L'italia fa da sè
di Claudio Montini
Cominciò a
pensare d'aver sbagliato numero, tanti erano ormai gli squilli a
vuoto di cui aveva perso il conto; la regola che si era imposto, del
resto, era semplice: se non rispondi al terzo squillo, o non sei in
casa o hai di meglio da fare e allora ciao, sarà per un'altra volta. Se e quando
avrai davvero bisogno, ti farai trovare: ma non era mai stato
sufficientemente cinico e spregiudicato da portare fino in fondo quel
proposito. Nel caso
specifico, poi, la regola era inapplicabile per una serie di ragioni
che andavano collocate negli ambiti irrazionali dell'istinto animale. Un complesso di
cose in tutto e per tutto simile a quella nota, ma misteriosa, forza
che li aveva spinti in un motel ad amoreggiare come fossero ragazzini
in gita scolastica, staccando le batterie dei cellulari: come fosse
la prima volta che scoprissero la reciproca nudità e la
consapevolezza crescente del piacere, della tenerezza e del desiderio
di sentire pelle contro pelle, labbra sulle labbra, mani intrecciate
eppure piene di vita e di sospiri e di fuoco di paglia che scoppia
dentro, invisibile ma che cresce e sale nella buia volta del cielo e
lì si disperde in un ventaglio di minute scintille.
Anche l'uscita
di scena l'uno dalla vita dell'altra, schiena contro schiena diretti
ai propri orizzonti con la muta promessa di ritenersi sazi di
quell'occasione, sapeva di collaudato copione e di melodia popolare
fino alla nausea.
Nel posto
giusto e al momento sbagliato, quando il tempo era ormai scaduto,
avevano ceduto alla follia come non avevano fatto prima e non
avrebbero mai immaginato di fare dopo la loro gioventù, quando
Milano era la porta di servizio dell'Europa e a Londra o Parigi ci si
arrivava più in fretta che non a Roma o a Palermo, quando avevano
deciso di costruire qualcosa per il futuro, come una casa e una
famiglia.
Forse aveva
ragione Seneca, quando sosteneva che una volta all'anno è permesso
impazzire: proprio lui che aveva educato al comando un paranoico
presuntuoso incendiario cui non aveva dato la soddisfazione di
condannarlo a morte, quando questi aveva deciso di fare a meno di
lui; oppure ne aveva avuta di più sir Winston Churchill, che scrisse
nel suo diario che gli italiani sono un popolo straordinario:
riescono ad andare avanti, pur camminando con la testa ben voltata
all'indietro?
Noi due,
pensava lui mentre frugava con lo sguardo Piazza della Vittoria e i
suoi portici per vederla arrivare, abbiamo fatto entrambe le cose e
ci siamo pure persi di vista per trent'anni. Il destino, cui
lui credeva più di ogni altra cosa, in qualche modo misterioso stava
presentando loro il conto per le promesse che non avevano onorato e
per le premesse che avevano disatteso: una vita di gesti e di parole,
come quella inverosimile delle canzonette che le radio private
mandavano in onda facendo a gara coi juke-box che, ai tempi con poche
monetine, riempivano l'aria estiva di sogni amorosi, loro se l'erano
goduta, bevuta, bruciata e fumata in una sera e nella notte che
avevano acceso, invece di tornare ciascuno a casa propria dopo quella
rimpatriata tra vecchi compagni di scuola.
Guardando il
mozzicone prossimo al filtro e soffiando il fumo dalle narici, fu lei
a pronunciare la sentenza, andando a farsi la doccia per prima.
«
Non c'è futuro per noi e non ce n'era nemmeno in passato: il nostro
egoismo ha fermato il tempo, questa notte. Ma siamo
adulti, abbiamo barattato o perduto tutti i nostri sogni per esserlo:
allora dimenticami, se puoi.»
Lui annuì e
aspettò il suo turno: siccome era già da tempo abituato a vivere
alla giornata, non durò troppa fatica a perdere quel ricordo nei tre
mesi successivi. La candidatura
accettata quasi per scherzo, nella parte bassa dell'elenco quando mai
l'avrebbe visto uno scranno di Montecitorio?; le solite inchieste a
orologeria di magistrati smaniosi di far carriera che avevano
falcidiato buona parte di coloro che lo precedevano sul tabellone; il
mai domo vizio dei big del partito di candidarsi in più seggi, vizio
da prima repubblica fin che si vuole ma utilissimo a crearsi una
piccola corte di peones e miracolati da adoperare per i lavori
sporchi nelle commissioni parlamentari più sonnacchiose. Tutta questa
congerie di cause lo avevano catapultato a Roma, mai stata troppo
ladrona ma soltanto capoccia der monno infame,
come aveva cantato tante volte con l'amico chitarrista devoto alla
falce e al martello, imitando maldestramente Antonello Venditti.
