Il giorno in cui si dovrebbe festeggiare san Marco evangelista, l'Italia si mette il vestito della festa e la fascia tricolore per ricordare la fine di una guerra civile, combattuta senza quartiere e senza pietà in coda un conflitto mondiale perduto perchè schieratasi dalla parte sbagliata. Certo, chi vince ha sempre ragione e sulla base di questo assioma si arroga anche il diritto di scrivere la Storia: peccato lo faccia intingendo la penna nel sangue della gente comune, cioè di coloro che tengono cara la pelle e si arrabattano per riempire la pancia troppo spesso vuota, finendo per fare scelte di campo quasi mai dettate dalla ragione, dalla morale, dalla tensione ideale. Il grande Totò, quando scrisse " 'A livella", pensava proprio alla morte come pareggiatrice di tutti i conti, alla morte che spoglia nobili e villani dei loro gradi come dei loro stracci, partigiani e fascisti delle loro divise e delle rispettive armi, affinchè i vivi e i posteri che l'avessero ascoltata mettessero da parte l'orgoglio e la meschinità per quei tre giorni che dobbiamo stare al mondo, onde vivere in pace la breve parentesi che ci è concessa in questa valle di lacrime. Non si sa, o almeno io non so, chi e come abbia composto il testo di " Bella ciao" assunto come canto per eccellenza dei partigiani italiani e della loro epopea riguardante la lotta contro le truppe naziste (in ritirata) e fasciste della Repubblica di Salò loro alleate; la melodia pare risalga a tradizionali canti popolari di mondine del XIX e XX secolo; forse è addirittura un canto di emigranti, come Yves Montand (al secolo Ivo Livi da Monsummano Terme, Pistoia), che in questo video registrato negli anni '60 del secolo breve ne da una interpretazione minimalista ed esistenzialista, tipica del periodo, ma notevolmente efficace perchè pulita e scevra da qualsivoglia prurito retorico, celebrativo o commemorativo: è come un bicchiere di acqua fresca in una assolata giornata di luglio e restituisce la forza che doveva trarne chi, cantandola magari sottovoce, marciava con l'anima in spalle e l'artiglieria col colpo in canna tra le braccia sognando di fare l'amore in un mondo di pace, senza più fame e senza più guerra.
(c) 2017 Testo di Claudio Montini
Video condiviso da youtube.com (caricato da Istvan Piroth nel 2014)
Michele Scarponi, per una distrazione o per una leggerezza di un'altro utente, ha terminato la sua carriera di ciclista professionista su strada sabato 22 aprile 2017, disteso esanime su quell'asfalto che amava mordere e attaccare quando s'inclinava verso una vetta da scollinare. Per noi sportivi da poltrona e telecomando, capaci però di appassionarci e commuoverci fino alle lacrime nel vedere le smorfie di fatica, le gocce di sudore e la gioia stravolgente di fachiri del pedale che tagliano traguardi a braccia levate al cielo, è stato come perdere un'amico fraterno, un sodale da ammirare, una persona da stimare perchè ha fatto della tenacia e della resistenza il mestiere con cui portare a casa il pane per la sua famiglia. Il ciclismo è uno sport individuale che, allo stesso tempo, sa essere anche sport di squadra e non vive di episodi o di tattiche ma di sensazioni, di sentimenti, di cuore, cervello, muscoli e polmoni, di umanità, di dignità e di coraggio: è altra cosa dal calcio, dal calcio, dal basket, dal volley; lì gli atleti sono attori schierati su un palcoscenico che, comunque, rimane distante dal pubblico: chi corre in bicicletta, no, lo fa sulle strade che la gente comune percorre per andare a scuola, a lavorare, a fare una visita dal medico specialista o a portare fiori al cimitero. Chi corre in bicicletta, anche per mestiere, lo fa in mezzo a quella stessa gente comune che aspetta dietro le transenne all'arrivo di una tappa o si apposta sul ciglio delle strade tormentate che ascendono i fianchi delle montagne, per godere di un fuggevole frinire di ingranaggi e catene in un lampo di schiene colorate, ma anche per gridare l'entusiasmo e l'incoraggiamento a resistere ai morsi dell'acido lattico nei muscoli, alle sferzate della pioggia o del fango o del vento o della neve, a ciascuno di quei "ragazzi" impavidi che mettono i loro sogni di gloria su due ruote e li spingono sino al traguardo per sollevare la testa e le mani al cielo, quando la ruota anteriore sarà davanti a tutte le altre. L'applauso c'è per tutti, per chi è in fuga in testa alla corsa come per chi arranca nelle retrovie; così dovrebbe esserci rispetto per tutti quelli che vanno sulla strada, per mestiere o per sport o per diletto o per altra necessità, con qualsiasi mezzo e non ci sarebbe nemmeno bisogno di dirlo, se tutti rispettassero le regole di buonsenso e prudenza prima ancora che quelle del codice della strada: ora, resta solo lo sgomento per un uomo, un padre, un amico che a trentotto anni scarsi lascia la moglie e due figli.
