giovedì 26 aprile 2018

Il mio venticinque aprile



Sopravvivere a un figlio
di Claudio Montini
Quello che vedete è un monumento dimenticato, messo in una piazzetta quasi sconosciuta, in un angolo di Pavia di forte passaggio (un tempo) ma, con curiosa proporzionalità inversa, assai poco preso in considerazione persino dai passanti. E' a un tiro di fucile dall'area in cui sorgeva, un'era geologica industriale fa, lo stabilimento Necchi Macchine per cucire: ora è occupata dallo scatolone di vetro, acciaio e cemento armato riempito dalla Azienda Socio Sanitaria Territoriale di Pavia e dagli uffici direzionali di un noto gruppo bancario. La zona è nota anche come Porta Milano, sta alle spalle del Castello Visconteo e adiacente alle cosiddette mura spagnole, o quel che ne rimane. E' un monumento dimenticato, come tanti in questo nostro disgraziato eppure affascinante pezzo di terra emersa dal Mediterraneo; dimenticato come tutte le cose che si danno per scontate, acquisite automaticamente, sottovalutate perchè sempre disponibili, sempre pronte, sempre presenti come le madri e la loro vitale carica umana, lo spirito di sacrificio, la loro saggezza, la loro umiltà, il loro orgoglio e il loro grande coraggio. E' un monumento dedicato a tutte le madri di tutti i caduti di tutte le guerre, mondiali o civili o di liberazione o di indipendenza, senza distinzione alcuna sulla parte di barricata o campo di battaglia fossero o quale divisa indossassero i loro figli uccisi in ogni inutile strage. I vincitori festeggiano, si sa, scrivono la storia e dettano la scansione alla memoria ma si dimenticano in fretta, deposta una corona d'alloro e spento l'eco delle fanfare, del dolore e del sangue pagato da chi ha messo al mondo una vita, col sogno di andarsene sapendola instradata verso un radioso avvenire, e invece è costretto sopravvivergli. Non so dire quando e come si stabilì che questo giorno d'aprile fosse festa per la liberazione dalla tirannia nazi-fascista: da bambino e da ragazzo, era soltanto un giorno di vacanza da scuola; da giovane studente e da soldato e da curioso di storia contemporanea, ho acquisito l'agghiacciante consapevolezza di quanto morti sia costata questa libertà e questa democrazia, per quanto incompiuta e sgangherata e limitata ma con ampi margini di miglioramento, tanto dalla parte che ha vinto che dall'altra che è stata costretta alla resa. Mi sono, altresì, reso conto di quanto entrambe fossero minuscoli ingranaggi di un meccanismo assai più complesso e grande e soggetto alle dinamiche imperscrutabili del destino che rende obsoleto tutto ciò che sembra una novità rivoluzionaria. Come ho fatto? Ho ascoltato, ho letto, ho guardato, ho provato a immaginare ma non ho dato per assodato o scontato o certificato nulla di quanto mi veniva raccontato: ho cercato le fonti della verità così come da neonato cercavo nel seno di mia madre la fonte della vita. Ho capito così quanto i genitori, di entrambi gli schieramenti, abbiano pagato più di tutti il prezzo della liberazione dall'idiozia della guerra ma anche quanto sia indispensabile la custodia della memoria e il suo costante esercizio: sopravvivere a un figlio è peggio di un'ergastolo sotto una feroce dittatura.
© 2018 Testo di Claudio Montini
© 2012 Immagine di Orazio Nullo

domenica 22 aprile 2018

Le favole di zio Propano

Il galletto americano
di Claudio Montini

Luigi mangia i fichi di zio Giovanni, ma la nonna non lo sa.
Lei pensava di farne una marmellata mentre coglieva l'insalata.
Tornata in cucina, nonna Carolina pizzica il birbante sul fatto:
invece di sgridarlo, gli propone un baratto.
"Sciacquare l'insalata nell'acquaio,
rigovernare il pollaio:
poi, coi fichi avanzati, farina e uova di giornata
faremo una bella crostata."
Che buona la pastafrolla di nonna Carolina, 
tanto alla sera, dopo cena, quanto a colazione la mattina.
Luigi accetta con entusiasmo avventato
illudendosi di avere il pericolo scampato:
vale a dire, per il furto goloso, un castigo meritato.
Ma intuisce in meno di un minuto  
il tranello dalla nonna sottilmente ordito,
da canuta volpe in sottoveste e gonna:
vittima d'un aspirante capo indiano il galletto americano, 
di ovaiole e chiocce presunto signore e guardiano,
agognava una congrua rivalsa sul ladro di piume del quarto posteriore
per rimarginare quella ferita all'onore
inferta, per di più, a tradimento!
Era certo d'esser padre di mezzo allevamento 
di vantar sovranità 
almeno sull'altra metà:
perciò avrebbe difeso il titolo a colpi di becco
per lavar l'onta dello smacco.
Ignorando che, salato e pepato,
avrebbe però celebrato,
su di una rovente bistecchiera, 
la fine della sua carriera.

