martedì 31 luglio 2018

Dalla cambusa di Zio Propano: gnocchi industriali per un sugo...fuori Norma!

CON UN PIZZICO DI FANTASIA, ANCHE LA FAME VA VIA

di Zio Propano
Anche ai filosofi e ai pensatori viene fame: il passaggio dalla ragion pura a quella pratica implica l'approdo ai fornelli e la applicazione della capacità intuitiva alle esigenze e ai piaceri della gola. Essendo sempre alla ricerca di ciò che non sia la solita minestra, un giovedì mi sono ricordato di una filastrocca che adoperò Totò in uno dei suoi tanti lungometraggi: "...giovedì gnocchi, sabato trippa, domenica pizza" (forse l'ultimo elemento è stato inserito, fraudolentemente, in tempi più recenti); onestamente non ricordo se fosse "Signori si nasce" o "La banda degli onesti". Insomma, a me non restava altro che preparare un sugo per condire la busta da 500 grammi di gnocchi di patate che dal supermercato si era trasferita a riposare nel mio frigorifero. Ma pomodoro o ragù, al limite formaggi vari o solo gorgonzola son capaci tutti e, per di più, mi avrebbero depresso tanto quanto accompagnarli a burro e salvia (che non ho, perchè l'ennesimo trapianto in giardino è abortito qualche mese prima che Maria Angela, la Jena Sabauda, fosse colpita dall'ictus cerebrale). Così mi sono lasciato ispirare da quel che c'era in cambusa ed eccovi la lista della spesa:
  • Una melanzana non grande
  • Mezza cipolla dorata
  • Uno spicchio d'aglio
  • Tre carote piccole (se avete solo grandi, ne basta una... che ve lo dico a fare?)
  • Un gambo di sedano
  • Due pomodori maturi (oblunghi, tondi, alla garibaldina o alla bersagliera: purché siano ben maturi)
  • 100 grammi di pancetta a cubetti (lo zio ha adoperato quella non affumicata: aveva solo quella in frigorifero...)
  • Un limone (ci serve solo il succo)
  • 10 filetti di alici sottolio (alice più, alice meno...se avete le acciughe, meglio ancora; ma è meglio metterne qualcuna di meno: sono assai più decise e incisive)
  • un cucchiaio da the di doppio concentrato di pomodoro
  • 100 grammi di burro
  • Due cucchiai da tavola di olio extravergine di oliva
  • 1 bicchiere di vino bianco secco (ideale sarebbe il Marsala secco, nel caso in cui adoperaste le acciughe: per calmierare l'eventuale eccesso di sale di queste e per vostro conforto durante la preparazione della pietanza, se non lo adoperate tutto...)
  • Un rametto di rosmarino (oppure un paio di prese di insaporitore universale casalingo di cui vi ho già parlato)
Prendete un padellino, sì proprio quello col coperchio, nè piccolo nè grosso, una bella misura dai bordi alti, l'ideale per farci il sugo o una monodose di pastina in brodo quando si è malati o si è esagerato con le gozzoviglie festaiole: versatevi i due cucchiai d'olio e la fetta di burro; poi, sminuzzate (col tritatutto elettrico o con la mezzaluna o col coltello...come siete più comodi e come più vi garba) la cipolla, le carote, il sedano e l'aglio tutti insieme al rosmarino. Spremete il limone e tenete la spremuta a portata di mano. Mettete il padellino sul fuoco piccolo della cucina a fiamma medio bassa (il burro comunque si scioglie e altrettanto si scalda l'olio), versatevi tutto il triturato e lasciate che rosoli con sopra il coperchio, per conservare l'umidità che emetteranno gli ingredienti e che impedirà improvvide bruciature; riducete a cubetti la melanzana (le due estremità le buttate) e fate altrettanto coi pomodori avendo cura di raccogliere, il più possibile, anche l'acqua che produrranno (perciò metteteli in un piatto fondo da soli, anche se non sono in castigo: ma che ve lo dico a fare...??). Se, a orecchio, vi sembra che il soffritto sia impaziente e sfrigoli troppo vivacemente, sfumatelo con un goccio di succo di limone e unitevi la pancetta e le alici e lasciate andare mescolando con dolcezza (ma non troppo a lungo: mica stiamo facendo una polenta!); la pancetta cambierà colore e le alici si sfalderanno: sarà il momento di fare scendere in pentola le melanzane e i pomodori e bagnare col restante succo di limone, rimettendo il coperchio e lasciando cuocere per almeno un'altra mezz'ora senza toccare la manopola del gas ma rimestando di tanto in tanto. Le verdure si dovrebbero ammorbidire e disfare a poco a poco, come in uno stufato, dando luogo a un sugo via via più omogeneo: potete anche agevolare il processo schiacciandole con una forchetta (se avete proprio niente da fare...); casomai vi sembrasse che si asciughi eccessivamente o che al palato trasmetta note troppo decise (la curiosità non ha sesso: alzi la mano chi non ha mai lucidato il cucchiaio con cui ha dato una mescolata...), potete allungarlo con del vino bianco o con l'acqua di cottura degli gnocchi (prima di buttarli, perchè in pochi minuti quelli vengono a galla e sono pronti e voi dovete essere già pronti a sposarli al condimento); se la busta degli gnocchi è rimasta al supermercato e avete scelto la pasta come compagna di questo sugo fuori Norma (so da me che la pasta alla Norma è tutta un altra cosa...), un mestolo di acqua salata con quel poco di amido che essa avrà già rilasciato sarà un tocco di classe in più che non guasta. Buon appetito da Zio Propano che vi ricorda che le sue razioni sono calcolate per sè, per la Jena Sabauda e il cane Leone: dunque, anche se non dovrei dirvelo (ma ve lo dico lo stesso), dovete adattarle alle vostre abitudini, al numero dei commensali che ospitate e a ciò che la vostra cambusa è in grado di offrirvi. Alla fantasia non c'è limite; alla fame, sì: con un pizzico di sale in zucca!
© 2018 testo e ricetta di Claudio Montini
© 2018 Immagine di Orazio Nullo



Italiani, brava gente???