(c) 2017 Testo di Claudio Montini (c) 2016 Immagine di Orazio Nullo "Life different prospects" - Atelier des pixels collection
Da una settimana non ho idee da condividere con voi in questo spazio in cui provo a fare l'intellettuale, il poeta, il narratore e (vil razza dannata, per dirla col padre putativo della nostra bella lingua italiana) il giornalista. Non è dovuto al fatto che quello che pubblico qui sia del tutto gratuito, anche e sopratutto per le mie asfittiche tasche; succede, ogni tanto, che la vita e i suoi accidenti prendano il sopravvento e reclamino più attenzioni del solito: pertanto, accade che le ambizioni e le velleità artistiche, evanescenti per definizione, vengano accantonate in attesa di tempi migliori...Nemmeno quando Boito o Illica composero le parole per Traviata o La Bohème ("...vissi d'arte, vissi d'amor..." per esempio), si campava di quello e si penava solo per quello. E' la stanchezza che subentra all'esercizio continuo della speranza di un miglioramento, di una guarigione (troppo spesso miracolosa e perciò improbabile), della visione di un panorama rassicurante alla fine di una galleria angusta e perigliosa e tortuosa, è tutto questo che riesce a mettere in fuga la voglia di rifugiarsi nell'arte e nella fantasia del comporre a piacimento parole e pensieri. Le regole di un blog, quelle non scritte, sono dettate dalla compulsione a produrre scritti come se fosse indispensabile una visione distorta, aberrante, alienante del fordismo liberale che ha fatto del XX secolo ciò che è stato: devi continuamente pubblicare, anche sciocchezze o contraddizioni rispetto a ciò che hai sostenuto, pur di continuare a tenere desta l'attenzione su questo infinitesimale posto al sole virtuale che hai conquistato, magari non gridando più degli altri bensì gridando in modo differente le medesime stupidaggini.
La memoria corta o cortissima o addirittura inesistente del popolo bue, degli starnazzatori istituzionali o dei pappagalli cui i colori e lustrini non bastano più per mettersi in mostra faranno il resto del lavoro sporco, diffonderanno il virus della sciatteria da tastiera, regalando pubblicità e prestigio a chi non se lo merita o non sa che farsene. La paga, alla fine, saranno le briciole della torta che si sono già spartiti i manovratori indisturbati nella stanza dei bottoni, foraggiati dalle nostre tasche piene delle loro promesse vane.
