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martedì 31 ottobre 2017

Un racconto per Halloween, riveduto e corretto, tratto da BRICIOLE DI SOGNI NELLO SGUARDO ( di Claudio Montini, Youcanprint 2013)

Minuto di sospensione
(edizione 2017)

di Claudio Montini



Dio creò il mondo e ci mise dentro l’uomo perché si annoiava parecchio: non c’era cantuccio dello spazio e del tempo di cui ignorasse vita, morte, miracoli e che non gli obbedisse ciecamente; voleva qualcosa che mettesse a dura prova la sua pazienza e pure quella delle altre creature, qualcosa di più avvincente e snervante di una partita a scacchi con sè stesso. Col genere umano si divertì fin dal principio: più l’istruiva circa il bene e il male, più quello faceva di testa sua, sbagliando con precisione chirurgica; anzi, pareva che l’istinto per l’errore l’avesse nel sangue, come i suoi piccoli hanno la calamita per le sculacciate e le marachelle. Se l’avesse sculacciato all'epoca della mela, gli sarebbe toccato di ricostruirlo e non è il tipo che faccia due volte gli stessi errori; così fece l’offeso per qualche secolo e si limitò a cacciarlo di casa, obbligando la progenie di Adamo ed Eva al giogo del dolore, della paura, della fatica di vivere. Ma questa, generazione dopo generazione, si adattò e imparò e si moltiplicò senza mai dimenticare quella favolosa età in cui non esistevano nemmeno le parole per identificare le tribolazioni: ancora oggi, fa di tutto per ritrovare e ricreare quelle condizioni, talvolta ricorrendo a metodi non del tutto privi di effetti collaterali. Così ci ritroviamo, ogni giorno che Lui manda in terra, con ingiustizie, soprusi e sperequazioni varie: infatti, preso singolarmente, l’uomo sarebbe pure una bestia intelligente e ragionevole ma, già quando sono solo in due, è capace di diventare una specie più devastante d’un esercito di cavallette. Però, ogni pazienza ha un limite: così Dio, per ricondurre l’indisciplinata creatura sulla retta via per il paradiso perduto, scudiscia e bastona quella che si crede la prediletta, fatta a sua immagine e somiglianza, sbagliando però sovente puntamento dei suoi strali e aumentando la distanza tra terra e cielo con una frattura difficile da saldare, perchè andava riempiendosi di incredulità e diffidenza. Era quello che pensava tutto il paese: il giorno in cui accadde la disgrazia, i primi che appresero la notizia se lo tennero per sè; il giorno del funerale, quelli che non riuscirono a entrare in chiesa e riempirono il sagrato, compresa piazza Brugnatelli e le vie adiacenti, cominciarono a bisbigliarselo; tutti quegli altri che, nei giorni successivi, osservarono i propri figli e non poterono fare a meno di provare a mettersi nei panni dei genitori del ragazzino, se lo dissero apertamente per chiudere il discorso e passare ad altre chiacchiere. Era quello che pensava il fante Poletti, che aveva appoggiato il moschetto modello 91 alla cuspide di travertino dalla parte del proclama del generale Diaz (quello che annunciava la fine dell’unica guerra mai vinta e che lui, con troppi altri, non aveva potuto festeggiare). Era quello che pensava anche Italia, che s’era tolta la corona turrita e aveva gettato l’elmo di Scipio, lasciando che il magone soffocato nelle pieghe del bronzo si sciogliesse, quella notte, in un abbraccio e in lacrime sulla giubba del soldato, di cui, alla luce del giorno, vegliava l'agonia e rendeva grazie eterna per il sacrificio suo e dei suoi fratelli, uniti dal tricolore e dalle stellette, in difesa del suolo e dei confini della patria. Paolo, sceso per primo dalla sua nicchia, era in vena di facezie e provò a fischiettare un motivetto d’un tale, un musicista caraibico, che viaggiava su una nuvoletta azzurrognola e dall’aroma molto pungente. Pietro invece, che era del medesimo umore di quel giorno che parevano essere scappati tutti i pesci dal lago di Tiberiade, proprio quello in cui si presentò il Nazareno che voleva farsi un giretto in barca come se non avesse niente di meglio da fare, guardò l’apostolo delle genti come se volesse incenerirlo. Mettersi a cantare No Woman no cry, stonato com'era, suonava più d’un oltraggio al pudore verso un sentimento di madre, per quanto simbolica e surrogata che Italia potesse essere, che una sciagura per i padiglioni auricolari: era una cattiveria gratuita e non volle trattenersi dalla rampogna. «Certo che, a te, la caduta sulla via di Damasco deve aver procurato dei danni davvero gravi. Dimmi un po’, la testa l’hai battuta più forte allora o quando te l’hanno spiccata dal collo, a Roma, lungo la via consolare?» «A te, invece, va sempre così in fretta il sangue alla testa perché, per farti perdonare dal capo, ti sei fatto crocifiggere a testa in giù?» Questo era un colpo davvero basso. Pietro ci rimaneva ancora male per quella faccenda e Paolo lo sapeva bene, ma era l’unico modo per troncare di netto la discussione: infatti il pescatore si chiudeva in un silenzio imbronciato, addirittura granitico, che era l’unico modo che conoscesse per trattenere le lacrime e nascondere la pena. Sebbene si fossero chiariti, col Nazareno, lo sentiva ancora nelle orecchie quel gallo cantare tutte le volte che, tanto in cielo quanto in terra, si rammentavano i fatti di quei giorni: ancora si vergognava e si sentiva indegno d’essere stato scelto per essere a capo della comunità di coloro che, pur non avendo visto e toccato come Tommaso, avevano creduto alla buona novella del Maestro e alla sua promessa. Italia ora aveva gli occhi asciutti e, avuta la muta approvazione del fante Poletti, lasciò le sue braccia per andare incontro ai due bisbetici vegliardi con l’aureola. Aveva visto troppe ingiustizie compiersi in nome di Dio, del re o di chiunque altro si arrogasse il diritto di elevarsi sugli altri suoi simili e dettare loro legge, da parte di ogni pusillanime invasato che fosse passato per le terre cui lei dava il nome, per non cogliere al volo l’occasione di domandare spiegazioni a chi Dio, o almeno il suo Figlio unigenito, l’aveva visto in faccia. Credeva alla fortuna piuttosto che al destino, credeva ai principi dell’azione e della reazione piuttosto che alla giustizia, umana o divina che fosse, credeva al tempo che passa facendo come più gli piace e smussa gli spigoli della Storia. Non accettava il fatto che fosse la morte l'unica soluzione, l’unica punizione efficace, l’unica lezione che costringesse a cambiare, a maturare, a rinnovarsi: meno che mai quando era un ragazzino con tutta la vita davanti da vivere, da scoprire, da sbagliare e da ricominciare. Stava per rovesciare addosso ai due campioni della fede e del martirio, tutti i dolenti dubbi che la gente macerava in cuore ma non era stata capace di consegnare alle parole di una preghiera, nonostante fosse straripata dalle vie del paese sulla piazza per riempire la chiesa dove molti non avevano trovato posto, per abbracciare lo sgomento dei genitori, per avere un segno dal cielo che aveva voluto con sé la madre delle madri, Maria, il medesimo cielo che li aveva scampati, secoli prima, dalla grandine e dalla carestia ma che ora restava muto nonostante la domanda aleggiasse nell'aria e nelle cose inanimate. Era pronta a farlo ma si bloccò come se fosse testimone e protagonista di un miracolo, pur essendolo già lei e il fante Poletti e Pietro e Paolo che si davano convegno in quello slargo, dove via Caduti per la Patria si confondeva col sagrato della Beata Vergine assunta in cielo. Era mezzanotte da un minuto, tutte le strade del cielo e della terra erano accese, ma il creato non l’aveva mai saputo, non lo sapeva, non l’avrebbe mai saputo. Era un regalo di Dio per non soffocare la speranza, per dare una risposta, quasi consolatoria, all'ultima cruciale domanda: immobilizzava il tempo e lo spazio affinché i piani paralleli della vita si toccassero e si facessero, reciprocamente, coraggio per continuare il cammino nel giorno appena iniziato. Era un miracolo piccolo come un fazzoletto ricamato a mano, di quelli da conservare vicino al cuore e da gualcire il giorno che si sarebbe dovuti partire per sempre. Italia se ne era dimenticata, presa com'era dal dolore di avere perduto un altro figlio per futili motivi; Pietro, Paolo e il fante Poletti, che avevano usufruito di quel dono, ciascuno a suo tempo, sorrisero al nuovo venuto. Il ragazzo venne spingendo il suo scooter e scese issandolo sul cavalletto; carezzò il viso di Italia, giusto per asciugarle una lacrima impertinente che aveva attraversato la guancia: poi parlò a tutti loro. «Il mio tempo non è più il presente e nemmeno il futuro: il mio tempo è l’imperfetto. Vi confesso che, sulle prime, non ero affatto contento di questo mio nuovo stato. Io volevo solo fare un giro in moto, provarla a manetta, prima di ritornare sui libri a sforzarmi di riempire la testa di tutte quelle noiose nozioni...No...Non me l’aspettavo che accadesse proprio a me, non l’avevo chiesto né voluto: avevo una vita davanti e avevo anche trovato con chi condividerla. Poi, dopo il buio, seguendo nella luce una voce che chiamava il mio nome ho visto ogni cosa di me, della mia storia, del mio posto in un disegno più grande cui anche io avevo dato qualcosa per realizzarsi. Allora, ho capito tutto. Sono in pace con quel che resta di me e con quel che è stato reso a chi mi inviò tra le braccia dei miei genitori.» Si interruppe, abbassando lo sguardo attraversato da una sottile ansia d’essere creduto e mille altri pensieri, come accade ai ragazzini; riaccese il sorriso e proseguì con dolcezza. «Già...i miei genitori...proprio adesso che avevamo trovato il modo di comunicare...anche tra di noi... Chissà se, in questo primo minuto del nuovo giorno, staranno facendo l’amore... Sarebbe...bello, sì!... Anche solo per consolarsi, per farsi coraggio a vicenda, per aiutarsi ad aspettare senza troppa malinconia il giorno in cui ci ritroveremo... Bene, vorrà dire che entrerò in punta di piedi nei loro sogni e lascerò poche parole che sciolgano il dolore! Chiederò loro di preparare una stanzetta nel cuore per tutte le volte che potrò tornare, perché il cielo è grande ma non abbastanza per contenere il nostro amore, infinito come questo minuto che avvicina la valle di lacrime alla luce della verità e della vita.... Scusatemi, ora dovrei andare...» Così, spinse giù la moto dal cavalletto e scomparve lungo la discesa che digradava fino al bivio e che, a sinistra, portava a quella che era stata casa sua. Piazza Brugnatelli, si svuotò in un’istante: Pietro e Paolo ripresero posto nelle loro nicchie a lato del portone della Chiesa dedicata alla Beata Vergine Maria Assunta in Cielo; Italia riprese ad assistere all'ultimo respiro del valoroso fante Poletti sul Carso insanguinato e liberato dall'austriaco invasore. Una folata di ponentino accarezzò le fronde dei castagni vicini al monumento, rimettendo in moto l'universo e le lancette del campanile.


