martedì 31 gennaio 2017

Looking for mushrooms...

I know It's not the right season to look for mushrooms, I know we're in winter time and it's easier to find chestnuts walking through forests on hills or mountains....but you know how artists are made: insipration has no clock and it doesn't look to any calendar. So, here is to you "Looking for mushrooms" (2017) by Orazio Nullo. Love it or hate it, it doesn't matter to Orazio: it's enough you'll see it!


(c) 2017 Image by Orazio Nullo - Atelier des Pixels collection
(c) 2017 Text Claudio Montini

domenica 29 gennaio 2017

A volte mi scappa una poesia....Vento sottile (primo inedito 2017)



VENTO SOTTILE
di Claudio Montini

Anna sorride nel vento sottile
Nasconde uno specchio e un fucile
Nelle pieghe dritte e tese della gonna
A difesa della sua dignità di donna.

Amala per ogni gesto e ogni cosa che dà
Null'altro chiedendo in cambio che libertà,
Nubi alte e lontane, sole gentile sulla pelle
Ambrata a fine giornata e una notte di stelle.

Anna, in un tempo avverso e inclemente,
Non perderà la rotta un solo istante.
Navigherà sfidando vento e corrente,
Approdando in un nuovo continente.

Affidati senza paura al vento sottile:
Non aspettare, però, che gonfi le vele.
Nessuno conosce fino in fondo il mare:
A volte, giova alla deriva lasciarsi andare.

(c) 2017 Testo di Claudio Montini
(c) 2016 Immagine di Orazio Nullo "Windy day at the lighthouse"

venerdì 27 gennaio 2017

Costituzione della Repubblica Italiana - Articolo 9

ARTICOLO 9



La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.


Testo tratto da "Costituzione della Repubblica Italiana" ed. 2011 distribuita da "La Provincia pavese" con il numero del 17 marzo 2011 festa dell'unità nazionale, della costituzione, dell'inno e della bandiera.
(c) 2016 Immagine di Orazio Nullo "Tomorrow compass"

Giornata della Memoria per le vittime dell'Olocausto


Meditate che questo è stato
Primo Levi
ritornato da Auschwitz
1919-1987

(c) 2017 Immagine di Orazio Nullo

mercoledì 25 gennaio 2017

La sabbia e le idee: primo anno senza Giulio Regeni

Un cappello di sabbia

di Claudio Montini

La sabbia della piana di Giza ha fatto il suo mestiere, purtroppo: la verità non emergerà mai in tutto il suo splendore, ci dovremo accontentare di qualche scheggia sfuggita alle maglie dell'omertà che non conosce latitudini nè abiti democratici, ci dovremo arrendere alla realtà meschina per cui onore e lealtà verso il prossimo sono parole vuote e obsolete.
Giulio Regeni credeva e voleva credere in queste cose, ma ancora di più nel potere dell'intelligenza, del buon senso, della giustizia, credeva nel suo lavoro e nei principi e nei dogmi che aveva appreso là dove la lotta per la sopravvivenza è un concetto astratto poichè basato sul confronto, talvolta aspro e serrato, tra idee e opinioni suscitate dalla libera circolazione delle informazioni.
Ma la sabbia della piana di Giza nasconde scorpioni e aspidi che rispondono a logiche incomprensibili agli occidentali, sebbene una li accomuni tutti quanti: la sete di denaro e di potere, anche piccolo come quello di strappare bugie o verità a prezzo di sofferenza e dolore, ignorando volutamente la morte in agguato e pronta a mettere fine a tanto codardo e infingardo disprezzo per la dignità umana.
Già un anno di manfrine diplomatiche e farse giuridiche e poliziesche è trascorso da quando Giulio Regeni è sparito e riapparso cadavere; chi lo ha messo al mondo non ha smesso di chiedere la verità sugli ultimi giorni del proprio figlio cittadino del mondo, tradito come Plinio il Vecchio da quel mondo la cui natura voleva indagare da vicino per sfatare miti atavici e affermare l'universalità dei diritti dell'uomo, pur sapendo che nulla restituirà il sangue del proprio sangue versato, questa è l'unica certezza finora, con troppo dolore.
Ci siamo dimenticati quanto sia difficile e grama la vita negli abusi di potere, ne abbiamo fatto un mito forse buono a riempire palinsesti televisivi e ingrossare fiumi d'inchiostro: proviamo a ricordarcelo con onestà e pudore, proviamo a fare pressioni affinchè il consorzio umano sia sempre meno un'arena o una galera a cielo aperto, proviamo a smettere di usare la testa solo per portare il cappello.
Il ricercatore universitario friulano non resusciterà, certo, ma almeno smetterà di rivoltarsi nella tomba inseme a tutti quegli altri che hanno sognato un mondo migliore, più giusto e più libero.

