sabato 29 luglio 2017

La testa non serve solo per portare il cappello

Il resto lo farà il destino

di Claudio Montini 

Ci sono molte cose per cui varrebbe la pena indignarsi e sfruttare la forza dei social media per scuotere dal torpore estivo la coscienza collettiva. Alcune, anzi, troppe sono così vicino a noi e al nostro giardino che quasi non le notiamo più, sembrano entrate a far parte dell'arredamento urbano o delle abitudini quotidiane tanto che, se non c'è l'occhio di una telecamera e una persona con un microfono colorato in mano, manco le degnamo di uno sguardo. Quando ci parlavano delle missioni e dei missionari cattolici, da ragazzini, pensavamo alle savane africane o alle boscaglie sudamericane, raramente ai deserti e alle pietraie che anche il Falegname Nazareno (ben prima di loro e comunque dopo tanti altri) aveva calpestato. Non pensavamo mai alle periferie delle città, ma anche a certe cascine o quartieri dei nostri paeselli, o che in certe case delle nostre insignificanti frazioni ci fosse gente che se la passava male come in quelle lande desolate: si facevano i salti mortali per far apparire, anche nel poco, tutto dignitosamente ricco e si giungevano le mani davanti a crocifissi impolverati, conservando smunti moccoli di candela da accendere davanti a santi e santini affinchè ci mettessero una buona parola e facessero piovere un pò di buona sorte dal cielo. Pensavamo che fossero cose distanti come un'altro mondo: e chissà quanti casi come quello del bimbo inglese sono passati sotto silenzio; chissà quanti altri genitori sono passati dall'euforia alla disperazione, scoprendo che il pianto del loro bimbo o il comportamento anomalo era dovuto a qualcosa che nessuna aspirina poteva risolvere e guarire. Il nostro mondo, dico quello di noi che abbiamo passato adesso i cinquant'anni d'età, era davvero piccolo e ristretto; poi è diventato globale, grazie alla televisione, alla telefonia cellulare, alla interconnessione informatica: a questa espansione potente ed enorme avrebbe dovuto anche corrispondere una affinazione del senso pratico e del senso critico che ha permesso alle generazioni dei nostri padri di emanciparsi, di liberarsi, di uscire dalle brutture del cosidetto secolo breve (il XX, il Novecento), quali guerre e prevaricazioni e altri accidenti indegni di una società civile. Invece, siamo diventati una massa sempre più informe e amorfa di pecore da mungere e tosare, col cervello nascosto in una cappelliera in fondo all'armadio quattro stagioni della camera da letto, gli occhi incollati a un quadratino di silicio e plexiglass per cristalli liquidi (una curiosa contraddizione in termini, regalataci dalla moderna tecnologia), belve con la verità in tasca pronte a sbranare i mostri veri o presunti esposti ai riflettori della ribalta così come pronti a dimenticarsi in fretta di avere sparato cazzate senza prendere la mira (scusate il francesismo...) sentendosi, me compreso, tutti quanti Soloni o Ciceroni per giunta unti dal Signore. Per niente non abbaiano nemmeno i cani, si dice al mio paese d'origine: ogni scelta è frutto di un calcolo strategico, economico, politico a qualunque livello essa venga fatta; allora dobbiamo ricominciare a chiedere a chi di dovere, a parlare tra noi guardandoci negli occhi, a scrutare la terra dove posiamo i piedi e interrogarci, non tanto su quello che l'universo possa fare per me quanto su quello che io posso fare per lui e dove sono nascosti gli strumenti che mi possono agevolare in questo compito: nè Dio, nè il partito, nè il capo del governo, nè il capo bastone o mandamento o cosca riusciranno mai a leggere o intercettare o soffocare tutta l'energia che si sprigiona e passa tra cure e cervello. No! La testa non serve solo a portare il cappello: se io sto bene, faccio bene il mio compito e chi viene dopo di me riesce a lavorare meglio e a stare meglio a sua volta...il resto lo farà il destino.

(c) 2017 testo di Claudio Montini
(c) 2016 Immagine di Orazio Nullo "Twenty second century engine"

martedì 25 luglio 2017

Last message for Charlie Gard: farewell!

