martedì 28 aprile 2015

Veste croccante per il carburante di Popeye (Braccio di Ferro)

Se ai bimbi gli spinaci vuoi far mangiare, questo rotolo devi preparare


di Jena Sabauda

Pare che, nell'epoca contemporanea, verdure e bimbi facciano di tutto per evitarsi reciprocamente, quando non si arriva a una dichiarata ostilità, tra le parti e rispettivi alleati, che turba la quiete dei commensali.
Da brava Jena, nonchè Sabauda, propongo questo armistizio che si potrebbe anche presentare come un gioco goloso alla scoperta di tutti i sapori che fanno compagnia alla terribile verdura nel fagotto del forzuto marinaio, Braccio di ferro o Popeye che dir si voglia.
Il giorno precedente preparate un impasto per focaccia pugliese; se non vi ricordate come si fa (e non avete voglia di scorrere il blog per ritrovare il giorno in cui vi ho spiegato come farla), niente paura: vi rinfresco la memoria.
Procuratevi:

  • 500 gr di farina di grano tenero 00
  • 300 ml di acqua (del rubinetto è OK)
  • un pizzico di sale fino da cucina
  • 2 cucchiaini (da the o caffè...è uguale, non stiamo a sottilizzare!) di zucchero bianco
  • 1 bustina di lievito per pizza
  • 2 cucchiai (da brodo, da risotto, da...ah, ma allora è un vizio!) di olio di oliva extravergine
  • 1 patata media bollita e schiacciata, una volta fredda, con relativo schiacciapatate
Unite tutti gli ingredienti in una ciotola e impastate fino a ottenere una palla omogenea che lascierete lievitare fino al giorno dopo, quando avrete da fare con forno e fornelli oltre a procurarvi altri ingredienti.
Eccoli:
  • 6 uova di gallina
  • Un po' di latte
  • formaggio grana grattugiato (padano o reggiano per me pari son...)
  • Spinaci
  • Burro
  • Olio extravergine di oliva ( ma anche quello normale va bene)
  • Scamorza affumicata
  • Mozzarella
  • Prosciutto cotto
Preparate la frittata sbattendo le sei uova e amalgamandole al formaggio grattugiato e un gccio di latte, salando e pepando a piacere; quindi lasciatela raffreddare.
Se gli spinaci li avete presi freschi (o imbustati già mondati), dal verduraio e non dal banco dei surgelati, li dovete lessare e scolare; nel secondo caso (leggi freezer), potete passare direttamente alla padella in cui li farete saltare con burro, olio di oliva (anche extravergine) e uno spicchio d'aglio.
Una cottura veloce, giusto perchè si insaporiscano, e poi li lascerete raffreddare perchè stenderete su carta da forno la pasta da focaccia che avevate preparato ieri; successivamente, ridurrete a cubetti la scamorza affumicata e la mozzarella, il prosciutto lasciatelo così com'è ma a portata di mano.
Allora, all'assemblaggio miei cuochi!
Sulla pasta distesa, disponete uniformemente gli spinaci cotti su cui pioveranno cubetti di scamorza affumicata e mozzarella; ricoprite con la frittata che si nasconde sotto fette di prosciutto cotto e arrotolate il tutto fino a formare un bel salamone che chiuderete ai lati, sigillando con le dita la pasta di focaccia.
Stendete sulla superficie, con le dita o con un pennello, un poco d'olio d'oliva extravergine e praticate due tagli nel senso della larghezza, come vedete in fotografia, o come se fossero feritoie fatte per evitare che in forno gonfi troppo e scoppi.

Fate ancora lievitare per un breve periodo (non più di mezz'ora, mi raccomando...) e poi mettetelo in forno a 180° C (statico, per chi ha il forno elettrico; chi ce l'ha a gas....beh, vada a occhio, con buon senso) per 35 o 40 minuti circa.
 
Buon appetito da Olivia e Popeye, Jena Sabauda e Orazio Nullo con il carburante croccante di Braccio di Ferro!
 




 Ricetta originale e testo: (c) 2015  La Jena Sabauda
Foto: Google Images/Wikipedia (2015) per Popeye in colour
(c) 2015 Orazio Nullo per tutte le altre immagini



domenica 26 aprile 2015

Non sono solo danni collaterali!

Giusti fra le Nazioni, ma vittime innocenti

 

 

 

