Nullo "Mr. Aglietto" (Mr. Little Garlic)

La Jena Sabauda e le foto dei piatti: una precisazione a beneficio dei lettori

 Una, nessuna e centomila


di Jena Sabauda

Mi è stato chiesto di pubblicare qualche fotografia in più dei piatti che descrivo nelle mie ricette: ma, mi dispiace per voi, non lo farò e proverò a spiegarvene la ragione.
Non sono una cuoca, nè una esperta di arte culinaria o di nutrizione: faccio da mangiare per la mia famiglia, per necessità, non per mestiere o perchè abbia ambizioni da food blogger; mi piace provare a fare cose nuove in cucina per portare sulla tavola di casa, a pranzo e a cena, pietanze mai uguali le une alle altre così come mai identici gli uni agli altri sono i giorni che Dio, o chi per lui qualunque nome abbia, manda in terra.
Io odio fare fotografie ai piatti e al cibo che contengono perchè è una perdita di tempo: le ricette ognuno deve essere libero di interpretarle a modo suo.
Io amo mangiare quello che c'è dentro al piatto non perchè sia una bella scultura o abbia una bella linea o un bel colore o crei un bel disegno, ma perchè è buono, mi piace, ha un buon profumo, mi suscita felicità, stuzzica la mia libido e, sopra tutto, è abbondante. 
Ogni ricetta che incontro alla televisione o su una rivista o in un libro, che provo a fare nella mia cucina e anche invento sui due piedi non potrà mai essere la stessa fatta da altre mani perchè ci saranno variabili e imprevisti che la miglioreranno o la adatteranno al palato di chi se la gusterà: si adatterà a voi che la ripeterete e sarà bella e buona solo per voi, quindi le fotografie del piatto finito potrebbero essere una nessuna e centomila.
Quando scrivo una ricetta di una pietanza che mi è piaciuta, lo faccio esclusivamente per condividere con il mio prossimo un momento di felicità e di soddisfazione, suggerendogli una possibile via per il benessere e il relax almeno a tavola; poi capita che Claudio (con cui condivido da ventitrè anni pane, gioie e dolori [...23??? Che barba, che noia, che barba! Uffa: sempre te ed io, io e te...!!!]), di nascosto col telefono cellulare, realizzi qualche scatto e lo mandi a Orazio Nullo per i ritocchi ...
Perciò mi metto a scriverle quando lui è mezzo addormentato davanti al telegiornale e abbiamo finito di pranzare o cenare, messo i piatti in lavastoviglie e sparecchiato la tavola!!
Sono o non sono la vostra sola Jena Sabauda??

(c) 2016  Testo di La Jena Sabauda (Mary)
(c) 2012  Foto di Orazio Nullo 

mercoledì 20 gennaio 2016

Letti&Piaciuti: RACCONTO PER TRE FERMATE di Pierantonio Ghiglione ed. Youcanprint 2015

Pierantonio Ghiglione

Racconto per tre fermate

ed. youcanprint (2015)