 Quando ci rivedremo, mi dirai...
 di Claudio Montini

Quando sarà il mio momento di uscire da questa valle di lacrime, caro Charlie, arriverò proprio a quel cancello socchiuso che, mi auguro, abbiano spalancato e rivestito di tutti quei colori che fino adesso ti sono stati negati: di più, spero proprio che ci siano tanti bambini con altrettanti palloncini colorati e trombette a fare chiasso e festa come l'ultimo giorno che si sta all'asilo prima della vacanze. Io arriverò trafelato e stracciato, come al solito in ritardo, ma non troverò nessuno dei miei che mi abbia preceduto...sai com'è,...no cioè...beh è la prima volta che mi capita di morire e non saprei bene come fare...Lo so, a te non è stato nemmeno concesso di imparare a vivere...cosa vuoi mai che ti dica? Nemmeno ai tuoi genitori è stato spiegato bene come funzionava il giochino, ma loro ce l'hanno messa tutta per continuare ad amarti ed averti nelle loro vite: io non avrei avuto tutto quel coraggio. Insomma, io sono sicuro che arriverò e, sfacciato come sono, aprirò lo stesso il cancello, varcherò la soglia e non farò in tempo a posare un piede sul primo gradino che mi arriverà uno scapaccione a mano aperta e piena sulla nuca! Sarà tanto preciso e potente che sicuramente farò una capriola in aria atterrando ancora sui miei piedi ma, parola mia, quelle cinque dita le riconoscerò come le riconoscerei in ogni angolo del tempo e dello spazio!! Mi volterei lentamente, massaggiandomi la nuca e, piangendo col sorriso stampato in faccia, lo vedrei con la sua camicia bianca dalle maniche arrotolate, la marlboro rossa accesa e fumigante all'angolo della bocca, la posa leggermente inclinata e le mani poggiate sui fianchi, un po' in attesa e un po' in sfida: glielo direi in dialetto, la lingua di casa, "Ciau, papà: sum rivà!" (Ciao papà, sono arrivato). 

(c) 2017 testi di Claudio Montini
(c) 2015 Immagine creata da Orazio Nullo con materiali concessi da vari archivi

venerdì 21 luglio 2017

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(c) 2017 La bottega del parolaio/ Claudio Montini

domenica 16 luglio 2017

Pensieri di luna calante

Luglio, col bene che ti voglio...

di Claudio Montini

C' è un tempo per ogni cosa, lo si trova scritto anche nella Bibbia; ci siamo abituati al presto e subito, diventando schiavi della fretta e dell'impazienza. Che belle parole, tanto inutili quanto simili a tante altre, spese senza ritegno quando si vuol riempire il vuoto e il silenzio, parimenti opprimenti per chi non ama la solitudine. Viene, dunque, il tempo anche degli esami che, com'è noto, non finiscono mai anche se cambiano denominazione o circostanze o tema. La paura no, quella non cambia mai; non è una questione di orgoglio, semmai, d'istinto di sopravvivenza: in fondo, ogni essere vivente tende alla felicità, declinandola a suo agio, così come alla pace (purché non sia quella eterna che, in ogni caso, arriva da sé). Abbiamo sempre metà delle probabilità contrarie da provare, metà delle strade che non portano a nulla davanti, metà delle risposte sbagliate a domande giuste (e viceversa) da dare: la paura di compier un passo falso è il freno a mano che per molti, me compreso, non si sblocca mai. Un errore costa sempre caro e si rammenta assai più facilmente di una prodezza o di un esito felice; l'ideale sarebbe trarre sempre insegnamenti dalle vicende vissute, al fine di compiere tutti i passi della propria esistenza con la consapevolezza dei propri mezzi, senza il timore del giudizio di chicchessia fuorché il Padre Eterno. Conosco i miei limiti, faccio il mio mestiere e lo faccio bene perché sono capace; se tu sai farlo meglio, accomodati: poi, lo insegnerai anche a me, altrimenti lasciami in pace. Eppure le prove sono necessarie, il confronto, la valutazione dell'operato, anche in un ambito squisitamente artistico, sono il metro di giudizio con cui fissare i limiti e sancire il successo. Del resto, già gli antichi greci lo sapevano, tutto passa e scorre e si fa memoria...sempre che ci sia qualcuno che lo racconti a qualcun'altro pronto ad ascoltare per raccontarlo a sua volta... Ma questa è la paura di essere dimenticati, di tornare polvere alla polvere spazzati dal vento della Storia che corre verso il futuro, verso un punto che non si vede, ripetendo gli stessi errori cui si porrà rimedio alla solita maniera.