In un tempo
lontanissimo, quando il cinismo non aveva ancora distrutto l'utopia e
tutto sembrava a portata di mano, la capitale d'Italia l'aveva
pensata come un trogolo inesauribile pronto a ingrassare maiali
sempre più numerosi e voraci: ora che si era pasciuto di quel
mangime, si preoccupava solamente di arrivare alla fine della
legislatura per mettere altro copioso fieno in cascina per blindare
la pensione da parlamentare.
Lui era stato
ai patti, dunque, lei cosa voleva ancora? Un'intervista informale con
cui montare un pezzo per fare bella figura con la nuova redazione?
Certo, dopo che
la fine delle province, i loro uffici stampa erano stati smantellati
e i molti parolai erano finiti nel limbo degli esuberi e degli
esodati; qualcuno era stato anche fortunato, era tornato da dove era
venuto: in una redazione di imberbi dal pollice più veloce del west,
una testa pensante che fosse in grado di infilare due congiuntivi
corretti nella stessa frase coordinandoli con i fondamentali della
grammatica italiana, così come di infilare il microfono sotto i nasi
giusti senza attendere le agenzie, faceva parecchio comodo ai
contenitori di pubblicità in carta stampata.
A grandi linee,
era il percorso che era toccato in sorte anche a lei sebbene ora
dovesse fare la spola tra Pavia e Milano, da quel che gli aveva
riferito Alberto, altro sodale scolastico, cui aveva fatto avere un
bel contratto per la fornitura di materiale elettronico e informatico
per le sedi del partito nel nord Italia, anche se l'ex genio della
matematica l'aveva contattato per un appalto per le forze armate che
lui aveva sconsigliato, essendo lo Stato un puntiglioso esattore ma
un pessimo pagatore. Alberto era
rimasto alquanto perplesso e aveva giocato la carta sentimentale dei
vecchi tempi e della passione mai sopita ma palese tanto da essere
imbarazzante, per tutti gli altri tranne che per i diretti
interessati i quali si erano chiariti fin dal principio.
Il tempo, in
entrambi i casi, aveva dato ragione all'onorevole e l'ingegnere
mancato (una volta avviata l'azienda, egli trascurò gli studi perchè
soldi e lavoro affluirono in modo cospicuo e costante),complice uno
scandalo scoppiato ad hoc, fu felice di aver evitato grane peggiori e
di aver intascato abbastanza rapidamente il pattuito senza dover
oliare troppi ingranaggi.
Anche in quel
caso, lui era stato ai patti e Alberto non era mai più tornato
sull'argomento.
Eppure c'era
qualcosa che non quadrava, un'ansia irrazionale, dall'origine
sconosciuta, come una catastrofe immanente.
Dette la colpa
alla sua mania di arrivare con largo anticipo agli appuntamenti; poi,
sentì il taschino della giacca vibrare contro le costole: era il
cellulare che gli avevano dato quelli dei servizi di sicurezza dopo
le minacce di sedicenti jihadisti italiani, per poterlo controllare
senza asfissiarlo con la scorta fuori dal parlamento e da Roma. In realtà,
l'espressione usata era garantire la sua sicurezza senza
l'ingombro e l'assillo della scorta
che altro non voleva dire se non che, sapendo la sua posizione, i
cani da guardia dissimulati ad ogni crocicchio potevano intervenire
con un comando automatico; aver deciso di rinviare il rientro nella
capitale di un giorno doveva aver fatto saltare la mosca al naso a
qualcuno che voleva spiegazioni che, a sua volta, avrebbe dato ad
altri subalterni e superiori: il partito, almeno in questo, si era
sempre dimostrato molto più elastico.
Prima di portare l'apparecchio all'orecchio e rispondere, la vide
scendere dall'autobus e attraversare gli ultimi metri di corso
Cavour, prima dell'incrocio con Strada Nuova; le fece anche un cenno
con la mano per per richiamare la sua attenzione; la vide inciampare
e cadere con la testa reclinata all'indietro prima che l'onda d'urto
dell'esplosione lo investisse, scaraventandolo bocconi sul selciato
di Piazza della Vittoria e una delle lancette dell'orologio di
Palazzo Broletto gli trapassasse la schiena inchiodandolo come una
farfalla da collezione.
