un matematico, un musicista e una vecchia leggenda...
di Claudio Montini
Svettava,
maestoso e fronzuto, solitario ed altero emergendo come un eruzione
di vita dalla campagna che lo circondava e che coronava a occidente
il paese; saldamente ancorato a uno sperone di terra, lascito
d'un'antica erosione tentata dal grande fiume quando nemmeno
s'immaginava che potesse andare a finire dove scorre adesso, il
piantone (forse una quercia o forse un noce) vegliava le spalle del
campanile, la valle degli orti rigogliosi e ordinati, i boschi
selvatici, le lanche e i fossi, i prati e i campi di granaglie che si
disperdevano succedendosi armoniosamente fino sulla linea
dell'orizzonte, confusa con l'argine del grande fiume. Adesso
non c'è più, abbattuto da un temporale estivo che non è degenerato
in un devastante grandinata solo grazie ad un’anima pia che, memore
d’un’antica grazia ricevuta dai sairanesi, fece suonare a distesa
le campane della Beata Vergine assunta in cielo sia pure, si mormorò,
a dispetto del parere contrario del prevosto. Anche se
nessuno glielo sentirà mai dire apertamente, impegnato com’è a
tirare a lucido la parte più in vista di casa badando, però, che il
cancello sia ben chiuso e tende e persiane impediscano sbirciate
clandestine verso l’interno (ma non il contrario), Sairano tutto
sa perfettamente che è peggio per chi se ne va (poichè non si sa
dove va) perchè chi resta, comunque, si arrangia e la morte di
quell’albero secolare sarebbe scivolata via nel giro della ruota
della vita, se non avesse dato vita a due opposte correnti di
pensiero che svolazzavano beate di bocca in bocca in tutti i convegni
di comari, tanto femminili quanto maschili (mica si parla solo di
calcio e motori e donne, al bar...). Una
sosteneva che le campane andavano sempre suonate perché fermavano
comunque la tempesta, quasi fosse un miracolo assegnato in esclusiva
al paese, l’altra era convinta che fosse solo una superstizione
legata a una vecchia leggenda di cui s’era persa la memoria.
Duilio
stava con gli scettici perchè era devoto alla logica, al calcolo
infinitesimale e alla geometria cartesiana così come Rosaria, sua
moglie, discendente addirittura di cardinali e medici in odore di
santità, si schierava con il campo avverso perchè gli permetteva di
ricordargli che...
-...per quante equazioni tu possa elaborare ed io curare malanni anche
gravi, la sola variabile che rende possibile tutto è la misericordia
di Dio.
Rispettava
la fede altrui ma, avendo dedicato la vita all’indagine di ogni
possibile insieme di numeri, inventando algoritmi e modelli
matematici utili a regolare il caos quotidiano, esitava a lasciarsi
affascinare dall'idea del miracolo cioè che Dio stesso, ammesso e
non concesso esistesse, impietosito dalle suppliche dei devoti oranti
il santo patrono, avesse distolto le sferzate della grandine ai
campi ormai pronti per il raccolto liberando la voce bronzea delle
campane, evitando al paese fame e carestia.
Invece,
Rosaria, che era nata all’ombra di quel campanile e che lo aveva
tenuto sempre come faro nelle scelte della vita, prima fra tutte
quella di diventare medico oncologo, non si faceva scrupoli nel
pregare quando tutte le volte che le capitava un paziente per cui
pillole e bisturi sembravano impotenti: perciò aveva apertamente
apprezzato il gesto di quella misteriosa anima pia che, a dispetto
del prevosto e delle sue perpetue, aveva rispettato la tradizione
senza menarne vanto in giro. Era una
bella domenica di settembre, di quelle che fanno dimenticare
l’autunno che aspetta dietro l’angolo, in cui si respira un’aria
calda e tersa di fine estate immaginando ancora lontanissimo
l’inverno che verrà. Salirono
la rampa che sbocca sul sagrato della chiesa condividendo il cammino
col maestro Italo, loro vicino di casa e umile artigiano del
pentagramma secondo la definizione che dava di sè rispondendo al
saluto dell’egregio professore; Duilio era l’unico in paese che
gli riconoscesse quel titolo, dal momento in cui aveva scoperto la
musica classica grazie a una collezione di dischi, ereditati da una
vecchia zia emigrata in Germania, in cui la direzione artistica era
opera proprio di Italo Legnaghi: nessuno sapeva che fine avesse fatto
dopo che la famiglia si era trasferita a Como, al seguito di un’altro
illustre compaesano, organista e compositore di musica sacra, che là
era stato nominato maestro di cappella del Duomo e che aveva voluto
con sè, per farlo studiare, quel ragazzino che imparava a memoria le
sue partiture quando ancora erano solo abbozzi sul pianoforte
verticale che aveva lasciato a Sairano, nella casa dei genitori e
delle sue sorelle, stretta in una via tra il castello e la chiesa.
