lunedì 13 giugno 2016

Letti & piaciuti: LA BAMBINA CHE NON SAPEVA PIANGERE di Elda Lanza (Salani, 2015)

PARTIRE PER MERITARSI IL RITORNO: NAPOLI E' L'ITACA DI MAX GILARDI


di Claudio Montini



Ci sono e si saranno tanti modi per definire il concetto occidentale con cui si indica l'esistenza biologica e spirituale degli esseri umani in ordine alle implicazioni dovute alle relazioni e agli scambi interpersonali, alle emozioni e agli affetti che generano e provocano, alle presenze o alle assenze della ragione o del suo contrario.
Un romanzo, seppur d'amore con un morto, come LA BAMBINA CHE NON SAPEVA PIANGERE di Elda Lanza (Salani Editore, 2015) è una mirabile, geniale, elegante, affascinante ed intelligente invenzione che insegna divertendo moltissime cose sull'argomento detto; ci riesce con la leggerezza e la spensieratezza di un passatempo, tanto che nemmeno ci si rende conto delle quasi quattrocento pagine e degli oltre cinquanta capitoli in cui si articola la quinta avventura di Massimo Gilardi, avvocato napoletano già stato commissario di pubblica sicurezza a Milano, e della squadra che con lui evoluisce fino a cogliere il bandolo di matasse ben ingarbugliate, anche quando esse sembrano essere figlie di casi di apparente lampante soluzione.
LA BAMBINA CHE NON SAPEVA PIANGERE è una donna cui sin dall'infanzia è stato imposto di reprimere lacrime e sentimenti, parecchio maltrattata dal destino e dalla vita, che viene ritrovata a casa del padre, uscito dalla sua vita alcuni decenni prima, col suo cadavere sanguinante tra le braccia e la pistola "calda e fumante" a poca distanza da sè sul pavimento del salotto; viene arrestata nonostante lo stato confusionale e la contemporanea crisi isterica post traumatica, tanto acuta da ridurla a uno stato tra il catatonico e il neurovegetativo, e viene ricoverata in attesa di giudizio in una struttura napoletana specializzata nell'assistenza a questo genere di pazienti. Insomma, non può difendersi e non può dare la sua versione dei fatti: tanto basta a stuzzicare l'innato istinto per la giustizia che alberga in Massimo Gilardi, stimato e valente principe del foro partenopeo, non ufficialmente specializzato nella soluzione di casi disperati e complicati con cui cavare dai pasticci i poveri cristi dai più designati come come capri espiatori.
Non è un cavaliere errante dispensatore di giustizia per deboli e nemmeno un raddrizzatore di torti: è un uomo dotato di certezze e di debolezze come tutti gli altri ma che non smette mai di seguire virtù e conoscenza, come l'Ulisse cantato da Dante nella Divina Commedia; viaggiando su questi due binari, indagherà e farà interrogare dai suoi collaboratori una serie di personaggi eterogenei, magistralmente stilizzati e caratterizzati da Elda Lanza, i quali, senza perdere mai di vista i propri interessi, disegneranno un ritratto di Gilla Floris, presunta assassina per caso, sufficiente a Max Gilardi per girarsi e vedersi un film nella testa riguardo alla dinamica dei fatti e al movente.
L'autrice lo proietta anche per noi sullo schermo di un apposito capitolo con cui ci fa sbirciare nel mondo segreto del coma vigile dell'imputata: ma nel successivo, emerge un piccolo dettaglio, un particolare, un lascito di un episodio del passato sul corpo di Gilla, notato e ricordato persino dalla figlia Carolina eppure sottovalutato da tutti, che bollerà e casserà come fantasiosa e infondata ogni congettura (anche quelle fin lì fatte dai lettori); prenderà corpo un nuovo quadro della dinamica dei fatti che consegnerà all'avvocato difensore la verità da ratificare nel dibattimento processuale, ovvero quella che scagiona la sua assistita.
Poichè la vita non è soltanto fatta di virtù e conoscenza, ma anche di istinto e sensazioni con attrazioni più o meno fatali e relazioni più o meno clandestine, scorrendo essa nonostante noi e le nostre convinzioni, ecco che dalle indagini sorge e si salda e cresce l'altra elica che compone il DNA de LA BAMBINA CHE NON SAPEVA PIANGERE e che fa capolino dal sottotitolo di questo bel romanzo di Elda Lanza, novantenne di belle speranze con un passato di conduttrice televisiva, giornalismo e docenza universitaria nell'ambito della storia del costume: romanzo d'amore con un morto.
Durante la lettura, si assiste alla nascita e ai primi passi di una storia d'amore tra adulti consenzienti ma, in controluce, si intuiscono molti altri tipi di amore ciascuno a modo suo complicato dalla natura e dalla psicologia dei personaggi che l'autrice rende vivi e unici con felice, leggero e garbato tratto di penna e un sapiente uso della lingua italiana e della sua punteggiatura.
L'evoluzione della cifra stilistica è tale per cui, senza scadere nella volgarità o nel parodistico, si "vedono" i personaggi con le loro fattezze, espressioni e movenze sin dal modo di esprimersi nel dialogo così come accade per le scne in cui sono coinvolti, travolti dalle passioni o dagli eventi; il ritmo della narrazione è incalzante e fluido al tempo stesso grazie a capitoli ben definiti e non lunghi, dialoghi serrati e poco inclini all'eccesso insieme a descrizioni precise ma essenziali affinchè resti sempre ampio spazio di manovra per il cervello del lettore.
Così viene stimolato l'impulso a seguire l'evoluzione del viaggio di Max Gilardi sempre partito per meritarsi il ritorno e la sua Penelope perchè ogni uomo, anche se non si muove dalla propria sedia, parte e qualche volta ritorna per meritarsi un posto (per sentirsi vivo, come avrebbe sostenuto Pavese), per meritarsi un'affetto o una donna che, in ogni caso meglio d'una moltitudine di uomini, sarebbe sempre in grado di costruire ponti tra passato e futuro senza distruggere adattandosi alle pieghe del destino.
Esattamente come ha fatto Gilla insegnando a piangere a sua figlia Carolina per liberare il cuore dai pesi che inevitabilmente si accumulano; come farà Paola, intuendo la fine del matrimonio con Max però trasformando l'amore che aveva ancora da dargli in armonia e affetto per la famiglia allargata, come si usa dire oggigiorno; come fa, con grande senso pratico Olga, optando per il pendolarismo affettivo tra Toscana, casa degli affari, e la Campania, casa del cuore, per non rinunciare a sè stessa e al suo passato e per vivere il suo presente arricchito dall'amore senza invadere spazi non suoi, cioè presentandosi ai figli di Max e Paola come una nuova zia.
L'Ulisse partenopeo ha superato davvero le colonne d'Ercole, senza cascare dall'orlo dell'Oceano: è tornato tra le braccia della Penelope toscana scoprendo che il cielo è azzurro sopra Napoli e, forse proprio da lì, tutto può ripartire ricominciando ad amare anche con il cuore, non solo con la testa.

© 2016 Testo di Claudio Montini - foto di Orazio Nullo



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