(c) 2017 Testo di Claudio Montini
(c) 2016 Immagine di Orazio Nullo "During desert sand storm"

martedì 24 gennaio 2017

Disturbiamo i manovratori: fatti, non parole dalla stanza dei bottoni!

Vogliamo pane e tulipani dalla stanza dei bottoni...

di Claudio Montini

Siamo entrati nell'ultima decade del primo mese dell'anno nuovo, ma pare che la jella di quello vecchio non ne voglia affatto sapere di lasciarci in pace: se la fortuna è cieca (ma anche sorda come l'inquilino ai piani superiori alle nuvole rispetto alle nostre preghiere), la malasorte ci sente e ci vede benissimo oltre ad avere tempismo e mira infallibili. Possiamo discutere fino allo sfinimento, lasciarci abbindolare da cifre e dati e riscontri puntuali e documentati di qualsivoglia genere, provenienti dai più quotati esperti del settore, cimentarci nell'arte tutta italica della polemica sterile e del giudizio inappellabile emesso ben protetti dalle nostre tane calde; possiamo pungolare gli inquirenti in toga e quelli con microfono e telecamera o taccuino affinchè scovino i capri espiatori da esporre al pubblico ludibrio, tramite linciaggio mediatico; possiamo, più prosaicamente, rifugiarci nella saggezza popolare dell'antico proverbio secondo il quale il tempo (meteorologico, nello specifico) e l'evacuazione di scorie azotate dall'apposito apparato retrostante, alla fine dei nostri lombi, dipendono dalla volontà di Colui Che Lassù Risiede (certo, in dialetto pavese, suona più esplicito e sbrigativo...ma Google Translator come avrebbe mai tradotto "Al temp e al cù, i fan quel che al vor Lù", grossolanamente, "il tempo e l'ano fanno quello che Lui vuole"?). Resta il fatto che ci sono ancora più di venti dispersi e una decina di morti per una valanga che ha avuto la pessima idea di travolgere un'albergo che è stato dimenticato, o peggio, considerato sacrificabile nella scala delle priorità degli organi preposti alla sicurezza del territorio e delle infrastrutture che dovrebbero fare di esso un pezzo della civilissima Europa, alle prese con un fenomeno atmosferico invernale eccezionale solo nelle dimensioni. Rigopiano non è in Nepal, nè in Centrafrica, nè sulla cordigliera delle Ande o in Mongolia: è in Italia! Esattamente come Sciacca, Palermo o Catanzaro, Genova o Taranto, Teramo e Sannazzaro de' Burgondi o Retorbido o la terra dei fuochi: tutti posti dove lo Stato sembra essersi ritirato lasciando a pochi eroi, mal pagati e mal equipaggiati il compito di rappresentarlo. Sono italiani tutti gli attori di questa tragedia in cui lo Stato Italiano, la Repubblica Italiana della quale sto pubblicando su questo blog l'intera Costituzione, sta recitando la parte più meschina e quella che dovrebbe far gridare allo scandalo; attenzione, ho detto lo Stato intendendo gli apparati burocratici, le cosiddette istituzioni, non gli uomini e le donne e i militari e i ragazzi che le compongono e che sul campo stanno mettendoci cuore e anima, lacrime e sangue e fatica e sudore per strappare alla morte, alla disperazione, all'oblio quante più vite è possibile per ricucire gli strappi del tessuto sociale. Quelli che sono là, quelli che non se ne sono andati, quelli che fremono per tornare, quelli che aspettano di vedere concretizzarsi tutti le promesse fatte all'indomani delle scosse di terremoto, quelli che mandano sms solidali pur non avendo risorse nemmeno per sè perchè non possono fare altro, quelli che sperano contro ogni evidenza, tutti costoro sono quelli a cui non importa un fico secco di sapere cosa non abbia funzionato nella catena di comando o di chi sia la colpa dell'aver ignorato gli appelli o per quale motivo l'albergo fosse stato costruito lì: loro come me vogliono, una volta per tutte, che i soldi sprecati in opere inutili (vedi ponte sullo stretto di Messina) così come quelli elargiti ai partiti politici e ai membri dei due rami del parlamento (comprese le sontuose pensioni ottenute senza versare una goccia di sudore o un contributo previdenziale) siano distratte da quelle tasche indegne e destinate a implementare e corroborare le strutture e i mezzi e il personale dei Vigili del Fuoco, dei Carabinieri, della Polizia di Stato, della Guardia di Finanza, dei Sindaci e dei loro collaboratori affinchè la gente comune italiana, già generosa e solidale oltre ogni più ottimistica previsione, possa ancora sentirsi orgogliosa della propria terra e della propria nazione, senza pentirsi mai più d'aver scelto rappresentanti preoccupati solo di mantenere caldo e saldo il proprio scranno nella stanza dei bottoni.
Non abbiamo più bisogno di slogan, di parole d'ordine, di promesse: vogliamo fatti concreti, azioni tangibili e ragionate e ragionevoli, vogliamo ricominciare a fare le cose per bene.