Ma quando mai...!
di Claudio Montini

Invidiosi, meschini e pusillanimi: questo sembrano essere gli italiani secondo il racconto che fanno della nazione (?), paese(??), stato (???) che calpesta la penisola emersa dal Mare Mediterraneo, alcune centinaia di migliaia di millenni or sono. Più che un popolo, un coacervo male assortito o un'accozzaglia eterogenea e senza coordinazione costretta a stare unita (si fa per dire...) sotto una medesima bandiera, così come da ragazzini e da adolescenti fummo costretti a stare molte ore insieme in una stessa stanza, in uno stesso edificio, in una stessa città ad ascoltare e ripetere, come pappagalli ( gratificati o penalizzati a seconda della congruità delle nostre esibizioni), nozioni e informazioni che per molto tempo abbiamo considerato utili solo a risolvere le parole crociate o a rispondere ai quiz televisivi, in anticipo sui concorrenti di cui invidiavamo (tuttora invidiamo) la possibilità di stare davanti a una telecamera in diretta nazionale. Siamo, è triste doverlo dire e ancor peggio doverlo scrivere, un caravanserraglio di animali ben peggiori di quello che ispirò a Quinto Orazio Flacco il celeberrimo (solo per i cultori di lingue morte, ovviamente...) motto Homo homini lupus: siamo andati oltre il si salvi chi può, siamo approdati al Salvini ci giustificherà e la polizia non ci farà nulla, perchè la pensa come noi...a noi! eia,eia,eia...alalà! No, signori miei lettori carissimi, anche i Fasci di Combattimento nel 1922 e fino al bando di scioglimento dei partiti politici (nel 1925 o 1926), dicevano le medesime cose anche se non avevano internet e i social network: gli bastava il manganello, l'olio di ricino, la benzina, anche le mani nude e un agguato ben preparato; se avessero avuto più automobili, avrebbero adoperato anche le uova e i pomodori: bastava, così come è sufficiente oggi, metter paura alla brava gente e farla nascondere. Pure il fascismo era bravissimo a coniare e diffondere slogan e nascondere la polvere sotto il tappeto: temo che oggi quella polvere, troppo spesso bianca e ricca di alcaloidi e altre molecole psicotrope, finisca nelle narici di teppistelli e stronzetti di buona famiglia che si divertono a farsi beffe di chi ancora crede nella forza di volontà, nella lealtà, nel buon senso pratico e nell'onestà che, sulle bocche di certi ultras pseudopolitici, suona come una bestemmia.
© 2018 testo di Claudio Montini
© 2018 Immagine di Orazio Nullo "Bitter goblet"

domenica 29 luglio 2018

Nessun algoritmo è meglio della democrazia!

Il fresco profumo della libertà

di Claudio Montini
Credo ancora nella democrazia, nella libertà di espressione, nel dibattito tra le opposte concezioni della felicità e del benessere al solo scopo di procurare entrambe a tutti gli abitanti della polis, della città, della comunità che vive e lavora e lotta perchè il domani sia sempre migliore e sempre più ricco e leggero Ma io non sono Dio onnisciente, non capisco quasi nulla di quello che mi circonda, ripeto gesti meccanicamente i quali mi assicurano benessere e soddisfazione dei bisogni primari (in fondo, siamo tutti criceti in gabbia che corrono su una ruota di cui non vediamo nè inizio nè fine), non sono nemmeno tanto sicuro di sapere badare a me stesso: perchè mai dovrei restare affascinato dal mito della velocità immateriale, tanto da affidare la vita mia e quella della comunità di cui faccio parte, che a sua volta fa parte di una nazione (concetto ancora più virtuale nonostante un milione di morti abbiano contribuito col loro sacrificio a darle corpo e dignità ed essenza negli ultimi duecento anni), che è ulteriormente inserita in un continente che è parte integrante di questo piccolo pianeta, ad uno o più algoritmi e al calcolo delle probabilità e ad equazioni statistiche effimere come le previsioni del tempo meteorologico sebbene poggiate su solidi pilastri matematici? Bertand Russell ebbe a dire che un computer è uno stupido molto veloce a fare calcoli aritmetici, sempre che lo stupido più lento sappia istruirlo a dovere e costruirlo con la necessaria precisione: dopo quasi un quarto di millennio in cui abbiamo risposto "Signorsì, signore" a una nutrita serie di stupidi, folli, sanguinari ancorchè lenti, vogliamo davvero affidare la sopravvivenza della scimmia intelligente a uno stupido iperveloce, implacabile poichè privo di scrupoli ed emozioni dal momento che sarebbe in grado di calcolare, in tempo zero, la convenienza o la congruità delle proprie azioni, determinando il rapporto costi/benefici come se si trattasse di una operazione ragionieristica di partita doppia? No, signor Grillo parlante a vanvera, artista soltanto nel vendere fumo da pompare nelle zucche vuote cui tu indichi la luna e loro ammirano estasiati il tuo dito, ridendo a comando come pappagalli ammaestrati: io non ci sto e al tuo compare, come a te, dico no invitandoti a cercare un bell'albero nel campo dei miracoli per appendervi tutti gli specchietti e le pietre colorate con cui vorreste comprare la nostra disperazione (o la nostra dabbenaggine). Non brucerò il mio abecedario che con orgoglio chiamo Costituzione della Repubblica italiana; per Natale, vi manderemo dal Senato e dalla Camera dei Deputati cartoline e luci colorate per addobbarlo: il bue (lombardo) e l'asinello (partenopeo) già stanno facendo pratica a palazzo Chigi, san Giuseppe ce l'abbiamo sta al Quirinale e, appena si sveglia l'Italia turrita (e statene certi che lo farà), saremo pronti a riempirci le narici e i polmoni del fresco profumo della libertà. Come nella primavera del 1945 e nell'estate del 1946.
© 2018 Testo di Claudio Montini
© 2018 Immagine di Orazio Nullo "Apocalypse knights night"