di Claudio Montini



La guerra è una cosa seria e fattura vittime, danni alle cose e fiumi di parole ipocrite, meschine, inutili ma mai intelligenti così come non lo possono essere le bombe e i proiettili di cui si avvale per nutrirsi e produrre i profitti che la ripagano.
Essa è la resa incondizionata e totale dell'intelletto e della ragione, del buon senso e della lealtà alla cattiveria, alla prepotenza, all'ingordigia degli uomini: la foto che ho trovato sul sito di Andrea Sarubbi, tramite google, attraverso la spettacolarizzazione delle breaking news testimonia quanto sia tremendo il livello di banalizzazione della morte in atto ai nostri giorni.
Giovanni e Warren, o meglio, il dottor Giovanni Lo Porto (aveva due lauree conseguite a Londra in gestione di eventi umanitari e aveva lavorato per diverse organizzazioni nell'ultimo decennio) e il dottor Warren Weinstein, medico chirurgo specializzato in pronto soccorso (se quel che ho sentito dire in un solo telegiornale, da Giovanna Botteri corrispondente Rai da New York, è vero) non erano due ragazzini pacifisti partiti per quella travagliata area del mondo in preda a una tempesta ormonale post-adolescenza, ma erano due professionisti preparati, volenterosi e pronti a fare qualcosa di bello e di buono per gli altri, specialmente là dove si dispera pure di arrivare a vedere l'alba del giorno successivo.
Erano elementi di quella schiera di giusti fra le Nazioni o, se preferite, uomini di buona volontà che non portavano agli affamati e ai disperati il pesce per mangiare un giorno, tacitando così col bel gesto la coscienza collettiva del mondo, ma si portavano appresso anche la lenza e la canna e insegnavano a pescare.
Volevano mostrare come sopravvivere e come imparare a migliorare, giorno per giorno, fino ad essere in grado di vivere sempre più dignitosamente anche la propria povertà e magari sconfiggerla; non erano lì per imporre un modello nè economico nè ideologico: volevano aiutare a vivere e sfamarsi e poi andarsene per la propria strada, come il samaritano della parabola evangelica.
Ma la guerra è una cosa seria e deve fatturare vite da spezzare, nemici da sconfiggere, ideologie e sogni da abbattere per giustificare la ricchezza di chi fabbrica le armi, di chi non le ha ma le vuole e baratta morte per morte pur di averle, bramando poi qualcuno da sottomettere al suo volere: chiunque si metta in mezzo a chiedere tregua, chiunque non si tappi le orecchie e la bocca e gli occhi, chiunque mostri quanto sia possibile fare per crescere in armonia con la natura e i propri simili è, alternativamente, un inutile orpello sulla linea di tiro di cui sbarazzarsi con un colpo in più o merce preziosa per il baratto di cui ho appena detto.
La guerra giustifica così i suoi costi, ma chi giustificherà il sacrificio di tutte le vite degli uomini e delle donne di buona volontà?


Foto: (c) 2015   Gooogle Images / www.andreasarubbi.it 
Testo: (c) 2015   Claudio Montini  

Matia Bazar - Brivido caldo - Sanremo 2000.m4v



Sanremo 2000: e mi innamorai di Silvia Mezzanotte con una beguine, calda e sensuale e affascinante come la maestra di ballo che cercava insegnarmela...

Riso veloce dell'ultimo minuto: successo garantito!

Riso all'inglese 

e

porro all'italiana!

 

 

 


 

di Jena Sabauda

  

All'improvviso vi assale una voglia di riso, che non sia né minestra né risotto? Et voilà: la Jena Sabauda ha pensato a questa ricetta qua, ovviamente, per due persone più Leone super cagnone tenerone.
Se non avete il cane, ma qualche commensale in più....beh, adattatevi e adattate le dosi con buonsenso.

Dunque, procuratevi:
  • 250 gr. Riso Arborio
  • 750 ml. Brodo di carne
  • 1/2 porro a rondelle
  • burro
  • olio extravergine di oliva
  • foglioline tenere di salvia
  • parmigiano grattugiato
  • sale & pepe

C'è tutto? Allora, fornelli accesi e mano alle pentole!

Si parte con lo scaldare 750 ml di brodo di carne in un tegame o pentola a parte, avendo cura di mantenerlo caldo ma non in ebollizione.
Non è necessario che lo faccia prima di incontrare il riso: lo farà in sua compagnia durante la cottura.
Quindi, si soffrigge, in poco olio extravergine di oliva e un poco di burro, il porro tagliato a rondelle e le foglie di salvia, senza farli appassire
Poi si unisce tutto il brodo già caldo e si butta dentro il riso: si gira e si mescola il tutto con un cucchiaio di legno, giusto per non rovinare il fondo della pentola.
Si lascia su fuoco medio a cuocere per 14/15 minuti senza mescolare troppo (mica è polenta!) ma neanche dimenticandosene: il riso potrebbe attaccarsi al fondo della pentola.
A cottura terminata, vi sembrerà un tantinello brodoso: si dice che è all'onda e, pertanto, voi cavalcatela mantecando con parmigiano grattugiato a go go.
Buon appetito con il riso veloce dell'ultimo minuto e dal successo garantito!


© 2015 La Jena Sabauda

venerdì 24 aprile 2015

Educazione civica applicata: amare il proprio paese

Educazione civica applicata: grazie Massimo!

di Claudio Montini


http://laprovinciapavese.gelocal.it/pavia/cronaca/2015/04/24/news/il-sindaco-pulisce-la-statua-sporcata-dai-vandali-1.11297490

