martedì 30 aprile 2019

Primo Maggio 2019: festa del lavoro?

Andate avanti voi...a me viene da ridere.

di Claudio Montini

Costituzione della Repubblica Italiana (1948) - Articolo 1

L'Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro. 
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Basterebbero queste due frasi a spazzare via equivoci e fraintendimenti o, peggio, simpatie malate e ammiccamenti più o meno palesi a ogni sistema totalitario e prepotente, di qualsiasi colore siano le sue camice: lo scopo di questi ultimi è solo quello di fare soldi e soddisfare le proprie pulsioni animalesche, giammai il benessere comune e il progresso verso un mondo migliore e pacificato ed egualitario. Domani è il primo giorno del mese di maggio, è la festa dei lavoratori, la festa del lavoro inteso nel senso più ampio e nobile del termine, la festa di chi fa o produce o immagina qualcosa di bello per sé e per gli altri. Ma il lavoro o il lavorare, scegliete voi quale accezione vi fa più comodo, ha numerose sfumature o sfaccettature o interpretazioni persino definizioni: però tutte hanno il comune denominatore della fatica, del sudore, del dolore così come spesso del sopruso, dell'abuso, dello spietato sfruttamento. Anche quando ci stiamo divertendo, anche quando crediamo di spendere liberamente del nostro tempo libero, anche quando ci dimentichiamo del passato e delle sue spine, dei suoi chiodi, dei suoi manganelli e delle spranghe o delle chiavi inglesi, delle bombe sui treni e nelle stazioni per farci rodere dalla paura di uscire di casa, di dire basta e di pretendere un pezzo di spiaggia al sole col mare e un gelato al limone, un tetto sulla testa che non crolli alla prima scossa di terremoto, un piatto di minestra tutti i giorni e una maestra che ci insegni a leggere e scrivere e far di conto e a pensare con la nostra testa, così che non serva solo a portare il cappello e a ospitare la bocca per osannare uno meno cretino di noi, appollaiato come un corvaccio nero di sventura, sopra un balcone che sbraiti di sacrificarci andando avanti noi perchè a lui viene da ridere vedendo una marea di allocchi senza memoria col braccio teso al cielo. Almeno per questo giorno, lasciamo riposare in pace i morti del passato e proviamo a immaginare il modo per cui non ce ne siano più in futuro, né sui campi di battaglia né sui posti di lavoro: facciamo pace col cervello, leviamoci paraocchi e fette di salame sugli occhi affinché non sia un fungo lucente più di mille soli a illuminare un'avvenire di cadaveri e tronfi signori della guerra e delle mosche. Buon Primo Maggio a tutti, buona festa del lavoro a chi ce l'ha, a chi sogna ancora di trovarlo, a chi ha già smesso ma non è ancora così disperato da voler uscire di scena.

© 2019 Testo di Claudio Montini
© 2016 Immagine di Orazio Nullo "Basic principle"

venerdì 26 aprile 2019

Dalla cambusa di Zio Propano: strinkun d'arans, un cocktail "povero" che fa anche l'aperitivo!