di Claudio Montini
 
Se fosse ancora vivo De Sica padre... anzi, se fossero ancora vivi tutti coloro i quali hanno fatto in modo che la settima arte fosse poesia e non solo una diavoleria per intrattenimento a buon mercato, li trovereste seduti a un tavolino di un caffè o in una stanza a scrivere e discutere di sceneggiatura brandendo ciascuno una copia di questo RACCONTO PER TRE FERMATE con Pierantonio Ghiglione in un angolo a godersi la scena, incredulo di tanta grazia e tanta fortuna.
Vittorio De Sica, pago del ruolo di protagonista, avrebbe certamente chiamato Cesare Zavattini per stendere la sceneggiatura e con Roberto Rossellini o Luchino Visconti avrebbe provato a dare corpo a questo soggetto, no, meglio sarebbe chiamarlo cortometraggio in bianco e nero dai ritmi precisi nei movimenti di macchina, la fotografia lucida e netta, i dialoghi serrati e densi di umanità e mai banali, vivi e semplici e tanto verosimili.
Avrebbero dovuto soltanto trovare la pellicola e trovare una faccia giusta per il co-protagonista: Sanremo e i suoi abitanti sarebbero state ottime comparse, il resto è già tutto lì in quell'angolo di Riviera Dei Fiori che dovremmo andare a conoscere dimenticandoci del Festival della Canzone italiana.
Chi sa sognare ancora ad occhi aperti non faticherebbe a vedere Vittorio De Sica che chiacchiera con un dignitoso, ma rassegnato, clochard che non chiede alla vita più di quel che da a chi ha perso la strada per i suoi traguardi: così come non si fatica affatto a leggere e rileggere le sedici pagine di  RACCONTO PER TRE FERMATE di Pierantonio Ghiglione, edito da youcanprint, scoprendone la cura e la pulizia del suo scintillante italiano insieme alla profondità della lezione e del messaggio che che esso reca nella sua apparente semplicità.

(c) 2016 testo di Claudio Montini 
(c) 2016 foto di Orazio Nullo 

 

Un idea per la cena dalla Jena Sabauda - Radio Patela Magazine

Le zucchine strapazzate

ricetta originale
 della Jena Sabauda




di Jena Sabauda

Questo è un pasticcio con zucchine e uova strapazzate, ideale per quei giorni in cui non si sa cosa mettere in tavola all'ora di cena.
Gli ingredienti sono molto semplici e facilmente reperibili, anzi, potrebbe pure accadere che siano lì nel frigorifero che vi guardano domandandovi se vi siete dimenticati di loro....
  • 5 o 6 zucchine verdi di medio calibro
  • 2 uova di gallina intere
  • Formaggio grana (padano o parmigiano reggiano per me pari son...) grattugiato q.b.
  • Sale e pepe a pizzicate quanto basta
  • Olio di oliva extravergine
  • Burro

Tagliate le zucchine a rondelle di spessore massimo 5 millimetri (scherzavo...non serve il calibro da ingegnere: le trovate, già affettate, anche nel banco delle verdure surgelate) e fatele saltare in una padella con poco olio extravergine di oliva, salando e pepando a piacere, ma non devono sfaldarsi: devono prendere un bel colore e perdere un po' d'acqua; in alternativa, le stesse rondelle di zucchina le potete disporresu una teglia e cuocerle in forno sempre senza lasciarcele troppo tempo: il perchè lo capirete nella seconda parte della ricetta.
Infatti, in una ciotola a parte sbattete le due uova salando e pepando; ora prendete la padella che avete adoperato per le zucchine (che, ovviamente, avrete depositato in un piatto a riposare), la sporcate d'olio e versate il contenuto della ciotola: e via sul fuoco ad ottenere una simpatica frittatina che, deposta su un piatto piano, romperete grossolanamente con un cucchiaio di legno.
Una volta ottenuta la frittatina rotta e le zucchine cotte siete pronti per preparare il pasticcio di zucchine strapazzate!
Procuratevi una teglia che possa, indifferentemente, andare in forno normale o in forno a microonde: disponete sul fondo, magari imburrato a piacere, uno strato di sole zucchine che ricoprirete di frittatina rotta la quale, a sua volta, sarà coperta da un'altro strato di zucchine fino ad esaurimento scorte di entrambe le cose; a questo punto, cospargete il contenuto della teglia con il formaggio grattugiato e fiocchetti di burro qua e la: poi, scaldate il tutto in forno per 5 o 10 minuti a una temperatura sufficiente scigliere il burro e a trasformare il fomaggio in un velo ricamato, gustoso e profumato.
Ecco qua: la cena è risolta, la dieta è salva e buon appetito dalla Jena Sabauda!