Finestre e vetrine scagliarono frantumi micidiali su tutta la piazza
disintegrandosi quasi contemporaneamente: forte odore di metano e
polvere di tegole, mattoni, pietre e cemento riempirono l'aria in cui
si insinuavano a fatica le sirene dei primi mezzi di soccorso e
quelle degli allarmi dei negozi.
Incendi spontanei e boati meno fragorosi coprirono i lamenti dei
feriti; l'autobus che si era appena sgravato dei passeggeri, tra i
quali c'era lei, ora scomposta sul selciato con uno strano fiore
rosso in fronte e la borsetta ancora a tracolla, prese fuoco e parve
sollevarsi mentre le ruote schizzavano frantumi di gomma nera come il
fumo che saliva dal resto della carcassa.
Nessuno, neppure quelli che invocavano aiuto, notarono un vigile del
fuoco e una crocerossina dal volto nascosto sotto una maschera
antigas che, nascondendo una mano sotto la giubba, però ben stretta
su Beretta semiautomatica con silenziatore, si avvicinarono a due
cadaveri in particolare ignorando il resto del girone infernale che
li circondava.
Non si resero conto che questi misteriosi sciacalli frugarono nelle
tasche dei morti allontanandosi con la borsetta della donna e con il
cellulare dell'onorevole, così come nessuno vide che salirono su un
furgone grigio con l'insegna di un negozio di riparazione di
elettrodomestici che, solo i pavesi indigeni non acquisiti, sapevano
essere chiuso da quando il vecchio Vertuani era morto e il figlio si
era trasferito in Svizzera, almeno dodici anni prima.
Il tiratore scelto che si era occupato della donna conosceva molto
bene il dedalo di vie fiorite lungo i bracci dei carri decumani di
Pavia, fù un gioco da ragazzi portare il furgone in viale Cremona e
poi nel garage in fondo all'orto di casa Vertuani mentre forze di
polizia e ambulanze sfrecciavano nel senso opposto; del resto, le
bigiate degli anni del liceo senza farsi beccare da amici o parenti,
per scendere dal Confluente con la canoa fino al Barcone Ponte Becca
e risalire in perfetto orario con la campanella d'uscita e il biennio
da infiltrato a tenere d'occhio le teste calde (e vuote) che
avrebbero voluto fare la rivoluzione, coi soldi che papà elargiva
loro per le tasse universitarie, erano state una buona palestra.
Quella villetta, frutto della mente di un geometra con poche
ambizioni e ancor meno scrupoli, era stata un'ottimo acquisto da
parte del ministero, sia dal punto di vista immobiliare che
strategico: era una zona che si rivalutava di anno in anno grazie ai
vincoli naturalistici e storici che impedivano ai palazzinari di
farne scempio e a un patto di non belligeranza tra guardie e ladri
(nel senso che questi ultimi, eleggendolo a casa e bottega, evitavano
agli altri di dover intervenire per questioni di ordine pubblico o di
proprietà privata: in casa del ladro non ruba nessuno), agevolando
chi ci abitava a godere della comodità di un'oasi di pace a meno di
tre quarti d'ora dal centro della città e dalle sue tangenziali.
Incidentalmente, poi, a quelli che avrebbero dovuto essere dalla
parte delle guardie per mandato istituzionale, il fitto bosco alle
spalle di quell'ultima propaggine di città, classificato come area
golenale del Ticino, offriva legna gratuita per il camino e riparo da
occhi indiscreti per l'accesso o l'addestramento o la fuga poichè
celava uno degli approdi più comodi e fondi che si potessero sperare
tra il ponte della Becca e la chiusa di Golasecca, a ridosso di Sesto
Calende: una via d'acqua è troppo spesso sottovalutata, ma può
essere assai più veloce e ancora più discreta di tutte le altre dal
momento che nel suo incessante scorrere cancella ogni traccia di
transito, trascinando con sè detriti e anche cadaveri, se
necessario. Stavano per lasciare la casa sicura, abbigliati come cicloturisti
olandesi, quando l'anziano custode e ortolano, copertura in cui si
trovava a suo agio dopo una vita a fare da angelo custode ai
comandanti della compagnia Carabinieri Pavia, porse a Beta il
cellulare dell'onorevole che vibrava per una chiamata in entrata.
«Qui Alfa: rapporto.»
«Obbiettivi acquisiti.»
«Perdite?»