(c) 2017 Testo di Claudio Montini (c) 2012 Foto di Orazio Nullo ritoccata da Federico Bacheca
Scrivo a ridosso di mezzanotte e vorrei andare a dormire giusto per svegliarmi, a Dio piacendo, la mattina di Pasqua. Fin dalla più tenera età, ci hanno insegnato che è una notte speciale per noi che adoriamo il crocifisso, forse ancora più importante di quella che porta i regali e il panettone, ma ancora più misteriosa e più difficile da comprendere, da sentire sulla pelle e nelle ossa; crescendo, le abbiamo dato sempre meno importanza concentrandoci sulla concomitanza di due giorni di festa, nella bella stagione, utili a capire e provare le prospettive dell'estate che ci attende e che attendiamo da tutto l'inverno. In fondo, siamo solo esseri umani, limitati nei mezzi e legati agli istinti oppure storditi dai dogmi e dai loro erronei profeti: chiediamo miracoli così come i nostri antenati impetravano prodigi a statue antropomorfe, una per ogni specifico fenomeno altrimenti non spiegabile, imprecando e lamentandoci se la ruota della fortuna non gira dalla nostra parte. Ma la cosa peggiore è costituita dalla montagna di idee, parole, pensieri, opere e omissioni che non smettiamo di collezionare per giustificare, inquadrare, regolamentare il dono misterioso che ci è stato fatto in una notte come questa, fatta per credere ad avvenimenti tanto lontano da noi ma che ci fanno guardare al cielo con occhi diversi: eppure era stato chiarissimo e sintetico spezzando il pane con loro, in attesa del suo "passaggio", mentre festeggiavano e ricordavano quello di Mosè. Aveva dato un comandamento nuovo, unico, universale e una preghiera che era programma di comportamento e invocazione alla pace, alla giustizia, alla fratellanza: aveva donato un sogno nuovo e una nuova speranza, prima di aprire una strada nuova che avrebbe portato a una nuova valle, a una nuova terra, a una nuova vita attraversando il mare oscuro del dolore e della morte. Dobbiamo ritornare a quei giorni, ascoltare di nuovo quelle parole, portarle con noi e spenderle nel nostro tempo affinchè abbia ancora un senso augurarci Buona Pasqua, ovvero che non sia solo scaramanzia per contare su due giorni di sole da spendere in vacanza.
(c) 2017 Testo di Claudio Montini
(c) 2016 Immagine di Orazio Nullo "Miracles and desires night" -Atelier des pixel collection
I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale.
Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare.
Testo tratto da "Costituzione della Repubblica Italiana" ed. 2011 distribuita da "La Provincia pavese" con il numero del 17 marzo 2011 festa dell'unità nazionale, della costituzione, dell'inno e della bandiera. (c) 2015 immagine di Orazio Nullo "Thank you, mr. Mondrian" - Atelier des pixels collection
Un uomo coraggioso ed elegante, dalla penna scorrevole e affascinante solida compagna di un italiano cristallino, corretto e performante: Marco Buticchi. Per chi ama le belle lettere d'avventura basterebbe questo per correre a Voghera, nella cornice del museo storico Beccari, ad ascoltare il "Wilbur Smith italiano" raccontare della sua più recente fatica letteraria una storia italiana e non solo, una parabola umana e non solo perchè è anche una dichiarazione d'amore imprescindibile al proprio padre. Per chi lo ha letto, come il sottoscritto in un momento difficile della propria vita, sarà l'occasione di ringraziare un maestro di letteratura e di vita che conserva l'umiltà geniale dei maestri artigiani, capaci di amare la vita e il proprio lavoro e fare di entrambe un capolavoro che fa del bene al prossimo suo. Io ci sarò per dirle "Grazie" anche a nome di Mari, cui ho riassunto CASA DI MARE mentre era in coma nella stroke unit: se ha deciso di tornare tra noi, di lottare per superare l'handicap che l'ictus le ha provocato, sarà stato il desiderio di leggersi da sè il libro. E credo proprio che lo farà!
Il 21 Aprile, alle ore 18, presso il Museo Storico "G. Beccari" di Voghera (PV), l'avvocato dottor Antonio Rossi dialogherà con il dottor Marco Buticchi riguardo a CASA DI MARE (2016 Longanesi).
