sabato 14 maggio 2016

IL MIRACOLO DI SANT'ALESSANDRO - video+racconto da ASSENTARSI PER UNA MANCIATA DI MINUTI di Claudio Montini (Youcanprint 2012)

un matematico, un musicista e una vecchia leggenda...

di Claudio Montini


Svettava, maestoso e fronzuto, solitario ed altero emergendo come un eruzione di vita dalla campagna che lo circondava e che coronava a occidente il paese; saldamente ancorato a uno sperone di terra, lascito d'un'antica erosione tentata dal grande fiume quando nemmeno s'immaginava che potesse andare a finire dove scorre adesso, il piantone (forse una quercia o forse un noce) vegliava le spalle del campanile, la valle degli orti rigogliosi e ordinati, i boschi selvatici, le lanche e i fossi, i prati e i campi di granaglie che si disperdevano succedendosi armoniosamente fino sulla linea dell'orizzonte, confusa con l'argine del grande fiume. Adesso non c'è più, abbattuto da un temporale estivo che non è degenerato in un devastante grandinata solo grazie ad un’anima pia che, memore d’un’antica grazia ricevuta dai sairanesi, fece suonare a distesa le campane della Beata Vergine assunta in cielo sia pure, si mormorò, a dispetto del parere contrario del prevosto. Anche se nessuno glielo sentirà mai dire apertamente, impegnato com’è a tirare a lucido la parte più in vista di casa badando, però, che il cancello sia ben chiuso e tende e persiane impediscano sbirciate clandestine verso l’interno (ma non il contrario), Sairano tutto sa perfettamente che è peggio per chi se ne va (poichè non si sa dove va) perchè chi resta, comunque, si arrangia e la morte di quell’albero secolare sarebbe scivolata via nel giro della ruota della vita, se non avesse dato vita a due opposte correnti di pensiero che svolazzavano beate di bocca in bocca in tutti i convegni di comari, tanto femminili quanto maschili (mica si parla solo di calcio e motori e donne, al bar...). Una sosteneva che le campane andavano sempre suonate perché fermavano comunque la tempesta, quasi fosse un miracolo assegnato in esclusiva al paese, l’altra era convinta che fosse solo una superstizione legata a una vecchia leggenda di cui s’era persa la memoria.
Duilio stava con gli scettici perchè era devoto alla logica, al calcolo infinitesimale e alla geometria cartesiana così come Rosaria, sua moglie, discendente addirittura di cardinali e medici in odore di santità, si schierava con il campo avverso perchè gli permetteva di ricordargli che...
-...per quante equazioni tu possa elaborare ed io curare malanni anche gravi, la sola variabile che rende possibile tutto è la misericordia di Dio.
Rispettava la fede altrui ma, avendo dedicato la vita all’indagine di ogni possibile insieme di numeri, inventando algoritmi e modelli matematici utili a regolare il caos quotidiano, esitava a lasciarsi affascinare dall'idea del miracolo cioè che Dio stesso, ammesso e non concesso esistesse, impietosito dalle suppliche dei devoti oranti il santo patrono, avesse distolto le sferzate della grandine ai campi ormai pronti per il raccolto liberando la voce bronzea delle campane, evitando al paese fame e carestia.
Invece, Rosaria, che era nata all’ombra di quel campanile e che lo aveva tenuto sempre come faro nelle scelte della vita, prima fra tutte quella di diventare medico oncologo, non si faceva scrupoli nel pregare quando tutte le volte che le capitava un paziente per cui pillole e bisturi sembravano impotenti: perciò aveva apertamente apprezzato il gesto di quella misteriosa anima pia che, a dispetto del prevosto e delle sue perpetue, aveva rispettato la tradizione senza menarne vanto in giro. Era una bella domenica di settembre, di quelle che fanno dimenticare l’autunno che aspetta dietro l’angolo, in cui si respira un’aria calda e tersa di fine estate immaginando ancora lontanissimo l’inverno che verrà. Salirono la rampa che sbocca sul sagrato della chiesa condividendo il cammino col maestro Italo, loro vicino di casa e umile artigiano del pentagramma secondo la definizione che dava di sè rispondendo al saluto dell’egregio professore; Duilio era l’unico in paese che gli riconoscesse