(c) 2017 testo di Claudio Montini
(c) 2014 Immagine da Google Images Database Vincent van Gogh "Sotto il cielo stellato" 1888

sabato 15 luglio 2017

Liberi, uguali, fratelli: quattordici luglio duemiladiciassette

Io non dimentico: vive la France, berceau de la democratie contemporaine


di Claudio Montini

Le parate di mezzi corazzati e truppe specializzate, poliziotti e gagliardetti che garriscono al vento e sugli Champs Elysees, come sui boulevard degli arrondismentes e dei departementes dell'universo francofono per il 14 di luglio, le strette di mano del piazzista della Coca Cola o della Caterpillar o della Exxon con il nuovo galletto seduto sullo scranno più alto dell'Eliseo non debbono far dimenticare quanti hanno perduto la vita in nome e per conto di quelle tre magnifiche, altisonanti, imprescindibili parole. Non c'è Dio senza amore nè figlio dell'uomo che si sostituisce a Lui che possa, nemmeno in preda alla più scellerata e lucida follia, credere di imporre o sostituire la scintilla, l'aria, il fuoco inestinguibile della libertà che anima e suscita e sprona fratelli perchè esseri umani a sentirsi uguali e responsabili gli uni della felicità altrui, davanti alla legge discussa, approvata e democraticamente condivisa. Non sarà una moneta che ci unirà, non sarà una fede ad unirci perchè davanti a ciò che viene dopo la vita siamo soli e nudi come alla nascita: sarà il pensiero che la mia libertà finisce quando comincia la tua e, anche se dissento da te, mi batterò come un leone affinchè tu possa, come me, avere sempre la possibilità di esprimere la tua opinione. Liberi, uguali, fratelli: inquilini dello stesso pianeta ed esseri umani prima di ogni altra cosa. 

(c) 2017 testo di Claudio Montini
(c) 2015 immagine di Orazio Nullo "Sorrow for Paris"

mercoledì 12 luglio 2017

Una promessa che dura...Auguri "ragazzi" del secolo scorso!

Esempio del secolo breve

di Claudio Montini


Dicono che il bianco e nero sia la modalità d'immagine dei sogni, quelli che se ne intendono di psicologia e di obiettivi a scatto per pellicole sensibili; la verità, ammesso e non concesso che ne esista una sola, è che i colori col tempo sbiadiscono o virano verso tonalità improbabili ma il ricordo di un'emozione, di una impresa, dell'avvio di un progetto fatto per durare non si cancellano nè con un tratto di penna nè con la scintilla di follia di uno sguardo languido, in un momento di debolezza e di giovanile incoscienza: lui guarda lontano, davanti a sè vede la rotta su cui condurrà la nave che ha appena varato perchè vuole che arrivi in un porto sconosciuto sana e salva in un giorno che ancora deve essere pensato; lei, guardando dove mette i piedi per non gualcire il vestito, dimostra di aver ben compreso ed essere pronta a preoccuparsi di gestire le cose pratiche riportando, se necessario, il suo capitano coi piedi ben saldi sulla tolda e le mani serrate sulla barra del timone, altrettanto pronta a sostituirlo a seconda della bisogna e delle sorprese della navigazione. Auguri ragazzi del secolo breve che sapete essere ancora d'esempio a quelli del terzo millennio.