(c) 2013-2017 testo di Claudio Montini
(c) 2016 Immagine di Orazio Nullo "Miracles and desire's night"


domenica 29 ottobre 2017

Un messaggio dal cielo o solo una bella cartolina?


Avviso di sfratto a un ospite distratto?

di Claudio Montini
L'insolito tepore del mese di ottobre, a cavallo del 45° parallelo, ha generato un tramonto dai toni d'aurora boreale, con tinte acide ed elettriche, che i più audaci sognatori hanno salutato come raffigurazioni plastiche delle esplosioni di plasma a ridosso della corona solare (evento da cui nascerebbe il cosiddetto vento solare che le fasce di Van Halen contribuiscono a deviare). La fluida velatura delle nubi poco consistente ha contribuito a creare un drappeggio affascinante, quando non elegante e inquietante al tempo stesso, sopra le teste del nugolo di fotografi telefonisti che hanno dato il meglio di sè per catturare l'attimo fuggente di cui si è ammantato l'orizzonte. Anche io ho ceduto alla tentazione e ho fatto i miei bravi scatti, complice la passeggiata serale per le campagne con il cane Leone; ma subito dopo, me ne sono pentito e sono stato preso da una lieve angoscia: se invece di un bello spettacolo offerto da madre natura, si trattasse dell'ennesimo grido d'allarme lanciato da lei stessa? Vale a dire: se anche questo spettacolo, unito alle temperature fuori dall'ordinario per il periodo, la siccità che sta mettendo in ginocchio il nostro ecosistema e agevolando le scellerate incursioni di piromani armati da malavitosi ingordi, i fortunali tropicali che cambiano rotta e si abbattono altrove seguendo la corrente del golfo e traversando oceani interi, non fossero altro che un pressante invito a modificare abitudini e atteggiamenti nei confronti degli equilibri ecologici del pianeta che chiamiamo Terra, onde evitare di ridurci a un sasso senza atmosfera nè acqua che orbita intorno a una stella che invecchia? Le nuvole, mi spiegava alla scuola elementare la maestra, sono il risultato di più forze convergenti e di più eventi contingenti ovvero il vento che è generato dal movimento rotatorio del pianeta che trascina la massa d'aria umida che, salendo si raffredda e condensa l'umidità stessa in ammassi che sono in balia del vento, della gravità e della rotazione di cui sopra perchè, comunque, sposta tutta l'aria che però è anche riscaldata dal sole che, contemporaneamente, la illumina. Lui lo fa da miliardi di anni, forse senza consapevolezza: noi che ci crediamo intelligenti, ci stupiamo ogni volta e pensiamo che non possa finire nè cambiare mai perchè non sappiamo guardare nemmeno più in là del naso della generazione che ci succede. Godiamoceli questi attimi, perchè se non cambiamo atteggiamento mentale, il pianeta potrebbe decidere di fare a meno di noi.