giovedì 26 luglio 2018

Dalla cambusa di Zio Propano: stecche di maiale in compagnia...

 ...e la dieta slitta di un giorno: così sia!

di Zio Propano

L'animale che ci ha rimesso più degli altri dall'incontro con le scimmie scese dagli alberi per camminare su due zampe, oltre alle specie estinte, sia stato il maiale: irretito dalla possibilità di disporre di un habitat al riparo da eventuali competitori e regolarmente rifornito di vettovaglie, ha finito per mettersi nelle mani e nelle fauci del peggiore e dissennato predatore che popoli il terzo pianeta di questo sistema solare. Tant'è che questi, che si considera essere superiore e custode del creato, ha inventato il detto per cui del maiale non si butta via niente poiché è riuscito a rendere commestibile o utilizzabile, a proprio uso e consumo, la maggior parte dell'intera carcassa suina salvo ripagarlo col disprezzo di farne il paradigma di ogni sconcezza o sozzeria o basso istinto. Ma, avete ragione, questa non è la sede per un'arringa in favore della carne di maiale che per millenni ha sfamato generazioni e generazioni di uomini e donne che, per un motivo o per un'altro o per cattiveria gratuita e a torto o a ragione, si son sentiti calunniare, etichettare, equiparare a un porco o a una maiala a seconda delle parlate regionali e delle situazioni contingenti. In gioventù, nel corso dei miei disordinati studi, appresi come il maiale fosse geneticamente e biologicamente l'animale più simile all'uomo: mi sorse il dubbio di essere cannibale, ma alla terza fetta di salame e alla seconda di pancetta avevo già dimenticato i termini della questione. Perciò, vi voglio rendere partecipi di questa ricetta con la costina di maiale, la quale altro non è che un pezzo d'osso della cassa toracica dell'animale cui viene lasciata attaccata la sua carne (non molta a dire il vero) con corredo di membrane e cartilagini e un filo di grasso; la fortuna dei nostri tempi è quella per cui si trovano porzioni, confezionate e addobbate e pronte da buttare in padella, in qualsiasi banco frigorifero di qualsiasi supermercato. Dunque, se mi volete imitare e portare qualcosa di nuovo in tavola, ecco la consueta lista della spesa:
  • 4 pezzi di costina di maiale (sulla confezione stava scritto così; alcuni la chiamano anche puntina di maiale, ma ho il sospetto che così si indichi quella parte che non ha l'osso e che non si adopera per la pancetta: la nostra la bacchetta, insomma, l'osso ce lo deve avere!)
  • 3 carote medie o anche grandi (come sono, sono...non state a fare i geometri!)
  • 2 pomodori tondi (meglio se ben maturi, sennò pazienza; vanno bene anche quelli oblunghi.)
  • 1 limone (ci serve solo il succo.)
  • 1 rametto di rosmarino (le foglie, naturalmente; se ce lo avete già tritato ed essiccato, tanto meglio! Una fatica in meno...)
  • 2 foglie di alloro
  • 1 patata di media grandezza
  • Mezza cipolla dorata (se grande: intera se piccola...che ve lo dico a fare? Ah, se poi avete dello scalogno...beh: tanto meglio! Un paio saranno più che sufficienti)
  • Olio extravergine di oliva (andate a occhio e gusto; all'incirca quattro cucchiai da tavola, per i farmacisti pignoli...)
  • Sale e pepe a pizzichi secondo gusto e ragione
Tritate insieme alloro, aglio e rosmarino; mettete il risultato in una ciotolina mescolandolo a un pizzico abbondante di sale fino, in modo il trito sottolinei i suoi aromi e perda ulteriormente umidità. Spremete il limone e mettete il succo in frigorifero e dallo stesso cavate la costina di maiale: in una ciotola con coperchio ermetico (quelle che vanno sia in congelatore che in microonde e hanno quelle alette che rendono la chiusura del coperchio ermetica...ci siamo capiti, no? Quelle con cui si può portare il cibo precotto ai pic-nic o che i maniaci della pausa pranzo salutista stipano di insalate e macedonie di frutta assai fantasiose, per non dire bizzarre...Siamo onnivori, dopo tutti 'sti secoli di evoluzione: non mucche da latte!), adagiate le bacchette di carne di maiale e, dopo ragionevole pioggia di sale e pepe, spolveratele col trito magico appena confezionato quindi irrorate di succo di limone, avendo cura di avanzarne metà, e cospargetele anche di olio di oliva extravergine (un cucchiaio da tavola, al massimo due). Chiudete il coperchio ermeticamente, con le apposite alette, agitate energicamente il contenitore in modo tale che l'olio si emulsioni con il succo di limone e insieme bagnino per bene le costine, dando il via alla marinatura che proseguirà mentre contenitore e contenuto riposano in frigorifero: ora è tempo di occuparci delle verdure! Infatti, affettate le carote con un taglio obliquo, come se si trattasse di affettare un salame (se avete una di quelle grattuge di acciaio con le feritoie taglienti, con cui si riduce in fette sottili o in filetti la verdure, tanto meglio per voi: lo Zio lo fa con il coltello perchè ha paura di sfilettarsi via i polpastrelli come gli accadde in gioventù con l'affettatrice elettrica...); invece le patate le sminuzzate a dadini mentre i pomodori li potete spaccare in pezzi grossolani come meglio vi garba. Tirate fuori dal frigo la ciotola e unite alla carne le verdure, salando e pepando ogni volta; quindi bagnate col resto del succo di limone e con un cucchiaio da tavola abbondante di olio extravergine di oliva (non siate farmacisti! Con tutto il bene che fa all'organismo...): date una bella mescolata con apposito cucchiaio di legno oppure, meglio ancora, chiudete il coperchio e date una scrollatina energica (o capovolgete ripetutamente) e posatelo ancora per un quarto d'ora al fresco. Giusto il tempo di tritare finemente la cipolla, versare due cucchiai di olio extravergine di oliva e una fettina di burro (non è indispensabile, ma ci può stare bene) in una padella d'acciaio per farla appassire e imbiondire; non vi resta che versare tutto il contenuto della ciotola nella padella, liquidi di marinatura compresi, per cuocere a fuoco medio per una quindicina o, al massimo, una ventina di minuti (se la fiamma è mediocre ma non vivace) con il coperchio per la maggior parte del tempo. Se vi dovesse sembrare che si asciughi troppo, mentre lo rimescolate saltuariamente (non è un risotto e nemmeno una polenta...), aggiustatevi con un mestolo di acqua del rubinetto o di vino bianco (che conferirà alla pietanza una nota allegra e sagace!). La costina risulterà cotta ma non abbrustolita e il trio Ca.Pa.Po. (carote-patate-pomodoro) arriverà a cottura armoniosamente insieme: così entrambe le componenti della pietanza saranno leggere e digeribili lasciando un sughetto delizioso cui nè voi nè il pane, che non deve mancare mai sulla tavola (a mio parere), saprete dire di no... Quando le stecche di maiale sono in buona compagnia, la dieta slitta di un giorno e così sia!