STRINKUN D'ARANS
Un cocktail buono anche da aperitivo e viceversa
di Zio Propano

Se l'analcolico biondo fa impazzire il mondo, ma non voi; se il bitter e lo spritz vi fanno, più o meno lo stesso effetto; se non li avete inclusi nella lista della spesa e vorreste, tuttavia, concedervi qualcosa di originale, fruttato e lievemente alcolico prima di mettere la forchetta a centro piatto, con le gambe sotto al tavolo, preparatevi uno strinkun! Un...che??? Un cocktail semplice e naturale con poche povere cose che avete già a portata di mano, non serve consultare wikipedia o baristi on line.
Per 750 millilitri di strinkun d'arans (se siete soltanto in due come la Jena Sabauda e Zio Propano), procuratevi: 
  • 2 arance tarocco rosso (calibro 4/5 con buccia sottile sono l'ideale; ma anche biondo o washington navel vanno bene: se sono italiane e sugose, non state a cavillare e spremete!)
  • 1 limone (basta che sia italiano)
  • 200 millilitri di acqua naturale (o lievemente frizzante o del pozzo o dell'acquedotto: le bollicine ce le mette il vino....)
  • 300 millilitri di vino rosato frizzante (oppure bianco frizzante, al limite per i più raffinati, spumante brut: basta che abbia un sacco di bollicine, che sia vivace ma non ingombrante)
Spremete le arance e il limone versando i succhi in una brocca graduata unica, aggiungendo loro un terzo della polpa che resta nella griglia dello spremiagrumi: mi raccomando solo quella bella e non gli eventuali semi di cui, specialmente il limone, possono essere naturalmente dotati. Incorporate alla miscela di agrumi l'acqua prevista aiutandovi con le tacche della brocca, mescolate con un cucchiaio e lasciate riposare per qualche istante: quindi fate altrettanto con la quantità di vino indicata nell'elenco degli ingredienti, mescolando brevemente e stivando il tutto in frigorifero a rinfrescarsi ulteriormente, al limite, coprendo con della pellicola la bocca della brocca se non disponete di una bottiglia con tappo a vite (anche di plastica, come quella delle bibite o dei succhi di frutta formato famiglia, quelle da un litro, per esempio). Infatti, evitando la naturale volatilità della componente alcolica del vino, potreste anche capovolgerla e scuoterla prima di servire il contenuto ben freddo nei vostri bicchieri e augurarvi ogni bene e tanta salute. Va da sé che, se siete una squadra ben più numerosa, dovrete aggiustare con le debite proporzioni le quantità degli ingredienti: a titolo puramente indicativo, un'arancia e un centinaio di millilitri tanto d'acqua quanto di vino a testa, con un limone ogni due persone, vi porteranno al successo. Se le arance latitano (in alcuni periodi dell'anno accade ed è giusto che sia così), lo strinkun si può confezionare ugualmente ma non sarà più “Strinkun d'arans” (strinkun di arance): in fondo, si tratta di mescolare succo di frutta (magari ottenuto tramite centrifuga o riduzione in purea) con succo di limone e vino frizzante, così come venne in mente di fare ad Arrigo Cipriani col succo di frutta alla pesca e il prosecco.

©2019 Testo e ricetta di Claudio Montini
©2016 Immagine di Orazio Nullo

lunedì 22 aprile 2019

Non sono più solo trenta denari...


In conto proprio

di Claudio Montini
Troppo facile indignarsi e scrollare le spalle, o peggio voltarle, di fronte a certe sfrontate violazioni del buon senso ovvero di tutto quello che dovrebbe distinguerci dagli altri animali: a parole siamo tutti eroi e leoni e paladini della giustizia e dell'equità sociale. In realtà ci basta una spinta di polpastrello sul pulsante giusto e passiamo oltre, o cambiamo canale, con la rapidità di uno starnuto o di un peto che tormenta l'epitelio intestinale facendoci sudare d'imbarazzo, prima di trovare da sé la via d'uscita in atmosfera. Soltanto la morbosa attenzione alla contabilità dei cadaveri e alla fiera del dolore esibito senza vergogna né pietà, per chi soffre e per chi assiste, dai mezzi di comunicazione e confusione e mistificazione di massa ci costringe a ringraziare il cielo per lo scampato pericolo, così come a interessarci di uno scampolo di mondo in cui probabilmente non metteremo mai piede e non vorremmo vedere approdare alle nostre latitudini. Eppure, quella gente esiste e tira a campare e fa figli e li manda a scuola e prova a tirarli su, con la speranza che possano avere qualcosa di meglio e di pulito e di sano, chi se ne importa quale Dio si debba poi omaggiare o ringraziare, basta che ci sia cibo e soldi per tutti e per ogni alba e ogni tramonto che si inseguono fin dalla notte dei tempi, basta che non ci sia la guerra e la paura che è figlia sua e della morte che ci accompagna fin dal primo vagito che strilliamo al cielo da cui siamo stati espulsi. La Storia si ripete, cambia soltanto teatro, ma si ripete uguale a se stessa: in Sri Lanka come in Italia, in Ukraina come in Venezuela, in Sudan quanto in Nigeria o Libia o Palestina: non è mai stato Amore che muove il sole e le altre stelle, mio buon messer Alighieri da Firenze, bensì il denaro che muove gli ingranaggi dell'ingiusto meccanismo complesso che ci ostiniamo a chiamare vita, in occidente e nel vecchio continente che ancora si illude di dettare regole di civile comportamento. La religione è un diversivo assai efficace, moltiplica gli obbiettivi potenziali, rinforza la volontà con balsami e fragranze immateriali ma gli scopi rimangono solo quelli di mettere le mani sul malloppo monetario o impedire che venga distribuito, perchè le tasche piene riempiono la pancia che permette alla testa di pensare, di nuovo, per conto proprio. 
©2019 testo di Claudio Montini
©2018 Immagine di Orazio Nullo "Bitter goblet" Atelier des pixels collection