(c) 2017 Testo di Claudio Montini
(c) 2016 Immagine di Orazio Nullo "Job and Service Victims memorial monument"

domenica 22 gennaio 2017

Costituzione della Repubblica Italiana - Articolo 8

ARTICOLO 8

Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.
Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano.
I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base delle intese con le relative rappresentanze.

Testo tratto da "Costituzione della Repubblica Italiana" ed. 2011 distribuita da "La Provincia pavese" con il numero del 17 marzo 2011 festa dell'unità nazionale, della costituzione, dell'inno e della bandiera.
Foto di Enrico Pandiani (2011) dal profilo facebook

martedì 17 gennaio 2017

Letti & Piaciuti: Paolo Longarini BRANDO - 2016 Edizioni Efesto

Paolo Longarini
BRANDO
Edizioni Efesto - 2016 -

LA PORTA SEGRETA SEMPRE APERTA

di Claudio Montini


L'anticonformismo può essere una valida alternativa stilistica per emergere dalla massa di artigiani della parola; lavorare di fantasia è un esercizio lecito, innocuo e concesso a tutti e a tutte le età, tanto quanto mettere su carta i prodotti della spremuta di meningi: sarà, poi, la presa sull'uditorio o sui potenziali lettori a determinare l'efficacia e il successo del nuovo discorso confezionato con vecchi arnesi e materiali comuni, immutati e levigati dai secoli ma capaci di illustrare scenari sorprendenti e mai uguali, toccando corde recondite negli animi sensibili ai dettagli, alle sfumature della punteggiatura e della coniugazione dei verbi finalmente corretta. Con BRANDO (Edizioni Efesto 2016), Paolo Longarini realizza con successo una camminata sul filo sospeso nel vuoto e senza rete di protezione, utilizzando a piene mani tutti gli strumenti e le abilità di cui gli scrittori menan vanto senza possederne oppure sfruttano senza rendersene conto, pur prendendo le distanze da questi ultimi sin dalla prefazione e smentendosi a partire dall'introduzione: ogni capitolo, è una continua sorpresa e, perchè resti tale, non si può dire altro nè sulla trama nè sui personaggi se non che la storia segue l'ordine che deve avere, a parere dell'autore, pur nella confusione della numerazione dei capitoli. Una volta che la lettura avrà incrementato il suo abbrivio, non vi importerà un fico secco della numerazione di capitoli perchè sarete rapiti dall'elegante snellezza e agilità del periodare spinti a terminare il capitolo per capire cosa succederà nel successivo, quale nuovo personaggio o quale situazione si rappresenterà per fare luce sul reduce sconfitto dalla Storia ma baciato dalla fortuna di essere sopravvissuto a scapito di altre vite. Forse è il fu Mattia Pascal che ha letto Primo Levi o Palazzeschi o Vittorini o Moravia guardandosi intorno, più che dentro, e notando che, in fondo, settant'anni di repubblica non hanno cambiato in meglio l'Italia e neppure gli italiani: infatti in BRANDO troverete satira di costume, ironia dissacrante, pudore e poesia dei sentimenti, cattiveria divertente e divertita, momenti di neorealismo e retorica intesa nel senso migliore del termine, cioè come arte del bello scrivere e del bel parlare, brividi e tensione emotiva che, forse, spegnerà l'acida ilarità di certe pagine ma si stempererà nella magia dell'incontro col cane femmina, solitaria randagia non priva di coraggio e dignità, che verrà battezzata col titolo del libro che Paolo Longarini chiude con una rivisitazione della favola di Biancaneve e i sette nani. Ammetto d'essere rimasto perplesso da un finale di tal fatta; invece, ripensandoci e riflettendoci e anche rileggendo qua e là, BRANDO di Paolo Longarini edito da EDIZIONI EFESTO non poteva terminare altrimenti proprio per il fatto che è una navicella (si tratta di poco più di centotrenta pagine) la quale, fin dal varo, ha issato sul pennone la bandiera corsara della trasgressione elegante, intelligente, limpida e onesta vale a dire fedele al detto oraziano castigat ridendo mores e, ancora di più, a un aforisma poco conosciuto di Voltaire: "Ho deciso di fare ciò che mi piace perchè fa bene alla salute". Probabilmente, esiste davvero nell'anima degli artisti, consapevoli o incoscienti, una porta sempre aperta cui bussano le storie e le idee e i sogni che vogliono lasciarsi fissare su qualche supporto per entrare nel mondo degli esseri umani, quello che per convenzione chiamiamo realtà: BRANDO ha trovato quella di Paolo Longarini che, ha sua volta, ha trovato quella di Edizioni Efesto e troverà anche la vostra non appena varcherete la soglia di una libreria.

© 2017 Testo di Claudio Montini

© 2017 Foto di Orazio Nullo

domenica 15 gennaio 2017

Costituzione della Repubblica Italiana - Articolo 7

ARTICOLO 7


Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi.
Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.

Testo tratto da "Costituzione della Repubblica Italiana" ed. 2011 distribuita da "La Provincia pavese" con il numero del 17 marzo 2011 festa dell'unità nazionale, della costituzione, dell'inno e della bandiera.
Foto di Sara Balderacchi (2012) dal gruppo facebook "Pavia e dintorni"

