PRIMA PUNTATA
di Claudio Montini
Carezza le foglie dei
platani allineati lungo il viale la brezza profumata e tiepida,
figlia del temporale della sera precedente; è mezzogiorno per il
cielo, macchiato soltanto qua e là da nubi stracciate e stirate,
mentre per gli orologi umani è già la prima ora del pomeriggio.
Il calendario strilla che
è giugno, ma la diffusa dolenzia della mia carcassa umana mi induce
a maledire l'ennesimo giro di lancette regalato dai veleni che Miss
Catetere, flessuosa e sinuosa come un'aspide del Nilo, mi ha pompato
nelle vene dopo avermi cavato quel che resta del mio sangue
radioattivo: la sentenza era già stata scritta quando apposi la mia
firma in calce al contratto con la Outer Space Enterprises a
Pasadena; ora stanno tutti aspettando che gli isotopi la smettano di
rimbalzare sui tessuti del mio organismo per liberarsi di un
eventuale testimone scomodo o, improbabile migliore delle ipotesi,
per concepire tute per camionisti spaziali più resistenti alle
emissioni dei materiali che si vanno ad occultare sul satellite che
regola le maree e gli umori delle donne e della gente.
Così come aveva scritto
Oscar Wilde, per nascondere una cosa non c'è di meglio da fare che
metterla sulla mensola del camino, anche andare e tornare dalla Luna
era diventata una faccenda che non appassionava più la platea
televisiva e l'opinione pubblica che coincide con quella perchè il
gioco è bello quando dura poco e, se a giocare sono sempre i soliti,
stanca anche abbastanza rapidamente: gli addetti ai lavori avevano
già pronti nuovi anestetici per le coscienze mondiali.
Ma io volevo fare
l'astronauta a tutti i costi e quella era l'opportunità che
aspettavo da sempre...
«Ehi
amico, oggi è domenica! Quando viene Sorella Agonia a farti
ascoltare la benedizione del Vescovo Bianco, dille di lasciarti il
telecomando della televisione che poi ci penso io...».
Apri
un occhio, quello di sinistra: la porta era socchiusa e, dalla
striscetta di corridoio che si vedeva, non sarebbe potuta passare la
voce che mi si era infilata nelle orecchie e vagava nella testa in
cerca d'autore; Tom non poteva aver parlato poichè erano già tre
giorni che era partito per l'ultimo volo, dopo avermi tenuto sveglio
una notte intera raccontandomi della sua terra, della famiglia, dei
pasticci combinati dalla sua generazione (che era anche la mia) e di
un gatto che guardava la televisione, ma soltanto quando erano in
onda i film con Robert Mitchum oppure un programma domenicale di
musica pop perchè impazziva per la canzoncina su disegno animato che
apriva e chiudeva ogni puntata della trasmissione.
«Dai
Jerry bello... Sento il davanzale che trema, perciò la suora di un
certo peso non deve essere lontana... Fai un piacere a un gatto che
ha tanta nostalgia di casa.»
Va
bene: ora apro quello di destra, quello più sano e la finiamo con
questa commedia, care le mie sinapsi sotto assedio di morfina e
metastasi!
Eh
no! Ohibò! Per Bacco, per Giove e tutti gli dei dell'Olimpo intero!
Il gatto c'è eccome, in carne e ossa, vibrisse e coda che ondeggia
come un radar di prossimità dietro la schiena pelosa; le quattro
zampette allineate davanti a sè, piega la testa ora da un lato ora
dall'altro mentre le orecchie vanno per conto loro in cerca di suoni
o vibrazioni da captare; lo sguardo, tra il dorato e il verde acido,
ha la stessa espressività che una leggenda hollywoodiana attribuiva
a Robert Mitchum quando disse a un giornalista o a un regista che non
gli andava a genio, "Io ho solo due espressioni: quando sono
serio e quando rido""Ok, la prima va bene:.. l'altra?"
Senza un muovere un muscolo della faccia, rispose:"Beh? Non vedi
che sto ridendo?".
- continua -
(c) 2016 testo inedito di Claudio Montini da un'idea di Silvio Curti
(c) 2016 immagine di Orazio Nullo "Television cat show"
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