Ticino,
il treno e il vecchio assente
di
Claudio Montini
Il treno passò ma lui non c'era; forse
sarebbe venuto il giorno dopo o quello appresso, se il tempo si fosse
mantenuto, se il cielo o chi per esso si fosse dimenticato
dell'inverno per un'altro giorno. Già, ma quanti inverni e primavere e
treni e barcè avevano visto quei vecchi occhi? Era lì da sempre, secondo me; l'unica
volta che mi ero portato la macchina fotografica per fare lo scatto
della vita, la foto che fa il giro del mondo e mi avrebbe proiettato
nell'olimpo dei daguerrotipisti con Henri Cartier-Bresson ad
accogliermi...invece, lui non c'era! Oh bella: c'era la sedia vuota e
il treno che passava: basta, punto, fine. Avevano mica cominciato uno scavo al
Ticinello e, allora, era andato a vedere il buco fatto con la ruspa,
con tutti gli altri della bocciofila del Borgo, anziani Neca o Necchi
o badilografi che avevano tirato su la città delle cento torri con
secchio e cazzuola, voltando col badile montagne di sabbia e cemento,
dopo le bombe degli americani? La risposta la trovai una volta
ritornato sull'argine, quando mi imbattei in un pannello per le
pubblicità e per gli annunci dei funerali; adesso non mettevano più
soltanto nome e cognome e l'età: no, siamo diventati moderni, ci
mettiamo anche una foto! Magari segnaletica come quella che
aveva messo sul libretto della pensione o sulla carta d'identità che
teneva nel portafoglio di cuoio, tanto per metterci dentro qualcosa. La buca stavolta l'avevano fatta quelli
del Comune, ma a San Giovannino: dove si prende l'ultimo treno col
vestito della festa e il soprabito di legno e di zinco! Il cielo o chi per Lui gli avevano
portato, forse prima di colazione o la notte nel primo sonno, il
resto degli anni spesi in questa valle di lacrime, tutto in una
volta, mandandolo a riscuotere direttamente a casa di Dio e senza
passare da canale a ritirare la sua sedia. Volevo portargliela là, al camposanto,
per lasciarci sopra la fotografia perchè la vedesse anche lui; mi
ero segnato il nome, caso mai non riconoscessi la foto sulla lapide:
ma non l'ho più trovata, giù a Ticino, drera canal come avrebbe
detto lui, e a momenti non trovavo nemmeno la tomba... Muore tanta
gente a Pavia che lei, la città, manco se ne accorge più perchè, se non li
bruciano e i parenti si tengono le ceneri dove gli pare, i morti li
mettono sotto terra vicini vicini e magari uno sopra l'altro: così
ci stanno più lapidi e si fanno sentieri più facili da tenere in
ordine. Il marmista aveva appena finito la
posa, mi disse che in cinque minuti il mastice avrebbe fatto presa e
avrei potuto anche camminarci sopra senza far danni: pensava che
fossi un parente... No, grazie... cioè, sono un conoscente... di
passaggio... come tutti, del resto. Aspettai che se ne andasse e poi
poggiai il vasetto di peonie preso per beneficenza fuori dalla Coop,
facendo in modo che tenesse ferma la fotografia che avevo
plastificato; sulla lapide definitiva c'era anche la foto in
ceramica, con la stessa grimula cioè con la stessa faccia che
avevo visto sul manifesto del funerale. Però, quando la guardai l'ultima volta
prima di andarmene a casa, mi parve che il vecchio sorridesse: ma
doveva esserci in giro qualche polvere sottile cui ero allergico a
mia insaputa, perchè avevo gli occhi bagnati.
©
2016 Testo di Claudio Montini - inedito
© 2016 Immagine di Orazio Nullo "From bridge to bridge"
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