© 2018 Testo e ricetta di Claudio Montini
© 2016 Immagine di Orazio Nullo

Con gli occhi al cielo, ovunque ci sia voglia di vivere




Per l'Isola di Nessundove
(preghiera laica per la voglia di vivere)

di Claudio Montini

Apriti cielo e rinfresca di scrosci quest'aria rovente:
non avrai pentimenti in cambio e neppure rese di grazie.
Tuttavia, il sollievo che recherai alla povera gente
opererà il miracolo di credere ancora nella giustizia
non solo alla fortuna, cieca guida del destino.
Evanescenti conquiste illudono i semplici e i puri,
luccicanti cimeli e vane promesse fanno un gioco meschino:
lanciano cuori oltre gli ostacoli e lungo sentieri oscuri.
Apriti cielo e premia la voglia di vivere di chi non ha niente.

© 2018 testo di Claudio Montini
© 2015 Immagine di Orazio Nullo - Atelier des Pixels collection 

lunedì 23 luglio 2018

Arrivederci, dottor Marchionne: il resto è aria fritta.

Una cartolina per Sergio Marchionne
di Claudio Montini

Succedono cose strane in questo strano paese: si costruiscono case cominciando dal tetto! Si pontifica riguardo tutto lo scibile umano, senza aver mai nemmeno visto col binocolo a rovescio l'ombra dell'oggetto della discussione. Sono tutti ingegneri, professori, commissari tecnici e commissari di polizia, amministratori delegati infallibili e geniali, provetti e provati capitani d'industria...a parole e nascosti dietro una tastiera e un nomignolo di fantasia cui non corrisponde nemmeno la fotografia della prima comunione raccattata chissà dove. Si spera sempre nella buona sorte e si tirano mattoni o martelli contro i profeti di sventura e i pochi saggi che ancora hanno a cuore questa landa occupata da barbari senza testa, calati in un giardino delle meraviglie come elefanti strafatti di cocaina in una cristalleria, preoccupati di raggirare il prossimo e riempirsi la pancia e le tasche e le vene come se non ci fosse un domani. Dicevo che si comincia a costruire dal tetto, facendo la faccia dura e gonfiando il petto quando i castigamatti e i veri padroni del bastimento sono lontani, almeno là sulla linea dell'orizzonte, per avere il tempo di cambiare idea e addossare la colpa a qualcun'altro: non basta impedire che le aziende licenzino, bisogna metterle in condizioni di lavorare senza che abbiano bastoni tra le ruote ad ogni piè sospinto, che le materie prime arrivino e i prodotti finiti partano senza la paura di non avere una strada degna di questo nome per compiere il loro tragitto, che possano godere di sicurezza e credito e non di avere a che fare con sanguisughe vestite a festa da banchieri o loschi figuri, ugualmente eleganti, che pretendono soldi senza far niente altrimenti sono danni e dispetti a non finire. Per forza, poi, chi può emigra perchè possiede solo il suo cervello e la forza delle sue braccia, apprezzatissime altrove per lo spirito di adattamento intrinseco, ma neglette in patria perchè c'è sempre qualcuno, amico degli amici, che è più meritevole anche se non sa fare "o" col bicchiere; per forza, poi, c'è chi si porta dietro anche la propria fabbrichetta perché, alla fine, tutto il mondo è paese e gente che ha fame di lavoro se ne trova quanta si vuole: capace pure che ti fanno eroe nazionale...Qui no, l'ho già detto e lo ripeto, qui dove si comincia dal tetto e non dalle fondamenta, dove si vede e si sente solo ciò che si vuole ignorando i dati di fatto, non vale la bravura, la perizia, l'ingegno e un pizzico di fortuna: quelle cose lì generano solo invidia, acredine, astio, rancore e non già ammirazione, rispetto, spirito di emulazione; qui si gode di più a mordere la mano che potrebbe darti un'aiuto ad uscire dal guano che ad afferrarla per sforzarsi ad uscire dai guai e ringraziare; se io sto male farò di tutto perchè anche tu abbia a patire qualcosa, senza minimamente provare a migliorare la mia condizione, e sarò contento solo quando cadrai: anche se sarò ancora più a terra di prima. Arrivederci, dottor Marchionne, la dove le strade non hanno nome e dove approderemo tutti a tempo debito: per quel che mi riguarda, lei ha fatto tutto quello che poteva e tutto quello che doveva al massimo delle sue potenzialità; in parole povere, come me, lei ha fatto il suo lavoro e il suo dovere dando il meglio di sè: il resto è aria fritta.
© 2018 Testo di Claudio Montini
© 2016 Immagine di Orazio Nullo "Twenty -second century engine"-Atelier des pixels collection