Massimo Nascimbene al lavoro 24 aprile 2015
Non lo faccio mai, perchè questo è e deve essere uno spazio libero, privato, anticonformista più di qualunque altro.
Ma quando un uomo, scelto dai suoi concittadini, per essere il primo cittadino e amministrare il comune per conto dello Stato e per rappresentare loro davanti a quello stesso Stato troppo spesso sordo, distante e assente, si mette in abiti da fatica e spende energie e sudore per risanare ciò che la stupidità altrui ha lordato, perchè coloro che sono addetti a ciò sono impegnati altrove e non disponibili per forze di causa maggiore, allora io ho piacere di togliermi il cappello davanti a lui e segnalare a voi il link al quotidiano che riporta la notizia e la fotografia.
E' un onore poter dire che è mio amico e coetaneo.
I dettagli li leggerete nell'articolo del giornale, ma io voglio sottolineare l'amore per il suo paese, l'abnegazione e il rigore profusi nell'impegno che si è preso con gli elettori e anche con coloro che non hanno votato per lui, il rispetto per chi è caduto per la patria (nel monumento sono ricordati, tra gli altri, tre cittadini fucilati dai nazisti in ritirata) e il rispetto e l'amore che tutti dobbiamo avere per la cosa pubblica, qualunque sia la nostra fede politica.
E' una piccola grande lezione che Massimo Nascimbene impartisce, in primis ai suoi figli, agli amici e ai cittadini: dobbiamo ritornare a occuparci in prima persona della cosa pubblica se vogliamo migliorare questo paese e non delegare più ad altri la difesa dei nostri valori, della nostra storia, delle nostre strade e dei nostri paesi se non vogliamo che quattro vandali stupidelli e decerebrati, forti solo della loro arroganza becera dettino legge e siano lo spauracchio di noi che, troppo spesso siamo maggioranza silenziosa.


Foto da la Provincia pavese - gelocal - Gruppo Espresso (c) 2015
Testo: (c) Claudio Montini  2015

giovedì 23 aprile 2015

Grazie a tutti i lettori!!

Grazie a tutti i lettori!!!

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1091 nell'ultimo mese!

5680 da giugno 2012! 

G R A Z I E !!!!!

 

mercoledì 22 aprile 2015

Lady Jena Sabauda e sir Aglietto: incontri prelibati del III° tipo

Sir Aglietto

Con sir Aglietto, il maiale è perfetto!

 

 

 

 

di Jena Sabauda



Dopo aver suggerito dolci e proposto un primo piatto, mi è venuta l'ispirazione per un secondo di carne che, tanto in un giorno di festa che in uno feriale, vi darà grande soddisfazione.
Va da sè che chi non amasse l'aglio o nutrisse pregiudizi contro il maiale non è tenuto a fare questo arrosto....ma non sa cosa si perde: parola di Jena Sabauda!!

Duma c'anduma!
( in italiano suonerebbe: andiamo a cominciare!)

  1. Preparate un trito a coltello con rosmarino, salvia (di questi, chi più ne ha più ne metta), sale grosso, pepe, curry, chiodi di garofano e metterli in un piatto fondo con olio extra vergine di oliva; miscelare per bene il tutto perchè servirà per massaggiare (e quasi marinare) la carne di cui dirò al prossimo punto
  2. Serve arrosto di maiale o lonza di maiale (una è un po' più nervosa, è detta anche coppa, mentre l'altra è più magra e compatta: sempre dal dorso del suino vengono, ma la lonza è più facile da lavorare): ed ora entra in scena sir Aglietto...
  3. Servono anche alcuni spicchi di aglio, interi e puliti dalla pellicine esterne: quanti? Dipende dalle dimensioni della testa che avrete scelto...
    Ora vi dico come li sposate al maiale
  4. Create delle fessure, profonde ma non troppo, nella carne e riempitele con il trito speciale che avete preparato all'inizio e uno spicchio d'aglio per fessura; fate molte fessure o almeno tanti quanti sono gli spicchi: poi, se ci sono più delle prime che dei secondi, non c'è problema: basta che siano distribuite, le prime, su tutta la superficie della carne e il motivo lo scoprite al punto successivo.
  5. Massaggiate tutta la carne con la miscela di trito in olio extravergine di oliva preparata all'inizio, prima di arrivare fino a qui...massaggiate, gente, massaggiate perchè poi si va in padella
  6. Rosolare, su tutti i lati, la carne in una padella o in una teglia cui non dia fastidio finire in forno il resto della cottura.
    Fatto questo, si sfuma con un bicchiere di vino bianco (e uno per il cuoco, magari) e si aggiunge po' di brodo per creare un fondo di cottura che userete al momento di servire.
  7. Accendete il forno e portatelo a 180° circa e poi infilateci la padella o la teglia con la carne; se il peso di quest'ultima si aggira intorno al chilogrammo, per completare la cottura occorreranno dai 35 ai 40 minuti: miglior giudice del vostro occhio non c'è, sicchè non abbiate timore ad aprire lo sportello e controllare (non può afflosciarsi: mica è un soufflè...boja fauss! [ in italiano equivale a: per Bacco!])
  8. Servite a fette di buon spessore, condite e coperte con il fondo di cottura.
  9. Le fette in questione si accompagnano a meraviglia con una montagna di patatine, magari al forno visto che già caldo e di solito spazioso (un filo d'olio, sale grosso, rosmarino in una teglia o padella che faccia compagnia a quella della carne); i malati della dieta, nemici giurati di grassi e carboidrati, scelgano una bella insalata mista e la loro coscienza non verra turbata da alcun rimorso
  10. Per tutti, GNAM GNAM...MMHMM...GNAM, GNAM da una piemontese d.o.c.g.!