(c) 2017 testo di Claudio Montini
(c) 2017 foto di Elisabetta Balduzzi tratta dal profilo facebook
Ogni tanto sogno una macchina che riavvolga il tempo, per poter finalmente vedere dove ho sbagliato, per tacitare la coscienza e per smettere di lamentarmi dei miei giorni. In fondo, buona e cattiva sorte altro non sono che facce della stessa medaglia che uno sconosciuto lancia in aria, prima di abbracciarci in un valzer che può durare tutta la vita: quando la medaglia termina le sue piroette per aria, in mano al danzatore ignoto oppure a terra, finisce la nostra canzone e scendiamo dalla pista da ballo, volenti o nolenti e soddisfatti o beffati a lui non importa. Abbiamo, però, la fortuna di lasciare in coloro che restano un segno, una traccia, un ricordo dei nostri volteggi e dei nostri passi sbagliati e recuperati: la memoria è la nostra salvezza e la sfida all'oblio che divora secondi, minuti, ore, giorni, mesi e anni e secoli e millenni restituendoli alla polvere che scorre, per uno stretto gorgo, da una curva all'altra dell'infinito. Ricordare è la missione dei sopravvissuti, una macchina che riavvolge il tempo risparmierebbe fatica ed errori a chi deve conservare e trasmettere le lezioni dei tempi che sono stati.
(c) 2017 Testo di Claudio Montini
(c) 2016 Immagine di Orazio Nullo "Twenty-second century engine"
Agli albori della scienza informatica moderna, (grosso modo gli anni '50 del XX secolo) il filosofo e matematico Bertrand Russel, ai suoi allievi, ricordava che un computer è uno stupido estremamente veloce nel fare calcoli; solo qualche secolo prima l'uomo aveva inventato la polvere da sparo e le bombe, pensando di avere trovato la soluzione al problema della durata dei conflitti e del volgere i loro esiti a vantaggio della propria parte, con maggiore efficacia dirompente possibile; quando Werner von Braun aveva inventato i missili per il Terzo Reich ed esportato quella tecnologia negli Stati Uniti, rimanendo affascinato dai progressi nel campo del calcolo e del controllo numerico, si sono compiuti i primi passi verso quegli ordigni micidiali che, con un eufemismo infelice di matrice giornalistica, chiamiamo bombe intelligenti o sistemi d'arma tattici. Altro non sono che missili teleguidati (nel senso greco del termine, cioè guidati a distanza), ovvero dotati di dispositivi che calcolano rapidamente le probabilità associate a un certo numero di opzioni, basandosi su dati rilevati da sensori elettronici ed elettrotecnici oppure caricati oppure trasmessi via radio dalla base di lancio. Rispetto ai "normali" strumenti di artiglieria, sono leggeri, manovrabili, duttili ad ogni impiego e adattabili ad ogni supporto; non generano sprechi, come colpi a vuoto, poichè la loro traiettoria è relativamente correggibile e sono relativamente precisi; sono difficilmente neutralizzabili da parte degli offesi o difensori. Donald J. Trump, da presidente degli Stati Uniti e comandante in capo delle forze armate (da sempre prerogativa presidenziale) ha ordinato il bombardamento della base aerea siriana dalla quale, secondo i rapporti dello spionaggio militare, sarebbero partiti i velivoli che hanno irrorato di gas nervino e gas tossico una cittadina del paese vicino orientale, rea di ospitare un grosso contingente di ribelli ostili all'attuale regime di Bashar al-Assad. Non sono un po' troppi 59 missili per una base sola? Se non ricordo male, un cacciatorpediniere ne può caricare e sparare, senza danni strutturali, al massimo 24; quindi le unità lanciatrici erano più di una oppure sono stati immessi, nelle bande di ascolto, dei segnali civetta che hanno moltiplicato i rilevamenti radar. Inoltre il Tomahawk è un sistema d'arma piuttosto "evoluto", un tantinello più preciso dei vecchi Cruise e dei Pershing che, fatte le debite proporzioni in tema di tecnologia, si tiravano con il tirasassi. Non che voglia dare ragione ai tecnici dell'Armata Rossa, che sostengono che solo 23 missili hanno colpito la base e zone limitrofe e gli altri 36 sono da segnalare a "Chi l'ha visto?"...però è vero che, in guerra, la prima vittima è la verità, poi vengono civili e combattenti. Tuttavia, non dovrebbe sfuggire a nessuno la tempistica dell'azione: il premier cinese è ospite degli Stati Uniti per una rinegoziazione dei traffici commerciali e (sopratutto) finanziari sino-americani, dei bimbi gasati a mr. Trump non importa un fico secco dal momento che non ce li avrebbe voluti in America nemmeno da vivi (vedi i reiterati ordini esecutivi sugli ingressi di stranieri da paesi "canaglia"), pochi giorni prima la Corea del Nord ha eseguito una serie di test missilistici infischiandosene della comunità internazionale e della scarsa pazienza del nuovo inquilino della Casa Bianca. Se tra indizi fanno una prova, ce n'è a sufficienza per capire che il messaggio di quei missili non era diretto alla Siria ma alla Corea del Nord, che tra uomini d'affari un'accordo vantaggioso o un ricco compromesso si trova sempre perchè la torta se, ben divisa, sazia tutti e che, infine, per Usa e Cina e Russia è tempo di sbarazzarsi dei bulletti di quartiere e degli invasati religiosi per spartirsi il mondo e le ricchezze potenziali che ancora ospita e promette.