domenica 22 luglio 2018

Dalla cambusa di Zio Propano: insaporitore casalingo universale...

ROSMARINO... 
CHE PASSIONE!
di Zio Propano

Ho visto piante di rosmarino vegetare e prosperare in posti che noi umani fatichiamo a immaginare; nelle case dove ho abitato non è mai mancato, spesso accompagnato dalla salvia e dall'alloro, come se dovesse avere la stessa funzione che gli antichi Romani attribuivano ai simulacri degli antenati. A me, il suo profumo e la sua vista, hanno sempre dato l'idea confortevole di casa come posto sicuro, di nido degli affetti in cui si è protetti e accuditi, di baluardo del cuore e dell'anima da difendere e da curare ad ogni costo. Il distacco netto e senza rimpianti dalle stanze e dagli ambienti che mi hanno visto invecchiare (perchè si invecchia giorno dopo giorno, anche quando si è giovani e si vorrebbe sempre partire) è accaduto sempre nel momento in cui ho estirpato il rosmarino per trapiantarlo altrove: ciò che lasciavo entrava a far parte del bagaglio dei ricordi che non potevano più fare male, la nuova meta diventava la pagina bianca, nuova e pulita che andavo a scrivere senza paura poichè avevo al mio fianco questo silenzioso, parsimonioso e saggio compagno di strada. Nonostante la mia trascuratezza nei suoi confronti, la terra in cui ha preso dimora è stata molto generosa in tema di nutrienti e si è sviluppato in altezza e diametro: sicchè ho potuto prendere i rami che minacciavano di farlo collassare e ridurne la massa complessiva; tranquilli: rimane sul metro e sessanta per una circonferenza di quaranta centimetri e pare non avere risentito della potatura, dal momento che ha ripreso a svettare verso l'alto e a fiorire. Dal canto mio, ho sciacquato i rametti più ricchi di foglie con la prima intenzione di metterli in un vaso di vetro con l'acqua in cucina, per averlo a portata di mano quando gioco alla prova del cuoco (praticamente ogni giorno, da quando la Jena Sabauda è stata colpita da ictus cerebrale ischemico ed è fuori gioco rispetto a pentole e fornelli); successivamente, mi è venuta l'ispirazione per inventare un insaporitore da spargere in luogo di pepe o altre spezie. Ecco la lista della spesa:
  • un bel mucchio di foglie di rosmarino (tra i 50 e i 100 grammi oppure oltre: dipende dalla vostra pazienza e dalla lunghezza dei rametti che avete a disposizione)
  • due spicchi di aglio (regolatevi in base alle foglie di rosmarino che avete: questo vale fino a 100 grammi...)
  • tre foglie di alloro (non sono indispensabili, ma se ci sono è meglio)
  • due cucchiaini da the di sale marino fino (non siate farmacisti...serve dopo la lavorazione, per assorbire umidità ed evitare ossidazione...poi vi spiego)
Dopo avere staccato le foglie di rosmarino dai rametti, una ad una, buttate pure la parte legnosa: credetemi, per fare cento grammi ce ne vogliono parecchie...magari, vi passa anche la voglia! A proposito di foglie, quelle dell'alloro vanno tagliate privandole della nervatura longitudinale centrale e deposte insieme a quelle del rosmarino sul tagliere di legno; adesso potete pelare gli spicchi di aglio e affettarlo sorpa il cumulo di foglie, quindi munirvi di un coltello affilato o, meglio ancora, di una mezzaluna come quella che vedete nella fotografia di Orazio Nullo (in confidenza, Orazio mi ha detto che sua moglie Jasmine è una vera artista della mezzaluna: sarà per via del fatto che è di ascendenze arabe?) per procedere allo sminuzzamento di tutti gli ingredienti fino a una grossolana polverizzazione. Se avete fretta, potete mettere foglie e aglio e un cucchiaino di sale fino in un tritatutto elettrico e, con pochi brevi impulsi dati alle lame, otterrete una miscela ancora più omogenea e polverizzata da mettere in un barattolo ermetico con l'altro cucchiaino da the di sale fino marino e mescolare agitando il contenitore. Essendo la funzione del sale prettamente igroscopica e conservativa, va da sè che è bene non esagerare ma regolarsi sempre in base alla quantità di foglie di rosmarino che impiegherete. Dunque, una volta stivato nel barattolo di vetro, con tappo ermetico a molla (i barattoli che la nonna chiamava col tappo a macchinetta) o anche a vite come quelli di una nota azienda vetraria parmense o, nel caso più disperato, anche un barattolo dei sottaceti che vi siete già spazzolati (ma che avete lavato e conservato col suo tappo perchè...non si sa mai), l'insaporitore al rosmarino secco potete conservarlo in frigorifero per almeno un paio di mesi e spargerlo, a pizzichi, su minestroni e arrosti e condimenti per pasta e risotti e carni e verdure e...qualsiasi cosa la fantasia vi suggerisca, fuorchè dolci e dessert (ovviamente....)!!!