La vostra Jena Sabauda 





Ricetta originale e testo: © 2015 La Jena Sabauda
Fotografie e impaginazione: © 2015 Orazio Nullo

lunedì 20 aprile 2015

"Pane e coraggio" di Ivano Fossati per i disperati del Canale di Sicilia

Erano in cerca di pane, con tutto il coraggio della disperazione

 

 di Claudio Montini


Non ho altre parole da dire sulla tragedia consumatasi nelle acque del Canale di Sicilia, se non quelle della canzone di Ivano Fossati tratta da LAMPO VIAGGIATORE album musicale del 2003.

Proprio sul filo della frontiera
il commissario ci fa fermare
su quella barca troppo piena
non ci potrà più rimandare
su quella barca troppo piena
non ci possiamo ritornare.

E sì che l'Italia sembrava un sogno
steso per lungo ad asciugare
sembrava una donna fin troppo bella
che stesse lì per farsi amare
sembrava a tutti fin troppo bello
che stesse lì a farsi toccare.

E noi cambiavamo molto in fretta
il nostro sogno in illusione
incoraggiati dalla bellezza
vista per televisione
disorientati dalla miseria
e da un po' di televisione.

Pane e coraggio ci vogliono ancora
che questo mondo non è cambiato
pane e coraggio ci vogliono ancora
sembra che il tempo non sia passato
pane e coraggio commissario
che c'hai il cappello per comandare
pane e fortuna moglie mia
che reggi l'ombrello per riparare.

Per riparare questi figli
dalle ondate del buio mare
e le figlie dagli sguardi
che dovranno sopportare
e le figlie dagli oltraggi
che dovranno sopportare.

Nina ci vogliono scarpe buone
e gambe belle Lucia
Nina ci vogliono scarpe buone
pane e fortuna e così sia
ma soprattutto ci vuole coraggio
a trascinare le nostre suole
da una terra che ci odia
ad un'altra che non ci vuole.

Proprio sul filo della frontiera
commissario ci fai fermare
ma su quella barca troppo piena
non ci potrai più rimandare
su quella barca troppo piena
non ci potremo mai più ritornare.

(c) 2003 Il Volatore Ed. Musicali/ Ivano Fossati

domenica 19 aprile 2015

A volte l'apparenza inganna...omaggio a sir Tom Simpson

Omaggio a un eroe asceso troppo giovane  all'Olimpo del pedale




 di Claudio Montini


    Regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra, Francia: lì per gli appassionati di ciclismo c'è un tempio: il Mont Ventoux con il monumento a Tom Simpson campione britannico degli anni '50 e '60 del secolo XX, campione del mondo su strada nel 1965 e vincitore di una Milano Sanremo nel 1964, creato baronetto dalla regina Elisabetta proprio in virtù della vittoria nella classicissima ligure di primavera.
Una salita durissima, un banco di prova hors de categòrie per chi voglia vincere il Tour de France, una sfida nella sfida della Grand Boucle che, a volte, si prende un tributo umano, la vita di un ciclista.
Così accadde a Tom Simpson: era il 13 luglio 1967, andò in crisi durante la salita, si fermò quasi intenzionato al ritiro ma riprese per non deludere il focoso incitamento degli spettatori che affollavano i fianchi della montagna, come accade tutt'ora, anche nelle tappe alpine del Giro d'Italia che partirà a maggio; fatte poche centinaia di metri, stamazzò definitivamente al suolo: le manovre rianimatorie furono inutili.
L'autopsia rivelò che l'arresto cardiaco venne determinato dal caldo, dallo sforzo prolungato, ma anche dalle anfetamine che, pare, il corridore avesse assunto per superare quella tappa alpina; anche Jacques Anquetil, pochi anni dopo, pare abbia corso lo stesso rischio per sostanze mai ben identificate.
I contenitori che vedete ai piedi del monumento non sono segno di incivile barbarie ma l'omaggio, commosso e sincero, dei ciclisti che hanno inforcato la bicicletta e morso l'asfalto fino alla vetta del Ventoux, 1920 metri sul livello del mare, violentando con coraggio e passione i propri muscoli e i polmoni e il cuore, per terminare la prova che si prese la vita di Simpson durante il Tour de France del 1967.
E' l'offerta a un eroe, asceso all'Olimpo troppo giovane, affinchè vegli e protegga da lassù i suoi emuli concedendo loro di coronare gli sforzi senza sforzare, irrimediabilmente, le coronarie.


Testo: (c) 2015  Claudio Montini
Foto: shared with Enrico Robbiati's facebook photo collection   

sabato 18 aprile 2015

Matrimonio, ieri e oggi: una piccola riflessione

Oggi si avvera il sogno 

e siamo sposi...