(c) 2017 Testo di Claudio Montini
(c) 2017 Immagine di Claudio Montini
    

sabato 28 ottobre 2017

Costituzione della Repubblica Italiana: articoli 27 e 28


Articolo 27

La responsabilità penale è personale.
L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.


Articolo 28

I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici.

Testo tratto da "Costituzione della Repubblica Italiana" ed. 2011 distribuita da "La Provincia pavese" con il numero del 17 marzo 2011 festa dell'unità nazionale, della costituzione, dell'inno e della bandiera.
(c) 2017 Immagine di Orazio Nullo "Fishermans village"

Europa game over

Europa game over
di Claudio Montini

Il continente che ha dato i natali a furbi contrabbandieri, conquistatori e rapinatori di terre e ricchezze altrui, corruttori e distruttori di civiltà ritenute inferiori per mandato divino, ha definitivamente esalato l'ultimo respiro con la dichiarazione d'indipendenza di una regione del Regno di Spagna. Se esistevano dubbi sulla inconsistenza delle istituzioni europee, eccezion fatta per quelle finanziarie e monetarie, il parlamento della Catalogna, con la scellerata ma scontata votazione sulla dichiarazione d'indipendenza della regione, li ha fugati tutti. A caldo, gli altri stati diranno che non la riconosceranno ma è molto probabile che finiranno per trovare una scappatoia e un'accomodamento sarà messo in atto in un tempo assai breve: l'Europa dei bottegai non si smentirà neppure questa volta, purchè i profitti rimangano invariati e le voci di dissenso seguitino a manifestarsi per dare l'illusione di una inossidabile democrazia. Certo, comunismo e fascismo sono crollati come giganti dai piedi d'argilla sotto il peso e, paradossalmente, l'inconsistenza della loro burocrazia assoluta e cieca: accadrà la stessa cosa per l'Unione Europea, strumento di canalizzazione di fiumi di denaro che altrimenti farebbero solo un po' più di fatica a spostarsi da una banca all'altra, da una tasca all'altra, per generare altro denaro e non benessere, infrastrutture, assistenza ai bisognosi e, con gli spiccioli, un po' di carità al terzo mondo. La situazione è anche peggiore di quella immaginata da Orwell in 1984 e ancora più grottesca della leggenda per cui l'orchestra seguitò a suonare durante l'affondamento del Titanic. In Italia, qualcuno fece scrivere sui muri che il popolo che dimentica di studiare la storia è destinato a riviverla: se, disgraziatamente, quel qualcuno non lo avesse fatto ma l'avesse detto qualcun'altro il cui nome ora mi sfugge...ciò non toglie che avesse ragione da vendere ma che aveva riciclato un'assunto di Giovan Battista Vico, filosofo barocco italiano, che sosteneva la ciclica ripetizione degli eventi storici quattrocento anni prima di me.

(c) 2017 testo di Claudio Montini
(c) 2017 Immagine di Orazio Nullo "Betraied hopes" 

martedì 24 ottobre 2017

Abbiamo vinto...la solita aria fritta!

I Lombardi, i Veneti e l'aria fritta che sa di vittoria
di Claudio Montini

Ci vuole un bel coraggio a dire che hanno vinto i lombardi, con solo il 39% scarso di aventi diritto che si è recato ai seggi elettorali consueti per provare i nuovi giochini elettronici voluti dalla presidenza leghista della regione che si crede ancora polo economico-finanziario dell'Italia. Piaccia o meno ai professori che abbondano nella rete informatica mondiale così come abbondavano al Bar Sport o al Bar centrale (per non dire del Bar Cooperativa del Popolo) del mio paese, le stanze dei bottoni dell'economia e della finanza e della produzione industriale si sono spostate altrove, da almeno una quarantina d'anni: per qualche tempo hanno villeggiato tra la laguna che vide i fasti della Serenissima e il Piave (solo così si spiega l'alta affluenza registrata in Veneto allo Zaia Show), posso concederlo, ma ora tutto si svolge e decide in una sorta di iperuranio avulso dai contesti geopolitici che si ostinano a insegnare nelle scuole, ovvero in una sorta di quarta dimensione dove non conta la tessera politica nè l'ideologia e nemmeno la fede religiosa, ma soltanto il bilancio in partita doppia e la cassa entro cui far scorrere i denari o lasciarli riposare in attesa di tempi migliori. Domenica 22 ottobre e nei giorni seguenti, è andata in scena una tragica farsa spacciata per democrazia e rispetto delle norme di legge, in primis costituzionali: si è trattato invece di un grottesco regolamento di conti tra correnti di partito (leggi Lega Nord) finanziato e benedetto da soldi pubblici (cioè le tasse dei cittadini) e dalle istituzioni repubblicane italiane, forti del dettato della legge più bella e inapplicata mai promulgata. E' stata la dimostrazione, plastica e pleonastica, della distanza siderale tra paese legale e paese reale: quello che è stato chiesto ai cittadini è il permesso di fare una azione che è già facoltà, a questo punto anche dovere, dei governatori e delle giunte di governo di tutte e venti le regioni che compongono la Repubblica Italiana, comprese quelle a statuto speciale, ovvero dotarsi di una legge regionale che preveda la richiesta di maggiori competenze, indichi le modalità per ottenerle ed espletarle, specifichi i costi e le risorse necessarie per attuarla e sia indirizzata al Potere Esecutivo affinchè intavoli una mediazione in vista della piena realizzazione delle istanze in essa contenute. La Regione Emilia Romagna l'ha già fatta, approvata e presentata al Governo; il Veneto l'ha approntata e l'approverà cercando di usarla anche come strumento di persuasione; la Regione Lombardia non ne ha nemmeno sentito parlare e nemmeno c'è uno straccio di bozza: era troppo impegnata a trovare i soldi per i videogame e per pagare le forze dell'ordine che hanno svolto il consueto lavoro di presidio dei seggi elettorali, per non dire dei poveri tapini che si sono visti scippare un fine settimana come presidenti e scrutatori. La triste realtà, meschina e deformata fin che volete...ma non mi dite che non ci avete pensato anche voi, è quella per cui all'interno della Lega Nord ci sia stato un conteggio delle forze relative alle anime che, sotto la camicia verde, si agitano alle spalle del segretario federale: a parte piccole frange estremiste, per altro già trombate alle passate consultazioni, Roberto Maroni e Luca Zaia hanno inviato un velato messaggio al candidato primo ministro Matteo Salvini, dal momento che oggi contano i numeri e le statistiche più dei proclami, ovvero fai pure la corsa per Palazzo Chigi ma bada di non ignorarci poichè abbiamo i numeri per azzopparti e prendere il tuo posto anche dalle nostre poltrone di governatori di regione. Il tutto alla faccia dei disoccupati, delle aziende in crisi, delle collusioni con la malavita, con le deficienze in tema di infrastrutture, assistenza sanitaria, sicurezza spicciola e macroscopica dei nostri borghi come delle nostre città: vale a dire alla faccia del popolo che, a parole, è loro tanto caro e che ha pagato tutto quanto. Allora, lombardi, siete davvero sicuri di avere vinto qualcosa che non sia altro che aria fritta?
(c) 2017 Testo di Claudio Montini
(c) 2012 Immagine di Michele Pini dal diario facebook  