«Nessuna. Materiale
recuperato e pronto alla spedizione.»
«Ottimo lavoro. Procedete
come da programma.»
«Sissignore. Grazie,
signore.»
«Ci vediamo a San
Giorgio; la Luftwaffe ci darà un passaggio.»
«Signore, posso parlare
liberamente?»
«Accordato. Avanti,
Beta.»
«Questa volta lo Zio Sam
non ci metterà i bastoni fra le ruote, vero? Li porteremo a casa
vivi e per sempre?»
«L'Italia fa da sè.»
Chiuse la comunicazione perchè anche dall'altra parte non c'era
nemmeno più l'apparecchio, già distrutto e disperso nel sacco della
plastica.
Vittorio era un carabiniere garantito e certificato, come quelli che
aveva addestrato ed erano entrati in servizio dopo di lui, usi ad
obbedir tacendo e tacendo morir: era il custode ideale per una casa
sicura, capace di tenerla sempre efficiente e pronta. Con la pensione era diventato un'ortolano uso a coltivar tacendo e
tacendo a regalare la verdura che coltivava alla mensa dei frati di
Canepanova, guarda caso, poco distante dalla sede della compagnia
comando dove aveva servito lo Stato.
Il Marinaio sapeva di poter contare su di lui, che avrebbe pianto di
rabbia in silenzio nel confessionale del figlio per i morti di quel
giorno come per tanti altri, ma che non avrebbe mai lasciato uscire
dalle labbra una virgola, nemmeno davanti alla carne della sua carne
che rappresentava Cristo sulla terra. L'Aviatore si appoggiò totalmente allo schienale della poltrona,
quasi sconfitto e schiacciato dal peso delle sue elucubrazioni circa
gli sviluppi e le reazioni a catena scatenate dall'attentato che, in
quel preciso istante, veniva rivendicato da un sedicente gruppo
jihadista italiano e la notizia veniva rilanciata tanto dalle agenzie
quanto dai bollettini parrocchiali, interrompendo persino le
televendite di materassi, vasche da bagno, tarocchi e numeri del
lotto vincenti.
«Hanno abboccato!»
gongolò il Marinaio.
«Hanno abboccato?? Dico,
ma ti rendi conto della tempesta di guano che hai sollevato? Hai la
minima idea dello tsunami di merda che sta per sommergere questo
porco Paese?»
«No, dimmelo tu...Bada,
però: devi essere molto convincente perchè, come altri sessanta
milioni di persone in questo nostro stivale, ne ho le tasche piene di
slogan, belle parole e promesse vane che ai politicanti piacciono
tanto.
Voglio fatti concreti non idee volatili e vanesie, voglio che quei
due ragazzi, che hanno fatto soltanto il loro dovere e hanno sempre
ubbidito agli ordini, tornino a casa sani, salvi e a testa alta: se
per ottenere questo risultato mi servono le bombe, puoi starne certo
che , userò tutte quelle che mi servono a spianarmi la strada per
New Dehli e ritorno, qui a Roma!»
Erano scattati in piedi entrambi e puntavano i pugni contro il piano
della scrivania: avrebbero preferito scaricarli su nasi o mascelle
l'uno dell'altro, ma non erano sul set di un film con John Wayne o
Bud Spencer. L'Aviatore si ritrasse e drizzò la schiena, manifestando tutto il
suo sconcerto e lo sdegno per quanto aveva appena udito.
«Hai appena scatenato il
razzismo latente degli italiani, condannando al potenziale linciaggio
ogni extracomunitario, compresi gli sportivi; non riesco a
capacitarmi del fatto che, proprio tu, abbia tolto la museruola ai
mastini della razza nordica e cattolica.»
«Gli italiani hanno la
memoria corta, si turano il naso in fretta e votano gli stessi che li
hanno fregati: a loro basta che vinca la loro squadra di pallone o la
Ferrari arrivi prima in un gran premio e tutto passa, tanto c'è
sempre qualche santo che vede e provvede. Io ne ho abbastanza di “italiani brava gente”, è ora che la
smettano di prenderci in giro: ci devono rispettare tanto quanto noi
abbiamo rispettato loro.»
« Allora, tu
dichiareresti guerra a una potenza economica per liberare due
fucilieri, con una cassa di Stinger e l'altro drone che hai fatto
rubare a Vicenza e a Livorno, sotto il naso della CIA? Oppure lo fai
perchè quei cinque elicotteri che gli indiani non hanno voluto nè
ritirare nè pagare, nonostante gli avessimo lasciato proseguire la
farsa dei pescatori scambiati per pirati, non li hanno assegnati alla
tua banda di ficcanaso tagliagole per le loro scorrerie?»