 

di Claudio Montini




Nella parte centrale del secolo breve, il ventesimo ultimo scorso, quando il mondo non si era ancora scoperto diviso in due blocchi e l'Italia non aveva ancora capito che era un comodo cuscinetto strategico tra i due, la radio proponeva la voce di Giorgio Consolini o di Oscar Carboni che invitava le nuove generazioni di allora all'unione matrimoniale.
Io ricordo solo il ritornello di quel brano che devo sicuramente aver ascoltato in qualche programma di storia o di revival radiotelevisivo; ma rimango stupefatto dalla curiosa coincidenza che mi è capitato di vivere: oggi si sposava una mia amica e i genitori di un'altra festeggiavano parecchi anniversari di matrimonio, forse nozze d'argento addirittura, con la stessa luce negli occhi che mostravano nelle foto di quel giorno.
Questo lo so perchè quest'ultima mia amica ha pubblicato un album fotografico, sul suo profilo facebook, con immagini del pranzo odierno di festeggiamento e immagini del tempo che fu ( da fidanzati, in cerimonia e da sposati sull'auto nuziale); poco più di una decina di scatti, di cui alcuni in uno scintillante bianco e nero, corredati da una poesia appositamente composta dalla figlia che rende omaggio a tanto miracolo d'amore e sottolinea quella luce entusiasta, di sogno che si avvera, che anche un'osservatore distratto non fatica a cogliere nello sguardo di una donna e un'uomo che hanno detto "Sì" a un sogno tanti decenni fa e non hanno mai smesso di curarlo, crescerlo, trasmetterlo e goderselo.
Li ammiro e li invidio, ma nel senso buono del termine, e auguro loro ogni bene.
Alla mia amica che inizia oggi il suo percorso di vita condivisa, invece, auguro sì ogni bene, tanta salute e tanta serenità ma anche di non perdere mai di vista se stessa, nè l'entusiasmo che l'ha portata davanti a un altare a chiedere a Dio e agli uomini la benedizione alla stesura di questo nuovo capitolo della sua vita.
Da fidanzati ci sono spazi e carte che si possono anche celare, riservare a sè e omettere; da sposati bisogna giocare a carte scoperte e rispettare fino in fondo i propri aspetti caratteriali, sforzandosi di adattarli e metterli al servizio del bene comune: senza reticenze, senza imposizioni, senza remore e con tanto, anzi, parecchio buon senso.
Anche se, come cantava Fabrizio De Andrè in Bocca di Rosa, sa dare buoni consigli chi (come il sottoscritto) non sa più dare il cattivo esempio.

Testo: (c) 2015   Claudio Montini
Foto : (c) 2013   Sara Lugani  taken from collection on facebook

venerdì 17 aprile 2015

Anniversario della Liberazione: 25 aprile

Bella ciao, mamma addio: viva il re, viva l'Italia


 

 

 

 


di Claudio Montini







Sono nato vent'anni dopo il referendum che ha sancito la fine della monarchia in Italia e ha dato il via ai lavori dell'Assemblea Costituente della Repubblica Italiana, che ho servito come graduato di truppa nell'esercito quarant'anni dopo la sua costituzione.
Fin da ragazzino, ho sempre pensato di essere stato fortunato a non aver conosciuto la guerra, la fame, la paura che hanno vissuto sulla loro pelle tutti quelli che hanno fatto parte della generazione dei miei genitori e dei miei nonni: loro non ne hanno mai parlato volentieri e ciò che sapevo e che so, ora come allora, lo debbo ai libri di storia e ai maestri che la scuola mi ha messo davanti.
Ho imparato che la Storia la fanno gli uomini e le donne che ci mettono il sangue e la carne e le lacrime e le risate, i sospiri come i lamenti e il coraggio come l'angoscia: però, alla fine, la Storia la scrivono i vincitori e ai vinti rimane una sola salvezza, come già scriveva Publio Virgilio Marone in Eneide, vale a dire l'oblio inteso come assenza di salvezza e di memoria del proprio dolore.
Anche il Venticinque Aprile, l'anniversario della fine della guerra di Liberazione dall'oppressione nazifascista, la fine della Resistenza armata all'invasore germanico, l'ultimo atto di una folle tragedia fratricida è passato attraverso il filtro della maturazione e della conoscenza storica ma è rimasto, in me, fermo come momento di festa: la fine di una guerra, una guerra civile, è un momento di sollievo dalle fatiche del vivere e dalle paure del morire.
La fotografia che ho scelto per accompagnare questo testo rappresenta il monumento alle madri dei caduti di quella guerra intestina e fratricida; si trova a Pavia in una piazzetta tra il Naviglio e Porta Milano, quasi defilata e nascosta.
E' un monumento alle madri dei morti di ambo le parti in conflitto perchè, quando si viene uccisi a causa di una guerra, non ci sono più vincitori nè vinti ma vite perdute e strappate all'amore di coloro che le hanno generate.
Non ci sono eroi o infami, ma cadaveri e lacrime e silenzio di tomba: la vita e la speranza sono fuggite altrove.
Allora è nostro dovere, dico di noi che non abbiamo provato, ricordare e darci da fare perchè non ci siano MAI più vedove o genitori oppure orfani da consolare nè trincee da superare o da conquistare, perchè la ragione non lasci MAI PIU' alle armi l'ultima parola. 


Testo: (c) 2015  Claudio Montini
Foto: (c) 2014  Orazio Nullo

martedì 14 aprile 2015

Fotoromanzo pavese (con traduzione per....i forestieri!)

IL CANE E IL PILOTA




Era meglio che guidavo io e che si fosse sdraiato lui qui sopra. Se prende male la curva....finisco in orbita come la Laika!
Se tu non avessi morsicato il   
sedere del veterinario, a quest'ora....


 ...la tua patente sarebbe già stata rinnovata, senza discussioni!!
 

Adesso taci, che sono concentrato sulla strada...sto guidando a orecchio!