(c) 2017 Testo di Claudio Montini
(c) 2017 Immagine Sergio Savioni dal profilo facebook

sabato 8 luglio 2017

Letti & Piaciuti: Arthur Charles Clarke LA CITTA' E LE STELLE (1956)- Mondadori serie Urania Collezione 2004

LA CITTA' E LE STELLE
di Arthur Charles Clarke (1956)
Collezione Urania Mondadori 2004


GUARDARE LONTANO PER VEDERE IL PRESENTE
 di Claudio Montini

La caratteristica che più distingue gli esseri umani dalle altre creature viventi è quella di comunicare i propri pensieri, sogni e paure facendoli indossare e vivere ad altri diversi da sè, virtuali o immaginari, al solo scopo di tranquillizzarsi e superare il momento di difficoltà. La letteratura, per non dire della sua forma più plastica che è il teatro, sin dai tempi della Grecia classica ha assolto egregiamente a questa missione pur gareggiando e, talvolta, rivaleggiando se non scontrandosi con la religione: l'organizzazione del caos, l'imprevedibilità relativa dei cicli naturali e vitali, la ricerca spasmodica della felicità e del benessere sono i capisaldi dei bisogni cui tutti i popoli di ogni epoca e latitudine hanno teso. Dunque, cambiano solo gli scenari e, al più, gli stili linguistici e narrativi ma la Storia si ripete sempre, ricomincia a marciare da una curva dell'infinito all'altra anche quando sembrerebbe arrestarsi proprio come suggerisce l'etimologia del vocabolo di origine greca, assai abusato e travisato da noi contemporanei, crisi, ovvero cambiamento e trasformazione. Poichè questo processo non è scevro da ostacoli e perdite e danni e polemiche,ecco che la fantasia, per riportare ordine e calma, interviene quando la denuncia non è più sufficiente a rivelare il disagio e a stimolare le soluzioni ai problemi: trasferire e trasfigurare la realtà in un tempo lontanissimo in cui, per giunta, la tecnologia ha raggiunto livelli tali di sofisticazione tali da risolvere i principali crucci materiali dell'umanità, pur consentendo l'esistenza di dissidenti che non rinunciano all'imprevedibilità e alla caducità umana ed evolvono secondo una linea di sviluppo più armonica con la natura, è un modo come un altro per esorcizzare la paura dell'ignoto spaziale e temporale. LA CITTA' E LE STELLE esce nel primo decennio del secondo dopoguerra (la versione definitiva è del 1956, ma il primo deposito è del 1954; Mondadori la pubblicherà nel 1957 nella collana I romanzi di Urania) ed è un romanzo figlio di quegli anni in cui, passata la sbornia per la vittoria per la vittoria sul nazismo, le macerie e le ristrettezze economiche postbelliche affliggono anche i vincitori; tuttavia proprio l'abbrivio derivato dallo sforzo ingegneristico e produttivo per vincere la guerra ha cominciato a mostrare le potenzialità delle menti e delle macchine che, in modo ancora del tutto nebuloso, insieme potrebbero semplificare e migliorare radicalmente l'esistenza. Così, gli sguardi più aperti e puntati dritti sul futuro, come quello di Arthur Charles Clarke tenente istruttore per i radar nella Royal Air Force durante la II Guerra Mondiale e poi (grazie alle agevolazioni per i reduci) laureato in matematica e fisica al King's College di Londra nel 1946 (ma nel 1945 aveva pubblicato un articolo in cui ipotizza l'uso di satelliti artificiali per le telecomunicazioni, tra l'altro), hanno avuto buon gioco nell'ordire le trame intellettuali di contestazione al potenziale irresistibile desiderio di restaurazione e omogeneizzazione culturale, che sarebbe sfociato nella politica dei blocchi contrapposti durata fino alla caduta del muro di Berlino, ma anche calmierare l'euforia per eccesso di fiducia nel progresso tecnologico e sull'effetto di trascinamento che, erroneamente, gli si attribuisce riguardo al miglioramento della specie umana. Riecheggiano le parole di Dante nella figura di Alvin, ...fatti non foste per viver come bruti, ma per seguir vertute e canoscienza..., l'inquieto e istintivamente curioso protagonista della vicenda narrata ne LA CITTA' E LE STELLE (Stars and the city, 1956) dall'autore del soggetto e parte della sceneggiatura di 2001 Odissea nello spazio diretto da Stanley Kubrick; egli è una replica generata dai banchi di memoria (oggi si direbbero database, con un moderno anglicismo del tutto fuori luogo rispetto al valore artistico dell'opera) del calcolatore centrale che è anima e sovrintendente della città di Diaspar, la teca ipertecnologica in cui il genere umano si è assicurato una serena eternità situandola in una zona arida e deserta, presumibilmente meno appetibile da qualsiasi esploratore