Dalla cambusa di Zio Propano....Canoe di zucchina


CANOE DI ZUCCHINA

di Zio Propano



Un uomo solo ai fornelli è un immagine che il cervello muliebre e massaio non riesce a concepire, a considerare, a valutare senza figurarsi una marea montante di macchie e schizzi e confusione che dalla cucina si spande per il resto dell'alloggio, pavimenti e soffitti compresi.
La benevolenza di alcune rappresentanti del gentil sesso concede un sardonico sorriso di divertita sorpresa al momento dell'assaggio o della descrizione dei passaggi o degli ingredienti e della loro combinazione da parte dell'improvvisato chef de rang.
Siccome la fame è il motore immobile che stimola l'ingegno sin dalla notte dei tempi, trovandomi senza Jena Sabauda per causa di forza maggiore (ictus ischemico e relativa riabilitazione), eccovi una ricetta di mia invenzione che risolverà più di un pranzo o di una cena, senza dover compulsare almanacchi o ricettari o ricerche imbarazzanti tra parenti e amici virtuali (sempre che non abbiate stipulato un abbonamento alla gastronomia del supermercato di fiducia o al kebabbaro all'angolo...).
La verdura è buona e fa bene, dicono i massimi esperti del settore: anche prepararla e cucinarla è un esercizio assai utile, creativo e rilassante...provare per credere!!
Procuratevi:
  • 4 zucchine verdi (chiare o scure non importa, ma preferisco quelle scure: son più sode), robuste di diametro e discreta lunghezza (non andate a comprarle col centimetro o col calibro basta che siano zucchine!)
  • 2 carote (arancioni....mbeh? Ci sono pure quelle viola e quelle gialle...che non lo sapevate?) di media grandezza (vale lo stesso discorso fatto per le zucchine...)
  • Mezza cipolla (bianca o gialla per me pari sono!)
  • 1 gambo di sedano verde
  • 70 grammi di formaggio grana (padano, parmigiano reggiano, trentino...)
  • 50 grammi di formaggio emmenthaler (svizzero è meglio, tedesco non è male)
  • 50 grammi provolone piccante (è solo un po' più stagionato)
  • 70 grammi di mozzarella di latte vaccino (poco più della metà di quelle normalmente in commercio: la parte che non usate siete autorizzati a mangiarvela come snack durante la lavorazione della ricetta.)
  • 80 grammi di tonno in scatola all'olio d'oliva (una scatoletta: l'olio e la latta potete buttarli)
  • 4 o 5 cucchiai da tavola di pane grattugiato (quello già pronto in commercio va benissimo)
  • 2 cucchiai da the di pepenero in grani
  • 1 uovo intero (ma non il guscio, mi raccomando)
  • un pizzico di sale e uno di peperoncino, se volete dare una scossa alla vostra vita!
  • 2 sottilette