© 2018 testo di Claudio Montini 
© 2016 foto di Claudio Montini

venerdì 20 aprile 2018

...e gli Italiani stanno a guardare!

Punto e a capo!
di Claudio Montini

La maggioranza silenziosa che, nonostante tutte le contraddizioni e le brutte figure collezionate da coloro che si pongono alla sua guida o credono di interpretarne i bisogni, continua a credere di vivere in un bel posto e sogna di costruire un futuro e una famiglia, magari una dinastia, sembra non appassionarsi più al dibattito politico di quanto faccia per il campionato di calcio o i collant smagliati di Barbara D'Urso o i pantaloni di Bianca Berlinguer. Nemmeno l'ennesima pessima e squalificante (per lui come uomo e come imprenditore: del resto non è mai stato un politico...un padrone che fa lo statista è come la volpe che monta di guardia al pollaio!) di Silvio Berlusconi circa l'avventatezza delle scelte elettorali delle genti italiche trova spazio e attenzione, se non nei megafoni di sua proprietà: ormai, gli italiani gli accreditano d'ufficio l'attenuante dell'età così come farebbero con mia madre ottantenne (solo che lei sconta una seconda una seconda attenuante, medicalmente certificata, d'ospitare un tale dal cognome vagamente tedesco nel suo encefalo). Vuoi vedere che, a forza di trapianti di capelli sintetici e tiratine di pelle, dal momento in cui cominciava a manifestarne i sintomi subito dopo l'avvento dello sciagurato professore succhia-sangue-ai-poveri sul seggiolone di Palazzo Chigi, la scienza è riuscita a spegnere l'interruttore dell'Alzheimer per via chirurgica, come si vagheggia insistentemente da tempo?? Certo è che, alla sua età, dopo aver fatto tutto ciò che ha fatto con godimento e soddisfazione che io riuscirò mai a raggiungere in altre dieci vite, sarebbe meglio (per lui, chi gli sta al fianco e anche per tutti gli altri) farsi ricordare con nostalgia e ammirazione per i successi colti che imporre ancora la propria presenza e i soliti motivi già ascoltati e già sin troppo suonati e ulteriormente svuotati di credibilità e di significati, come un vecchio guitto spompato e smemorato che ripete le vecchie battute di spettacoli passati credendo di fare ancora presa sul pubblico, sordo ai fischi e cieco agli sbadigli dell'uditorio ma pago solo degli applausi di plastica dei burattini cortigiani, partigiani e telecomandati. Se la Prima repubblica fosse davvero rimasta sepolta sotto le finte macerie di Tangentopoli, nella presunta Seconda il berlusconismo o l'effimero renzismo non avrebbero avuto vita nè quartiere: ora non siamo affatto nella Terza repubblica poichè la Prima si è cambiata soltanto d'abito e ha sostituito qualche faccia, ma l'atteggiamento mentale è rimasto il medesimo. Il salvinismo e tanto meno il grillismo (fascismo-leninismo senza camicia nera né rossa  ) sono ancora nebulose astratte e inafferrabili anche per i potenti algoritmi con cui la meccanica quantistica e la fisica quantistica indagano il comportamento delle particelle sub-nucleari: il fondo della vasca di letame in cui, faticosamente, galleggia lo Stivale Italico e i poveracci che lo popolano (come il sottoscritto) non è ancora stato toccato, ma la probabilità che si seguiti ad affondare è elevatissima. Intanto, gli italiani stanno a guardare...uno schermo piatto iridescente con le ultime notifiche dai social network.
© 2018 Testo di Claudio Montini
© 2017 Immagine di Orazio Nullo "Wood puppet" - Atelier des pixels collection
  

martedì 17 aprile 2018

Ogni tanto sogno...