(c) 2017 Testo di Claudio Montini
(c)2011 Fotografia di Michele Pini dal profilo facebook
I cittadini hanno il diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi.
Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso.
Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.
Testo tratto da "Costituzione della Repubblica Italiana" ed. 2011 distribuita da "La Provincia pavese" con il numero del 17 marzo 2011 festa dell'unità nazionale, della costituzione, dell'inno e della bandiera. (c) 2017 immagine di Orazio Nullo "Fishermans village" - Atelier des pixels collection
Spegni la demiurga tivù e accendi la voglia di aprire un libro, anche una vecchia enciclopedia può riservare sorprese, basta la luce del sole e le pagine parlano da sole: non serve che clicchi basta far ballare gli occhi e pensare, immaginare, leggere e ripetere ad alta o bassa voce. Quante cose scoprivamo sfogliando gli atlanti di geografia, non per le cartine o le mappe, ma per le fotografie di posti e animali che non avremmo mai immaginato di vedere, noi che restavamo a bocca aperta quando vedevamo le scie tracciate dai jet che univano il vecchio e il nuovo mondo, oppure un caccia militare sfrecciava sopra le punte dei campanili abbattendo il muro del suono con un boato che faceva tremare i vetri della scuola o della casa. Non erano tempi facili nemmeno quelli, ci mancavano tante cose quante ce ne mancano adesso e capitavano fatti brutti tanto quanti ne accadono adesso; avevamo paura, avevamo fame, avevamo malattie che non sapevamo combattere; eravamo ingenui e influenzabili esattamente come lo siamo adesso che ad ogni ora del giorno e della notte abbiamo un telegiornale, un'inviato speciale, un testimone esclusivo o un messaggio a reti unificate che ci invita a cambiare materasso, a volere un divano nuovo, a ritrovare la felicità con un detersivo eccezionale o uno yogurt o un liquore che riempie la vita di significati e la svuota di scorie azotate, tanto la carta igienica e a chilometraggio siderale e illimitato, a cambiare macchina per correre al mare o per lavare pentole e panni sporchi in famiglia o con gli amici, felici fino alla paresi mandibolare per della carne in scatola o una mozzarella sintetica. Sì, davvero, te ne prego e scongiuro, San Telecomando facci la grazia di liberarci dai consigli per gli acquisti! Ma quali acquisti? Con che soldi, se facciamo fatica a trovare un lavoro onesto? Se dobbiamo decidere, giorno dopo giorno, se curarci o mangiare? Che mi lamento a fare, tanto il mondo continua a girare... Una volta guardavo la televisione con passione e avidità perchè mi portava in casa quel mondo che non avrei mai potuto visitare, conoscere, apprezzare: adesso è pieno zeppo di illustri sconosciuti o di idioti fin troppo noti che sbraitano e sgomitano e scalciano e s'azzuffano senza venire a capo di nulla, senza vergogna, senza ritegno. Si sono moltiplicati i canali, ma la zuppa melmosa è sempre la stessa, sempre uguale, persino sincronizzata: non c'è un gabbiano che si levi dalla palude e ci porti lontano, una volta sapevo sognare e cercare la verità anche nell'illusione di luci e paillettes del tubo catodico. Me ne pascevo quando avevo i sogni in affanno, le batterie dell'immaginazione un po' scariche ed ero a corto di giochi: ora, se non cediamo a polveri e pillole, per sognare ci tocca dormire e non ci basta più suonare il nostro rock. La materia grigia nella scatola cranica aspetta solo di sgranchirsi le sinapsi, la lingua vuol smettere di fare il bidet al prepotente di turno sperando che gli lasci almeno briciole di zucchero, la bocca anela aria fresca che riempia i polmoni e dia nuova vita al sangue che vorrebbero cavarci per proseguire la loro comoda vita. Azzeccagarbugli dei miei stivali (logori e bucati) non avrete il mio scalpo! Avrete solo le mie parole: è l'unica arma che mi resta, oltre una croce a matita su d'un pezzo di carta che ripiegherò e infilerò dentro un urna, dopo la tassativa pubblicità. Oh San Telecomando, accendimi il cervello spegnendo la fiacca tivù!