  • 2 spicchi d'aglio ( se non avete in vista incontri galanti...)
Tagliate le estremità delle zucchine e dividetele in due parti uguali per la lunghezza e per la larghezza; le canoe cominciano a intravedersi, almeno nella vostra fantasia: i pezzi ottenuti andrebbero scavati senza rompere lo scafo. Allora buttateli per cinque minuti in acqua bollente e salata e poi lasciateli raffreddare (magari passateli sotto un getto d'acqua fresca), insieme alle carote e al sedano: con un coltello e un cucchiaino da the, o un levatorsoli , la polpa viene via che è una bellezza e vi ritrovate con sedici canoe di zucchina, le dita ustionate e il frutto dello scavo in una terrina in cui verrà composto il "carico" che le imbarcazioni vegetali andranno a portare.Buttate nel tritacarne le carote, la cipolla, l'aglio, il sedano, i formaggi, il pepe nero in grani, il tonno e anche magari il pane grattugiato, avendo cura di alternare formaggi e verdure piuttosto che pepe e tonno o pane grattugiato. La polpa ottenuta dallo scavo delle zucchine potete amalgamarla così com'è oppure farla passare anche lei, avendo cure di mescolare rapidamente con il resto del trito ottenuto; una volta tritato tutto, ci si amalgama l'uovo intero (non il guscio...buttatelo come la latta e l'olio del tonno) aggiustando di sale e di pane grattugiato per fare sì che raggiunga una discreta consistenza, lasciandolo riposare in frigorifero per qualche minuto: giusto il tempo di imburrare una teglia da forno (o da microonde) spolverandola di pane grattugiato e di dare una pulita al tritacarne (volete mica lasciarlo lì impastato di residui di lavorazione?).
Ora, aiutandovi con un cucchiaino da the procedete al carico delle canoe, siate generosi, non prima di avere spolverato il fondo delle stesse con un velo di peperoncino o di sale fino a scelta; disponetele nella teglia, o nelle teglie se avete intenzione di riservarvene una razione per i giorni a venire in freezer, deponendo sul carico di ciascuna canoa una striscia di sottiletta come se fosse un telone protettivo. Siamo, dunque, pronti per la cottura: in forno a microonde, cinque minuti massima potenza, o in forno normale a 180 °C per 10 o 15 minuti (qui l'occhio vuole la sua parte...in generale, quando si scioglie la sottiletta, il piatto è pronto).
Prima di augurarvi buon appetito, vi ricordo che il "ripieno" o "carico delle canoe di zucchina" eccedente le imbarcazioni stesse (vi sarete certamente accorti che ve ne è avanzato un bel po'...) potete ricoverarlo in congelatore per le repliche successive oppure utilizzarlo come farcia dei ravioli extralarge di cui vi dirò la prossima volta.