La macchina che riavvolge il tempo
di Claudio Montini

Ogni tanto sogno una macchina che riavvolga il tempo, per poter finalmente vedere dove ho sbagliato, per tacitare la coscienza e per smettere di lamentarmi dei miei giorni. In fondo, buona e cattiva sorte altro non sono che facce della stessa medaglia che uno sconosciuto lancia in aria, prima di abbracciarci in un valzer che può durare tutta la vita: quando la medaglia termina le sue piroette per aria, in mano al danzatore ignoto oppure a terra, finisce la nostra canzone e scendiamo dalla pista da ballo, volenti o nolenti e soddisfatti o beffati a lui non importa. Chi troppo presto e chi altrettanto tardi, partiamo per un altrove da cui nessuno è tornato tranne il falegname di Palestina, affinché i suoi discepoli credessero e si compisse una delle beatitudini che aveva preconizzato parlando alla moltitudine sulla montagna. Abbiamo, però, la fortuna di lasciare in coloro che restano un segno, una traccia, un ricordo dei nostri volteggi e dei nostri passi sbagliati e recuperati: la memoria è la nostra salvezza e la sfida all'oblio che divora secondi, minuti, ore, giorni, mesi e anni e secoli e millenni restituendoli alla polvere che scorre, per uno stretto gorgo, da una curva all'altra dell'infinito. Ricordare è la missione dei sopravvissuti, una macchina che riavvolge il tempo risparmierebbe fatica ed errori a chi deve conservare e trasmettere le lezioni dei tempi che sono stati. Possiamo ricordare e ripetere, noi esseri umani, ma lo facciamo ciascuno a modo nostro: allora abbiamo inventato tante piccole macchine per fissare il momento, pittura e scrittura su tutte; ma non ci sono bastate più e ci siamo inventati il teatro: per istruire le nuove generazioni, per vedere le dinamiche plastiche del tempo, per ricordare con gli occhi oltre che con le orecchie, per stabilire l'ordine delle ragioni e degli eventi sottraendoli al libero arbitrio e alla fantasia personale. Eccola la macchina che riavvolge il tempo, che mette ordine nel caos, che allarga la visuale alla prospettiva della mente e accende la curiosità animando idee, interrogativi e pensieri: è il teatro. L'unico luogo dove i sogni diventano realtà, dove le ombre prendono corpo e voce e volto, dove le emozioni si amplificano e si condividono ogni volta che c'è almeno un'anima ad ascoltarne un'altra che racconti la sua storia, tanto vicina o tanto lontana nel tempo quanto vera o fittizia ma viva nello stesso istante in cui va in scena: è questo il teatro. Il tempio civile e laico dove le storie, le gioie e i dolori di uno diventano effigie, simulacro, simbolo delle storie di molti e di tutti, dove le parole vincono le paure e aprono gli occhi i cuori e le menti di fronte alla realtà senza bisogno di riprodurla, basta immaginarla: anche questo è il teatro. Laddove ci saranno memorie e parole a vestirle, narratori e uditori a scambiarsi i ruoli legando la propria identità ad esse, la materia di cui sono fatti i sogni potrà mescolarsi a quella del mondo degli uomini senza polverizzarsi in faville evanescenti.

© 2018 Testo di Claudio Montini
© 2016 Immagine di Orazio Nullo "Last empty station" Atelier des pixels collection

giovedì 12 aprile 2018

Il pallone è rotondo, ma un bel tacer non fu mai scritto.

Partita finisce quando che arbitro fischia (V. Boskov)

