DULCIS IN FUNDO
di Claudio Montini
La Grande Mela è assai più bacata di quanto non appaia, nonostante
tutti i suoi sforzi per mantenere la buccia intatta e luccicante,
grazie al fiume di denaro e cocaina che l'attraversa e ne irrora
tutti i gangli vitali senza che nessuno si faccia mai domande sulla
provenienza di buste o pacchi. La violenza, la sopraffazione, la
scaltrezza priva di scrupoli sono gli strumenti che, ad ogni livello
di guardie e di ladri senza distinzione, garantiscono la spartizione
di torte e territori in cui i vari satrapi dispensano ordini di vita
o di morte; il resto sono solo chiacchiere per parolai a libro paga
dei vari mezzi d'informazione, per coloro che credono ancora che New
York City sia ancora la porta dell'America, della terra delle
opportunità, dei grandi profitti regolati soltanto dalle leggi del
libero mercato. Il sistema che tiene in vita e rigenera e fa
rinascere anche dalle sue stesse ceneri la città che non dorme mai è
perfettamente in grado di generare gli anticorpi necessari a limitare
i danni, collaterali e non, di eventuali rigurgiti di onestà o
umanità degli elementi o ingranaggi che ancora credono ad ideali di
fratellanza o di famiglia o di corporazione. Lo sa bene il
protagonista di CORRUZIONE (titolo originale THE
FORCE, 2017 Einaudi editore per l'Italia con la traduzione di
Alfredo Colitto) e la sa ancora meglio l'autore, Don Winslow, che
confeziona una tragedia greca con tanto di sacrificio finale
dell'eroe come atto di redenzione dai peccati commessi nelle oltre
quattrocento pagine precedenti, a mio parere, non del tutto
indispensabili per godersi la ruvida poesia delle sequenze finali,
proposte con stile asciutto ma senza sconti o scadimenti nel
tecnicismo prolisso o nell'inverosimile. Infatti, è nella terza ed
ultima parte (in realtà, il quinto movimento di questa rapsodia in
blu, colore principe della divisa del Dipartimento di Polizia di New
York) che il romanzo prende il volo: CORRUZIONE si
eleva dalla palude di luoghi comuni e richiami a trame già viste o
lette, di artifici che fanno la gioia di revisori di bozze e
direttori editoriali, di una certa vaghezza nel delineare le
psicologie dei personaggi, per librarsi nel cielo della letteratura
di genere poliziesco propria degli Stati Uniti di cui Raymond
Chandler (citato in sede di dedica, avanti all'introduzione, con uno
scambio di battute tratto da Addio mia amata) è uno dei
capostipiti e dei capisaldi. L'abilità di Winslow risiede nel
riallacciare i nodi con i temi esposti nell'introduzione, ma anche
nel resto della storia (cui una decisa dieta dimagrante non avrebbe
fatto male: a questo, credo, provvederanno gli sceneggiatori di
Hollywood...), adottando una narrazione serrata, una tecnica di
montaggio da videoclip in cui si susseguono ricordi e facce perdute
con il presente in cui la vita sta scivolando via rendendo più
struggente la parabola discendente di Denny Malone, sergente del NYPD
Manhattan North, che desiderava essere soltanto un buon poliziotto,
dopo tutto, amando la città e la gente che proteggeva e serviva
assecondando quella ingenua briciola d'anima da cattolico irlandese
nascosta in fondo al cuore. Intendiamoci, CORRUZIONE di
Don Winslow (Einaudi, 2017, traduzione di Alfredo Colitto, titolo
originale THE FORCE) non è un capolavoro ma un buon prodotto
se visto nell'ottica di una futura trasposizione cinematografica; da
un punto di vista politico (nel senso più stretto che gli antichi
davano al termine) o sociologico non è da assumere come bussola o
mappa delle lacerazioni e contraddizioni che allignano nella polpa
della Grande Mela e, in generale, della superpotenza nata da tredici
colonie ribelli riunite sotto una bandiera a stelle e striscie il cui
credo (non ufficiale) è guadagnare e arricchirsi sempre e comunque,
anche ingannando e uccidendo il prossimo poichè questi farebbe la
stessa cosa alla prima occasione utile.
©
2018 Testo e fotografia di Claudio Montini
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