(c)2016  La Jena Sabauda  (revisione testo Claudio Montini)
(c)2015  immagine di Orazio Nullo "Harlequin's kitchen"

martedì 19 gennaio 2016

Good bye, guitar man Glenn!

Farewell in heaven,

mr. Glenn Frey.

Eagles "Heartache tonight"

Letti &Piaciuti: LA PIETA' DELL'ACQUA di Antonio Fusco ed. Giunti - Radio Patela Magazine

Antonio Fusco

La pietà dell'acqua

Giunti Editore

(2015)  

 

 

Il giallo toscano che sarebbe

 piaciuto anche a Simenon

 

 

di Claudio Montini


 
"....Il lago non lasciava trasparire nulla. Taceva. Immobile e complice con il tempo che si era fermato. Come una grande madre custodiva tutto nel suo grembo. [...] Era la pietà dell'acqua, Da cui ogni forma prende vita e in cui tutto si dissolve."
Con queste frasi cala il sipario sull'indagine del commissario Casabona della Squadra Mobile di Firenze partorito dalla fantasia di Antonio Fusco, funzionario napoletano cinquantaduenne della Polizia di Stato italiana e criminologo forense di stanza in Toscana; ma esse, insieme alle note biografiche riguardo all'autore, non sono la chiave interpretativa adatta dell'ottimo romanzo poliziesco pubblicato per i tipi di Giunti editore in Firenze nel 2015 e incontrato dalla Jena Sabauda (che lo ha letto per prima con gustosa celerità) durante Lomellina in Giallo 2015, festival di letteratura gialla e noir giunta alla sua quinta edizione.
Gli ingredienti adoperati da Antonio Fusco sono quelli classici del genere che fa capolino anche in copertina, come se fosse indispensabile catalogare uno scritto ancora prima di averne letto le prime righe: probabilmente l'ansia da etichettatura che l'Europa ci chiede di fare nostra per i prodotti alimentari, deve aver contagiato anche i produttori di cultura o di cibo per la mente.
Chi si addentra nella lettura, catturato dalle fulminee ed essenziali e addirittura poetiche prime righe, si ritrova magneticamente attratto da una storia che fila dritta e sicura tra le onde del passato e del presente intercettandone i ritmi, gli umori, le suggestioni e le sensazioni senza scadere mai nel banale o nel truculento, anzi, mantenendo costante leggerezza di tocco, sensibilità e umanità persino nel portato della lingua italiana adoperata.
Un'omicidio nella campagna toscana rovina le vacanze del commissario Casabona che si vede costretto a intervenire, mandando all'aria anche il suo traballante matrimonio; per di più, per ragioni imperscrutabili, il caso gli viene sottratto e affidato alla Direzione Distrettuale Antimafia; se nonchè, l'incaricato delle indagini è un collega che pur di fare carriera avrebbe venduto l'anima al diavolo (e senz'altro lo ha fatto perchè agisce in modo tale che non si giunga ad alcuna conclusione e si vada all'archiviazione del caso): ce n'è quanto basta perchè il bravo poliziotto tutto d'un pezzo (ma non del tutto, quando si trova di fronte a un'avvenente capitano della Police Nationàle, un po' francese e un po' araba che in incognito indaga su un cold case parigino) senta puzza di bruciato e, a quota periscopio, non smetta di volerci vedere chiaro in una faccenda che parte dalla fine della seconda guerra mondiale e dai crimini impuniti commessi da belligeranti e da mascalzoni civili.