© 2018 Testo e ricetta di Claudio Montini
© 2018 Fotografia di Orazio Nullo



giovedì 19 luglio 2018

Nuntio vobis gaudium magnum: habemus librum! IV volume della serie GLI ATOMI.


Claudio Montini

Vedove scaltre e vecchi segugi 

GLI ATOMI: micro-romanzi per chi va di fretta  
Volume 4

StreetLib self publishing 2018

Ecco spiegato il motivo perchè ho rarefatto, negli ultimi tempi, la produzione di interventi sul blog: ero alle prese con l'allestimento del testo di questo nuovo "Atomo" che si è rivelato essere ricco di idee, ben al di là delle mie previsioni. Mi ha coinvolto e appassionato come non mi accadeva da un po', non mi ha lasciato andare finché non ho messo in luce molta della materia che recava in sè; forse ne ha tenuta una certa quantità di riserva, forse mi costringerà a rimetterci di nuovo le mani e a svilupparlo ulteriormente, forse andrà bene così e riuscirà a piacervi lo stesso... Me lo auguro e intanto vi auguro buona lettura regalandovi la sinossi che troverete anche negli store elettronici, in tutto il mondo, in cui è disponibile: ci vorrà qualche giorno, ma tempo ne abbiamo e anche più della vita.
In autunno, ai confini della Lomellina, ci si preoccupa di mietere il riso e di far correre i cani in vista della stagione venatoria: non certo di trovare un cadavere che si vorrebbe far credere essere vittima di un incidente di caccia e, poi, un altro dovuto a un incidente stradale segnalato da automobilisti di passaggio. Due vecchi segugi, un maresciallo dei carabinieri e un agente di polizia locale (con un passato nei servizi segreti militari), scopriranno la dinamica reale dei fatti ma la dovranno tenere per loro stessi; le due vedove,  divenute tali non per volontà propria, si rifaranno una vita ma senza alcun uomo tra i piedi, compreso il politico che ha ordinato la sabbia per far dimenticare l'intera vicenda e che ha concesso ai due "segugi" una sgambata in campagna, salvo rimetterli nei rispettivi box ad attendere una nuova stagione venatoria
Claudio Montini
© 2018 Testi di Claudio Montini 
© 2018 Immagini di Orazio Nullo

 .

domenica 15 luglio 2018

Siate buoni e felici...se potete!

Piè di pagina
di Claudio Montini
Per chi si è sposato in questi torridi giorni e per chi aspetta un bambino che, forse, ha già capito che fuori da quel caldo e morbido rifugio saranno sassi e spine e calci nel sedere o nei denti; per chi cerca da troppo tempo l'altra metà della mela e per chi si accontenta di non dormire da solo coi propri fantasmi o con troppi rimorsi; per chi sogna un mondo migliore e per chi, non avendo più nulla neppure da sperare, non si arrende e si danna l'anima per vedere un bicchiere, anche di aceto, mezzo pieno e buono almeno per condirci l'insalata. Ecco a cosa servono le poesie e gli auguri che si regalano come caramelle gratuite a tutti coloro che credono di aver trovato una briciola di felicità: del doman non v'è certezza, chi vuol esser lieto sia! Scriveva uno che era scampato a una congiura che lo voleva morto scannato per giunta in chiesa e che, da allora, governò più con fortuna che con saggezza ma anche col pugno di ferro il suo piccolo mondo, ignaro che il resto del globo stava già scrivendo un'altro capitolo in cui il Vecchio Continente era già poco più, o poco meno, di una nota minuscola a piè di pagina.

Domani è già ieri


Eccomi: ti offro la parte solare di me,
la sola che potresti afferrare,
l'unica che lascio trasparire al velo delle palpebre
per lasciare traccia della mia rotta nel mondo.
Incrocerò la tua rotta, a mia volta,
se non ti limiterai a uno sguardo frettoloso;
oppure ti indicherò un porto sicuro
dove riparare vele e sartiame;
altrimenti vagheggerò di una terra nuova,
oltre il mare aperto, dove ci attendono le nostre fortune.
Difficilmente o forse mai, ti lascerò curiosare
in quell'angolo di me dove tira sempre il vento
che sa di terra, di fieno, di neve;
dove tiro in secca il guscio che mi salva dalle tempeste
attraversate senza preavviso né premeditazione;
dove chiamo ancora rimorsi e ricordi per nome,
inebriandomi col loro dolce veleno.
Voglio essere luce che scalda e suscita palpiti irregolari
per ogni battito di ciglia e per il solo essere che siamo,
quando ci guardiamo scambiandoci la luce degli occhi:
siamo briciole di sogni in volo nell'infinito andare del tempo.
Voglio essere ogni momento degno d'essere vissuto,
perchè domani, adesso, è già ieri e non tornerà.