Italo
procedeva senza fretta come un’adagio di Albinoni o l’Aria sulla
quarta corda di Bach, d’altronde era diretto all’edicola e poi a
salutare gli amici e i parenti che avevano già bussato alle porte
del cielo ed erano stati messi a dimora nel villaggio ultimo e
silente: quella era la seconda messa, l’altra l’andava a
prendere alle otto del mattino come faceva fin da ragazzo; Duilio
forse sarebbe entrato al momento del Credo se non avesse trovato da
chiacchierare col vicepreside in pensione che accompagnava la
moglie, velleitaria soprano dilettante; Rosaria detestava arrivare in
ritardo a messa e, quindi, salutò e lasciò i due uomini soli alla
loro passeggiata guadagnando speditamente l’ingresso in chiesa.
Misero
un passo dopo l’altro senza proferire verbo e guardando
distrattamente intorno a loro finchè, superato il monumento ai
caduti, si trovarono sotto alla lapide che porta incisi, a caratteri
scoloriti, le notizie sulla fondazione del castello ad opera del
primo conte di Sairano (un capitano di ventura alla fine della
guerra dei Trent’anni) e che, secondo uno storico locale, sarebbe
posta sulla torre superstite dell’antico vero ingresso dello
stesso.
Indugiò
con lo sguardo su di essa come se la vedesse per la prima volta,
domandandosi la ragione per cui l’avessero posta così in alto,
un metro scarso al di sotto della merlatura: Italo si rese conto di
quella momentanea distrazione e ne approfittò per rompere la tregua
del silenzio.
- Professore, lei ha in animo di pormi una domanda, solo apparentemente
banale, ma capace di indebolire la rete delle sue certezze e non sa
come fare: mi sbaglio?
Duilio
Potenza, per la prima volta in vita sua, si sentì nudo come un verme
sotto al sole scoperto della zolla appena rivoltata dalla vanga
dell’ortolano; non seppe ribattere e l’anziano musicista si
spiegò.
- Vede, gli sforzi di gioventù per dar vita e voce ed emozioni a quei
segni misteriosi impressi su un pentagramma e la consuetudine a
suonare in pubblico, hanno acuito la mia sensibilità verso
l’ambiente circostante e verso gli occasionali interlocutori. Capto
ancora bene le vibrazioni dell’animo umano, nonostante l’avanzare
dell’età e dei suoi accidenti.
- Ebbene sì, maestro, è proprio così.... Ammise il matematico; sospirò per
raccogliere le idee e proseguì.
- Col passare degli anni la mia devozione alla verità scientifica è
andata perdendo smalto e solidità: se, poi,aggiungo l’anteprima di
giudizio universale che stava per scatenarsi sulle nostre teste nei
giorni scorsi ...
- ...rinviato
solo dai rintocchi delle campane! Ah, le onde sonore che dominano gli
elementi della natura! Il sogno di ogni alchimista!
Chiosò
ironico Italo Legnaghi.
- Se non l’avessi visto coi miei occhi, ne avrei sorriso come lei e
come feci quando Rosaria me ne parlò la prima volta. Ma ora...
- ...ora in lei si è insinuato il dubbio di aver ridotto Dio ad un numero
e di averlo inseguito, a lungo e senza successo, per ingabbiarlo in
un equazione? Smetta di rincorrerlo: lei è stato solo l’ennesimo
testimone del miracolo di sant’Alessandro.
- Come sarebbe a dire, maestro?
Allora, riprendendo a camminare,
l’anziano musicista narrò al disorientato matematico di quella
volta che i sairanesi, reduci da annate disperate di fame e malanni,
restii a rassegnarsi alla malasorte, si strinsero in preghiera
davanti all’urna del loro patrono impetrando prosperità per i vivi
e il sollievo eterno per i morti; ma sembrava che lassù avessero di
meglio da fare perchè sopra le loro teste si erano date convegno
gonfie nubi scure che, sgravandosi, avrebbero raso al suolo ogni cosa
che da esso spuntava. In
chiesa, come in ogni angolo di Sairano, ci si infervorò nel pregare
come se la fine del mondo fosse imminente.