Si imbatte in un bel pentolone di veleni datati che emerge a reclamare giustizia da un villaggio sommerso dopo la costruzione di una diga sulle colline toscane: i lavori di manutenzione all'invaso determinano lo svuotamento del lago artificiale di Torre Ghibellina, di cui normalmente si vede solo il campanile svettare dalle acque, e il pellegrinaggio dei residenti alle vecchie abitazioni (il paese è stato ricostruito a quota più alta e rinominato, appunto, Torre Alta) rimette in luce la lapide che ricorda la strage di un'intero nucleo familiare sul finire dell'occupazione nazifascista, a causa della delazione di una presunta spia repubblichina.
Gli anglo-americani istruiranno il caso e passeranno documenti e testimonianze alla giustizia militare della neonata repubblica italiana che, come per altri casi simili, si adopererà per seppellire nell'oblio di un armadio chiuso con le ante contro il muro di una stanza anonima e dimenticata la verità e la giustizia.
Casabona, seguendo il suo istinto di fine e umanissimo investigatore, analizzando le tracce e i documenti troverà il bandolo della matassa, rendendo giustizia alla memoria dei morti innocenti pietosamente custodita dalle acque del lago, ritrovando la voglia di vivere e la propria famiglia: non è un lieto fine artificioso e fasullo, ma l'epilogo più probabile a un momento di crisi attraversato da persone dotate di raziocinio, umanità, buon senso e onestà che intendono "crisi" nel senso greco antico del termine, ovvero cambiamento e trasformazione senza smettere di sognare un mondo giusto e onesto.
LA PIETA' DELL'ACQUA di Antonio Fusco (Giunti - 2015) è un gradevolissimo, anzi, ottimo prodotto letterario poichè evoca vicende con le quali noi contemporanei non abbiamo ancora fatto pace nè chiesto che sia fatta piena luce e quindi giustizia, almeno sul piano storico: potrebbe e, forse nelle intenzioni dell'autore, vorrebbe indurre anche alla riflessione oltre al mero intrattenimento attraverso uno stile linguistico molto semplice e diretto, scevro da figure retoriche e citazioni troppo tecniche o troppo dotte; adotta l'imparzialità del cronista ma anche la passione e la delicatezza del poeta conferendo alla narrazione un ritmo affascinante ed elegante che sarebbe degno di Georges Simenon, quella stagione matura in cui la leggerezza diventa sagacia e bastano poche pennellate di colore per accendere le immagini nella fantasia di chi legge.
 