Salve forestiero: la fortuna cieca e il fato baro ti hanno portato sin qui a incontrare il mio cuore di mattoni cotti dal sole e dal vento, sferzati di pioggia e di vento e di neve. Il Tempo e la Storia sono scivolati sulla loro superficie impregnando anche gli intonaci di memorie tramandate e conservate dai vincitori e dai sopravvissuti, perchè l'imponenza del manufatto, da sola, dura poco più di chi l'ha creata e non ha facoltà di parola: se viene fagocitata dall'oblio del silenzio, se rimane senza testimoni, essa si perde nella polvere da cui è sorta e in cui sono dispersi, ben prima di lei, i suoi artefici. La natura si riprende sempre ciò che le è stato sottratto, per restituirlo sotto altre spoglie destinate a un'altra vita. I re comandano le guerre che i popoli, per lealtà o per dovere, pagano con tributi di sangue e di gioventù portandole a termine: i vincitori si affannano a scrivere la Storia per compiacersi e giustificarsi delle loro imprese, tacendo e mistificando a propria convenienza; chi sopravvive alla tragedia, si secca la gola per raccontare mille storie di eroi e d'infami, mescolando dolore e pietà con verità e leggenda, a beneficio e istruzione delle generazioni successive che abbiano ancora voglia di ascoltare. A suffragio della verità delle proprie parole, entrambe le schiere di narratori additano e descrivono case e templi, simulacri e reliquie, lande e borghi che sono stati teatro o semplice quinta o fondale di scena degli eventi che vanno narrando, purchè siano ancora lì in piedi da vedere. Quel che manca, come sempre, lo aggiunge la fantasia di chi ascolta e di colui che racconta. Quel che resta è ciò che il Tempo, un galantuomo che sa fare il suo mestiere, lascia levigando gli spigoli dei ricordi e distillando il tutto in quella materia impalpabile e altamente malleabile che gli umili chiamano memoria e i signori, scaltri e potenti, indicano col nome di Storia seppellendo la verità sotto una montagna di carte, di codici e pareri autorevoli. Raggiungermi non è difficile, sebbene io non sia da secoli nelle prime posizioni delle tabelle di marcia dei pellegrini per fede o per diletto: del resto, non ho mai fatto molto per mettermi in mostra, amo la placida tranquillità della campagna che mi circonda. Però, oggigiorno, non è nemmeno difficile sapere delle piccole gemme antiche che custodisco e che sono la ragione per cui vale la pena venirmi a trovare: pensa che se digiti il mio nome in bocca al ficcanaso globale elettronico, è capace di farti vedere anche se c'è qualcuno che, davanti al mio castello, aspetta che apra la farmacia e butta un'occhiata distratta al monumento all'unico soldato italiano che abbia mai vinto una guerra: il milite ignoto vestito da fante della prima Guerra Mondiale. Ma tu sei già qui e stai anche dando un'occhiata ai tanti nomi di quelli che non sono tornati: troppa gioventù sprecata, altro che Lomello riconoscente ai suoi figli caduti per la patria. Come tanti altri miei colleghi, ne avrei fatto volentieri a meno di vederli partire giovani, vivi e forti e tornare in una cassa da morto o storpi o malati. Scusami, sto parlando come un vecchio patetico... Allora, prima di parlarti della chiesa prepositurale di Santa Maria e del battistero di San Giovanni ad Fontes che sono le mie parti più antiche (considera un'arco di tempo tra il X e il XII secolo dopo Cristo) mentre la chiesa di San Michele e il castello sono tra le più giovani (hanno tre o quattro secoli di meno), vorrei spendere ancora altre parole su di me che ti mostreranno un'immagine della mia anima che le pietre, i mattoni, le guide e le altre enciclopedie non ti daranno mai. Sono nato in una terra