Che cosa? 
Cosa vorresti dire? 

Ho dimenticato nel boschetto gli occhiali da vista.


Ah, andiamo bene! Andiamo proprio bene....








Foto di Barbara Agradi 
(da un post su facebook, gruppo pavia e dintorni)
Grafica di Orazio Nullo
Testo e sceneggiatura di Claudio Montini

 (c) 2015


lunedì 13 aprile 2015

Risotto per due persone + il cane Leone: La Jena Sabauda per Radio Patela Magazine

Mole tricolore di Enrico Pandiani 2011

LA JENA SABAUDA PRESENTA:


RISOTTO AL RAMARINO

DI TORINO

per due persone + il cane Leone
Leone in attesa del risotto di Orazio Nullo 2013














La Jena Sabauda inventa una nuova ricetta e la prova su chi ha sottomano, oltre a se stessa: vale a dire l'estensore di queste righe e il cane Leone che non dice mai di no alle alternative ai croccantini o alle zuppe ad hoc per i quattro zampe, studiate da fior di veterinari, specialmente se si tratta di risotto.
Bando alle ciance, parluma pa e fuma andà i man parei e parei (traduco dal piemontese: non parliamo più e muoviamo le mani così e così )!

Procuratevi:
  • Un rametto di rosmarino
  • Foglioline tenere di salvia
  • Uno scalogno
  • Burro
  • Olio di oliva extravergine
  • 250 grammi di riso Arborio o Carnaroli ( ma la Jena Sabauda preferisce l'Arborio)
  • un bicchiere di vino bianco secco
  • Pecorino romano da grattugiare al momento della mantecatura finale
  • 800 ml (millilitri) di brodo di carne (più o meno 9 mestoli)
 Staccate gli aghi di rosmarino dal rametto, ovvero spiumatelo delle sue sottili foglie, posandole su un tagliere dove le triterete, manualmente al coltello, insieme alle foglioline di salvia e allo scalogno.
Scaldate sul fuoco una pentola in cui avrete messo olio extravergine di oliva, una noce di burro e il trito che avete appena finito di preparare e lasciatelo andare per un minuto circa: dopodichè spegnete il fuoco e lasciate riposare il tutto almeno per un'ora.
Trascorso questo tempo, si aprono le danze con la tostatura del riso: infatti si rimette sul fuoco la pentola e si lascia soffriggere per un poco il contenuto; quindi si unisce il riso (Arborio o Carnaroli, a piacere anche se la Jena Sabauda predilige il primo che va bene anche per minestre e minestroni) e lo si tosta sfumandolo con il vino bianco, avendo cura che non attacchi sul fondo della pentola.
Si aggiunge il brodo di carne, via via, a coprire il riso e si procede con la cottura per 14 o 15 minuti, allorquando lo si mantecherà con un'altra noce di burro e il pecorino romano grattugiato avendo cura di mantenere il risotto all'onda.
Lasciatelo riposare un'attimo, il tempo di accomodarsi e di avvisare Leone del menù giornaliero approntando la sua ciotola: quindi....BUON APPETITO!
Va da sè che, se siete più di due e non avete il cane, dovete adattare le dosi indicate: comunque sia, il processo produttivo è il medesimo. 


Ricetta originale di La Jena Sabauda (c) 2015
Foto di Enrico Pandiani e Orazio Nullo
Testo: Claudio Montini  (c) 2015

domenica 12 aprile 2015

Nota su pagina di "Ultima missione: sopravvivere"


Cari lettori,
il testo di ULTIMA MISSIONE: SOPRAVVIVERE ! che avete avuto la bontà di apprezzare fino in fondo, fino all'ultima parola dei titoli di coda, altro non è che uno dei capitoli del romanzo di fantascienza che sto scrivendo e che, con buona probabilità, porterà lo stesso titolo una volta ultimato.
La storia nel suo svolgimento a grandi linee è già tutta nella mia testa, devo solo trovare il modo più conveniente e interessante di distribuire i due sacchetti di punteggiatura in dotazione: sapete, non è sempre così facile e immediato distribuire tutte quelle virgole, virgolette, punti fermi e a capo, due punti e punti e virgola (che pare non godano di grande considerazione da parte degli scrivani mondiali, ma è segno di interpunzione utilissimo per l'articolazione dei ragionamenti e della posa delle pause nel discorso orale)...per non dire proprio di loro, i puntini di sospensione e i loro fratelli maggiori il punto esclamativo e interrogativo o i trattini e le barre traverse e, oddio me le dimenticavo!, le parentesi tonde ( le quadre e le graffe servono più in matematica....).
Comunque sia, accadrà, miei cari visitatori anche occasionali, che troverete un capitolo nuovo ad ogni cader di mese o quando l'ispirazione mi cinsentirà di completarlo.
Confido nella vostra comprensione e nel vostro giudizio.
A presto!

Claudio Montini, 12 aprile 2015    (anniversario del volo nello spazio di Yurij Gagarin su Vostok 1)

Se stasera sono qui...è perchè vi voglio bene!