© 2017 Testo e ricetta di Claudio Montini

© 2016 Foto di Orazio Nullo

martedì 10 gennaio 2017

Anniversario amaro difficile da festeggiare...


di Claudio Montini


10 anni fa vinsero un tumore, ora è sola a ricordare quei giorni

Sara e Raffaella, dieci anni fa vinsero la sfida che il carcinoma alla tiroide aveva lanciato loro. Ma nel 2009, Raffaella non riuscì a bissare il successo contro un tumore al seno che, tra l’altro scoprì da sola. Sua sorella Sara l’accompagnò anche quella volta fermandosi sulla soglia della tomba, senza smettere di ricordarla e di pensarla ogni giorno. C'è una bella foto, in una bella cornice d'argento, come una promessa di un ritorno e il pegno d'una presenza, così come due nipoti che diventano grandi cioè diventano uomini facendo a meno della mamma. Ora come allora il cielo, o il suo maggior inquilino o chi per esso, brillano per il loro silenzio. Non è tanto il tempo che passa, lo farebbe comunque così come il giorno e la notte non smettono di inseguirsi, non è il ricordo che pesa e nemmeno l'ombra che attraversa lo sguardo a mettere sale e aceto sulla ferita, sullo cesura dell'anima che pochissimi avvertono: è l'assenza di un sorriso, di un viso, d'una voce, d'una carezza e d'una risata, è una sedia vuota a tavola, è un cuscino non più gualcito che avvelena e svuota un qualsiasi anniversario di una non comune brutta avventura felicemente scampata. Anche se ci hanno insegnato che stanno aspettandoci in un'altra stanza, che non li abbiamo perduti, questi anni di attesa separata sono una pena che non ci meritiamo per averli amati, i nostri cari defunti che meritavano di avere ancora molta vita davanti e non alle spalle. 

(c) 2017 testo di Claudio Montini
(c) 2015 foto di Orazio Nullo "Daisy daydream"

lunedì 9 gennaio 2017

Costituzione della Repubblica Italiana - Articolo 5 e Articolo 6

ARTICOLO 5

La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento.


ARTICOLO 6

La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.