« Quanto alla prima
domanda, ti ho già risposto; in merito alla seconda, ti ricordo di
sciacquarti la bocca con l'aceto la prossima volta che parlerai dei
miei uomini perchè ti potrei infilare una mano in bocca e rivoltarti
la testa come un calzino, giusto per il piacere di liberarti le
orecchie e la scatola cranica dalla merda che li intasano.
Quei cinque aeromobili non sono mai esistiti, non è mai esistito
nemmeno l'ordine per una singola vite: è stato solo becchime per i
pappagalli del mondo dell'informazione e, a quanto pare, ne sono
andati matti tanto da condividerlo.
Gli Italiani hanno la memoria corta, te lo ripeto, la lingua lunga ma
le mani immobili: anzi, sono propensi a prostrarsi con chi fa la
faccia scura e la voce grossa, anche se ha torto. Nell'Oceano Indiano non siamo in grado di garantire nulla ai nostri
mercantili o alle petroliere, nemmeno come Europa: gli americani
badano soltanto alle loro imbarcazioni e, più di una volta, ci hanno
detto di arrangiarci. Ci siamo arrangiati e abbiamo chiesto aiuto ai locali fornendo
assistenza, mezzi, formazione; poi, casualmente ma non troppo poichè
gli olandesi ci erano arrivati prima, abbiamo scoperto che le
molteplici braccia della dea Khali servono a giocare su più tavoli:
la pirateria elargiva cospicue mance anche a coloro che ci
affiancavano nel pattugliamento. Nel momento esatto in cui i miei ficcanaso tagliagole, come li hai
definiti poc'anzi, stavano per cogliere con le mani nel sacco i
corrotti e calare gioiosamente la scure su quelle braccia
incancrenite dall'avidità, ecco che accade un incidente in
acque internazionali con alcuni protagonisti su una nave italiana.»
«Non ho bisogno di
lezioni di storia contemporanea: sono a conoscenza dei fatti e...»
«No, ti sbagli: tu sai
solo quello che i miei predecessori e i funzionari dei ministeri
hanno voluto che tu sapessi: ed io sono tra quelli. Ma, ora, io ho
aperto gli occhi grazie al lavoro dei miei ficcanaso e, giuro sulla
patria e sul mio onore, che quel che ho appreso non mi piace
affatto.»
«Non fare il
sentimentale: non ti si addice! Pensa piuttosto ai civili che hai
coinvolto nella tua guerra personale e ai danni che hai provocato al
patrimonio artistico di una città, minore fin che vuoi, ma pur
sempre parte della patria che hai giurato di servire e onorare.»
«Anche le bombe sui treni
e nelle banche o i proiettili piantati nelle teste di professori
universitari che rincasavano erano stati preparate e portati ed
esplosi da gente come noi, che aveva fatto lo stesso giuramento: loro
hanno fatto la loro parte e io devo fare la mia, altrimenti ben più
loschi figuri si occuperanno di questa e di molte altre faccende,
fino al punto che non lo riconoscerai più questo Paese.»
«Smettila di girarci
intorno e sputa il rospo, marinaio!»
«Lo Stato si ritira ogni
giorno di più e lascia la gente alla mercè del proprio destino e
della burocrazia, perdendo tempo; allora, ecco che entra in scena
l'Onorata Società, chiamala mafia o camorra o ndrangheta o sacra
corona unita non importa: in un tempo assai breve, risolvono il
problema, aggiustano il guaio, danno conforto e lavoro ma in cambio
pretendono assoluta e cieca fedeltà anche quando l'ingiustizia e
l'efferatezza toccano livelli diabolici.
Tutte le volte impiantano i loro traffici, quando regolano conti tra
di loro, quando decidono per la vita o per la morte chi ha avuto
bisogno di loro deve farsi cieco, muto, sordo oppure correre ad ogni
schiocco di dita.
Quei due ragazzi sono stati turlupinati e abbandonati dal loro stesso
datore di lavoro e dalla loro patria, quando è stato dato l'ordine
alla nave di rientrare in acque territoriali indiane e poi in porto;
quando sono stati arrestati e disarmati su territorio italiano da
forze di polizia straniere; quando, contro la loro volontà e contro
tutti i principi del diritto internazionale, sono stati trattenuti in
stato di fermo. Nemmeno i tribunali nazisti erano stati tanto farraginosi e lenti nel
formulare accuse e fornire prove false per accuse infondate;
sprofondati nelle nostre comode poltrone abbiamo creduto nella
diplomazia o, semplicemente, sposato la disciplina statunitense per
cui i dispersi sono morti e non si danno soldi per gli ostaggi, che
diventino pure dispersi e caduti.»