lunedì 15 aprile 2019

GLI ATOMI micro romanzi per chi va di fretta

Leggere per credere, pensare, vivere meglio!
di Claudio Montini
Da più di un anno, è in circolazione sugli store elettronici di tutto il mondo la serie di romanzi, anzi, micro romanzi GLI ATOMI prodotti da me pensando a coloro che vanno di fretta e sono restii ad affrontare la lettura di un romanzo che superi le duecento pagine, dalle trame complicate e dai numerosi personaggi spesso in contrasto o in competizione o in combutta tra loro. Sono storie semplici e fragranti come il pane appena sfornato dal panettiere sotto casa, che scorrono come un racconto e hanno la struttura in capitoli come un romanzo a puntate, per non perdere mai il filo del discorso e durano poco più di una sigaretta o di una fetta di torta, stordiscono meno di un prosecco corretto col Campari e rinfrescano la mente più di una bibita ghiacciata. Aiutano anche ad aspettare che il treno arrivi a destinazione, il medico o il dentista si occupino di noi, rasserenano una giornata nata storta e finita...non del tutto bene! Non hanno controindicazioni, nemmeno per le donne in gravidanza; creano dipendenza, questo devo ammetterlo (oltre che sperarlo), ma solo per la voglia di tornare a usare la massa gelatinosa contenuta nella scatola cranica e di aprire la bocca soltanto dopo aver verificato la connessione tra i due organi. Insomma: leggere per credere, pensare, vivere!
Le copertine sono state realizzate da Orazio Nullo e la pubblicazione in selfpublishing è a cura di StreetLib.com (https://store.streetlib.com/it/)