(c) 2016 Testo di Claudio Montini
(c) 2016 Foto di Orazio Nullo  

sabato 16 gennaio 2016

I mercanti di neve - da BRICIOLE DI SOGNI NELLO SGUARDO Ed. Youcanprint

Tradizionalmente, in Lomellina, si pensa che il 15 gennaio, san Mauro, con il 16 gennaio, san Marcello, e il 17 gennaio sant'Antonio abate siano i mercanti di neve poichè, nei tempi andati, pare si verificassero nei giorni successivi abbondanti nevicate che potevano durare anche oltre le ventiquattr'ore.
Per celebrare degnamente gli onomastici di coloro che portano questi bei nomi (Mauro, Marcello e Antonio) oggi vi regalo un'estratto da BRICIOLE DI SOGNI NELLO SGUARDO (2013) ed. Youcanprint.
Auguri!
  
 I MERCANTI DI NEVE



di Claudio Montini


Gennaio indossa, spesso, un cappello di ghiaccio che il sole di metà mattina si diverte a sciogliere, in cambio di una sottile nebbia che il vento di tramontana spazza, solo per il piacere di mostrare i fianchi delle montagne, imbiancati nella notte.
La vecchina volante che riempie calze di dolciumi solo ai bimbi buoni, delle bisbocce di Natale e San Silvestro lascia solo teste dolenti, bottiglie e tasche vuote portandosi via tutto il resto, anche la voglia di ritornare a lavorare.
Nemmeno quest'inverno somiglia al precedente e a quelli del passato, in cui il circolo polare artico sembrava divertirsi a collezionare allegre scampagnate a latitudini sempre più prossime all'equatore; intendiamoci: Gennaio sembra voler rispettare i suoi appuntamenti tradizionali, a dare retta ai modelli matematici che gli intenditori di nuvole compulsano e consultano proni, strombazzando ai quattro venti catodici e satellitari effimere certezze smentibili dalla finestra di casa e da un buon lunario.
La neve e il ghiaccio non l'ha affatto fatta mancare, là dove serve a far campare la gente. Dove, appunto, chi ha i soldi trova anche il tempo di spendere l'uno e gli altri salendo e scendendo dai pendii innevati, ubriaco di vin brulè e polenta da corsa, perchè la roba buona i montanari non la danno a tutti: meno che mai agli alpinisti della domenica, farciti di superbia tecnologica, che in due giorni credono di dominare le cime e sfidare la mano che tira i fili del destino.
In pianura, invece, neve pochissima e un pochino più di nebbia, giusto per non lasciare senza argomenti tutti coloro i quali hanno trovato nell'insoddisfazione la loro ragione di vita e si dannano l'anima per renderne partecipe il prossimo.
Meglio così, pensò, aprendo la finestra della camera da letto per scambiare i miasmi notturni con la brina del tetto di fronte; salutò la salvia che rimaneva bella e rigogliosa, nonostante la stagione, protetta com'era, questo era il segreto, dall'angolo del muro di cinta e dalle fronde del "pinetto": che tale ormai non era più sfiorando i due metri in altezza e contando un metro abbondante per la base del cono descritto dai suoi rami; lanciò anche uno sguardo compassionevole al fico e all'ortensia spogli da tempo, coltivando in sè la speranza di vederli resuscitare ai primi voli di rondini.
Meglio così, freddo asciutto e senza neve, sopratutto per chi deve viaggiare per necessità, tipo lavoro o visite mediche; per puro svago, pareva che nessuno si muovesse in inverno: gli imprevisti stradali, sempre in agguato, facevano più paura con la bassa temperatura.
Da qualche tempo, viaggiare era diventato un fastidio necessario di quest'epoca che si nutriva di fretta; il maltempo non faceva che acuire il dispiacere di dovere di muovere le chiappe dal calduccio del proprio nido; ciò era dovuto alla massa di incoscenti, presuntuosi, scellerati e maleducati che la facilità di conquista, o peggio di acquisto, di una patente di guida aveva riversato sulle strade: così, non solo dovevi badare a non fare stupidaggini al volante, ma anche intuire tutte le fesserie che attraversavano la scatola cranica, spesso prossima al sottovuoto spinto, degli altri utenti della strada che si eleggevano padroni della stessa e si incoronavano valorosi assi del volante.
Presto e bene, al posto dei fendinebbia le case automobilistiche avrebbero montato mitragliatrici a nastro per il traffico urbano, mentre per i fuoristrada gli accessori più gettonati potrebero essere le piccole batterie di Stinger terra-aria portatili o i cari vecchi Milan filoguidati anticarro, con sistemi di puntamento e tiro integrati al navigatore satellitare di serie e comandi di sparo al volante. Si tratterebbe, in fondo, della mera ratifica del fatto che sull'asfalto si consuma una guerra tra disperati, inseguiti e braccati dal demone della fretta, incuranti di pioggia, nebbia o neve: come se non ne avessimo già abbastanza di stronzi assassini come quelli che si mettono al volante ubriachi o, peggio, strafatti di una qualsiasi sostanza psicotropa?