di Claudio Montini
Il pallone è rotondo e la partita finisce quando l'arbitro fischia tre volte, nello sport che si gioca sui prati e prende una sfera di cuoio (quando va bene) a calci. La sua fortuna è che ha regole semplici e facili da ricordare e non necessita di particolari attrezzature od orpelli, ma per diventare una cosa seria necessita di qualcuno che lo ami talmente tanto da fare il giudice di gara. L'ho imparato tanti anni fa, quando ero un ragazzino sovrappeso che giocava in un rettangolo di terra dietro una cascina dove, con altri ragazzini di età variabile, si andava a fare il bagno perchè qualcuno aveva costruito una vasca per l'irrigazione in cemento. Per fortuna c'erano anche degli adulti che la frequentavano e, in qualche modo, ci tenevano d'occhio in modo tale che non accadesse nulla di grave: grandi e piccini erano tutti accomunati dalla grande passione per il calcio e per le squadre di Torino e Milano, in particolare; tutti avevamo le nostre scarpette coi tacchetti e i calzettoni (chi giocava in porta indossava pure i guanti) ma giocavamo in costume da bagno: lo stesso faceva l'adulto che faceva l'arbitro con tanto di fischietto. Siccome era il genitore di un paio di noi, sebbene fosse estremamente simpatico e alla mano, nessuno si è mai permesso di dargli del tu e nemmeno di contestare rumorosamente la benché minima decisione: in fondo, eravamo tutti lì solo per passare qualche ora spensierata nelle domeniche d'estate e, alla fine della "partita", un ghiacciolo da sgranocchiare c'era per tutti, sia che si fosse vinto sia che si fosse perso. Tuttavia, giocando insieme all'arbitro moderava, consciamente o inconsciamente, le nostre intemperanze così come le esuberanze, tutti insieme abbiamo imparato il rispetto per noi stessi e per i ruoli che la vita ci assegna a suo discernimento e piacimento; anche assistendo alle partite trasmesse in televisione nei locali del bar che frequentavamo, non ci siamo mai scagliati contro l'operato dei direttori di gara: ce la siamo presa, piuttosto, con le pessime prestazioni dei giocatori come ce la saremmo presa con qualsiasi professionista che avesse svolto di malavoglia o maldestramente il proprio lavoro, elettricista o meccanico o muratore o medico che fosse. Gianluigi Buffon, con le sue dichiarazioni furenti rese ieri nelle interviste dopo la partita, ha sbagliato e ha perso il rispetto che si deve a coloro che fanno del gioco del pallone un mestiere; ha dimostrato, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che il ragazzino è ancora ben lontano dall'essersi evoluto in uomo maturo; ha sottolineato, anche troppo, quanto sia caduto in basso il calcio italiano e quanto sia radicato il malcostume italico di scaricare altrove le responsabilità di prestazioni al di sotto delle attese. La Juventus, tutta insieme, aveva sbagliato la partita due settimane fa per fattori imponderabili, legati all'alea del gioco; ieri sera, come direbbe mia madre che non ha mai capito nulla del pallone se non il risultato che sentiva al telegiornale, la Vecchia Signora ha fatto soltanto il suo dovere e, come ad El Alamein alla divisione Folgore, "mancò la fortuna, non il valore." Perciò, lo ribadisco da non juventino, il capitano e portiere bianconero avrebbe fatto migliore figura a tenere il becco chiuso.
© 2018 Testo di Claudio Montini
© 2017 Immagine di Orazio Nullo "Show must go on" Atelier des pixels


mercoledì 11 aprile 2018

Dalla cambusa di Zio Propano: con quel merluzzo un po' così...