Testo tratto da "Costituzione della Repubblica Italiana" ed. 2011 distribuita da "La Provincia pavese" con il numero del 17 marzo 2011 festa dell'unità nazionale, della costituzione, dell'inno e della bandiera.
Immagine di Orazio Nullo "Under the same flag" (c) 2016

domenica 8 gennaio 2017

Letti & Piaciuti: Davide G. Zardo VIGEVANO ROSSO DUCALE -i delitti di Beatrice d''Este- 2016 Pagine in Movimento

Davide Zardo
VIGEVANO ROSSO DUCALE
i delitti di Beatrice d'Este
2016  Pagine in Movimento 



I GIORNI E LE OMBRE DEL COMMISSARIO SPADA

di Claudio Montini

Edgar Allan Poe e sir Arthur Conan Doyle si sono finalmente stretti la mano grazie ai buoni uffici di Agatha Christie, Renato Olivieri, Giorgio Scerbanenco e gli applausi di Vincenzo Maimone, Enrico Pandiani, Romano de Marco e un distratto (dagli esiti della incarnazione televisiva di Schiavone) Antonio Manzini; tutto questo movimento di astri del firmamento letterario di ispirazione poliziesca ha generato un flusso di ottime e potenti vibrazioni che si sono infuse e trasmesse nell'estro e nell'arte di Davide G. Zardo, agevolando la venuta alla luce di VIGEVANO ROSSO DUCALE – i delitti di Beatrice d'Este (Ed. Pagine in Movimento, 2016) che, dopo Nebbie e altri miracoli (Ed. Giallomania, 2014), antologia di racconti, rappresenta il suo esordio come romanziere a lungo metraggio senza smettere il ruolo di cronista del territorio (è, infatti, giornalista pubblicista dal 2006 e collabora con alcune testate pavesi e lomelline in particolare). Decenni dopo Mastronardi, Vigevano torna ad essere protagonista letteraria dopo esserlo stata delle cronache nazionali per fatti e polemiche poco edificanti, le quali ultime trovano eco anche nelle pagine di Zardo che se ne serve abilmente per dare più sapore di intrigo e di mistero a un giallo di stampo britannico nel senso più ampio e classico del termine, ma anche per dichiarare un'amore disperato e sconfinato per la ex capitale della calzatura (così come Pavia lo è stata per le macchine per cucire) oltre che stigmatizzare i comportamenti della classe dirigente e della società che gli gira intorno, nessuno escluso, con una prudenza degna del miglior ermetismo (CONVERSAZIONE IN SICILIA di Elio Vittorini al proposito, docet) ma pungendo con una ironia tagliente e serrata degna dei migliori passi de L'IMPORTANZA DI CHIAMARSI ERNEST di Oscar Wilde. A carnevale ogni scherzo vale, ma il commissario Spada prenderebbe volentieri a prestito la scala di rotture di coglioni del collega aostano, obtorto collo, Rocco Schiavone, per collocare la morte di un ex assessore alla cultura al massimo livello: un po' perchè spera vanamente che la moglie ritorni sui suoi passi e riprenda la via al suo fianco, un po' perchè l'omicidio maldestramente camuffato da suicidio si intreccia con un furto di una calzatura carica di sette secoli di storia, essendo appartenuta a Beatrice d'Este sposa giovane e sfortunata di Ludovico Sforza detto il Moro, un po' perchè circolano strane voci su una lottizzazione edilizia nei confronti di un'area naturalistica su cui insiste un'opera di ingegneria idraulica firmata da Leonardo da Vinci in persona, in difesa della quale la vittima si era spesa opponendosi strenuamente alle mire dei nuovi inquilini del palazzo comunale. Già, i guerrieri della lotta allo spreco e allo sperpero di pubblico denaro, che non fanno sconti nemmeno ai bambini negando la mensa scolastica a chi non paga puntualmente la retta o, peggio, vanta debiti arretrati senza investigare sulle cause o sulle condizioni o sulle ragioni, col paraocchi ideologico e propagandistico tipico dei gabellieri medievali cui il simbolo di partito si ispira: anche loro verranno smascherati dalla Nemesi, la dea riparatrice delle ingiustizie, riprodotta in un quadro custodito nel Museo Civico da cui è sparita