alieno del terzo pianeta del nostro sistema solare. Qui, basta pensare o desiderare una cosa che il calcolatore la rende reale e tangibile, attraverso una serie infinita di marchingegni e una rete di connessione tra di loro i cui primi esempi stiamo cominciando ad approcciare e apprezzare soltanto adesso, nel secondo decennio del terzo millennio dell'era cristiana; ai tempi in cui Clarke concepisce il romanzo, quei sistemi potevano essere considerati iperboli fantasiose di una fervida immaginazione: tuttavia, il protagonista, colto nel momento di passaggio all'età adulta sente prorompere dentro di sè l'urgenza di conoscere cosa si celi oltre e prima del limite confortevole di Diaspar da cui è bandita ogni incertezza, ogni paura (quella della morte compresa), ogni problema o interrogativo senza risposta poichè il mastodontico e sofisticato elaboratore provvede ai bisogni primari e secondari della popolazione anche intervenendo sulla morfologia del territorio e sulla sequenza degli eventi, cancellando o ricostruendo a seconda delle domande che gli vengono poste e delle relative implicazioni. Alvin si sente speciale e diverso dalla massa uscita dalla sala della creazione a causa del fatto che, istintivamente, si pone domande e cerca risposte ragionando, facendo ipotesi sforzandosi di capire fino a voler toccare con mano, non accontentandosi di una simulazione, mettendo in discussione ogni affermazione calata dall'alto dosando logica, giovanile incoscienza e istinto di conservazione. La sua ricerca provocherà un terremoto nella società in cui vive e, insieme a lui, scopriremo la verità circa la sorte del genere umano lanciato alla conquista dello spazio interstellare ma, spaventato dalla sua complessità o dalla propria rigida ignoranza, ridimensionato nelle sue ambizioni al punto da cercare rifugio dall'ignoto sulla superficie del pianeta che è stato madre e culla della sua civiltà, dividendosi in comunità distinte facenti capo a due differenti scuole di pensiero che daranno vita a due distinte, ma non incompatibili, linee evolutive. Alvin è l'unico, ovvero l'elemento dissonante appositamente inserito dai fondatori di Diaspar nei cicli riproduttivi dei banchi di memoria così come si inserisce un gruppo di controllo in una analisi statistica per farla aderire meglio alla realtà fisica, la cui esistenza dovrebbe consentire al sistema di non collassare e di rigenerarsi: egli andrà oltre questo compito riaprendo il dialogo tra le due sponde dello stesso fiume che riprenderà a fluire verso l'evoluzione e l'esplorazione spaziale. LA CITTA' E LE STELLE (Stars and the city, 1956) è un romanzo dall'impianto solidamente classico e britannico, cioè è scorrevole ed essenziale e piacevole a leggersi anche in traduzione; stupisce anche il lettore più smaliziato poiché è privo di invenzioni e concetti inverosimili rispetto ai giorni nostri, pur essendo ambientato in un futuro talmente anteriore da doverlo assumere come un postulato, un dato di fatto non verificabile o dimostrabile: la capacità, nei primi anni Cinquanta del secolo XX, di descrivere una città cablata e una rete di connessione tra elaboratori elettronici autocoscienti e le coscienze e la fisicità di esseri replicati manipolando la materia o, addirittura, il viaggio spaziale attraverso un buco nero e la relativa riemersione in un universo parallelo dotato di un sistema planetario artificiale, è qualcosa di geniale dal momento che si tratta di concetti trapelati dal mondo scientifico e accademico puro a quello della comune opinione pubblica soltanto negli ultimi vent'anni, grazie a produzioni televisive e cinematografiche iperbolicamente in bilico tra finzione e realtà. In questo romanzo, Arthur Charles Clarke supera l'ingenuità eroica di Burroughs (JOHN CARTER DI MARTE) e il positivismo neoilluminista di Verne (DALLA TERRA ALLA LUNA, ATTORNO ALLA LUNA, VENTIMILA LEGHE SOTTO I MARI), preparando il terreno al pessimismo di Bradbury (CRONACHE MARZIANE, FARENHEIT 451) ma evitando di impantanarvisi, forte della lezione di Huxley (IL MONDO NUOVO, RITORNO AL MONDO NUOVO) che rielabora rendendo la narrazione più umana, più digeribile ai contemporanei e più affascinante per i posteri e per chi non è cultore del genere fantascientifico. A chiunque volesse intraprendere un viaggio in questo genere letterario, consiglio vivamente di salire a bordo de LA CITTA' E LE STELLE (Stars and the city, 1956) di Arthur Charles Clarke: sarete come nani sulle spalle di un gigante, guarderete lontanissimo e capirete il presente.