- A questo punto, la nonna di mia nonna citava un proverbio che ha a
che fare con l’anima e la fortuna; credo che lo conosca anche lei,
professore...
- Oh sì, certo! Spesso lo sento adoperare per certe conversioni
dell’ultimo minuto...
Gli morì
il fiato in gola, riconoscendosi in quella medesima situazione.
Per
scacciare l’imbarazzo dell’amico, Italo riprese a raccontare
dipingendo la terra spazzata da venti rabbiosi e un cielo che
brontolò parecchio, anche lampeggiando furiosamente.
Quando
questo all’improvviso tacque, il vento s’arrestò: però il
silenzio non venne turbato dal ticchettìo crescente della grandine
ma dai rintocchi delle campane, la bronzea voce di Dio, che
precedette la frusciante carezza della pioggia. Anche
quelli che non si sarebbero fatti più vivi nella casa di Dio,
pregarono e piansero e s’abbracciarono correndo fuori a bagnarsi
con le braccia e i visi volti al cielo: sant’Alessandro si era
guadagnato, definitivamente, la cittadinanza sairanese.
- Da allora, ogni volta che il cielo minaccia tempesta, si suonano le
campane e si recita la preghiera che si conosce meglio, se non si
riesce a snocciolare un rosario: il santo capisce e ci mette una
buona parola con colui che lassù risiede. Così i danni sono
limitati e nessuno si tira indietro quando c’è da portarlo in
processione fino al Chiesuolo.
- Dunque la fine del piantone è stata, per così dire, una fatalità?
Un effetto collaterale, come si usa dire oggi, del ritardo con cui si
sono liberate le campane? Un fulmine o una folata sfuggita al
controllo e che ha sbagliato bersaglio?
Duilio
si dipinse sul volto un’espressione ironica e scettica insieme;
Italo si fece piuttosto serio e lo fissò un istante nel fondo degli
occhi, quasi seccato per il velato sarcasmo.
- Anche se non sapessi che in parrocchia non c’era alcuno che fosse
in grado di accedere alla sacrestia, poichè il don era a Vigevano in
riunione dal vescovo e la perpetua era a Pavia dal dentista e sono i
soli ad avere le chiavi, continuerei a pensarla così come le dirò.
Una
presa di fiato e proseguì.
- Si è trattato di un monito all’anima di questo paese, affinché
non si vergogni di essere se stesso: barattare l’oblio delle
proprie tradizioni per i falsi miti della modernità, farà di tutti
i Sairano del mondo squallidi dormitori.
- Maestro, tuttavia, resta solo una domanda senza risposta: chi
dobbiamo ringraziare?
- Professore, disarmi la logica e ingaggi la fantasia: in men che non
si dica, la risposta busserà al suo cuore. Ora, mi scuserà se la
saluto, ma gli amici che mi hanno preceduto alla casa del Padre si
aspettano che io renda loro omaggio, come ogni domenica, finchè non
mi verranno a prendere per fare l’ultimo pezzo di strada. Altare di S.Alessandro martire Chiesa B.V.Maria Assunta in cielo di Sairano (PV) |
Si
salutarono e si separarono; Italo era solito compiere quel rito in
muta solitudine, mentre Duilio era pervaso dal misterioso desiderio
di entrare in chiesa prima che finisse la messa. Il
suggerimento dell’anziano musicista aveva suscitato un’intuizione
che voleva verificare, anche se la ragione l’avrebbe potuta
scartare. Arrivò
nel momento in cui l’assemblea e l’organo erano lanciati a pieni
polmoni nel cuore dell’inno al glorioso martire: con gli occhi
lucidi rivolti alla teca esposta sul suo altare, il professore,
felice come non mai, si unì al coro.Ora nel
cuore aveva il nome di chi aveva suonato le campane per placare la
tempesta. Sant’Alessandro,
a qualcuno, sembrò sorridere: un’altro dei suoi fedeli figli era
tornato sulla via per la casa del Padre.
(c) 2009 - 2012 Testo di Claudio Montini
(c) 2012 - 2014 Foto di Orazio Nullo
(c) 2014 VideoKlaut66 / youtube.com /claudiomontini
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