Ma che razza di pensieri avvelenati gli venivano la mattina presto?
Erano i primi sintomi della trombopirlosi senile?
Oppure erano dovuti al fatto che, essendo nato sotto al segno dei Gemelli, uno dei due era partito per la tangente a cercare il senno dell'altro, allo stesso modo in cui Astolfo sulla Luna cercava quello del prode Orlando, cantato dall'Ariosto come furioso per infondata gelosia?
Molti dei suoi interlocutori abituali avrebbero risposto positivamente alla seconda, giusto perchè gli volevano bene: si sa che alla trombopirlosi non c'è rimedio.
Sorrise tra sè e sè anche di questa considerazione e si concentrò sulla colazione, rimpiangendo il panettone che aveva lasciato di nuovo il posto alle fette biscottate.
Fino a Pasqua, c'erano buone probabilità di recuperare qualche centimetro di linea sul parallelo che passava per le anche e l'ombelico, lasciando a terra qualche chilo di zavorra: così era contenta anche la nutrizionista che sognava un'ambulatorio in riva al mare, per rosolarsi al sole tra una visita e l'altra.
Quanti anni erano passati dall'ultima volta che era stato al mare?
Parecchi, invero, ma una cosa è vivere per villeggiatura in un posto e altra cosa è viverci e lavorare. Da turista, quello vedi è solo una faccia della medaglia, sovente quella più lucida, è sempre un giorno di festa e c'è un'altrove in cui tornare. E' più semplice avere nostalgia del sole, del mare, del dolce far niente piuttosto che indovinare quando i tre mercanti di neve presenteranno il loro conto alla pianura ubertosa: fare la fatica di ragionare e ricordare la saggezza dei vecchi sono pratiche fuori moda.
Eppure tutti gli anni sono lì, tra capodanno e i giorni della merla, Mauro, Marcello e Antonio a ridosso del primo quarto della luna di Gennaio, a scrollare il loro cappello di ghiaccio e a rimboccare le coperte a Madre Natura affinchè si riposi per bene fino a primavera. Ma non passando da alcun telegiornale, nemmeno per colpa di qualche sfortunato imprudente che si è fatto male, nessuno ascolta i corvi avvisare che il cielo è pronto a fioccare.
Soltanto un vecchio professore di Varese, che dettava al telefono le previsioni del tempo per il giornale radio regionale delle sette del mattino, non mancava mai di menzionare i tre santi e le pillole di sapienza popolare: un pò per devozione personale, un pò perchè, insieme alla matematica, l'aiutavano ad azzeccare anche le previsioni a lungo termine.
L'unico accessorio decente dei mezzi che aveva avuto in mano era sempre stata la radio e non aveva mai mancato di sintonizzare il primo canale, ascoltando quel bollettino meteo mentre scaldava il motore; più di una volta aveva sperimentato l'esattezza delle previsioni, riuscendo a dribblare i tre mercanti di neve, cioè completando le consegne prima che i mantelli dei tre santi coprissero le terre che attraversava.
In fondo, si considerava un marinaio di terraferma: se i navigatori riconoscono il mare e le sue coste a occhio e a naso per non perdersi tra le onde, anche lui aveva i suoi stratagemmi per portare sempre a casa la pelle sua e quella del mezzo che guidava.
Nel mettere la data all'ultima bolla della giornata, si rese conto d'aver esaurito le chiamate dell'intera settimana, vuotato l'autobotte e d'aver di fronte un sabato libero in quella che di solito era alta stagione, per chi consegna prodotti petroliferi da riscaldamento.
Con un occhiata al calendario appeso in cabina, tra i due sedili, constatò che Sant'Antonio e compagni erano da due giorni alle sue spalle e si rallegrò, nonostante il cielo basso e grigio, di non aver ancora visto scendere nulla.
Mauro volle firmare la bolla in casa perchè la "padruna", quella santa donna di Marcella che aveva atteso il ritorno dalla Russia per sopportarlo nei quarant'anni successivi, aveva appena fatto i biscotti e il caffè e, almeno per questa volta, lui non si poteva rifiutare.
Obbedì e Marcella lo lasciò andare solo quando accettò di portare a casa una manciata di brasadè, i biscotti secchi a mo' di ciambella dalla ricetta segreta, che faceva solo per i nipoti.
Rientrò a casa con calma, evitò le "api impazzite" che sciamavano fuori dalla raffineria tre secondi dopo la sirena delle cinque e mezza, parcheggiò in cortile un'attimo prima che i primi cristalli punteggiassero il parabrezza: adesso l'inverno era ufficialmente arrivato, come sempre.