©2019 Testo di Claudio Montini e immagine creata da Orazio Nullo

sabato 6 aprile 2019

Dalla cambusa di Zio Propano: LA PAGNOTTA CASALINGA

 
PANE DOMESTICO CON LIEVITO MADRE  

di Zio Propano


Nella nostra cultura, il pane è sinonimo di cibo e alimentazione sin dalla notte dei tempi; la sua produzione, a livello popolare, è sempre stata appannaggio delle quattro mura che chiamiamo casa eccezion fatta per l'ultimo secolo, quello breve e zeppo di innovazioni tecnologiche tanto quanto di vittime innocenti, quello della plastica e della bomba atomica, quello dei boat people e dei razzi sulla luna con le sonde che volano fuori dal sistema solare. In un inconscio omaggio al principio di azione e reazione, al trionfo dell'industria e dei suoi prodotti di massa, omologati nella forma e nel sapore, l'essere umano si inventa la moda di tornare a sperimentare l'artigianalità improvvisata e domestica, forse per convincersi di non essere un'automa: ecco spiegata la fortuna di spettacoli e canali televisivi dedicati alla cucina, alla pasticceria e alla panificazione.
Grazie alla frequentazione di questi ultimi e a una macchina per il pane portata a casa coi punti fedeltà di una catena di supermercati, la Jena Sabauda (prima dell'ictus) e il sottoscritto Zio Propano (per forza di cose, titolare della cambusa dopo il 29 agosto 2016) siamo diventati panificatori fai da te con piena soddisfazione sin dal 2012. Dopo vari tentativi e non senza la consultazione di appositi saggi editi in materia, siamo giunti alla ricetta che vado a illustrarvi e che replico con successo ogni tre giorni. Pertanto, procuratevi:
  • 250 grammi farina di grano tenero 00
  • 250 grammi semola rimacinata di grano duro
  • 300 millilitri di acqua di rubinetto a temperatura ambiente (tiepida se adoperate il lievito di birra fresco)
  • 3 cucchiai da tavola di lievito madre essiccato in polvere (in alternativa lievito di birra fresco, in panetti da 25 grammi: ne basta la metà)
  • 3 cucchiaini da the di zucchero bianco semolato
  • 2 cucchiaini da the di sale fino marino
  • 3 cucchiai da tavola di lievito madre fresco (poi vi spiego come farlo e mantenerlo, se non ce l'avete o non avete pazienza o voglia di tribolare...pazienza! Il pane riesce ugualmente)
  • 2 cucchiai da tavola di olio extra vergine di oliva
In una ciotola miscelate le due farine aiutandovi con due cucchiai da tavola, come se doveste condire l'insalata; in un'altra versate il sale, lo zucchero, l'olio extravergine di oliva e l'acqua (intera se adoperate il lievito madre essiccato e fresco, il resto che vi avanza dopo aver sciolto il lievito di birra o da panificazione) mescolando con un cucchiaio da tavola fino a far sciogliere sale e zucchero mentre l'olio seguiterà a stare sulle sue: poco male e, nel caso in cui preferiate panificare con lievito da sciogliere, potreste aggiungerlo adesso e seguitare a mescolare col medesimo cucchiaio fino a ottenere un fluido omogeneo sul quale pioverà la miscela di farine per procedere all'impasto. Se invece fate come me, una volta versate le farine nella ciotola col liquido, unite il lievito madre essiccato e quello fresco tenendoli separati (uno si poserà sopra la “farina” e l'altro, gioco forza, sprofonderà); ora siete pronti per impastare aiutandovi con il cucchiaio “sporco” di lievito madre fresco e ruotando la ciotola stessa, a imitazione del movimento dell'impastatrice meccanica: bisogna che facciate in modo che tutta la farina si bagni e si incorpori alle parti già umide. Mano a mano che procedete col cucchiaio, crescendo la consistenza, crescerà l'intensità dello sforzo da applicare ma vedrete anche la ciotola “ripulirsi” degli ingredienti e l'amalgama assumere una forma sferica e compatta: allora mollate il cucchiaio e procedete con la mano libera (l'altra seguita a tenere e far ruotare la ciotola) nell'impastare schiacciando la massa, ora col pugno ora col palmo, per un bel quarto d'ora senza preoccuparvi di eventuali residui di pasta su nocche e dita. Sarà la pasta stessa a trasmettervi le giuste sensazioni, anche quando vi fermerete per liberarvi dai residui che vi ho detto. Trascorso quel tempo lì a manipolare, vi ritroverete con una pagnotta di forma sferoidale: potete lasciarla così oppure manipolarla fino ad ottenere una pagnotta vagamente simile a un cilindro