©2017 testo di Claudio Montini
©2017 foto di Orazio Nullo

mercoledì 5 luglio 2017

Costituzione della Repubblica Italiana - Articolo 21

ARTICOLO 21



Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto, e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente li autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre le ventiquattro ore, fare denunzia all'autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo d'ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.

Testo tratto da "Costituzione della Repubblica Italiana" ed. 2011 distribuita da "La Provincia pavese" con il numero del 17 marzo 2011 festa dell'unità nazionale, della costituzione, dell'inno e della bandiera.
(c) 2016 Immagine di Orazio Nullo "Plastic Lies" - Atelier des pixels Collection

martedì 4 luglio 2017

In loving memory of Charles Gard

Salutaci il paradiso...se esiste!
di Claudio Montini

I ricordi più belli non soffrono di rimpianti e non patiscono rimorsi: hanno un posto speciale in quell'universo invisibile che celiamo nei quattro angoli del cuore, facendoli correre e riposare tra le volute delle sinapsi e i bauli della memoria. Un vescovo vestito di bianco, un vescovo di Roma appena fatto santo, venuto da molto lontano ha lasciato detto ai giovani che molto amava: "Prendete la vostra vita e fatene qualcosa di grande". Cosa c'è di più grande dell'amore che si fa vita e chiede, senza parlare, di essere aiutato nella sua missione che altro non è che proseguire la vita e generarla a sua volta? Ma....purtroppo, come in tutte le più belle cose, c'è un "ma": un'avversativa, una opposizione, una contrarietà, un'accidente che butta all'aria le carte e le pedine disposte sul tavolo, come una manata di un prepotente invidioso dell'altrui felicità che porta scompiglio, pena, afflizione e confusione. Attenti! Non cadete nel tranello di chi gode di queste cose, così come gode del baccano inutile, dello starnazzare senza riflessione, della prosopopea di improvvisati censori da tastiera: piaccia o meno, c'è un disegno prestabilito prima della nostra nascita, o meglio, della nascita di ciascuno, per il quale non facciamo nè faremo alcun passo in più del necessario verso il nostro destino; anche la sofferenza come la gioia, la malattia come il vigore, la noia come l'euforia non saranno altro che tappe o strumenti che dovremo, gioco forza, imbracciare e abbracciare e sfruttare lungo questo sentiero sconosciuto. L'unico vantaggio che abbiamo ce lo fornisce la fede in un qualunque Dio e l'amore che nutriamo per noi stessi e per il nostro prossimo, sia esso nostro figlio o uno sconosciuto, il quale non merita di condurre un'esistenza da cavia attaccato a macchinari sempre più sofisticati: le macchine dimostrano soltanto l'efficacia del loro funzionamento in merito allo status quo e non sono in grado di guarirlo, di restituirci quest'altro essere umano in una condizione di vita normale e pertanto palesano il loro limite e il nostro fallimento nella lotta contro la morte che è e sarà parte integrante della vita. Resterà solo il ricordo della lotta per sopravvivere e dell'affetto, della solidarietà, della comprensione e del compatimento necessari a chi si trova coinvolto in vicende simili per non impazzire di dolore. Tutti coloro che ora fanno a gara per accaparrarsi la ribalta mediatica e una cavia a buon mercato, cioè con grande ritorno economico e di immagine, dovrebbero fare come predicava il falegname di Palestina, morto crocifisso da innocente per calunnie infondate e un giudice che se ne è lavato le mani, riguardo allo scandalo procurato ai più piccoli: legarsi una pietra da macina e gettarsi nel più profondo dei mari. Se davvero accadesse, il livello degli oceani si alzerebbe a dismisura. Arrivederci Charles e salutaci il paradiso...se esiste.

(c) 2017 Testo di Claudio Montini
(c) 2017 Immagine di Orazio Nullo "Boomerang"