MERLUZZO A MODO MIO

di Zio Propano

Che bella invenzione il banco frigo del supermercato! Ci puoi trovare tutto il mondo, tutto l'anno: quindi, se vi venisse una irresistibile voglia di merluzzo, basta che apriate l'anta trasparente e peschiate l'apposita confezione di cuori (o filetti) di pesce veloce del Mar Baltico surgelato. Sempre più veloce che il merluzzo di una volta, sotto sale, da tenere a bagno nell'acqua fresca per almeno un paio di giorni: potrebbe passarvi la voglia di cucinarlo e, allora, vi verrebbe la bella idea di nasconderlo nel congelatore in attesa che vi ritorni.
Perciò seguitate a leggere e procuratevi:
  • 1 confezione di cuori di filetto di merluzzo (anche solo filetti o bastoncini non impanati, basta che non siano stirati modello sogliola..) surgelati
  • 1 pomodoro maturo (oblungo o tondo va sempre bene)
  • 1 spicchio di aglio
  • 1 limone
  • 6 olive verdi denocciolate (così si fa meno fatica a tagliarle)
  • 1/2 cipolla dorata
  • 40 grammi circa di burro (una fetta da 3 millimetri presa da un panetto di burro da 250 grammi: non fate i farmacisti...andate ad occhio!)
  • 1 patata a pasta gialla
  • 1 mestolo di acqua del rubinetto di casa
  • Alcuni cucchiai da tavola di olio extravergine di oliva (almeno tre o quattro...che ve lo dico a fare? Anche l'occhio vuole la sua parte...)
Tolto il merluzzo dalla confezione, l'ideale sarebbe lasciarlo scongelare in frigorifero per un giorno così da bagnarlo con il succo di un limone, a sera, cospargerlo di sale e pepe macinato a piacere (un pizzico dell'uno e un paio di macinate dell'altro son più che sufficienti) lasciandolo a riposare nel liquido di marinatura fino al mattino immediatamente successivo, tappato nel recipiente in cui si è scongelato con il coperchio apposito oppure con un velo di pellicola trasparente per alimenti. Noterete, allora, che il liquido ha assunto un aspetto lattiginoso; nessun problema: aggiungete un cucchiaio di olio di oliva extravergine, richiudete il tappo del contenitore e agitate energicamente il tutto in modo tale che l'olio si emulsioni e i tranci di merluzzo siano irrorati e bagnati dalla miscela (ecco perchè è importante che esso sia dotato di coperchio a chiusura ermetica!...con la pellicola sarebbe tutto maledettamente complicato!!); quindi lasciate riposare in frigorifero fino alla cottura. In una padella d'acciaio, con relativo coperchio (chiaro che non vi serve subito, ma più avanti torna utile averlo a portata di mano), versate almeno un paio di cucchiai di olio extravergine di oliva e la fetta di burro avviandoli a intiepidirsi sul fuoco più piccolo alla minima potenza (per chi ha il piano cottura a induzione, la fiamma più bassa possibile per tutti gli altri) poiché, nel frattempo, dovrete sminuzzare aglio e cipolla da mettere dentro a soffriggere dolcemente insieme alle olive, ciascuna spaccata grossolanamente in quattro parti: mettete il coperchio e sbucciate la patata. Tagliatela in quattro spicchi da cui ricaverete pezzi irregolari, ma il più piccoli possibile, da fare scivolare dal tagliere in padella; medesima sorte tocca al pomodoro, semi compresi, poiché c'è bisogno di tutta l'acqua che esso contiene: mescolate con un cucchiaio di legno e cuocete chiudendo la pentola col suo coperchio fino a che non saranno trascorsi almeno 10 minuti dal momento in cui avete buttato la cipolla; per stare tranquilli, aggiungete un mestolo di acqua del rubinetto di casa, aggiustate di sale e alzate impercettibilmente la fiamma: mettendo di nuovo il coperchio, si creerà un brodetto che piacerà tanto al merluzzo quanto a voi. Trascorso quel tempo lì, incorporate il pesce veloce del Mar Baltico e il liquido di marinatura facendo spazio sul fondo affinché il pesce tocchi la padella e non si adagi sulle verdure che, col cucchiaio di legno, gli disporrete intorno e sopra; cuocete il tutto per altri 10 minuti rimettendo il coperchio e incrementando lievemente l'intensità della fiamma, lasciandovi vincere dalla curiosità di vedere come procede anche soltanto una volta per girare i cuori di filetto di merluzzo, affinché si cuociano da ambo i lati e nulla si bruci sul fondo o sui fianchi della padella. In questi 20 minuti totali, le patate cuoceranno per benino come il merluzzo stesso, impregnandosi entrambi di sapore e sapidità dati dalle cipolle, dalle olive e dal pomodoro fresco oltre al sugo di marinatura che andrà riducendosi non senza lasciare un'impronta viva e fresca. Spento il fornello, si può spolverare la pietanza con basilico tritato essiccato o, se disponibile, qualche foglia di quello fresco: ma se ve ne dimenticaste, non succederebbe niente e, per di più, non ve l'ho nemmeno indicato nella lista della spesa; dunque lasciate riposare per una manciata di secondi e portate, poi, in tavola la pentola col coperchio: buon appetito con tanto pane (perché l'intingolo non è affatto da trascurare: poi mi direte...) e una bottiglia di vino bianco frizzante di rosso non eccessivamente corposo ma certamente vivace.