(c) 2013 testo di Claudio Montini
(c) 2016 Immagine di Orazio Nullo

mercoledì 13 gennaio 2016

Pavia, la poesia di gran classe e tu...che fai, non ci vieni?

 
Domani, 14 gennaio 2016 a partire dalle 18, Roberta Preda presenterà al pubblico presente presso la libreria IL DELFINO di Pavia, piazza Cavagneria 10 zona duomo, le sue più recenti pubblicazioni. Si tratta di due raccolte di componimenti poetici: ORMA D'INCONTRO e LA SAGGEZZA DELLE TERRE, editi rispettivamente da Intermedia e Youcanprint in selfpublishing. Roberta non sarà sola ma dialogherà con Massimo Pistoja, poeta e "anima" dell'Associazione Culturale I COLORI DELLA VITA di Vigevano, e con Claudio Montini, scrittore di racconti e selfpublisher, affidando alla voce di Anna Albertario e alla propria la declamazione di alcune poesie scelte dal vasto repertorio contenuto nei due volumi.  Vi aspettiamo numerosi.

(c) 2016 testo di Claudio Montini   (c) 2015 video di VideoKlaut66/ Orazio Nullo/ youtube/claudiomontini 



lunedì 11 gennaio 2016

David Bowie - Heroes



In loving memory of David Robert Jones well known as David Bowie


David Bowie  1947 - 2016
singer, composer, actor and painter
has flight into eternity leaving us his masterpieces. 
Now he is in heaven looking for life where the streets and the planets need no name to be known.
Thank you, mr. white duke, for all the joy you gave us on earth.

domenica 10 gennaio 2016

Il selciato dei giganti porta al mare

Giant's causeway
 Il selciato dei giganti


 di Claudio Montini

Si ricomincia, si riparte, si cambia vita: l'Epifania tutte le feste se le è portate via e, fino a Pasqua, non ci restano che le domeniche...ma da qui a là, c'è di mezzo il mare come quello che, secondo una leggenda irlandese, separava due giganti che rivaleggiavano tra loro per stabilire chi dovesse avere il predominio sulle terre d'Irlanda e di Scozia, dirimpettaie tra loro. 
L'irlandese costruì un sentiero fatto di pali rocciosi fino a raggiungere la prima isola scozzese, dimora del rivale, ma fu un lavoraccio talmente gravoso che quando terminò cadde in un sonno profondo; quello di Scozia, incuriosito dal sentiero cheattraversava il mare, ci si avventurò sopra e si ritrovò in Irlanda ma non riconobbe il rivale addormentato: pensò che fosse uno dei figli di quest'ultimo! Valutatane la stazza e la possanza, anche forse per il possente russare, ragionò che se quello era il figlio chissà quanto grande doveva essere il padre e decise di battere in ritirata, prima che questi si destasse e richiamasse l'attenzione del padre; pur essendo atterrito dall'eventuale batosta in cui sarebbe incorso sfidandoli, nella fuga si diede da fare a svellere la maggior parte dei pali di pietra e a distruggere il sentiero affinchè il mare ripigliasse il suo posto e il suo ruolo di naturale bastione difensivo.
Il posto esiste ancora ai giorni nostri ed è stato dichiarato patrimonio mondiale dell'umanità dall'UNESCO nel 1986; è una riserva naturale dal 1987 nel nord-est dell'Irlanda, contea di Antrim nell'Ulster, ovvero quella parte d'Irlanda che fa parte del Regno Unito di Inghilterra e Scozia
Questa non è la sola versione della leggenda, ma è quella che viene citata più spesso; è anche quella che, temo, fotografa meglio la situazione dei tempi che stiamo vivendo: perciò, mi auguro e vi auguro che tutte le promesse e gli auspici che abbiamo formulato a capodanno non facciano la stessa fine.

(c) 2016 testo Claudio Montini
(c) 2012 foto Google Images Database