(edizione 2017)
di Claudio Montini
Dio creò il mondo e ci mise dentro l’uomo perché si annoiava parecchio: non c’era cantuccio dello spazio e del tempo di cui ignorasse vita, morte, miracoli e che non gli obbedisse ciecamente; voleva qualcosa che mettesse a dura prova la sua pazienza e pure quella delle altre creature, qualcosa di più avvincente e snervante di una partita a scacchi con sè stesso. Col genere umano si divertì fin dal principio: più l’istruiva circa il bene e il male, più quello faceva di testa sua, sbagliando con precisione chirurgica; anzi, pareva che l’istinto per l’errore l’avesse nel sangue, come i suoi piccoli hanno la calamita per le sculacciate e le marachelle. Se l’avesse sculacciato all'epoca della mela, gli sarebbe toccato di ricostruirlo e non è il tipo che faccia due volte gli stessi errori; così fece l’offeso per qualche secolo e si limitò a cacciarlo di casa, obbligando la progenie di Adamo ed Eva al giogo del dolore, della paura, della fatica di vivere. Ma questa, generazione dopo generazione, si adattò e imparò e si moltiplicò senza mai dimenticare quella favolosa età in cui non esistevano nemmeno le parole per identificare le tribolazioni: ancora oggi, fa di tutto per ritrovare e ricreare quelle condizioni, talvolta ricorrendo a metodi non del tutto privi di effetti collaterali. Così ci ritroviamo, ogni giorno che Lui manda in terra, con ingiustizie, soprusi e sperequazioni varie: infatti, preso singolarmente, l’uomo sarebbe pure una bestia intelligente e ragionevole ma, già quando sono solo in due, è capace di diventare una specie più devastante d’un esercito di cavallette. Però, ogni pazienza ha un limite: così Dio, per ricondurre l’indisciplinata creatura sulla retta via per il paradiso perduto, scudiscia e bastona quella che si crede la prediletta, fatta a sua immagine e somiglianza, sbagliando però sovente puntamento dei suoi strali e aumentando la distanza tra terra e cielo con una frattura difficile da saldare, perchè andava riempiendosi di incredulità e diffidenza. Era quello che pensava tutto il paese: il giorno in cui accadde la disgrazia, i primi che appresero la notizia se lo tennero per sè; il giorno del funerale, quelli che non riuscirono a entrare in chiesa e riempirono il sagrato, compresa piazza Brugnatelli e le vie adiacenti, cominciarono a bisbigliarselo; tutti quegli altri che, nei giorni successivi, osservarono i propri figli e non poterono fare a meno di provare a mettersi nei panni dei genitori del ragazzino, se lo dissero apertamente per chiudere il discorso e passare ad altre chiacchiere. Era quello che pensava il fante Poletti, che aveva appoggiato il moschetto modello 91 alla cuspide di travertino dalla parte del proclama del generale Diaz (quello che annunciava la fine dell’unica guerra mai vinta e che lui, con troppi altri, non aveva potuto festeggiare). Era quello che pensava anche Italia, che s’era tolta la corona turrita e aveva gettato l’elmo di Scipio, lasciando che il magone soffocato nelle pieghe del bronzo si sciogliesse, quella notte, in un abbraccio e in lacrime sulla giubba del soldato, di cui, alla luce del giorno, vegliava l'agonia e rendeva grazie eterna per il sacrificio suo e dei suoi fratelli, uniti dal tricolore e dalle stellette, in difesa del suolo e dei confini della patria. Paolo, sceso per primo dalla sua nicchia, era in vena di facezie e provò a fischiettare un motivetto d’un tale, un musicista caraibico, che viaggiava su una nuvoletta azzurrognola e dall’aroma molto pungente. Pietro invece, che era del medesimo umore di quel giorno che parevano essere scappati tutti i pesci dal lago di Tiberiade, proprio quello in cui si presentò il Nazareno che voleva farsi un giretto in barca come se non avesse niente di meglio da fare, guardò l’apostolo delle genti come se volesse incenerirlo. Mettersi a cantare No Woman no cry, stonato com'era, suonava più d’un oltraggio al pudore verso un sentimento di madre, per quanto simbolica e surrogata che Italia potesse essere, che una sciagura per i padiglioni auricolari: era una cattiveria gratuita e non volle trattenersi dalla rampogna. «Certo che, a te, la caduta sulla via di Damasco deve aver procurato dei danni davvero gravi. Dimmi un po’, la testa l’hai battuta più forte allora o quando te l’hanno spiccata dal collo, a Roma, lungo la via consolare?» «A te, invece, va sempre così in fretta il sangue alla testa perché, per farti perdonare dal capo, ti sei fatto crocifiggere a testa in giù?» Questo era un colpo davvero basso. Pietro ci rimaneva ancora male per quella faccenda e Paolo lo sapeva bene, ma era l’unico modo per troncare di netto la discussione: infatti il pescatore si chiudeva in un silenzio imbronciato, addirittura granitico, che era l’unico modo che conoscesse per trattenere le lacrime e nascondere la pena. Sebbene si fossero chiariti, col Nazareno, lo sentiva ancora nelle orecchie quel gallo cantare tutte le volte che, tanto in cielo quanto in terra, si rammentavano i fatti di quei giorni: ancora si vergognava e si sentiva indegno d’essere stato scelto per essere a capo della comunità di coloro che, pur non avendo visto e toccato come Tommaso, avevano creduto alla buona novella del Maestro e alla sua promessa. Italia ora aveva gli occhi asciutti e, avuta la muta approvazione del fante Poletti, lasciò le sue braccia per andare incontro ai due