© 2018 Testo e ricetta di Claudio Montini
© 2016 – 2018 Fotografie di Orazio Nullo



domenica 8 aprile 2018

La situazione è grave, ma non seria. (E.Flaiano)

A SUD DELLE ALPI
di Claudio Montini

La situazione in Italia è grave, ma non seria: in Europa è anche peggio, probabilmente, ma essendo assai meglio organizzati e decisamente più pragmatici, o almeno, poco propensi a bizantinismi e voli pindarici tanto cari ai burocrati di ogni levatura e grado, riescono a dissimulare meglio decadenza e imbarbarimento e paura collettiva tanto che l'enigma istituzionale (o ectoplasma amministrativo, sarebbe più corretto chiamarlo in assenza di un governo centrale degno di questo nome) accasato a sud della fila non interrotta di monti sorgenti dall'acque del Mediterraneo, su quelle terre fragili e ricche di bellezza e bontà distese in esso, finisce per fare la solita invereconda figura di sbruffoni, arruffoni, pasticcioni e fannulloni. Ci sono, come certamente accade in tutte le comunità, eroi virtuosi e integerrimi che alzano la media ed emergono dalla massa impedendo a quelli come me di fare di tutta l'erba un fascio: nonostante ce ne sia già stato uno, di fascio, che ha seminato lutti e distruzione e morti in ogni famiglia dello Stivale Italico, nonostante ci siano voluti quarant'anni per liberarsi da quelle tossine e ritrovarsi un po' più ricchi e un po' più liberi e un po' più moderni, nonostante ce ne siano voluti invece cinquanta per capire che le rivoluzioni fatte col piombo e il tritolo e gli scontri di piazza servono solo a cambiare il colore delle dittature, nella coscienza collettiva di questo Paese europeo e atlantico e mediterraneo di cui sono cittadino dimenticato c'è una netta voglia di uomo forte e unico al potere. Una voglia matta di fascismo, magari in giacca e cravatta e camicia bianca, magari senza manganello e olio di ricino (sono sufficienti un manipolo di spacciatori e di esattori di pizzo o di ultras calcistici), magari con in tasca la verità dei sondaggi pagati qualche euro a risposta (tanto per creare l'illusione di un reddito di cittadinanza o un posto di lavoro, non più precario ma virtuale): è solo questione di tempo, la prassi istituzionale lo consente e lo consiglia, è solo una questione di prezzo da concordare, come nella cosiddetta prima repubblica (che non si è mai estinta: ha cambiato divisa), è solo questione di distribuire per bene anche le briciole e non lasciare tracce. Intanto gli italiani stanno a guardare un'altra puntata dell'Isola Dei Famosi, una partita di calcio, un cuoco stellato che fa il matto, un funerale di stato per un'altro guitto che li ha fatti sognare con gettoni d'oro in cambio d'una risposta esatta alla velocità della luce: chi può e capisce ha già fatto le valige per scappare e andare a vivere altrove.
© 2018 Testo di Claudio Montini
© 2017 Immagine di Orazio Nullo "Good luck and good night, Italy" Atelier des pixels collection

venerdì 6 aprile 2018

L'oppio dei popoli? Consigli per gli acquisti!