« E allora? L'Aeronautica
non ti darà mai un solo velivolo per dare corpo a questa fantasia,
io non ti darò mai nemmeno un aliante!
Ti dirò di più: nessun comandante che tenga alla propria carriera e
al suo equipaggio ti concederà neanche un canotto a remi.
Tu sei completamente uscito di senno e darò immediatamente ordine
che ti arrestino!»
L'Aviatore era persino paonazzo, il collo voleva spezzare la
costrizione del colletto della camicia e il nodo della cravatta;
estrasse il cellulare ma non riuscì a terminare la composizione del
numero o la sua ricerca in rubrica: il Marinaio aveva teso il braccio
e fatto fuoco spargendo sangue e materia cerebrale nella stanza; era
stato pure fortunato perchè l'Aviatore si era girato di lato, tanto
da opporgli il fianco giusto, e il cadavere era ricaduto sulla
poltrona che aveva occupato fino a pochi istanti prima: non gli
restava che estrarre il caricatore, inserire quello coi colpi a
salve, fare esplodere un colpo al defunto, rimettere il caricatore
originale, raccogliere il telefonino per rimetterlo in tasca al morto
e il finto suicidio era servito.
Freddamente e meccanicamente portò a termine l'operazione e poi
lasciò sulla scrivania un dossier e una busta con la lettera d'addio
e, nel dossier, la confessione di essere la mano che aveva scritto
alcune delle pagine nere della Repubblica. Mano che la giustizia aveva sempre fatto finta di non trovare perchè
non conveniva a nessuno, Onorata Società in testa, che ciò
avvenisse: era scomoda la verità, per l'Italia che fa da sé, tanto
quanto quella giornalista che l'operatore Delta aveva sistemato
qualche attimo prima dell'impatto del drone sulla cupola bramantesca
del Duomo di Pavia.
I suoi servizi sulla presenza delle installazioni militari, attive o
dismesse nel territorio pavese e, in particolare, sull'Arsenale di
via Riviera l'avevano portata a un passo dallo svelare tutta la trama
che aveva pazientemente ordito: se il ministero aveva deciso la
cessazione dell'operatività di quello stabilimento, licenziando
senza tanti complimenti i civili in esso impiegati, la sorveglianza e
la custodia dell'area era totalmente militare fino alla presa in
consegna da parte delle autorità civili. Dal momento che questa sarebbe avvenuta solo dopo la presentazione di
un apposito progetto di riqualificazione per una nuova destinazione
d'uso, la spiccata tendenza degli enti interessati ad andare in
direzioni ostinate e contrarie aveva consentito al Marinaio di
mettere a punto ogni dettaglio del suo piano; tuttavia aveva saputo
che le notizie e i dati raccolti dalla giornalista avevano superato
il livello di guardia e le bastava una piccola riflessione per tirare
le somme. L'appuntamento con un onorevole che era appena stato spostato dalla
commissione esteri a quella della difesa, per esigenze di partito,
rappresentava il momento in cui quella scintilla sarebbe potuta
scoccare e mandare all'aria tutto. Se l'operazione che aveva progettato fosse andata in porto, sarebbe
stato ricordato come un'eroe e avrebbe potuto onorare la memoria di
tutti i servitori dello Stato caduti onestamente, lavando anche la
propria coscienza.
In caso contrario, lui non era mai stato lì, aveva cancellato le
tracce più evidenti, e i colpevoli del finto suicidio, qualora fosse
stata formulata quell'ipotesi investigativa, non sarebbero mai stati
trovati: ci avrebbero pensato le cariche incendiare che aveva
piazzato nei punti nevralgici dell'edificio.
Vittorio aveva ricevuto precise istruzioni e un numero di telefono
fisso da comporre per attivare la procedura.
Alla CIA aveva scroccato anche un buon addestramento: nel bene e nel
male, quando vuole, l'Italia fa da sé.
(c) 2015 Testo di Claudio Montini
tratto da "CAMERE AMMOBILIATE PER VIAGGIATORI IMMAGINARI" ed.Youcanprint selfpublishing 2015
(c) 2015 Immagine di Orazio Nullo