di Arthur Charles Clarke (1956)
Collezione Urania Mondadori 2004
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di Claudio Montini
La caratteristica che più distingue gli esseri umani dalle altre creature viventi è quella di comunicare i propri pensieri, sogni e paure facendoli indossare e vivere ad altri diversi da sè, virtuali o immaginari, al solo scopo di tranquillizzarsi e superare il momento di difficoltà. La letteratura, per non dire della sua forma più plastica che è il teatro, sin dai tempi della Grecia classica ha assolto egregiamente a questa missione pur gareggiando e, talvolta, rivaleggiando se non scontrandosi con la religione: l'organizzazione del caos, l'imprevedibilità relativa dei cicli naturali e vitali, la ricerca spasmodica della felicità e del benessere sono i capisaldi dei bisogni cui tutti i popoli di ogni epoca e latitudine hanno teso. Dunque, cambiano solo gli scenari e, al più, gli stili linguistici e narrativi ma la Storia si ripete sempre, ricomincia a marciare da una curva dell'infinito all'altra anche quando sembrerebbe arrestarsi proprio come suggerisce l'etimologia del vocabolo di origine greca, assai abusato e travisato da noi contemporanei, crisi, ovvero cambiamento e trasformazione. Poichè questo processo non è scevro da ostacoli e perdite e danni e polemiche,ecco che la fantasia, per riportare ordine e calma, interviene quando la denuncia non è più sufficiente a rivelare il disagio e a stimolare le soluzioni ai problemi: trasferire e trasfigurare la realtà in un tempo lontanissimo in cui, per giunta, la tecnologia ha raggiunto livelli tali di sofisticazione tali da risolvere i principali crucci materiali dell'umanità, pur consentendo l'esistenza di dissidenti che non rinunciano all'imprevedibilità e alla caducità umana ed evolvono secondo una linea di sviluppo più armonica con la natura, è un modo come un altro per esorcizzare la paura dell'ignoto spaziale e temporale. LA CITTA' E LE STELLE esce nel primo decennio del secondo dopoguerra (la versione definitiva è del 1956, ma il primo deposito è del 1954; Mondadori la pubblicherà nel 1957 nella collana I romanzi di Urania) ed è un romanzo figlio di quegli anni in cui, passata la sbornia per la vittoria per la vittoria sul nazismo, le macerie e le ristrettezze economiche postbelliche affliggono anche i vincitori; tuttavia proprio l'abbrivio derivato dallo sforzo ingegneristico e produttivo per vincere la guerra ha cominciato a mostrare le potenzialità delle menti e delle macchine che, in modo ancora del tutto nebuloso, insieme potrebbero semplificare e migliorare radicalmente l'esistenza. Così, gli sguardi più aperti e puntati dritti sul futuro, come quello di Arthur Charles Clarke tenente istruttore per i radar nella Royal Air Force durante la II Guerra Mondiale e poi (grazie alle agevolazioni per i reduci) laureato in matematica e fisica al King's College di Londra nel 1946 (ma nel 1945 aveva pubblicato un articolo in cui ipotizza l'uso di satelliti artificiali per le telecomunicazioni, tra l'altro), hanno avuto buon gioco nell'ordire le trame intellettuali di contestazione al potenziale irresistibile desiderio di restaurazione e omogeneizzazione culturale, che sarebbe sfociato nella politica dei blocchi contrapposti durata fino alla caduta del muro di Berlino, ma anche calmierare l'euforia per eccesso di fiducia nel progresso tecnologico e sull'effetto di trascinamento che, erroneamente, gli si attribuisce riguardo al miglioramento della specie umana. Riecheggiano le parole di Dante nella figura di Alvin, ...fatti non foste per viver come bruti, ma per seguir vertute e canoscienza..., l'inquieto e istintivamente curioso protagonista della vicenda narrata ne LA CITTA' E LE STELLE (Stars and the city, 1956) dall'autore del soggetto e parte della sceneggiatura di 2001 Odissea nello spazio diretto da Stanley Kubrick; egli è una replica generata dai banchi di memoria (oggi si direbbero database, con un moderno anglicismo del tutto fuori luogo rispetto al valore artistico dell'opera) del calcolatore centrale che è anima e sovrintendente della città di Diaspar, la teca ipertecnologica in cui il genere umano si è assicurato una serena eternità situandola in una zona arida e deserta, presumibilmente meno appetibile da qualsiasi esploratore alieno del terzo pianeta del nostro sistema solare. Qui, basta pensare o desiderare una cosa che il calcolatore la rende reale e tangibile, attraverso una serie infinita