Sull'altare del profitto
di Claudio Montini

Guardo sempre con malcelata nostalgia vecchi documentari e film della prima parte della seconda metà del secolo breve, quello in cui sono nato: sono un uomo di ormai mezzo secolo di età, troppo vecchio per sperare di trovare un'occupazione remunerata e troppo giovane per andare in pensione, con valigie gonfie di rimorsi e di occasioni perdute così come di sogni impossibili e velleità evaporate al pari degli ardori giovanili. Mi stupisco, ogni volta, del rigore stilistico e della cura per i dettagli tanto quanto per la semplicità e la povertà dei mezzi utilizzati con sapiente e professionale maestria al punto che, nonostante il lessico e i toni a volte obsoleti, essi risultino ancora più vivaci e freschi e probanti (oggi diremmo performanti) di quanto attualmente passa il convento televisivo attraverso i moderni e sofisticati supporti tecnologici. Non ho la benchè minima idea di come funzioni negli altri paesi dell'orbe terracqueo, nè ho la presunzione di avere in tasca la ricetta ideale per l'intrattenitore per immagini da piccolo o grande schermo: sono soltanto un sognatore che si crede abile ad intrecciare parole per ammaliare curiosi sfaccendati in cerca di facile evasione. Eppure vedo, mio malgrado, che lo sforzo di innovare e trasgredire e svecchiare il linguaggio che dovrebbe descrivere la realtà, sopratutto quella irraggiungibile perchè lontanissima dallo spettatore, ampliando (solo a parole) l'offerta di svago intelligente e scevro da effetti collaterali, si infrange e si immola e si consuma sull'altare del dio denaro, dove sacerdoti e chierichetti del profitto si vendono l'anima per gli inserzionisti cui interessa soltanto la visibilità del proprio prodotto a scapito del messaggio cui si legano. Non ha più importanza il contenuto e neppure la forma ma neppure l'influenza che potrebbe avere sulla coscienza collettiva o sulla logica e il buon senso di massa: conta il numero di sguardi che si riesce a catturare, di attenzioni che si distolgono dai bisogni reali, di reazioni ed istinti che si vanno ad eccitare e suscitare i quali si tradurranno in azioni d'acquisto o di appropriazione. Il fine educativo, pedagogico, formativo e informativo dei mass media è andato a farsi benedire da tempo: se Karl Marx vivesse oggi, sarebbe un ricco ed astuto pubblicitario e non attribuirebbe alla religione il compito d'essere l'oppio dei popoli, lo assegnerebbe ai consigli per gli acquisti.
© 2018 Testo di Claudio Montini
©2017 Immagine di Orazio Nullo "Money never sleeps"

mercoledì 4 aprile 2018

Tiangong 1 ha completato la sua missione: quella nuova era già pronta!

La Cina è vicina
di Claudio Montini
Ci fu un uomo politico, in Italia, secondo il quale a pensare male del prossimo si fa peccato...ma ci si azzecca sempre: d'altra parte, ne ha seppelliti parecchi di amici e di nemici uscendo praticamente indenne da situazioni che definire scabrose è un generoso eufemismo. Tanti quanti sono, senza ombra di dubbio, i segreti che si è portato nella tomba sebbene si vociferi che esista un corposo e dettagliato fondo documentale che spazia dall'armistizio del 1943 e superi l'epopea di Tangentopoli, alla fine del XX secolo: se non è già stato distrutto oppure accuratamente occultato, temo che sarà materia per gli storici dell'età contemporanea delle due generazioni (o forse addirittura tre) prossime venture, se sarà ancora vero che il termine per la consultazione di documenti personali di rilevanza anche per lo Stato si prescrive in settant'anni dalla loro redazione. Per quel che ne so, è probabile che questo termine di intangibilità (dei contenuti) valga solo per i diari personali: del resto ci sono documenti coperti perennemente dal segreto di Stato. Quel che è certo, per esempio, è che la forza di gravità dei corpi celesti non guarda in faccia a nessuno e l'ablazione durante il rientro in atmosfera si può negare e ignorare fino a un certo punto: ciò che si può nascondere, o tacere, riguarda le cause o le linee di comando che hanno portato un oggetto volante, in orbita fuori dall'atmosfera di questo pianeta sul quale posiamo i piedi e lasceremo le ossa, a smettere di trasmettere dati o riscontri ai segnali di controllo e a inanellare una serie di orbite decadenti. Se non sapessi che un secondo palazzo celeste è già in orbita, quasi quasi mi dispiacerebbe non poter pensare a un plotone di incursori spaziali che, preso il controllo di Tiangong 1, l'ha sabotata per fare dispetto al nuovo (rieletto come il suo omologo russo) imperatore cinese ma rammaricarmi per l'ennesima conferma della legge di Murphy, tanto cara ai protagonisti dell'epopea delle missioni statunitensi Apollo. La Cina è vicina, ripetevano una cinquantina d'anni fa, gli attuali direttori delle banche di affari, leciti e non, di mezzo mondo quando studiavano all'università e giocavano a fare i rivoluzionari coi bonifici dei loro padri o forti delle loro carte di credito: adesso, oltre ad avere in mano una buona fetta del debito pubblico americano, il mercato dei noli marittimi, dei container e vari tipi di manifatture (in particolare elettroniche), sono in grado di conquistare lo spazio interstellare con tutte le implicazioni (anche sul piano delle telecomunicazioni e del traffico di dati) che questo comporta.
© 2018 Testo di Claudio Montini
© 2016 Immagine di Orazio Nullo "Falling from stars" - Atelier des pixels collection