giovedì 5 febbraio 2015

Radio Patela Magazine - Vendetta in bottiglia da esportazione

Vendetta in bottiglia da esposizione

Fabrizio Borgio

           VINO ROSSO SANGUE

                                                2014    Fratelli Frilli Editore 

  

Testo di  Claudio Montini         Fotografia di Orazio Nullo


"Bevi il vino perchè è sincero!" Ripeteva un'oste amico mio e pure lontano parente ai suoi avventori più affezzionati, quasi fosse una parola d'ordine o un lasciapassare per essere considerati bene accetti nel locale; molti di loro lo ripetevano quando tirava fuori una bottiglia speciale e riempiva loro i bicchieri, senza dir nulla: era quello fatto solo con l'uva della tal vigna, poco zucchero e poco solfito e acqua di pozzo scavato da trisavoli nella notte dei tempi.
Anche i palati più scafati la sentivano subito la differenza e le lingue si scioglievano, lasciando scappare dal recinto dei denti anche notizie, segreti e pettegolezzi che sarebbe stato meglio tacere: di lì derivava la presunta sincerità del vino.
Infatti, esso è una bevanda, un fluido, un liquido duttile e subdolo perchè capace di celare le malefatte degli uomini nascondendo, in qualsiasi recipiente essi lo travasino, le contaminazioni e le sofisticazioni e i travisamenti cui si presta docile, incoscente delle vite che andrà a rovinare: il mercato globale ovvero l'allargamento dei traffici commerciali con paesi poco esigenti sul piano qualitativo ma sensibili al profitto, allargano le schiere dei furbacchioni e condannano i vinattieri onesti all'estinzione.
Giorgio Martinengo, investigatore delle Langhe, protagonista di VINO ROSSO SANGUE di Fabrizio Borgio, edito da Fratelli Frilli di Genova, è uno di questi ultimi: o meglio, è un'ex di molte cose tra cui annovera anche il fatto di essere stato enologo nell'azienda vitivinicola di famiglia, oltre ad essere stato un poliziotto e un paracadutista in un periodo della gioventù in cui la Langa Astigiana gli stava stretta e voleva vedere il mondo oltre le vigne.
Intelligente e curioso, acuto e colto, onesto e rigoroso con sè stesso come con il prossimo suo fino al punto da sembrare antipatico e zelante e anacronistico; forse per pura casualità o per incognita trama del destino, viene incaricato di rinvenire una bottiglia di vino sparita da uno showroom di un Consorzio vinicolo astigiano il cui presidente e proprietario dell'azienda capofila non da notizie di sè da alcuni giorni: la committente, figlia dello scomparso e dirigente del consorzio e dell'azienda di famiglia, vorrebbe fugare il sospetto che le due cose siano correlate e ricondurre l'assenza ingiustificata del genitore a un caso di affari propri in cui nè lei nè il Consorzio dovrebbero entrare.
Durante il primo sopralluogo nello showroom, per un caso totalmente fortuito, si rompe una bottiglia simile per dimensioni ma diversa per contenuto: infatti oltre al vino e ai cocci, sul pavimento si trovano due bulbi oculari umani e la faccenda si complica, sopratutto quando si rinviene il cadavere del titolare di quei bulbi.
Inquirenti istituzionali e Martinengo iniziano ad indagare parallelamente, trovandosi spesso insieme, chi prima chi un'attimo dopo, sui luoghi di altri due omicidi simili nella loro liturgia e legati al vino, a quelle terre e ad altre più lontane dove, in un tempo passato, si è consumata una tragedia amorosa contro chi non aveva mai sognato tanta felicità e tanta tenerezza lontano da casa, dove le proprie prospettive erano solo lavoro, casa e chiesa.
Toccherà a Giorgio Martinengo sollevare il coperchio al tino maleodorante di truffa al metanolo e di operazioni di taglio e mescola vinicola, a filo di legge ma destinati a mercati poveri e poco esigenti, per scoprire che l'amore ha molte facce e la capacità di trasformare anonimi agnelli in belve assetate di vendetta, molto più ferocemente di quanto non sappia fare la cupidigia.
Cambierà, forse maturerà, sicuramente rifletterà l'investigatore delle Langhe dopo un inchiesta come questa; anche Fabrizio Borgio, l'autore, deve avere compiuto questa evoluzione perchè il suo stile, l'approccio, il tratteggio di personaggi e situazioni cambiano nel corso della narrazione: c'è una prima parte in cui sembra con rigore e razionalità ricalcare modelli esistenti, poi, si arriva alla fusione Martinengo/Borgio, complice un coinvolgimento sentimentale con la committente, per cui i maestri che lo hanno ispirato vengono messi da parte ed esce il talento, l'umanità, il gusto e la sensibilità dell'artista non più solo artigiano.
Anche la lingua adottata, un italiano che accoglie con tenerezza e con dolcezza anche espressioni dialettali piemontesi, risente della maturazione della storia e si fa più morbida e piacevole e viva nel procedere all'epilogo della storia, rendendo le immagini e le sequenze sempre più nitide.
Non è, VINO ROSSO SANGUE, la prima opera di Fabrizio Borgio: posso dire con sicurezza che è un'opera in cui si vedono le enormi potenzialità che svilupperà sicuramente in futuro.
Martinengo forse diventerà l'alter ego del suo autore e forse no; tuttavia, non mancherà di stupire con altre inchieste, me lo auguro, perchè si è rivelato una piacevole novità in un mondo di poliziotti con l'esclusiva della genialità o della sfortuna amorosa.
Non sarà Adamsberg di Fred Vargas o Mordenti di Enrico Pandiani e neppure Andrea Lucchesi di Gianni Simoni:ma, il bello è proprio questo, sarà un po' di tutti loro e molto di più... sarà quel che vorrà Fabrizio Borgio!

 (c)  2015   Claudio Montini
   

Nessun commento:

Posta un commento