Chi ci aiuterà a capire qualcosa della vita e dell'amore?


di Claudio Montini







Tutti parlano e parlano o, peggio, scrivono e scrivono: la cultura popolare e la biblioteca comunale.... 
Così scriveva e cantava Ivano Fossati, facendolo cantare anche ad Adriano Celentano, nel suo brano intitolato Io sono un uomo libero contenuto nell'album Lampo Viaggiatore; anche io parlo e scrivo sperando che qualcuno mi legga e mi ascolti: eppure mi rendo conto che siamo diventati un popolo di sbruffoni, chiacchieroni, maleducati e sordi...altro che santi, poeti e navigatori.
A partire dalla televisione fino a scendere al pianerottolo, o al salotto di casa, si è persa la buona creanza di ascoltare e poi parlare, attendere che l'interlocutore chiarisca la propria idea per esporre le proprie argomentazioni: facciamo a chi grida più forte o a chi è più bravo e rapido a ripetere a pappagallo la propria tesi, sovrastando con garrulo frastuono l'ottuso avversario esattamente come si faceva all'asilo infantile finchè la suora, trasformata in un mulino a vento, riportava la pace e la ragione dirimendo le questioni a sganassoni e punizioni varie ed eventuali.
Si sa che i religiosi, quanto a penitenze sono largamente e lungamente esperti: vuoi per lo stile di vita che si sono scelti in virtù di una chiamata soprannaturale, vuoi per gli studi approfonditi del vecchio testamento dove l'immagine di Dio è presentata come quella di un tipo dal carattere mica tanto facile, accade sempre che trovino l'idea giusta e le parole per farti sentire in colpa per qualcosa e addio libero arbitrio.
Allora chi ci aiuterà a capire qualcosa della vita e dell'amore?
In altre parole: in questa società contemporanea apparentemente evoluta, apparentemente soggetta a inarrestabili moti browniani, insani e instancabili rimescolamenti di concetti ed elementi, apparentemente aperta alle novità, chi ci foraggerà di idee e di suggerimenti così come di indicazioni e chiavi di lettura, che scorderemo o confonderemo con adolescenziale noncuranza?
A chi spetterà il compito di restituirci almeno una ragione per non smettere di credere che domani è un'altro giorno, un giorno in più in cui possiamo migliorare, risalire la china fino a respirare di nuovo aria fresca e ammirare l'orizzonte sgombro da nubi?
Toccherà, quest'arduo e delicato compito, agli intellettuali e in particolare agli scrittori di romanzi e manuali, di poesie e testi per canzonette, di racconti e novelle proprio come me (l'anno scorso una scrittrice di racconti ha vinto il Nobel per la letteratura, la canadese Alice Munro, per esempio); non certo ai televisivi o ai radiofonici o ai cineasti, ma a noi che mettiamo idee e sentimenti sulla carta (anche se elettronica e, dunque, di per sè virtuale) omaggiando e corroborando l'eterna verità del detto latino "Verba volant, scripta manent" (le parole volano, le cose scritte restano): quelli, infatti, sono produttori e spacciatori privilegiati, laici e senza scrupoli, di oppiacei per popoli la cui fede è ormai ridotta a mera abitudine.
Costringendovi a leggere cosa c'è scritto nei messaggi che infiliamo nelle bottiglie e affidiamo al mare virtuale, catturiamo totalmente la vostra attenzione e seminiamo le nostre parole nell'anima lasciando sedimentare lì la nostra fantasia e dandovi, così, il tempo e il modo di assimilare altre idee e magari metterle in pratica e ripartire alla ricerca della felicità.
Chi ascolta la radio può fare qualsiasi altra cosa, anche stare con gli occhi chiusi a lasciarsi riempire le orecchie di suoni e scivolare nel mondo dei sogni; chi è davanti al televisore o è al cinema, si trova fisicamente lì ma potrebbe avere la mente in fuga altrove mentre le immagini scorrono; chi legge è concentrato sulle parole che cattura con gli occhi e ricostruisce nella sua mente, nella sua fantasia, con immagini e modalità che nessuno, tranne Dio (o in qualunque altro modo lo si voglia chiamare), può vedere o sindacare.
Questa è la mia missione qui e questo avrete da me: io scrivo racconti, sto preparando un romanzo (anzi, due: un giallo e uno di fantascienza) e scrivo poesie per il piacere e il vizio di pensare sempre con la mia testa e digitare ciò che penso. 


Testo:  (c) 2015   Claudio Montini
Foto:  from  acomearte.blogspot.com  post on facebook 2013 

giovedì 9 aprile 2015

Letti & Piaciuti: zio propano e il prof. Daverio al museo immaginato - Radio Patela Magazine

Letti & Piaciuti a Radio Patela Magazine

 

Philippe Daverio

IL SECOLO LUNGO DELLA MODERNITA'

