Antonio Fusco
La pietà dell'acqua
Giunti Editore
(2015)
Il giallo toscano che sarebbe
piaciuto anche a Simenon
di Claudio Montini
"....Il lago non lasciava trasparire nulla. Taceva. Immobile e complice con il tempo che si era fermato. Come una grande madre custodiva tutto nel suo grembo. [...] Era la pietà dell'acqua, Da cui ogni forma prende vita e in cui tutto si dissolve."
Con queste frasi cala il sipario sull'indagine del commissario Casabona della Squadra Mobile di Firenze partorito dalla fantasia di Antonio Fusco, funzionario napoletano cinquantaduenne della Polizia di Stato italiana e criminologo forense di stanza in Toscana; ma esse, insieme alle note biografiche riguardo all'autore, non sono la chiave interpretativa adatta dell'ottimo romanzo poliziesco pubblicato per i tipi di Giunti editore in Firenze nel 2015 e incontrato dalla Jena Sabauda (che lo ha letto per prima con gustosa celerità) durante Lomellina in Giallo 2015, festival di letteratura gialla e noir giunta alla sua quinta edizione.
Gli ingredienti adoperati da Antonio Fusco sono quelli classici del genere che fa capolino anche in copertina, come se fosse indispensabile catalogare uno scritto ancora prima di averne letto le prime righe: probabilmente l'ansia da etichettatura che l'Europa ci chiede di fare nostra per i prodotti alimentari, deve aver contagiato anche i produttori di cultura o di cibo per la mente.
Chi si addentra nella lettura, catturato dalle fulminee ed essenziali e addirittura poetiche prime righe, si ritrova magneticamente attratto da una storia che fila dritta e sicura tra le onde del passato e del presente intercettandone i ritmi, gli umori, le suggestioni e le sensazioni senza scadere mai nel banale o nel truculento, anzi, mantenendo costante leggerezza di tocco, sensibilità e umanità persino nel portato della lingua italiana adoperata.
Un'omicidio nella campagna toscana rovina le vacanze del commissario Casabona che si vede costretto a intervenire, mandando all'aria anche il suo traballante matrimonio; per di più, per ragioni imperscrutabili, il caso gli viene sottratto e affidato alla Direzione Distrettuale Antimafia; se nonchè, l'incaricato delle indagini è un collega che pur di fare carriera avrebbe venduto l'anima al diavolo (e senz'altro lo ha fatto perchè agisce in modo tale che non si giunga ad alcuna conclusione e si vada all'archiviazione del caso): ce n'è quanto basta perchè il bravo poliziotto tutto d'un pezzo (ma non del tutto, quando si trova di fronte a un'avvenente capitano della Police Nationàle, un po' francese e un po' araba che in incognito indaga su un cold case parigino) senta puzza di bruciato e, a quota periscopio, non smetta di volerci vedere chiaro in una faccenda che parte dalla fine della seconda guerra mondiale e dai crimini impuniti commessi da belligeranti e da mascalzoni civili.
Si imbatte in un bel pentolone di veleni datati che emerge a reclamare giustizia da un villaggio sommerso dopo la costruzione di una diga sulle colline toscane: i lavori di manutenzione all'invaso determinano lo svuotamento del lago artificiale di Torre Ghibellina, di cui normalmente si vede solo il campanile svettare dalle acque, e il pellegrinaggio dei residenti alle vecchie abitazioni (il paese è stato ricostruito a quota più alta e rinominato, appunto, Torre Alta) rimette in luce la lapide che ricorda la strage di un'intero nucleo familiare sul finire dell'occupazione nazifascista, a causa della delazione di una presunta spia repubblichina.
Gli anglo-americani istruiranno il caso e passeranno documenti e testimonianze alla giustizia militare della neonata repubblica italiana che, come per altri casi simili, si adopererà per seppellire nell'oblio di un armadio chiuso con le ante contro il muro di una stanza anonima e dimenticata la verità e la giustizia.
Casabona, seguendo il suo istinto di fine e umanissimo investigatore, analizzando le tracce e i documenti troverà il bandolo della matassa, rendendo giustizia alla memoria dei morti innocenti pietosamente custodita dalle acque del lago, ritrovando la voglia di vivere e la propria famiglia: non è un lieto fine artificioso e fasullo, ma l'epilogo più probabile a un momento di crisi attraversato da persone dotate di raziocinio, umanità, buon senso e onestà che intendono "crisi" nel senso greco antico del termine, ovvero cambiamento e trasformazione senza smettere di sognare un mondo giusto e onesto.
