di Claudio Montini
Il pallone è rotondo e la partita finisce quando l'arbitro fischia tre volte, nello sport che si gioca sui prati e prende una sfera di cuoio (quando va bene) a calci. La sua fortuna è che ha regole semplici e facili da ricordare e non necessita di particolari attrezzature od orpelli, ma per diventare una cosa seria necessita di qualcuno che lo ami talmente tanto da fare il giudice di gara. L'ho imparato tanti anni fa, quando ero un ragazzino sovrappeso che giocava in un rettangolo di terra dietro una cascina dove, con altri ragazzini di età variabile, si andava a fare il bagno perchè qualcuno aveva costruito una vasca per l'irrigazione in cemento. Per fortuna c'erano anche degli adulti che la frequentavano e, in qualche modo, ci tenevano d'occhio in modo tale che non accadesse nulla di grave: grandi e piccini erano tutti accomunati dalla grande passione per il calcio e per le squadre di Torino e Milano, in particolare; tutti avevamo le nostre scarpette coi tacchetti e i calzettoni (chi giocava in porta indossava pure i guanti) ma giocavamo in costume da bagno: lo stesso faceva l'adulto che faceva l'arbitro con tanto di fischietto. Siccome era il genitore di un paio di noi, sebbene fosse estremamente simpatico e alla mano, nessuno si è mai permesso di dargli del tu e nemmeno di contestare rumorosamente la benché minima decisione: in fondo, eravamo tutti lì solo per passare qualche ora spensierata nelle domeniche d'estate e, alla fine della "partita", un ghiacciolo da sgranocchiare c'era per tutti, sia che si fosse vinto sia che si fosse perso. Tuttavia, giocando insieme all'arbitro moderava, consciamente o inconsciamente, le nostre intemperanze così come le esuberanze, tutti insieme abbiamo imparato il rispetto per noi stessi e per i ruoli che la vita ci assegna a suo discernimento e piacimento; anche assistendo alle partite trasmesse in televisione nei locali del bar che frequentavamo, non ci siamo mai scagliati contro l'operato dei direttori di gara: ce la siamo presa, piuttosto, con le pessime prestazioni dei giocatori come ce la saremmo presa con qualsiasi professionista che avesse svolto di malavoglia o maldestramente il proprio lavoro, elettricista o meccanico o muratore o medico che fosse. Gianluigi Buffon, con le sue dichiarazioni furenti rese ieri nelle interviste dopo la partita, ha sbagliato e ha perso il rispetto che si deve a coloro che fanno del gioco del pallone un mestiere; ha dimostrato, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che il ragazzino è ancora ben lontano dall'essersi evoluto in uomo maturo; ha sottolineato, anche troppo, quanto sia caduto in basso il calcio italiano e quanto sia radicato il malcostume italico di scaricare altrove le responsabilità di prestazioni al di sotto delle attese. La Juventus, tutta insieme, aveva sbagliato la partita due settimane fa per fattori imponderabili, legati all'alea del gioco; ieri sera, come direbbe mia madre che non ha mai capito nulla del pallone se non il risultato che sentiva al telegiornale, la Vecchia Signora ha fatto soltanto il suo dovere e, come ad El Alamein alla divisione Folgore, "mancò la fortuna, non il valore." Perciò, lo ribadisco da non juventino, il capitano e portiere bianconero avrebbe fatto migliore figura a tenere il becco chiuso.
© 2018 Testo di Claudio Montini
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