che, posta su un letto di carta da forno, adagiato su una teglia oppure in uno stampo da forno unto con olio extravergine di oliva (in questo caso non lo toccate più fino a cottura ultimata), lascerete a lievitare nel forno di casa spento, al buio e con la porta chiusa per tre ore circa (vale a dire, per i più pignoli, da un minimo di due a un massimo di quattro ore). In tutto questo tempo, al riparo da polveri sottili e sbalzi d'umore e di temperatura, in qualunque stagione dell'anno, l'impasto crescerà di volume e non resterà, poi, che toglierlo dal suo rifugio giusto il tempo per scaldare il forno fino a 200 °C circa (statico o ventilato per me pari son, se si tratta di forno elettrico); a questo punto ci sono due opzioni: lasciarlo stare così come ha lievitato e cuocerlo per quindici minuti, avendo cura di lasciarlo dentro finchè il forno stesso non si sia raffreddato (si tratta, all'incirca, di un'oretta in modo tale che prosegua la cottura e l'asciugatura in modo graduale e costante: avrete un pane croccante all'esterno e morbido all'interno capace di non perdere fragranza ed elasticità), oppure staccarlo dalla carta forno e manipolarlo su di un tagliere di legno o un piano di lavoro infarinato, rotolandolo fino ad ottenere un cilindro cui comprimerete le estremità per farlo più corto e tozzo, riporlo nuovamente sulla carta e sulla teglia (mentre il forno seguita a scaldarsi), quindi praticare sulla superficie superiore dei tagli incrociati con una comune forbice per ottenere l'effetto che vedete nella fotografia. La manipolazione e le incisioni agevoleranno la cottura e influiranno sulla consistenza del pane stesso a parità di tempo e temperatura di cottura i quali, lo ribadisco per i più distratti, sono di un quarto d'ora e 200 °C con, indispensabile, riposo in forno ancora caldo di un'ora (almeno) ovvero fino a raffreddamento sostanziale dello stesso: vi ritroverete con una pagnotta simile a quella che potreste acquistare dal fornaio o dal panettiere di fiducia, ugualmente sana ma sicuramente più a buon mercato...panificare per credere!! Se il lievito madre fresco non ce lo avete...pazienza! Usate con fiducia anche soltanto quello essiccato che si trova facilmente in commercio (nel supermercato, o stupid market come lo chiama la mia amica statunitense Martha, nella zona delle farine e dei preparati per dolci); io ne adopero uno che ha avviato la Jena Sabauda cinque anni fa e ho recuperato sbrinando il freezer: l'ho scongelato, mescolato con una tazzina di acqua e un centinaio di grammi di “farina” (miscela di farina 00 di grano tenero e semola rimacinata di grano duro) e impastato fino a frane una pallina liscia e non appiccicosa che ho chiuso in un recipiente ermetico (un vasetto con la chiusura “a macchinetta”): dopo 36 ore aveva occupato l'intero vasetto e in 48 spingeva già il tappo, ma se ne è stato buono finchè non l'ho adoperato. Ogni due panificazioni, lo rinnovo aggiungendo farina, acqua e zucchero a quello che mi avanza, in modo tale che per la successiva panificazione avrà già compiuto la sua espansione o lievitazione o maturazione che dir si voglia. Per coloro che fremono dal desiderio di averne uno proprio, vi suggerisco un metodo sprint che vi eviterà sprechi: sciogliete in 70 millilitri di acqua (circa...non fate i farmacisti!) un cucchiaino da the di zucchero semolato bianco, quindi incorporate 150 grammi di “farina” (ricordate la miscela per il pane? Farina di grano tenero 00 e semola rimacinata di grano duro: ma funziona anche con la sola farina 00, sia chiaro...) e amalgamate il tutto fino a formare una palla o una pagnottella che ponete in un vasetto ermetico (per accelerare la fermentazione anaerobica indotta dallo zucchero sugli amidi della “farina”) per 48 ore, almeno, o fino alla successiva panificazione. Per le prime tre volte, conviene che rinfreschiate il lievito madre dopo ogni panificazione: vale a dire che, fatto il pane, aggiungete acqua e zucchero e farina al rimanente (è sufficiente andare ad occhio: due cucchiai da tavola di farina mezza tazzina d'acqua e un cucchiaino da the di zucchero), impastate e lo mettete a riposare nello stesso vasetto anche senza risciacquarlo. Col tempo vi regolerete come meglio vi aggrada e vi suggerisce l'occhio che, è risaputo in tutto l'universo, vuole sempre la sua parte.