LA PIETA' DELL'ACQUA di Antonio Fusco (Giunti - 2015) è un gradevolissimo, anzi, ottimo prodotto letterario poichè evoca vicende con le quali noi contemporanei non abbiamo ancora fatto pace nè chiesto che sia fatta piena luce e quindi giustizia, almeno sul piano storico: potrebbe e, forse nelle intenzioni dell'autore, vorrebbe indurre anche alla riflessione oltre al mero intrattenimento attraverso uno stile linguistico molto semplice e diretto, scevro da figure retoriche e citazioni troppo tecniche o troppo dotte; adotta l'imparzialità del cronista ma anche la passione e la delicatezza del poeta conferendo alla narrazione un ritmo affascinante ed elegante che sarebbe degno di Georges Simenon, quella stagione matura in cui la leggerezza diventa sagacia e bastano poche pennellate di colore per accendere le immagini nella fantasia di chi legge.
Gli ingredienti adoperati da Antonio Fusco sono quelli classici del genere che fa capolino anche in copertina, come se fosse indispensabile catalogare uno scritto ancora prima di averne letto le prime righe: probabilmente l'ansia da etichettatura che l'Europa ci chiede di fare nostra per i prodotti alimentari, deve aver contagiato anche i produttori di cultura o di cibo per la mente.
Chi si addentra nella lettura, catturato dalle fulminee ed essenziali e addirittura poetiche prime righe, si ritrova magneticamente attratto da una storia che fila dritta e sicura tra le onde del passato e del presente intercettandone i ritmi, gli umori, le suggestioni e le sensazioni senza scadere mai nel banale o nel truculento, anzi, mantenendo costante leggerezza di tocco, sensibilità e umanità persino nel portato della lingua italiana adoperata.
Un'omicidio nella campagna toscana rovina le vacanze del commissario Casabona che si vede costretto a intervenire, mandando all'aria anche il suo traballante matrimonio; per di più, per ragioni imperscrutabili, il caso gli viene sottratto e affidato alla Direzione Distrettuale Antimafia; se nonchè, l'incaricato delle indagini è un collega che pur di fare carriera avrebbe venduto l'anima al diavolo (e senz'altro lo ha fatto perchè agisce in modo tale che non si giunga ad alcuna conclusione e si vada all'archiviazione del caso): ce n'è quanto basta perchè il bravo poliziotto tutto d'un pezzo (ma non del tutto, quando si trova di fronte a un'avvenente capitano della Police Nationàle, un po' francese e un po' araba che in incognito indaga su un cold case parigino) senta puzza di bruciato e, a quota periscopio, non smetta di volerci vedere chiaro in una faccenda che parte dalla fine della seconda guerra mondiale e dai crimini impuniti commessi da belligeranti e da mascalzoni civili.
Si imbatte in un bel pentolone di veleni datati che emerge a reclamare giustizia da un villaggio sommerso dopo la costruzione di una diga sulle colline toscane: i lavori di manutenzione all'invaso determinano lo svuotamento del lago artificiale di Torre Ghibellina, di cui normalmente si vede solo il campanile svettare dalle acque, e il pellegrinaggio dei residenti alle vecchie abitazioni (il paese è stato ricostruito a quota più alta e rinominato, appunto, Torre Alta) rimette in luce la lapide che ricorda la strage di un'intero nucleo familiare sul finire dell'occupazione nazifascista, a causa della delazione di una presunta spia repubblichina.
Gli anglo-americani istruiranno il caso e passeranno documenti e testimonianze alla giustizia militare della neonata repubblica italiana che, come per altri casi simili, si adopererà per seppellire nell'oblio di un armadio chiuso con le ante contro il muro di una stanza anonima e dimenticata la verità e la giustizia.
Casabona, seguendo il suo istinto di fine e umanissimo investigatore, analizzando le tracce e i documenti troverà il bandolo della matassa, rendendo giustizia alla memoria dei morti innocenti pietosamente custodita dalle acque del lago, ritrovando la voglia di vivere e la propria famiglia: non è un lieto fine artificioso e fasullo, ma l'epilogo più probabile a un momento di crisi attraversato da persone dotate di raziocinio, umanità, buon senso e onestà che intendono "crisi" nel senso greco antico del termine, ovvero cambiamento e trasformazione senza smettere di sognare un mondo giusto e onesto.
LA PIETA' DELL'ACQUA di Antonio Fusco (Giunti - 2015) è un gradevolissimo, anzi, ottimo prodotto letterario poichè evoca vicende con le quali noi contemporanei non abbiamo ancora fatto pace nè chiesto che sia fatta piena luce e quindi giustizia, almeno sul piano storico: potrebbe e, forse nelle intenzioni dell'autore, vorrebbe indurre anche alla riflessione oltre al mero intrattenimento attraverso uno stile linguistico molto semplice e diretto, scevro da figure retoriche e citazioni troppo tecniche o troppo dotte; adotta l'imparzialità del cronista ma anche la passione e la delicatezza del poeta conferendo alla narrazione un ritmo affascinante ed elegante che sarebbe degno di Georges Simenon, quella stagione matura in cui la leggerezza diventa sagacia e bastano poche pennellate di colore per accendere le immagini nella fantasia di chi legge.
(c) 2016 Testo di Claudio Montini
(c) 2016 Foto di Orazio Nullo
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