la pianella sforzesca, con modalità che rimandano alla prima parte de IL NOME DELLA ROSA di Umberto Eco e ai finali di Chandler e Hammett, in cui i buoni "modificano" a fin di bene la scena del crimine facendo un favore a sè stessi e alla giustizia. Tutto è bene quel che finisce bene? L'amore trionfa? Ai posteri, pardon, ai lettori l'ardua sentenza: intanto le ombre e i giorni del commissario Spada, nostalgico milanese trapiantato a Vigevano, filosofo con la pistola e la lente d'ingrandimento alla Sherlock Holmes, si allungano e svaniscono ma non risolvono il misterioso cammeo della duchessa che, tra le righe e dietro le quinte della storia, si riappropria della pianella sottrattale da un servo devoto il giorno che venne deposta nella Certosa di Pavia; si aggira per le strade della amata Vigevano per constatare quanto i poveri, a lei così cari, siano sempre più marginalizzati da crapuloni borghesi; lascia entrambe le calzature come prova a carico del colpevole, vendicandosi così di tutti coloro che avevano avvelenato la città in cui aveva vissuto un poco di felicità e liberandosi da ogni vincolo con questa valle di lacrime. VIGEVANO ROSSO DUCALE è un romanzo soltanto in apparenza semplice, lineare, scorrevole nella lettura e nella immaginazione (nel senso anglofono del termine, ovvero la creazione di immagini dal testo): in realtà è un complesso meccanismo multistrato, come la cosmologia tolemaica e aristotelica fatta di sfere inserite le une nelle altre e influenti tra loro, un filo d'acciaio teso tra due mondi paralleli su cui Davide G. Zardo cammina con estrema prudenza registrando ogni possibile fluttuazione di energia, rendendola godibile e apprezzabile anche a noi comuni mortali col puntiglio e con la grazia e la sensibilità propria dei poeti. Il centro della costruzione rimane l'uomo: non il commissario, né la vittima, né i collaboratori, neppure il colpevole o i suoi complici; è l'essere umano e ciò che sente e che prova e che vive ad essere coprotagonista insieme alla città, che non è più soltanto teatro o fondale o quinta fissa, ma diventa soggetto da scoprire, da conoscere, da studiare rivelandosi carico e pregno di storia, di storie e di bellezza che merita più di uno sguardo di annoiata sufficienza. Poi viene l'omaggio ai grandi giallisti del passato, adottandone lo schema narrativo: la morte violenta, l'inchiesta, la raccolta dei dettagli e delle informazioni, il ragionamento e la riunione dei presunti colpevoli e dei comprimari in una stanza, un tranello ben allestito e una disamina retorica dei fatti, un bel rasoio di Occam, che inchiodi il colpevole alle sue responsabilità lasciandogli solo la scelta tra l'ammissione di colpa o la disperata fuga. 
Il caso è risolto ma non la vita, che rimane il mestiere più complicato e la matassa più intricata da sbrogliare, poiché non risponde sempre alla logica deduttiva e non ha una dinamica lineare e non ha neppure una meta, come i pensieri privati del commissario autentica prova di prosa poetica. 
VIGEVANO ROSSO DUCALE – i delitti di Beatrice d'Este (Parole in Movimento, 2016) va letto e riletto perchè, ad ogni volgere di pagina, si toglie un velo di bomboniera e si respira aria di poesia giungendo a un cuore di zucchero e mandorle, tanto gustoso quanto sottovalutato e troppo celato.


© 2017 Testo di Claudio Montini

© 2017 Foto di Orazio Nullo

mercoledì 4 gennaio 2017

lunedì 2 gennaio 2017

Costituzione della Repubblica Italiana - Articolo 4


Art. 4


La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Testo tratto da "Costituzione della Repubblica Italiana" ed. 2011 distribuita da "La Provincia pavese" con il numero del 17 marzo 2011 festa dell'unità nazionale, della costituzione, dell'inno e della bandiera.
Immagine di Orazio Nullo "Job and service victims memorial monument" (c) 2016