lunedì 23 ottobre 2017

A Lomello ci sarà una macchina che riavvolge il tempo

La macchina che riavvolge il tempo
di Claudio Montini

Avete ancora pochi giorni per prenotare un posto in prima fila per provare una singolare macchina che, secondo la fisica  generale e quantistica, non esiste e la teoria della relatività generale si limita a postulare assumendo come costante la velocità della luce. Non dovrete imbarcarvi su alcun Trans Europe Express Milano-Frankfurt-Hamburg facendo scalo a Gènève per mettere la testa dentro al CERN; sarà sufficiente contattare la Pro Loco Lomello in Lomello (PV), Italy, ai numeri e agli indirizzi web che vi darò per realizzare una esperienza unica nel suo genere a un costo decisamente abbordabile da qualunque tasca, ovvero trascorrere una serata in compagnia di ospiti illustri che vi lasceranno anche del buono in bocca. Il 28 ottobre 2017 sarà una serata speciale nella parte più antica della località pavese: con tre guide d'eccezione, ovvero la regina Teodolinda, il conte palatino Ottone I (l'appellativo palatino è dovuto alla provenienza diretta dalla sede del Sacro Romano Impero, il Palatinato germanico) e il conte, poi cardinale, Alessandro Crivelli, si potrà visitare il borgo antico di Lomello comprendente Santa Maria Maggiore, il Battistero di San Giovanni ad fontes e il castello Crivelli, in cui si terrà una degustazione di prodotti locali. In particolare, sua maestà la regina Teodolinda guiderà i presenti alla scoperta del Battistero, in cui secondo la leggenda e le fonti storiche pare abbia ricevuto il battesimo cattolico (lei era cristiana, sì, ma seguace dell'eresia di Ario come molti popoli germanici del VI secolo dopo Cristo); il conte palatino e, intorno all'anno 1040 dopo Cristo, di Lomello Ottone farà luce sulle origini della Basilica di Santa Maria Maggiore e anche, perchè no?,
Piazza Castello
sulle vicissitudini successive. Da ultimo, Alessandro Crivelli, conte di Lomello e di Dorno, in compagnia della consorte donna Margherita Scarampi apriranno le porte del castello che, intorno al 1560, fecero costruire in luogo del precedente, ormai diruto e desueto, ma in altro loco e con altro scopo: infatti esso fu concepito come residenza nobiliare e non come struttura difensiva, quindi la vista si sollazzerà degli ameni ed eleganti affreschi con cui fecero adornare le stanze. A seguire, prima di congedarsi da voi e da Lomello e richiudere le porte del tempo aperte solo per sabato 28 ottobre, si svolgerà una degustazione con sorpresa...sicuramente gustosa! Cosa dovete sapere ancora? Eccovi serviti: 
Piazza Teodolinda

  • gli spostamenti si effettueranno a piedi con l'ausilio di lanterne e candele, dopo il tramonto, accompagnati da guide di cui ho detto abbigliate in modo consono all'epoca cui appartengono e sono vissute.
  • Il viaggio nel tempo avrà la durata di circa due ore. Un'ora circa la degustazione.
  • Prenotazione obbligatoria entro giovedì 26 ottobre. 
  • Informazioni e prenotazione prolocolomello@yahoo.it3271085241
  • http://prolocolomello.blogspot.it/
  • Punto di accoglienza: sede della Pro Loco Lomello, piazza Repubblica 1, Lomello (PV) (se scrivete l'indirizzo su google Maps vi fa vedere anche se ci sono parcheggi liberi...) 
  • Ritrovo presso il punto di accoglienza ore 16.45
  • Prezzi:  Adulti 20 € (compreso il biglietto d'ingresso alla basilica e la degustazione)                             Ragazzi dagli 11 anni € 12                                                                                                       Bambini fino a 10 anni € 5.
  • Posti limitati. La manifestazione si svolgerà anche in caso di maltempo.

Allora, ricordate di prenotarvi entro giovedì 26 ottobre telefonando al numero che vi ho dato, oppure inviando una e-mail: il presidente Gabriele Prinelli e i suoi collaboratori saranno lieti di esaudire le vostre richieste e ancora più lieti se vorrete venire a trascorrere una serata fuori dal comune in quel di Lomello. 

(c) 2017 Testo di Claudio Montini
(c) 2017 Immagini di Orazio Nullo ("Peculiar Time Machine" 2017 accanto al titolo)