di marchingegni e una rete di connessione tra di loro i cui primi esempi stiamo cominciando ad approcciare e apprezzare soltanto adesso, nel secondo decennio del terzo millennio dell'era cristiana; ai tempi in cui Clarke concepisce il romanzo, quei sistemi potevano essere considerati iperboli fantasiose di una fervida immaginazione: tuttavia, il protagonista, colto nel momento di passaggio all'età adulta sente prorompere dentro di sè l'urgenza di conoscere cosa si celi oltre e prima del limite confortevole di Diaspar da cui è bandita ogni incertezza, ogni paura (quella della morte compresa), ogni problema o interrogativo senza risposta poichè il mastodontico e sofisticato elaboratore provvede ai bisogni primari e secondari della popolazione anche intervenendo sulla morfologia del territorio e sulla sequenza degli eventi, cancellando o ricostruendo a seconda delle domande che gli vengono poste e delle relative implicazioni. Alvin si sente speciale e diverso dalla massa uscita dalla sala della creazione a causa del fatto che, istintivamente, si pone domande e cerca risposte ragionando, facendo ipotesi sforzandosi di capire fino a voler toccare con mano, non accontentandosi di una simulazione, mettendo in discussione ogni affermazione calata dall'alto dosando logica, giovanile incoscienza e istinto di conservazione. La sua ricerca provocherà un terremoto nella società in cui vive e, insieme a lui, scopriremo la verità circa la sorte del genere umano lanciato alla conquista dello spazio interstellare ma, spaventato dalla sua complessità o dalla propria rigida ignoranza, ridimensionato nelle sue ambizioni al punto da cercare rifugio dall'ignoto sulla superficie del pianeta che è stato madre e culla della sua civiltà, dividendosi in comunità distinte facenti capo a due differenti scuole di pensiero che daranno vita a due distinte, ma non incompatibili, linee evolutive. Alvin è l'unico, ovvero l'elemento dissonante appositamente inserito dai fondatori di Diaspar nei cicli riproduttivi dei banchi di memoria così come si inserisce un gruppo di controllo in una analisi statistica per farla aderire meglio alla realtà fisica, la cui esistenza dovrebbe consentire al sistema di non collassare e di rigenerarsi: egli andrà oltre questo compito riaprendo il dialogo tra le due sponde dello stesso fiume che riprenderà a fluire verso l'evoluzione e l'esplorazione spaziale. LA CITTA' E LE STELLE (Stars and the city, 1956) è un romanzo dall'impianto solidamente classico e britannico, cioè è scorrevole ed essenziale e piacevole a leggersi anche in traduzione; stupisce anche il lettore più smaliziato poiché è privo di invenzioni e concetti inverosimili rispetto ai giorni nostri, pur essendo ambientato in un futuro talmente anteriore da doverlo assumere come un postulato, un dato di fatto non verificabile o dimostrabile: la capacità, nei primi anni Cinquanta del secolo XX, di descrivere una città cablata e una rete di connessione tra elaboratori elettronici autocoscienti e le coscienze e la fisicità di esseri replicati manipolando la materia o, addirittura, il viaggio spaziale attraverso un buco nero e la relativa riemersione in un universo parallelo dotato di un sistema planetario artificiale, è qualcosa di geniale dal momento che si tratta di concetti trapelati dal mondo scientifico e accademico puro a quello della comune opinione pubblica soltanto negli ultimi vent'anni, grazie a produzioni televisive e cinematografiche iperbolicamente in bilico tra finzione e realtà. In questo romanzo, Arthur Charles Clarke supera l'ingenuità eroica di Burroughs (JOHN CARTER DI MARTE) e il positivismo neoilluminista di Verne (DALLA TERRA ALLA LUNA, ATTORNO ALLA LUNA, VENTIMILA LEGHE SOTTO I MARI), preparando il terreno al pessimismo di Bradbury (CRONACHE MARZIANE, FARENHEIT 451) ma evitando di impantanarvisi, forte della lezione di Huxley (IL MONDO NUOVO, RITORNO AL MONDO NUOVO) che rielabora rendendo la narrazione più umana, più digeribile ai contemporanei e più affascinante per i posteri e per chi non è cultore del genere fantascientifico. A chiunque volesse intraprendere un viaggio in questo genere letterario, consiglio vivamente di salire a bordo de LA CITTA' E LE STELLE (Stars and the city, 1956) di Arthur Charles Clarke: sarete come nani sulle spalle di un gigante, guarderete lontanissimo e capirete il presente.
©2017 testo di Claudio Montini
©2017 foto di Orazio Nullo
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