bisbetici vegliardi con l’aureola. Aveva visto troppe ingiustizie compiersi in nome di Dio, del re o di chiunque altro si arrogasse il diritto di elevarsi sugli altri suoi simili e dettare loro legge, da parte di ogni pusillanime invasato che fosse passato per le terre cui lei dava il nome, per non cogliere al volo l’occasione di domandare spiegazioni a chi Dio, o almeno il suo Figlio unigenito, l’aveva visto in faccia. Credeva alla fortuna piuttosto che al destino, credeva ai principi dell’azione e della reazione piuttosto che alla giustizia, umana o divina che fosse, credeva al tempo che passa facendo come più gli piace e smussa gli spigoli della Storia. Non accettava il fatto che fosse la morte l'unica soluzione, l’unica punizione efficace, l’unica lezione che costringesse a cambiare, a maturare, a rinnovarsi: meno che mai quando era un ragazzino con tutta la vita davanti da vivere, da scoprire, da sbagliare e da ricominciare. Stava per rovesciare addosso ai due campioni della fede e del martirio, tutti i dolenti dubbi che la gente macerava in cuore ma non era stata capace di consegnare alle parole di una preghiera, nonostante fosse straripata dalle vie del paese sulla piazza per riempire la chiesa dove molti non avevano trovato posto, per abbracciare lo sgomento dei genitori, per avere un segno dal cielo che aveva voluto con sé la madre delle madri, Maria, il medesimo cielo che li aveva scampati, secoli prima, dalla grandine e dalla carestia ma che ora restava muto nonostante la domanda aleggiasse nell'aria e nelle cose inanimate. Era pronta a farlo ma si bloccò come se fosse testimone e protagonista di un miracolo, pur essendolo già lei e il fante Poletti e Pietro e Paolo che si davano convegno in quello slargo, dove via Caduti per la Patria si confondeva col sagrato della Beata Vergine assunta in cielo. Era mezzanotte da un minuto, tutte le strade del cielo e della terra erano accese, ma il creato non l’aveva mai saputo, non lo sapeva, non l’avrebbe mai saputo. Era un regalo di Dio per non soffocare la speranza, per dare una risposta, quasi consolatoria, all'ultima cruciale domanda: immobilizzava il tempo e lo spazio affinché i piani paralleli della vita si toccassero e si facessero, reciprocamente, coraggio per continuare il cammino nel giorno appena iniziato. Era un miracolo piccolo come un fazzoletto ricamato a mano, di quelli da conservare vicino al cuore e da gualcire il giorno che si sarebbe dovuti partire per sempre. Italia se ne era dimenticata, presa com'era dal dolore di avere perduto un altro figlio per futili motivi; Pietro, Paolo e il fante Poletti, che avevano usufruito di quel dono, ciascuno a suo tempo, sorrisero al nuovo venuto. Il ragazzo venne spingendo il suo scooter e scese issandolo sul cavalletto; carezzò il viso di Italia, giusto per asciugarle una lacrima impertinente che aveva attraversato la guancia: poi parlò a tutti loro. «Il mio tempo non è più il presente e nemmeno il futuro: il mio tempo è l’imperfetto. Vi confesso che, sulle prime, non ero affatto contento di questo mio nuovo stato. Io volevo solo fare un giro in moto, provarla a manetta, prima di ritornare sui libri a sforzarmi di riempire la testa di tutte quelle noiose nozioni...No...Non me l’aspettavo che accadesse proprio a me, non l’avevo chiesto né voluto: avevo una vita davanti e avevo anche trovato con chi condividerla. Poi, dopo il buio, seguendo nella luce una voce che chiamava il mio nome ho visto ogni cosa di me, della mia storia, del mio posto in un disegno più grande cui anche io avevo dato qualcosa per realizzarsi. Allora, ho capito tutto. Sono in pace con quel che resta di me e con quel che è stato reso a chi mi inviò tra le braccia dei miei genitori.» Si interruppe, abbassando lo sguardo attraversato da una sottile ansia d’essere creduto e mille altri pensieri, come accade ai ragazzini; riaccese il sorriso e proseguì con dolcezza. «Già...i miei genitori...proprio adesso che avevamo trovato il modo di comunicare...anche tra di noi... Chissà se, in questo primo minuto del nuovo giorno, staranno facendo l’amore... Sarebbe...bello, sì!... Anche solo per consolarsi, per farsi coraggio a vicenda, per aiutarsi ad aspettare senza troppa malinconia il giorno in cui ci ritroveremo... Bene, vorrà dire che entrerò in punta di piedi nei loro sogni e lascerò poche parole che sciolgano il dolore! Chiederò loro di preparare una stanzetta nel cuore per tutte le volte che potrò tornare, perché il cielo è grande ma non abbastanza per contenere il nostro amore, infinito come questo minuto che avvicina la valle di lacrime alla luce della verità e della vita.... Scusatemi, ora dovrei andare...» Così, spinse giù la moto dal cavalletto e scomparve lungo la discesa che digradava fino al bivio e che, a sinistra, portava a quella che era stata casa sua. Piazza Brugnatelli, si svuotò in un’istante: Pietro e Paolo ripresero posto nelle loro nicchie a lato del portone della Chiesa dedicata alla Beata Vergine Maria Assunta in Cielo; Italia riprese ad assistere all'ultimo respiro del valoroso fante Poletti sul Carso insanguinato e liberato dall'austriaco invasore. Una folata di ponentino accarezzò le fronde dei castagni vicini al monumento, rimettendo in moto l'universo e le lancette del campanile.
(c) 2013-2017 testo di Claudio Montini
(c) 2016 Immagine di Orazio Nullo "Miracles and desire's night"