quel titolo, dal momento in cui aveva scoperto la musica classica grazie a una collezione di dischi, ereditati da una vecchia zia emigrata in Germania, in cui la direzione artistica era opera proprio di Italo Legnaghi: nessuno sapeva che fine avesse fatto dopo che la famiglia si era trasferita a Como, al seguito di un’altro illustre compaesano, organista e compositore di musica sacra, che là era stato nominato maestro di cappella del Duomo e che aveva voluto con sè, per farlo studiare, quel ragazzino che imparava a memoria le sue partiture quando ancora erano solo abbozzi sul pianoforte verticale che aveva lasciato a Sairano, nella casa dei genitori e delle sue sorelle, stretta in una via tra il castello e la chiesa.
Italo procedeva senza fretta come un’adagio di Albinoni o l’Aria sulla quarta corda di Bach, d’altronde era diretto all’edicola e poi a salutare gli amici e i parenti che avevano già bussato alle porte del cielo ed erano stati messi a dimora nel villaggio ultimo e silente: quella era la seconda messa, l’altra l’andava a prendere alle otto del mattino come faceva fin da ragazzo; Duilio forse sarebbe entrato al momento del Credo se non avesse trovato da chiacchierare col vicepreside in pensione che accompagnava la moglie, velleitaria soprano dilettante; Rosaria detestava arrivare in ritardo a messa e, quindi, salutò e lasciò i due uomini soli alla loro passeggiata guadagnando speditamente l’ingresso in chiesa.
Misero un passo dopo l’altro senza proferire verbo e guardando distrattamente intorno a loro finchè, superato il monumento ai caduti, si trovarono sotto alla lapide che porta incisi, a caratteri scoloriti, le notizie sulla fondazione del castello ad opera del primo conte di Sairano (un capitano di ventura alla fine della guerra dei Trent’anni) e che, secondo uno storico locale, sarebbe posta sulla torre superstite dell’antico vero ingresso dello stesso.
Indugiò con lo sguardo su di essa come se la vedesse per la prima volta, domandandosi la ragione per cui l’avessero posta così in alto, un metro scarso al di sotto della merlatura: Italo si rese conto di quella momentanea distrazione e ne approfittò per rompere la tregua del silenzio. 
- Professore, lei ha in animo di pormi una domanda, solo apparentemente banale, ma capace di indebolire la rete delle sue certezze e non sa come fare: mi sbaglio?
Duilio Potenza, per la prima volta in vita sua, si sentì nudo come un verme sotto al sole scoperto della zolla appena rivoltata dalla vanga dell’ortolano; non seppe ribattere e l’anziano musicista si spiegò.
- Vede, gli sforzi di gioventù per dar vita e voce ed emozioni a quei segni misteriosi impressi su un pentagramma e la consuetudine a suonare in pubblico, hanno acuito la mia sensibilità verso l’ambiente circostante e verso gli occasionali interlocutori. Capto ancora bene le vibrazioni dell’animo umano, nonostante l’avanzare dell’età e dei suoi accidenti. 
- Ebbene sì, maestro, è proprio così.... Ammise il matematico; sospirò per raccogliere le idee e proseguì.
- Col passare degli anni la mia devozione alla verità scientifica è andata perdendo smalto e solidità: se, poi,aggiungo l’anteprima di giudizio universale che stava per scatenarsi sulle nostre teste nei giorni scorsi ...
- ...rinviato solo dai rintocchi delle campane! Ah, le onde sonore che dominano gli elementi della natura! Il sogno di ogni alchimista!  
Chiosò ironico Italo Legnaghi.
- Se non l’avessi visto coi miei occhi, ne avrei sorriso come lei e come feci quando Rosaria me ne parlò la prima volta. Ma ora...
- ...ora in lei si è insinuato il dubbio di aver ridotto Dio ad un numero e di averlo inseguito, a lungo e senza successo, per ingabbiarlo in un equazione? Smetta di rincorrerlo: lei è stato solo l’ennesimo testimone del miracolo di sant’Alessandro.
- Come sarebbe a dire, maestro?