©2017-2018 testi di Claudio Montini
©2000 Immgine di Martin Meyer "Coppia"

sabato 7 luglio 2018

Steve Winwood - While You See A Chance: un precursore ancora attuale!

 
Quando c'erano ancora i juke-box...
di Claudio Montini
Brano memorabile di Stevie Winwood del 1986, a detta di molti soloni del web, non supportato da un video all'altezza. Sulla qualità della fotografia potrei anche essere d'accordo, ma su tutto il resto lo ritengo uno dei migliori e uno dei più all'avanguardia dell'ultimo ventennio del secolo breve; perfettamente bilanciato sul brano e molto più evocativo del testo e del sapiente uso delle (allora modernissime) tastiere polifoniche, ovvero sintetizzatori o moog che dir si voglia in grado di riprodurre e suonare più note contemporaneamente, oltre a miscelare registri ed effetti eterogenei tra loro. Per esempio, Jean Michel Jarre, a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta del XX secolo, componeva e suonava e registrava le sue suite (Equinoxe IV per esempio, sigla del telegiornale di Tele Monte Penice di Pavia e poi dell'apertura dei programmi di Tele Monte Carlo in lingua italiana dal Principato di Monaco) usando almeno otto (8) tastiere poichè esse potevano emettere un suono solo per tasto, registrando il tutto su nastro magnetico multipista per poter creare il tappeto musicale su cui deporre temi e melodie: lo si vede in un video dell'epoca, meglio conservato di questo, circondato da mura di minuscole tastiere sormontate da pannelli trapuntati di manopole e potenziometri e cavi dai molti colori. Almeno questo video di Winwood si sforzava di richiamare quadri surrealisti e apriva la strada alle installazioni contemporanee, una sorta di idealismo proiettato verso il terzo milennio, per rompere con la tradizione statunitense che voleva il video della canzone da lanciare come la registrazione di una esibizione sul palcoscenico, come se fosse una puntata di Top of the Pops oppure una registrazione bootleg da vendere alle tv via cavo o ai fans più accaniti, così come aveva fatto coi Trafic a suo tempo. Tra l'altro, l'album di cui faceva parte questo brano faceva parte di uno dei primi dischi incisi (c'era ancora il vinile a farla da padrone nei supporti sonori) da solista e la leggenda vuole che lo abbia registrato suonando e impostando tutti gli strumenti da solo: cosa che fece prima di lui Stevie Wonder e dopo anche sir Paul McCartney. A me piace molto per la sua estrema orecchiabilità, per il ritmo che da una carica eccezionale nei momenti in cui mi sento giù e per la semplicità che non stanca ma invita e gettonarlo di nuovo per coglierne qualche nuova sfumatura: come si faceva ai miei tempi quando c'erano ancora i juke-box che, con una moneta da cento lire, ti permettevano di ascoltare tre dischi in sequenza dall'inizio alla fine (se non saltava la puntina per l'usura del vinile), digitando una coppia di coordinate alfanumeriche che imparavamo a memoria meglio delle tabelline e delle formule algebriche.
© 2018 Testo di Claudio Montini - Video condiviso da youtube.com

venerdì 6 luglio 2018

Per una goccia di visibilità

Lo spettacolo deve continuare
di Claudio Montini
Se non ci fossero i campionati del mondo di calcio, i teledipendenti vagherebbero smarriti tra satellite e digitale terrestre consumando i tasti dei loro telecomandi in cerca di una qualsiasi trasmissione che non sia una replica, un vecchio telefilm o un documentario di cui riconoscono persino le pause dei doppiatori. E' la dimostrazione, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che viviamo in una società basata sugli stereotipi e non su una serie di regole condivise per il quieto vivere civile. Persino i telegiornali battono la fiacca e ricopiano, anno per anno quasi con le stesse inquadrature, i "servizi balneari": mare, sole, caldo in città d'arte, previsioni del tempo che manco Frate Indovino le fa più così a lungo termine (come del resto rispose, a domanda precisa e identica di una giovane cronista in vena di facezie, anche il colonnello Guido Guidi del servizio meteo della Aeronautica Militare quando spiegò per l'ennesima volta perchè le previsioni del tempo non si danno oltre le trentasei ore). Sono tutti convinti, autori e giornalisti, che tutta l'Italia e il mondo con lei esca a passeggio la sera o il pomeriggio e al mattino abbia ben altro da fare fuori dalle mura di casa durante quella che un tempo si indicava come il cuore della bella stagione, o stagione calda o stagione della villeggiatura e delle vacanze; allo stesso modo, sono convinti che tutti siano sani e forti e in grado di muoversi e concedersi prelibatezze e lussi e agi come se non ci fosse un domani, non esistesse la disoccupazione che non guarda all'età anagrafica, non ci fosse la delinquenza che detta legge perchè si è già accordata con lo Stato e questo si volta dall'altra parte appena può e, se costretto ad intervenire, lo fa con la massima lentezza e cavillosità possibile gonfiando i muscoli coi pulcini e facendosi gigante di melma dai piedi d'argilla con piovre e idre dalle cento teste di serpente, capaci di ruggire e colpire più ferocemente e più rapidamente. Eppure in molti, anzi in troppi, sgomitano pur di ottenere un goccio di visibilità mediatica ma non ne vedo uno spendersi in maniera concreta, nel proprio ambito, nel proprio territorio, nel proprio giardino di casa, per risolvere un qualsiasi problema o levare almeno una croce dalle spalle dei poveracci che evita accuratamente di incrociare per strada o che fa cacciare a calci dalla scorta, per avere via libera verso il porto sicuro del proprio palazzo in cui c'è la tanto agognata poltrona che gli riempie le tasche in cambio di un sacco di promesse al vento.
© 2018 Testo di Claudio Montini
© 2017 Immagine di Orazio Nullo "Show must go on"