ricca d'acqua e un tempo, ormai distante alcuni secoli, anche ricca di boschi fitti e affollati di selvaggina, trapuntata di fontanili e prati e marcite, con piccoli dossi argillosi e sabbiosi. Tutti questi dettagli insieme all'assenza di grossi ostacoli orografici, ha fatto in modo che questa porzione di Pianura Padana diventasse un posto ideale tanto per scorribande di esaltati di ogni genere quanto per dimore del buon ritiro, dove stare alla larga dai veleni e dagli intrighi delle segrete stanze del potere temporale, così come culla di bontà e prelibatezze. Da me, la Storia si è fermata poche volte e solo per abbeverare i cavalli, rifocillarsi e curarsi graffi e ferite, stringere patti anche matrimoniali ( di cui ti dirò in seguito ) e ripartire più forte e più sana verso altre terre e verso più memorabili imprese e rocambolesche avventure; tuttavia non ha mancato di lasciare segni del suo passaggio, a volte per caso ma più spesso per necessità: un castello, una via o un ponte, un tempio o solo un'edicola votiva. Altrove, per molto meno, ci si gonfierebbe il petto facendo la ruota come pavoni con ogni forestiero che si presentasse curioso di cimeli, reliquie e antiche mura ostinate nello sfidare i secoli: qui la memoria dura un giorno, al massimo due o tre, come le rose, paragonata alla lunga catena dei secoli che ti hanno portato qui oggi. Se tornasse Cicerone a dirmi che " Historia magistra vitae est " gli riderei in faccia, anche se all'epoca del suo consolato ero già un satellite nell'orbita di Roma, da almeno un secolo. In fondo, le tribù dei Levi che erano scese dagli Appennini liguri e dalle morene monferrine, non avendo alcuna nostalgia del mare con cui litigavano per il pesce e per la terra inclinata e dura su cui piantare capanne, ma avendo da quello imparato a cavare il sale da scambiare con le genti di pianura, erano desiderose di vivere senza doversi sempre guardare le spalle, capaci di adattarsi a ciò che trovavano e fare scambi proficui. Ai Romani piaceva la campagna boscosa e ricca di fontanili e fiumi limpidi e pescosi: chissà perchè, acqua e terra da lavorare, con le mani e con gli aratri, li rilassava e smettevano di pensare solo a menar le mani con gladi e lance; ai Levi, piacevano quei prodi operosi con cui si facevano spesso buoni scambi e, sebbene avessero preso a comandare a destra e a manca, avevano pensato da subito alla sicurezza e all'ordine per tutti cingendomi con una palizzata e un fortino in cui anche chi pensava ai commerci e agli stomaci potesse trovare conforto e scampo dai predatori randagi d'ogni razza e stirpe, che anche allora non mancavano. Gli uni pensavano alle armi, gli altri al benessere senza stare a cavillare sul fatto di doversi romanizzare, conveniva ai traffici di entrambe le parti! Gli dei, anche se avessero cambiato nome, avrebbero continuato a stare oltre le nuvole e sotto la terra che calpestavano mentre tutti quanti loro che stavano nel mezzo dovevano mangiare, mettere su casa, prosperare e fare figlioli che li avrebbero sostenuti nella vecchiaia: finchè il cielo non fosse caduto sulla testa, d'altra parte, c'era rimedio ad ogni cosa. Allora vennero le strade che ricongiunsero il mare con le montagne e con le terre che vi stendono oltre, fino ai confini del continente in faccia ad altro mare e così, sopra questi tracciati selciati e poi asfaltati, son passati secoli di Storia e di storie fatte di risate e pianti, congiure e atti di valore e di coraggio; orde di vandali e bruti, bande di soldataglia e squadroni di cavalleria sono passati come la tempesta, arraffando quel che potevano e andandosene senza voltarsi a gettare uno sguardo pietoso a