sabato 21 ottobre 2017

Dalla cambusa di zio Propano: Melanzane in foglie alla greca

MELANZANE IN FOGLIE ALLA GRECA
di Zio Propano


Sgombriamo il campo da eventuali equivoci: la Grecia in questa ricetta non c'entra se non per il fatto che uno degli ingredienti è un formaggio a base di latte ovino, prodotto nella terra di Omero e di Vangelis, che risponde al nome di feta. Anche se somiglia alla parmigiana di melanzane più classica, risulterà più leggera e più rapida da confezionare: ma questo è solo un mio parere: diamoci da fare e procuriamoci:
  • 2 melanzane grandi (700 grammi circa in tutto: al supermercato ci sono appositi vassoi confezionati e ciò significa che, grazie ai produttori di verdure di quarta gamma, li potete trovare tutto l'anno)
  • 1 confezione di feta greca (200 grammi, nel banco frigo, zona formaggi freschi porzionati)
  • prezzemolo o foglie di rosmarino tritate q.b.
  • Doppio concentrato di pomodoro (quanto ne esce dal tubetto di volta in volta...poi vi spiego)
  • 1 bulbo d'aglio (tutti gli spicchi che si possono cavarne...)
  • 50 grammi di burro
  • Olio extravergine di oliva (un paio di cucchiai da tavola, più o meno...)
  • Sale fino q.b.
Sciacquate le melanzane, private delle estremità, tagliatele a fette sottili ma non troppo come se foste alle prese con un salame crudo e disponete i dischi ottenuti su di un piatto, avendo cura di cospargere ogni strato con un generoso pizzico di sale fino. Quindi affettate sottilmente tutti gli spicchi che il bulbo d'aglio potrà offrirvi; se disponete di prezzemolo tritato, surgelato o essiccato, non dovete fare nient'altro: in caso contrario, con le foglie di un paio di rametti di rosmarino e uno degli spicchi che avete già potete preparare, con una mezzaluna o un coltello affilato, un trito di aglio e rosmarino. Il burro che avete tirato fuori dal frigorifero adesso vi servirà per imburrare una teglia da forno (che possa andare anche nel microonde) con i bordi alti, invece la feta greca va tagliata a fette sottili come se fossero listelli da parquet: insomma, il formaggio si presenta come un parallelepipedo e voi affettatelo per il lato corto! Le fatiche son finite ora comincia il divertimento: pavimentate il fondo della teglia imburrata con le fette di melanzane, copritele con qualche listello di feta, tre o quattro riccioli di concentrato di pomodoro, una spolverata di prezzemolo e alcune fette d'aglio (in alternativa, distribuite il triturato di rosmarino che avevate preparato). Coprite il primo strato con un altro giro di melanzane, premete con le mani tutta la superficie, e ripetete le operazioni di farcitura e posa e pressione delle "foglie" di melanzana fino a che queste non finiscono. Un filo d'olio all'ultimo strato, qualche briciola di feta residua (per non buttare via niente...), qualche ricciolo di concentrato di pomodoro (facoltativo: solo per dare una nota di colore) e via in forno a microonde per 15 minuti più 2 minuti senza coperchio per gratinare (in forno da cucina possono bastare venti, massimo trenta minuti, a 150 °C...fino a che la foglia non si appassisce fino a parer cotta: vale sempre l'occhio e l'istinto del cuoco che è in voi). Il burro agevolerà la cottura, la feta non si squaglierà ma cederà sapidità e carattere alla melanzana che assorbirà le qualità benefiche dell'aglio e ne neutralizzerà i lati meno nobili del temperamento, grazie anche ai buoni uffici del pomodoro concentrato; il profumo e il gusto che impatteranno sui vostri palati, se chiuderete gli occhi, vi trasporteranno su rustiche oasi affioranti dal Mediterraneo centro-orientale.
Buon vento ai naviganti e buon appetito a voi!

© 2017 Testo e ricetta di Claudio Montini
© 2017 Immagini di Orazio Nullo  

mercoledì 18 ottobre 2017

Una piccola storia pavese

Ticino, il treno e il vecchio assente
di Claudio Montini


Il treno passò ma lui non c'era; forse sarebbe venuto il giorno dopo o quello appresso, se il tempo si fosse mantenuto, se il cielo o chi per esso si fosse dimenticato dell'inverno per un'altro giorno. Già, ma quanti inverni e primavere e treni e barcè avevano visto quei vecchi occhi? Era lì da sempre, secondo me; l'unica volta che mi ero portato la macchina fotografica per fare lo scatto della vita, la foto che fa il giro del mondo e mi avrebbe proiettato nell'olimpo dei daguerrotipisti con Henri Cartier-Bresson ad accogliermi...invece, lui non c'era! Oh bella: c'era la sedia vuota e il treno che passava: basta, punto, fine. Avevano mica cominciato uno scavo al Ticinello e, allora, era andato a vedere il buco fatto con la ruspa, con tutti gli altri della bocciofila del Borgo, anziani Neca o Necchi o badilografi che avevano tirato su la città delle cento torri con secchio e cazzuola, voltando col badile montagne di sabbia e cemento, dopo le bombe degli americani? La risposta la trovai una volta ritornato sull'argine, quando mi imbattei in un pannello per le pubblicità e per gli annunci dei funerali; adesso non mettevano più soltanto nome e cognome e l'età: no, siamo diventati moderni, ci mettiamo anche una foto! Magari segnaletica come quella che aveva messo sul libretto della pensione o sulla carta d'identità che teneva nel portafoglio di cuoio, tanto per metterci dentro qualcosa. La buca stavolta l'avevano fatta quelli del Comune, ma a San Giovannino: dove si prende l'ultimo treno col vestito della festa e il soprabito di legno e di zinco! Il cielo o chi per Lui gli avevano portato, forse prima di colazione o la notte nel primo sonno, il resto degli anni spesi in questa valle di lacrime, tutto in una volta, mandandolo a riscuotere direttamente a casa di Dio e senza passare da canale a ritirare la sua sedia. Volevo portargliela là, al camposanto, per lasciarci sopra la fotografia perchè la vedesse anche lui; mi ero segnato il nome, caso mai non riconoscessi la foto sulla lapide: ma non l'ho più trovata, giù a Ticino, drera canal come avrebbe detto lui, e a momenti non trovavo nemmeno la tomba... Muore tanta gente a Pavia che lei, la città, manco se ne accorge più perchè, se non li bruciano e i parenti si tengono le ceneri dove gli pare, i morti li mettono sotto terra vicini vicini e magari uno sopra l'altro: così ci stanno più lapidi e si fanno sentieri più facili da tenere in ordine. Il marmista aveva appena finito la posa, mi disse che in cinque minuti il mastice avrebbe fatto presa e avrei potuto anche camminarci sopra senza far danni: pensava che fossi un parente... No, grazie... cioè, sono un conoscente... di passaggio... come tutti, del resto. Aspettai che se ne andasse e poi poggiai il vasetto di peonie preso per beneficenza fuori dalla Coop, facendo in modo che tenesse ferma la fotografia che avevo plastificato; sulla lapide definitiva c'era anche la foto in ceramica, con la stessa grimula cioè con la stessa faccia che avevo visto sul manifesto del funerale. Però, quando la guardai l'ultima volta prima di andarmene a casa, mi parve che il vecchio sorridesse: ma doveva esserci in giro qualche polvere sottile cui ero allergico a mia insaputa, perchè avevo gli occhi bagnati.