mercoledì 4 luglio 2018

Accanto alla vita, sempre. Don Carlo Gnocchi

"Amis ve raccomandi la mia baracca..." (Amici, vi raccomando la mia baracca...)
di Claudio Montini
Di fronte a una vita che non è mai sbocciata ma che si ostina ad accumulare ore e giorni e mesi di resistenza contro ogni logica, ogni pietà, ogni strazio di cuore di madre dovremmo tutti inchinarci e fare ammenda dei nostri capricci, delle nostre debolezze puerili e sterili, della nostra ignavia intellettuale spacciata per sapienza professionale. Eppure non ci riusciamo, o meglio, io non ci riesco: posso soltanto provare ad alleggerire il peso che non hanno mai voluto nè chiesto, con una parola o un gesto o un silenzio (che spesso vale più di mille parole) senza che da essi faccia mai capolino un briciolo di pietosa commiserazione e nemmeno disperazione o rammarico, poichè queste cose sono quelle maggiormente percepite, immediatamente colte e duramente laceranti per questi esseri umani meno fortunati di noi che ci crediamo normali. Quando il destino, o chi per esso, ti ha preso a calci e pugni persino in posti nemmeno immaginavi di avere e, per dispetto, ti ha lasciato la consapevolezza di te stesso ma non quella di esprimerti, i lati peggiori del tuo carattere prendono il sopravvento insieme alla rassegnazione e all'euforia contenuta per ogni piccolo progresso su quella che chi ti circonda, mentendo, si ostina a indicare come la via della guarigione sebbene faccia parte del proprio mestiere. Eppure basta la pazienza e la passione di pochi e la visionaria lungimiranza di chi, per fede e per scelta di vita, crede ancora ai miracoli e a un dio che si è fatto uomo per riaccendere anche a giorni alterni la speranza e la voglia di lottare, di continuare ad esistere, di provare a risalire l'imbuto che si è rovesciato per inghiottirci nell'oblio dei vivi, diventando ricordi sbiaditi prima ancora di essere tornati cenere alla cenere e polvere alla polvere. Esistono questi avamposti della pietà (intesa alla latina) e della carità, in cui nessuno è perduto anche se si è fermato qualche passo indietro, in cui ci si ferma ad aspettare proprio questi ultimi e caso mai si va loro incontro a braccia aperte, perchè con un sorriso e tenendosi stretti e per mano si ricomincia insieme ad andare avanti fino all'inevitabile traguardo. Se avete ancora qualche dubbio sulla destinazione del vostro cinque per mille, guardatevi intorno, alzate lo sguardo da quella piastrella di silicio e plastica ed entrate in uno qualsiasi di questi cronicari: io posso solo suggerivi, per esperienza pressoché diretta, di cercare la Fondazione Don Carlo Gnocchi onlus dove prendersi cura della disabilità è pane quotidiano, così come la riabilitazione dopo gravi infortuni e malattie invalidanti pur con tutti i limiti che le cose umane hanno. Basta una firma e si diventerà quegli amìs (amici) cui, prima di spirare, il beato don Carlo Gnocchi, raccomandò la sua baracca che da settant'anni accoglie e aiuta bambini e ragazzi con disabilità, anziani in difficoltà, pazienti con gravi lesioni cerebrali e malati terminali, in tutta Italia: giusto per stare accanto alla vita, sempre. (maggiori informazioni su 5X1000.dongnocchi.it)

© 2018 Testo di Claudio Montini
© 2018 Immagine di Orazio Nullo "Road to eternity"

lunedì 2 luglio 2018

Editoriale dell'autore

Ci sono dei rami secchi che vanno tagliati, poichè aggrapparsi ad essi significa condannarsi ad un equilibrio precario che prelude alla caduta nel baratro. Da sei anni ho aperto questo blog nella speranza di rendermi visibile, cioè di rendere visibile la mia passione per la letteratura, coltivando altresì quella di cavarne qualche soldino in pubblicità: sono cascato anch'io nell'inganno della rete, delle new economy, della cosiddetta era digitale. Non ho guadagnato fisicamente un tubo, ma mi sono divertito molto e molto stupito nel vedere la crescita del consenso intorno a temi e articoli che ho, via via, pubblicato. Però, mi sono anche parecchio arrabbiato perchè non sempre, ultimamente troppo spesso, la piattaforma è andata in crash o ha alterato arbitrariamente la veste grafica o mi ha impedito per due o più giorni consecutivi la possibilità di scrivere o caricare testi e produzioni varie. Non sarò sicuramente un grande produttore di contenuti, ma sono assiduo nel farlo e sei anni non mi sembrano pochi: ritengo di avere diritto ad un maggiore rispetto ma sembra che a Blogger non importi un fico secco. Pertanto, ho deciso di emigrare su altre piattaforme anche se ciò significa dover ricominciare da capo, ripartire da zero: non è giusto, ma sembra l'unica alternativa praticabile. Spero che sarete così gentili da seguirmi anche lì dove andrò; non sarà una chiusura immediata: cinquantamila visualizzazioni in sei anni non si buttano via così come se niente fosse: ridurrò le pubblicazioni su questo canale e mi sforzerò di mantenerlo aperto, fin che sarà possibile.
Grazie per l'attenzione.
Claudio Montini