  IL MUSEO IMMAGINATO 
RIZZOLI      2012

di Claudio Montini

Philippe Daverio (Mulhouse (F), 1949) è professore ordinario presso la facoltà di Architettura dell'Università di Palermo e cittadino milanese da molti anni; per un buon numero di telespettatori italiani è il conduttore soave e misurato e brillante, curioso e stravagante ma elegantissimo di una benemerita trasmissione televisiva che si occupava di arte e di musei, basata su ottime immagini, sequenze ben sceneggiate e ritmate, interventi testuali e culturali intelligenti e intellegibili da chiunque si ponesse all'ascolto con curiosità, mai ridondanti o banali o noiosi.
Essa si intitolava Passpartout e andava in onda su RAI 3 (attualmente viene replicata su RAI 5 canale 23 del digitale terrestre italiano): la spending review operata dalla governance Rai negli anni scorsi, decretando la riduzione delle collaborazioni esterne limitata all'acquisto di format da sviluppare con maestranze proprie, quindi escludendo di fatto l'acquisto di programmi prodotti esternamente all'azienda,ha sancito anche la fine di Passapartout e la fine, per noi spettatori e utenti del servizio radiotelevisivo, di intelligenti e gradevoli passeggiate per musei e collezioni artistiche di mezzo mondo (prevalentemente europeo) piacevolmente incollati al teleschermo e comodamente seduti in poltrona.
Lo spirito della trasmissione televisiva riecheggia e rivive, ma viene anche superato e spinto più in là, in questo corposo e ricco volume (544 pagine e diverse centinaia di fotografie) composto dal professor Daverio per i tipi di Rizzoli nel 2012: IL LUNGO SECOLO DELLA MODERNITÀ -il museo immaginato- .
Divulgare ovverosia rendere disponibile e comprensibile al volgo, al popolo, alla gente comune argomenti e temi apprezzabili da tecnici o specialisti o appassionati maniaci, sia che si tratti di scienza o di arte o di storia o di tutte queste cose messe insieme, è una dote naturale come cantare o disegnare a mano libera oltre che essere da sè stessa un'arte con i suoi dogmi, i suoi sottili equilibri, i suoi percorsi.
Con oltre seicento immagini di opere d'arte, nella maggior parte dipinti, corredate di didascalie essenziali e puntuali (autore, titolo dell'opera, anno di produzione e posizione attuale) e una prosa sciolta e scorrevole, da piacevole conferenziere che sa corroborare di preziose informazioni il proprio discorso, senza cioè obsolete pedanterie, Philippe Daverio coglie in pieno il risultato di renderci partecipi di un sogno, il museo immaginato appunto, che illustra quanto IL SECOLO LUNGO DELLA MODERNITÀ (il diciannovesimo, l'Ottocento) sia stato fondamentale e formidabile per il secolo breve (il ventesimo, il Novecento) che ci siamo lasciati alle spalle entrando nel terzo millennio.
In realtà, egli compie un'operazione ancora più rivoluzionaria e anticonformista da superare i limiti del saggio e della letteratura; questo volume vorrebbe essere il catalogo del museo immaginato, se diamo corda al sogno, all'ipotesi che ci invita a considerare Daverio nell'esordio dell'opera, mentre è anche un'indagine storica e sociologica divertita e rigorosa che si fa carico di lanciare un messaggio alle nuove generazioni di amministratori pubblici: l'arte per l'arte non esiste perchè è il mercato delle opere d'arte che condiziona tanto il gusto quanto la produzione e la fortuna di ogni prodotto artistico, con l'ulteriore influenza del periodo storico contingente; quindi, non è vero che la cultura non fattura o che sia un'effimero vuoto a perdere, buono per riempire pareti e prendere polvere in saloni o locali che non si saprebbe come sfruttare altrimenti.
La cultura, nel libro intesa come arte figurativa e pittorica descritta nel periodo storico di massimo fulgore, si rivela non essere un lusso da civilizzati europei con puzza sotto il naso (come potrebbe far pensare il dipinto di Gustave Caillebotte utilizzato per la copertina, Una strada parigina sotto la pioggia) ma è il volano per il recupero funzionale di ciò che il progresso ha reso obsoleto e dismesso, consnentendogli di generare nuovo profitto e lavoro.
Nel sogno descritto con precisione in ogni dettaglio, padiglione per padiglione comprese attività extramuseali, Philippe Daverio immagina che in una ipotetica città d'Europa, da poco dotatasi di un nuovo scalo ferroviario ad alta velocità e pari sofisticazione tecnologica, si decida di procedere al riordino urbanistico del centro il cui cuore era proprio la vecchia stazione ferroviaria ormai dismessa: in omaggio al principio alchemico illuminista, nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma, si affaccia l'idea di un museo che non sia il ripostiglio affollato di una collezione di opere eterogenee, affastellate a far numero, ma sia un'organismo articolato e vivo e fruibile tanto da essere in grado di ripagarsi e sostenersi da solo.
Ma più che il contenitore, descritto ampiamente nel capitolo COME NASCE UN MUSEO, conta il contenuto e i capitoli successivi sono la sua descrizione: il professor Daverio ci accompagna per le sale del museo immaginato, pagina dopo dopo pagina e fotografia dopo fotografia, riuscendo a far scorrere la prosa di pari passo con la sequenza delle immagini realizzando, nel lettore, la contemporanea compenetrazione dei due piani mentali, quella visiva e quello testuale.
Così, davvero, IL SECOLO LUNGO DELLA MODERNITÀ, ovvero l'Ottocento, si vede in tutta la sua ricchezza e in tutta la sua complessità, tant'è che si capisce bene come esso germini con la Rivoluzione Francese e si immoli, anche lui, nell'inutile strage che fu la Prima Guerra Mondiale.


Testo: © 2015 Claudio Montini   
Fotografia: Google Images/Rizzoli
Impaginazione: Orazio Nullo