© 2016 Testo di Claudio Montini  - inedito
© 2016 Immagine di Orazio Nullo "From bridge to bridge"


martedì 17 ottobre 2017

Scampoli di fine stagione: ma la colpa è anche nostra

Avete voglia ad aspettare che piova...
di Claudio Montini

Siamo alla fine di una legislatura, in Italia, che è stata caratterizzata dalla più assurda delle logiche conseguenze del parlamentarismo scientifico adottato dai costituenti nel biennio 1946-1947 come antidoto alle derive autoritarie che, sospettavano e temevano con giusta ragione, avrebbero affascinato di nuovo la maggioranza silenziosa dei cittadini italiani. Il mito dell'uomo forte per tutte le stagioni, il capo supremo tutto d'un pezzo cui giurare eterna fedeltà, onde riceverne prebende e compensi, è una parte integrante nel corredo genetico ed etico dell'abitante della terra dove il "si" suona; altrimenti non si spiegherebbe il successo di mafia, camorra, 'ndrangheta e loro declinazioni varie ed eventuali, non si spiegherebbe il sistema appena rivelato ma non debellato che comodamente etichettiamo come "Tangentopoli", non si spiegherebbe il ricorso sistematico alla raccomandazione per entrare anche in un circolo o un'associazione ricreativa, culturale o sportiva di coloro che, da Cavour e S.A.R. Vittorio Emanuele II in poi, si illudono e si credono e si ostinano a chiamarsi italiani specialmente quando incitano undici giovanotti in maglietta azzurra e calzoncini bianchi che rincorrono un pallone, contendendolo ad altrettanti giovanotti con una maglia dal colore diverso sopra un prato verde. Purtroppo o per fortuna, la politica non è riducibile ad una partita di calcio e alla fine presenta sempre il conto di di quel che si è fatto o che si è detto sottratto delle promesse mancate: la libertà è in una matita e un foglio di carta con tanti disegni colorati e tante caselle tra cui scegliere quella da barrare, in una scatola di latta con una tenda che impedisce a chiunque di guardare dove si traccia il segno, in un'altra scatola dove depositare quel foglio piegato in modo che non si veda la scelta compiuta fino a che non si proceda allo spoglio di tutti gli altri fogli, quando tutti quelli che potevano farlo abbiano votato. Già, la libertà. Siamo alla fine di una legislatura, o meglio abbiamo iniziato il suo ultimo tratto, in cui si è assistito a un ulteriore separazione tra paese reale e paese legale con buona pace di quella libertà di cui parlavo poche righe più sopra: la politica ha preso in ostaggio il paese reale sfruttando la sua capacità di superare le crisi, di adattarsi e piegarsi alla piena come il giunco del proverbio siciliano, per foraggiare se stessa e pavoneggiarsi nel teatrino europeo e compiere comodamente i propri regolamenti di conti. Lo dimostrano i discorsi programmatici dei politici di questi giorni in cui si sta per varare una nuova legge elettorale, tutti tesi ad ottenere le più vantaggiose condizioni che consentano di raggranellare il maggior numero di seggi: sul fronte dei problemi dell'Italia, come lavoro e infrastrutture da manutenzionare e famiglie da sostenere e villaggi da ricostruire con annessi e connessi, come malati da curare e medici e tecnici da istruire a dovere e invogliare a restare a lavorare dove sono nati, come forze di polizia e di primo intervento da corroborare e incentivare con ricompense tangibili e non vacue promesse, come carceri da umanizzare e giustizia rapida e sicura affinchè smetta di essere conveniente la disonestà, il malaffare, la prevaricazione...ebbene, riguardo a tutto ciò si registra un silenzio che nessuno ha mai sentito, un vuoto senza neppure l'eco (si sono rubati pure quello, oltre alla nostra speranza), un deserto immobile di pietre dove nemmeno il vento solleva granelli di polvere tanto non ne vale la pena. La cosa peggiore è che nessuno di noi sente il bisogno di ribellarsi, di alzare la voce, di scendere in piazza o di andare alla sezione del proprio partito e chiedere spiegazioni: ci si indigna per gli espulsi dal Grande Fratello, si trepida per la Ferrari che non ne imbrocca una in ogni gran premio, si smania per l'ultimo modello di telefono cellulare quando ancora non si è finito di pagare il divano o il frigorifero o il conto dal salumiere. Non è più tempo di "Piove, governo ladro": se l'Italia va male la colpa è anche di noi italiani...oltretutto, con questo anticiclone africano (figlio anche del riscaldamento globale dovuto all'inquinamento), hai voglia ad aspettare che piova....

(c) 2017 Testo di Claudio Montini
(c) 2017 Immagine di Orazio Nullo "Show must go on"

domenica 15 ottobre 2017

Le vie del Signore sono infinite: pace e bene!

Era già stato scritto...credeteci!

di Claudio Montini

Le domeniche non cadono mai a caso: oggi, per esempio, si festeggia santa Teresa d'Avila vergine (era una monaca di clausura, se non ricordo male) dottore della Chiesa (quella cattolico romana) per via del filo diretto che aveva con Colui che lassù risiede, il quale la omaggiava di frequenti visioni mistiche: il che le dava la forza di ammonire teste coronate e semplici contadini affinchè si convertissero al Vangelo. Credo che sia stata in predicato di essere nominata anche patrona d'Europa, con san Benedetto e santa Scolastica: se non lo è ufficialmente, sicuramente lo è nei cuori dei credenti di ogni latitudine e longitudine del Vecchio Continente poichè il nome "Teresa", con lievi variazioni nella grafia, funziona bene e si mantiene altrettanto in tutti gli idiomi parlati nelle terre che si considerano culla della cosiddetta cultura occidentale. La stessa cosa vale per lo stuolo di nuovi santi e beati proclamati oggi da papa Francesco, trentacinque pare, conosciuti in punti ben specifici del globo terracqueo e dunque non esattamente popolari, ma invocati con fervore tale da far palesare i necessari miracoli atti ad ottenere la certificazione papale: loro erano già santi nei cuori di chi li aveva conosciuti o li aveva incontrati per altre ragioni. Come siamo meschini! Siamo così intossicati dalla malfidenza che abbiamo bisogno di certificati, carte bollate, dichiarazioni d'autenticità autorevoli anche per qualcosa di impalpabile ma connaturato alla natura dell'essere umano, quella parte irrazionale, irriducibile, ingovernabile che è il sentimento amoroso e spirituale. Eppure è scritto, nero su bianco, in greco e in latino ciò che è stato detto prima in aramaico e che, caso più unico che raro, tutti e quattro i vangeli (i tre sinottici e quello di Giovanni, prodotto in epoca più tarda e sottoposto ad evidenti influssi neoplatonici) riportano allo stesso modo: "Vai in pace, la tua fede ti ha salvato" diceva il falegname di Nazareth a chiunque incrociasse la sua strada, lo ascoltasse in cerca di un briciolo di speranza verso un domani migliore e venisse beneficato, mondato dai suoi mali, perdonato per i suoi peccati solo per aver creduto nella forza d'un eterno messaggio d'amore. Per migliorare il mondo, partendo proprio da quello che nessun'altro se non ciascuno di noi può vedere e governare, forse dovremmo, come consiglia sempre il papa, fare delle Sacre Scritture gli occhiali con cui guardare la realtà, leggendole e rileggendole: finiremmo, a mio modesto avviso, per ritrovarci sempre davanti al comandamento nuovo che il Cristo ha suggerito nella cena del Giovedì santo. Ama il prossimo tuo come te stesso, amatevi gli uni gli altri: basta poco...che ci serve d'altro?