Allora, riprendendo a camminare, l’anziano musicista narrò al disorientato matematico di quella volta che i sairanesi, reduci da annate disperate di fame e malanni, restii a rassegnarsi alla malasorte, si strinsero in preghiera davanti all’urna del loro patrono impetrando prosperità per i vivi e il sollievo eterno per i morti; ma sembrava che lassù avessero di meglio da fare perchè sopra le loro teste si erano date convegno gonfie nubi scure che, sgravandosi, avrebbero raso al suolo ogni cosa che da esso spuntava. In chiesa, come in ogni angolo di Sairano, ci si infervorò nel pregare come se la fine del mondo fosse imminente.
- A questo punto, la nonna di mia nonna citava un proverbio che ha a che fare con l’anima e la fortuna; credo che lo conosca anche lei, professore...
- Oh sì, certo! Spesso lo sento adoperare per certe conversioni dell’ultimo minuto...
Gli morì il fiato in gola, riconoscendosi in quella medesima situazione.
Per scacciare l’imbarazzo dell’amico, Italo riprese a raccontare dipingendo la terra spazzata da venti rabbiosi e un cielo che brontolò parecchio, anche lampeggiando furiosamente.
Quando questo all’improvviso tacque, il vento s’arrestò: però il silenzio non venne turbato dal ticchettìo crescente della grandine ma dai rintocchi delle campane, la bronzea voce di Dio, che precedette la frusciante carezza della pioggia. Anche quelli che non si sarebbero fatti più vivi nella casa di Dio, pregarono e piansero e s’abbracciarono correndo fuori a bagnarsi con le braccia e i visi volti al cielo: sant’Alessandro si era guadagnato, definitivamente, la cittadinanza sairanese.
- Da allora, ogni volta che il cielo minaccia tempesta, si suonano le campane e si recita la preghiera che si conosce meglio, se non si riesce a snocciolare un rosario: il santo capisce e ci mette una buona parola con colui che lassù risiede. Così i danni sono limitati e nessuno si tira indietro quando c’è da portarlo in processione fino al Chiesuolo.
- Dunque la fine del piantone è stata, per così dire, una fatalità? Un effetto collaterale, come si usa dire oggi, del ritardo con cui si sono liberate le campane? Un fulmine o una folata sfuggita al controllo e che ha sbagliato bersaglio?
Duilio si dipinse sul volto un’espressione ironica e scettica insieme; Italo si fece piuttosto serio e lo fissò un istante nel fondo degli occhi, quasi seccato per il velato sarcasmo.
- Anche se non sapessi che in parrocchia non c’era alcuno che fosse in grado di accedere alla sacrestia, poichè il don era a Vigevano in riunione dal vescovo e la perpetua era a Pavia dal dentista e sono i soli ad avere le chiavi, continuerei a pensarla così come le dirò.
Una presa di fiato e proseguì.
- Si è trattato di un monito all’anima di questo paese, affinché non si vergogni di essere se stesso: barattare l’oblio delle proprie tradizioni per i falsi miti della modernità, farà di tutti i Sairano del mondo squallidi dormitori.
- Maestro, tuttavia, resta solo una domanda senza risposta: chi dobbiamo ringraziare?
- Professore, disarmi la logica e ingaggi la fantasia: in men che non si dica, la risposta busserà al suo cuore. Ora, mi scuserà se la saluto, ma gli amici che mi hanno preceduto alla casa del Padre si aspettano che io renda loro omaggio, come ogni domenica, finchè non mi verranno a prendere per fare l’ultimo pezzo di strada.
Altare di S.Alessandro martire Chiesa B.V.Maria Assunta in cielo di Sairano (PV)
Si salutarono e si separarono; Italo era solito compiere quel rito in muta solitudine, mentre Duilio era pervaso dal misterioso desiderio di entrare in chiesa prima che finisse la messa. Il suggerimento dell’anziano musicista aveva suscitato un’intuizione che voleva verificare, anche se la ragione l’avrebbe potuta scartare. Arrivò nel momento in cui l’assemblea e l’organo erano lanciati a pieni polmoni nel cuore dell’inno al glorioso martire: con gli occhi lucidi rivolti alla teca esposta sul suo altare, il professore, felice come non mai, si unì al coro.Ora nel cuore aveva il nome di chi aveva suonato le campane per placare la tempesta. Sant’Alessandro, a qualcuno, sembrò sorridere: un’altro dei suoi fedeli figli era tornato sulla via per la casa del Padre.

(c) 2009 - 2012 Testo di Claudio Montini
(c) 2012 - 2014 Foto di Orazio Nullo 
(c) 2014 VideoKlaut66 / youtube.com /claudiomontini
 









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