macerie fumanti e vedove e orfani; stuoli di millantatori venuti a promettere castelli sulle nuvole e fiumi d'oro e di latte e miele, hanno preteso in cambio giovani vite e frutti della fatica nei campi per foraggiare le loro ambizioni o quelle di sovrani lontani come le montagne, ancora innevate, che si vedono nei giorni sereni e tersi di primavera. La Storia e la vita non si fermano mai, si rincorrono da un capo all'altro dell'infinito, dal primo istante dell'universo al grande botto finale che lo farà ripartire in tutt'altro modo. Per questa ragione ti risparmio la lunga teoria di generali e teste coronate che mi hanno usato come pedina per i loro disegni ed eviterò di raccontarti rappresaglie e altre feroci loro meschinità di cui sono stato teatro: cambiano impresari e orchestrali ma la musica che il popolo ascolta è sempre la medesima, se vuole sopravvivere. La fortuna degli uomini è una linea ondulata disegnata sulla trama e sull'ordito del Tempo: sale e scende senza tregua e senza rispetto per sudditi, sovrani o eroi. Non si è mai fermata nemmeno la regina Teodolinda, che è passata di qua per scampare alle congiure di palazzo che, a Pavia, le avevano ucciso il marito e che qui ne ha trovato un altro dandogli una figlia e un figlio; lei, che qui ha abbracciato la fede cattolica abbandonando l'arianesimo cristiano per farsi battezzare in quello che sarebbe diventato il battistero di San Giovanni ad Fontes, in tal modo riunendo il suo popolo alla comunione con la chiesa cattolica romana. Senza dire nulla delle chiese e dei conventi e degli ospizi che ha fondato per tenere fede al suo nome di battesimo, tanto nella fede ariana che in quella cattolica: in celtico, dal momento che lei proveniva da una tribù che si muoveva tra la Baviera e la Foresta Nera, il suo nome si compone di due radici verbali che significano amica, o scudo o protettrice, del popolo. Anche io ho potuti annoverare molti suoi doni ma pochi hanno resistito alle ingiurie del tempo e alla memoria corta degli uomini; su tutti, quelli che sono ancora evidenti sono la basilica di Santa Maria Maggiore e il Battistero di San Giovanni ad Fontes: sebbene quello che vedi sono manufatti sorti parecchi secoli dopo di lei, la loro fondazione le è sicuramente dovuta. Mentre segui il mio discorso, fai scorrere il tuo sguardo sui mattoni rossi, sui ciottoli di fiume e sulle lastre lapidee di questa piazza, intitolata a quell'antica regina per l'ipocrisia di un regime che piegava la storia e la schiena dei giusti per la propria gloria ingrassando solo i proseliti e gli accoliti. Percorrila con calma, misurando i passi, sali o scendi la via che gira intorno al complesso monumentale che comprende il battistero e la basilica e l'oratorio femminile, che un tempo era anche casa parrocchiale. Non una sola volta, mi raccomando; entra in loro e ascolta quanto la guida ha da dirti: poi lascia che siano le pietre, i mattoni gli intonaci a parlarti. Non temere: lo faranno e ti renderai conto che il tempo e la frenesia contemporanea svaniranno per attestarsi più in là, verso il castello e la chiesa sconsacrata di San Rocco. Soltanto i mattoni e le pietre dei manufatti posati ed eretti dagli avi di coloro che animano questo paese, paradigma a modo suo di questa nazione fatta a stivale, sfidano la miopia e l'oblio per parlare con pazienza a te, forestiero giunto a Lomello per vedere il mio cuore antico e sentirlo ancora pulsare.
(c) 2015 Testo di Claudio Montini tratto da "Camere ammobiliate per viaggiatori immaginari" Ed. Youcanprint Selfpublishing
(c) 2015 Immagine di Orazio Nullo
(c) 2017 Video di Pro Loco Lomello da www.youtube.com - www.prolocolomello.blogspot.it