(c) 2017 Testo di Claudio Montini
(c) 2017 Immagine di Orazio Nullo "Flying seeds"  

sabato 14 ottobre 2017

Il sabato del villaggio

Ricordi dal sabato del villaggio
di Claudio Montini

Sabato è sempre stato un giorno speciale della settimana, come il punto che si mette in fondo ai pensieri quando si ritiene di aver chiarito il concetto che premeva per uscire dalla scatola cranica. Qualcuno tirava le somme, qualcuno sognava in grande, qualcuno tirava calci ad un pallone, qualcuno sfogliava l'enciclopedia per provare a sentirsi in un'altro posto e, magari, in un'altra vita. Sognava, quel qualcuno, di fare l'astronauta ma per sua sfortuna di navicelle spaziali della sua misura non ne costruivano; probabilmente il razzo Saturno V dell'ingenger Von Braun non avrebbe avuto la forza necessaria a spingerlo, almeno, in orbita intorno alla Terra data la sua troppa confidenza con pastasciutta, cotolette impanate, patatine fritte, focacce e pane bianco in ogni sua forma e composizione. Così si accontentava di farlo con la fantasia, con le fotografie e coi rari servizi giornalistici che passavano in televisione: quarant'anni fa, non si era ancora diffusa tutta questa tecnologia, questa orgia di informazioni e dati rubati e scambiati da entità in grado di condizionare la nostra vita. Il sabato era il tempo da dedicare alla bellezza e alla moda, alle apparenze e anche il tempo per respirare e pensare ad altro: una pausa nel logorio della vita moderna. Mi piacerebbe tornare indietro a quei sabati con la televisione in bianco e nero, le discoteche coi divanetti di velluto e le luci colorate e i cuba libre che scorrevano a fiumi alternandosi ai gin tonic, la pizza alle due di notte e poi guidare piano fino a casa ascoltando le cassette comprate dal disc jockey. Giusto per farmi quattro risate sane e spensierate e rendermi conto che, in fondo, non è stato tempo sprecato.

(c) 2017 testo di Claudio Montini
(c) 2017 immagine di Orazio Nullo "Peculiar Time Machine"

Brividi notturni

Altre speranze tradite
di Claudio Montini

Si fa presto a dire "Credi in quello che fai e tutto andrà per il meglio", specialmente quando a regalare banalità non si rischia di perdere nulla; si fa presto a dire che il mondo è molto più grande delle mura di casa, delle strade del tuo villaggio e non troverai mai una persona uguale all'altra: così si alimentano le illusioni che, per carità, sono importantissime e utilissime per non impazzire o meditare e progettare di togliersi la vita, giusto per cavarsi d'impaccio o semplicemente togliere il disturbo quando si avverte la sensazione di essere un'ospite ingombrante e scomodo, ma anche pilatescamente si rimanda al mittente la gestione e la soluzione del problema. Purtroppo, alcuni occulti burattinai stanno manipolando i mezzi di comunicazione di massa per convincerci che il mondo è un postaccio, marcio, lurido, laido, spietato e ingiusto, che dobbiamo armarci e loro vederci partire alla conquista di spazio vitale. Mi vengono i brividi a pensare che, fra non molto, su qualche carro agricolo addobbato con bandiere e sciarpe e felpe con nomi di città, cravatte verdi, camicie bianche (quelle nere, al primo lavaggio severo, si sono stinte: hanno provato a decorarle con cinque stelle, ma se sotto la camicia c'è un caprone ignorante e sordo...beh, quello caprone rimane con tanto di barba di tre giorni o abbronzatura di lampada fresca di centro estetico), doppiopetti o maglioni girocollo per sembrare giovanili e nascondere le cicatrici delle plastiche facciali, ritroveremo gli stessi identici somari laureati con lode che hanno continuato a danzare sulle macerie dell'Italia del secondo dopoguerra, del boom economico, degli anni di piombo e della crisi delle varie bolle speculative, i quali ci chiederanno di dare loro fiducia affinchè possano suscitare un radioso sole dell'avvenire sullo Stivale Italico con promesse di equità sociale, giustizia efficace e tempestiva, ricchi premi e applausi e fiori per chi avrà la ventura di essere nato tra Aosta e Mazara del Vallo o Vibo Valentia e Bolzano. Tutti gli altri, peschino una carta dal mazzo "Imprevisti", tirino i dadi una volta, ripassino dal "Via" senza ritirare le diecimilalire pena passare un turno in prigione o in un centro di prima accoglienza.

(c)  2017 testo di Claudio Montini
(c) 2017 Immagine di Orazio Nullo "Betraied hopes" 

martedì 10 ottobre 2017

Costituzione della Repubblica Italiana - Articolo 25 e Articolo 26

Articolo 25

Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.
Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.
Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge.

Articolo 26

L'estradizione del cittadino può essere consentita soltanto ove sia espressamente prevista dalle convenzioni internazionali.
Non può in alcun caso essere ammessa per reati politici.

Testo tratto da "Costituzione della Repubblica Italiana" ed. 2011 distribuita da "La Provincia pavese" con il numero del 17 marzo 2011 festa dell'unità nazionale, della costituzione, dell'inno e della bandiera.
(c) 2017 Immagine di Orazio Nullo "World wide tug-of-war" 

Dalla cambusa di zio Propano: lo spezzatino da corsa

Inventato, cucinato, mangiato e nemmeno fotografato!