©2019 Testo di Claudio Montini
©2019 Immagine di Orazio Nullo


lunedì 1 aprile 2019

Mister Tamburino non ho voglia di scherzare....

...rimettiamoci la maglia (di ferro), i tempi stanno per cambiare
di Claudio Montini

La battaglia ideologica si fermerà solo alle definizioni iniziali: non è compito suo fornire soluzioni o, al più, metodologie per uscire dai pasticci; la sua missione è quella di formulare proposizioni che descrivano il problema, delineino il profilo del nemico e lancino le schiere armate all'assalto purché queste lascino sulla cappelliera il cervello, il buon senso, la coscienza e l'umanità razionale. Ecco cosa sta succedendo in Italia, dove l'improvvisazione e la superficialità hanno conquistato il potere e comandano ogni aspetto della vita quotidiana, dove l'importante è apparire in favore di telecamera a dire ciò che tutti vorrebbero sentire tranne che la verità, dove si trascina l'esistenza convinti di camminare in avanti ma con la testa ben voltata all'indietro, sputando sentenze e chissà cos'altro su qualunque ambito dello scibile umano. Infatti, succede proprio quello che si dovrebbe evitare ma, attenzione, non come un secolo fa quando eravamo un coacervato di gente che non parlava nemmeno la stessa lingua eppure aveva dato il sangue e la vita nelle stesse trincee con la speranza, presto delusa, di emanciparsi dalla fame e dalla miseria ataviche o, almeno, dalla abissale sperequazione economica e sociale (abbiamo dovuto attendere un'altra guerra e un altro regime, democratico e cristiano, per avere la pancia piena e le comodità di cui adesso non sappiamo fare a meno); la socialdemocrazia è senza fiato, la criminalità organizzata prospera e fra pochi anni avrà compiuto la metamorfosi definitiva consolidando il suo potere economico, lo Stato (sì, quello con la esse maiuscola, quello delle cosiddette istituzioni organizzate e burocraticamente intruppate, impermeabili a tutto tranne che ai numeri degli economisti, degli statistici e dei finanzieri) si sta ponendo su di un orbita ellittica rispetto al cosiddetto "paese reale" lasciando spazio a ombre di varia intensità di grigio e di nebbia in cui i poveracci, come me, proveranno a inoltrarsi per tirare a campare (mentre abili professionisti del raggiro e del turlupinamento prosperano già alle spalle degli onesti e dei timidi). In tutto questo triste quadro, si inseriscono i rigurgiti fascisti e nazionalsocialisti camuffati da pacifici convegni e tavole rotonde e dibattiti e conferenze con apporto di testimonianze dal vivo sui temi fondamentali del vivere civile, costituzionalmente riconosciuti: abbiate almeno la decenza di non bestemmiare, citando a sproposito articoli della nostra bella, anzi, bellissima e scientificamente ben fatta Costituzione della Repubblica Italiana. Il congresso di Verona appena concluso con un corteo per le vie della città è stata l'avanguardia della battaglia ideologica e la sortita delle truppe per la conta: vediamo quanti fascisti siamo e su chi possiamo contare al governo per liberarci, in futuro prossimo e (temo) non tanto remoto, di tutti i parassiti che infestano la nostra razza "normale". Non ho sentito parlare di problemi dei disabili, dei portatori di invalidità o di handicap, di figli o persone di famiglia con gravi malattie invalidanti, di poveri cronici che non riescono a mettere insieme il pranzo con la cena perchè sono esclusi dal tessuto economico e sociale e lo Stato "normale" non sa nemmeno che esistono: nelle immagini che ho visto in televisione, poiché per problemi familiari non posso muovermi da casa, non ho visto niente di tutto ciò, né una stampella né una sedia a rotelle. E' evidente che i congressisti di Verona una soluzione, finale, al problema della sofferenza e della disabilità o altra concausa invalidante ce l'hanno bene in mente: è la stessa che avevano Eichmann, Goebbels e Rudolph Hesse oltre ad Albert Speer e che il pittore (mancato) austriaco sposò, imitato dal maestro elementare romagnolo. Mister Tamburino non ho voglia di scherzare: rimettiamoci la maglia (di ferro), i tempi stanno per cambiare.

©2019 testo di Claudio Montini  
©2017 Immagine di Orazio Nullo "Wood puppet"