di Zio Propano
Mia nonna Rosa e mia nonna Maria, all'insaputa l'una dell'altra, erano artiste nell'accompagnare le verdure con la carne abbondando con le prime per non far vedere che la seconda era poca cosa. Del resto erano cresciute attraversando due guerre mondiali, quelle che hanno devastato la prima parte del secolo breve, il Ventesimo o Novecento che dir si voglia: il pingue benessere che oggi diamo per scontato sarebbe arrivato solo nella seconda parte, facendo diventare la carne un alimento comune da lusso dei giorni di festa che era stato, grazie anche agli americani vincitori poco avvezzi ai piaceri dell'orto. Le brutte abitudini, noi italiani, le impariamo in fretta e altrettanto in fretta dimentichiamo il buon senso che ci ha portato in salvo da tante pessime annate, quando il pane casereccio non mancava mai e bastava un cucchiaio di succulento companatico a sporcarlo per farci sazi.
Lo spezzatino con verdure che ho inventato mentre mettevo a posto la spesa, è da corsa nel senso che è fatto con le cose che avevo a portata di mano in cambusa, seguendo una intuizione più che la logica e facendo anche in fretta prima che la Jena Sabauda, pur con tutti i limiti che l'ictus le ha lasciato, venisse a ficcare il naso nei miei pasticci.
Siccome temo di avervi annoiati anche troppo con le mie chiacchiere, vi passo la lista della spesa e andiamo a spadellare! (Ah, dimenticavo: le dosi sono per due persone più il cane Leone, ma si può anche arrivare a quattro...se il cane non ce l'avete).
  • 2 pomodori tondi maturi (ma anche tre oblunghi vanno bene)
  • 3 patate a pasta gialla medio-grandi
  • 1 cipolla bionda
  • 1 carota
  • 150 grammi di burro
  • mezzo bicchiere di vino bianco
  • 2 spicchi di aglio
  • olio extra vergine di oliva
  • sale fino
  • un cucchiaio da tavola di sale grosso
  • 15 olive verdi denocciolate in salamoia (o anche venti...non starete mica lì a contarle?)
  • 1 petto di pollo
  • 1 salsiccia a salamella
  • 1 fetta di lonza di maiale
  • un cucchiaio da tavola di pane grattugiato
  • 1 limone
Coprite con un velo d'olio d'oliva il fondo di una padella di acciaio (va bene anche anche una al cromo-vanadio, al teflon carbonato multistrato, alla kryptonite vulcaniana...basta che abbia il suo relativo coperchio), deponetevi al centro il burro (non state a trafficare con riga e squadra: anche se è un po' a destra o a sinistra o sopra o sotto...la pietanza si cuoce ugualmente) e dimenticatevi di loro per un'attimo; tritate la cipolla e affettate l'aglio versandoli sopra il burro; riducete in pezzi grossolani i pomodori, affettate la carota, spaccate in quattro le olive ricordandovi che se i pezzi sono piccoli cuociono più rapidamente. Un pizzico di sale fino sui pomodori, in modo che emettano una piccola parte d'acqua che contengono, e dedicatevi alle patate che vanno sbucciate e messe a bagno in acqua salata con il sale grosso; ora potete andare con la padella sul fuoco e fare soffriggere o imbiondire (se preferite) la cipolla e l'aglio, a fuoco medio con coperchio; dopo qualche minuto, unite i pomodori e tutta la loro acqua (semini compresi: tempo di guerra non si butta via niente), le carote a fette e le olive a pezzi: seguitate a cuocere a fuoco medio e con coperchio, rimestando da brave massaie ogni qualvolta la curiosità prende il sopravvento o la paura che si possa bruciare. Per placare codesta ansia da prestazione, vi consiglio di ripescare le patate e ridurle a pezzi grossolani e irregolari riponendo questi ultimi là dove avevate tolto i tuberi interi, cioè nel medesimo contenitore con la soluzione salina (che, nel frattempo, niente di male, si sarà lievemente intorbidita a causa dell'amido rilasciato dalle patate nude). Rimescolate il materiale già in padella con un cucchiaio di legno e vi accorgerete che si sarà formato un delizioso e simpatico brodino di cottura: unite le patate togliendole dall'acqua con le mani e distribuendole uniformemente, metteteci anche un mestolo di soluzione in cui hanno soggiornato e mescolate di nuovo per incorporarle al nuovo ambiente; previo assaggio, aggiustate di sale o di pepe a piacere e mettete il coperchio abbassando leggermente il fuoco come se si trattasse di uno stufato. Fine primo tempo.
Secondo tempo: è il momento delle carni! Tagliate a pezzettoni (ma non troppo) tanto il petto di pollo quanto la fetta di lonza di maiale, poi spellate la salsiccia e fate altrettanto ponendo tutti i pezzi in una ciotola dove li innaffierete con il succo di un limone e li cospargerete di pangrattato: una bella mescolata con le mani, prima per fare assorbire il succo di limone e poi per fare aderire il pane grattugiato. Buttate la miscellanea di carni nella padella, avendo cura di ripulire la ciotola con mezzo bicchiere di vino bianco (secco, da tavola anche da corsa, nel senso che mia madre dava al termine, ovvero economico, buono per cucinare): sarà passato un quarto d'ora tra il primo e il secondo tempo? Se sì, andate avanti a cuocere per un'altro quarto d'ora avendo cura di mescolare ad ogni alzata di coperchio, mantenendo il fuoco medio e magari abbassandolo negli ultimi cinque minuti: oramai è fatta e la cottura va avanti anche senza grosso apporto di energia.
I pomodori si sfaldano e si disperdono nel sugo come le olive che danno sapidità, le patate donano consistenza e le carote aroma e il colore delle cose buone di una volta, ma le carni non stanno mica a guardare: si lasciano allegramente mangiare invitando a nozze il pane che toglierà parecchio lavoro alla lavastoviglie!
Buon appetito da zio Propano.

© 2017 Testo e ricetta di Claudio Montini
© 2016 Foto di Orazio Nullo



lunedì 2 ottobre 2017

Avevi ragione già nel 1962, mister Dylan...

...the answer is blowing in the wind.
di Claudio Montini 
Due solitudini non si incontrano mai, nemmeno per caso. Ci tengono troppo alla loro riservatezza, alle loro piccole manie, al confortevole suono dei propri passi dietro di sè quando chiudono il resto del mondo fuori dalla porta di casa. Per quanti sforzi possiate fare, non riuscirete mai a descrivere i moti dell'animo, le lotte fra pulsioni e ragionamenti, l'entusiasmo e la frustrazione e la fatica del sentirsi soli nella folla, sotto le bombe o a un concerto in uno stadio: nessuno è in grado di guardare dentro a un'altra anima come se si sporgesse da un precipizio di cui non vede la fine, se prima non ha fatto altrettanto con sè stesso. Siamo miliardi di solitudini, ignare di esserlo, prigioniere di un sasso lanciato nello spazio cosmico; un sasso dal cuore di ferro fuso che ruota senza requie su sè stesso e genera le braccia invisibili che trattengono l'aria e l'acqua necessarie alla vita, loro e delle creature che hanno la ventura di esserne occasionali compagne. Questa sarebbe la condanna e, allo stesso tempo, la sentenza perfetta per chi non ha coscienza che di sè e nutre tanto rancore per il resto del mondo da credersi Dio, stabilendo chi deve vivere e chi deve morire. Eppure, obbedendo alla legge di Murphy, accade il paradosso e vive e si sviluppa nelle sue più nefaste conseguenze: fucili mitragliatori piazzati alle finestre di un albergo di lusso, grandine di piombo che falcia esistenze e sogni e speranze e voglia di spensieratezza, un proiettile nel punto giusto che schianti e inchiodi a terra chi ha incontrato un'altra solitudine con cui ha guardato oltre il precipizio, fino a lanciarsi nel buio burrone con l'illusione in tasca di lasciare un segno nel corso della storia. Avevi ragione tu, mister  Bob Dylan, già nel 1962...
...how many times must the cannonballs fly
Before they're forever banned?
The answer, my friend, is blowin' in the wind,
The answer is blowin' in the wind.
   (Blowin' in the wind - Bob Dylan - LP "The freewheelin' "1962)
(c) 2017 Testo di Claudio Montini
(c) 2016 Immagine di Orazio Nullo "Night outside imagination"
(c) 1962 Bob Dylan "Blowin' in the wind"