Olimpics '84 J.M. Basquiat e A.Warhol 1984 |
di Claudio Montini
"Grazie Rio de Janeiro, arrivederci a Tokyo": potrebbe essere questo il messaggio da scrivere su una cartolina illustrata, in un s.m.s. o un tweet, oppure su un muro con una bomboletta spray di vernice decorando il tutto come solo certi graffitari metropolitani sanno fare. Al di là dei risultati sportivi, quali medaglie o punteggi o tempi o misure eguagliati o superati o guadagnati, la XXXI Olimpiade dell'Era Moderna (l'unica cosa che sia rimasta del sogno di Pierre de Frèdy, barone di Coubertin) ha dimostrato una volta di più che possiamo essere umani e quanto convenga a tutti, quanto faccia bene a tutti, quanto sia produttivo e remunerativo per tutti esserlo. L'esclusione della squadra della federazione di atletica leggera della Russia per questioni di doping non ha niente a che vedere con la lotta alle pratiche sofisticatorie e antisportive di natura medica e farmacologica, così come la vergognosa buffonata con tanto di beffa annunciata di cui è stato protagonista il marciatore italiano Alex Schwazer e lo staff che si è preso l'impegno della sua redenzione: sono vicende che si inscrivono nelle dinamiche di una guerra intestina al Comitato Olimpico Internazionale che, nello stesso tempo, hanno aderenze e riverberi che interessano la politica internazionale con il solito corollario di giochi, più o meno puliti, di potere.
La Russia andava in qualche modo punita per l'invasione della Crimea e della guerra lampo non dichiarata con l'Ukraina, il sostegno al regime di Bashar El Assad in Siria, le vendite di tecnologia nucleare all'Iran unitamente alla crescente voglia di tornare ad essere una superpotenza, influente e magari egemone, con l'obbiettivo di porsi come ago della bilancia o perno del sistema che vorrebbe gli Stati Uniti d'America come sceriffo del mondo e la Cina come creditore principale, o finanziatore o detentore dei debiti mondiali, in virtù delle sue potenzialità come mercato e come produttore di liquidità. Schwazer e, di più, Sandro Donati paladino dell'antidoping e della correttezza a tutti i livelli, sostenitore della tesi secondo la quale dal doping si può guarire e tornare ad essere atleti umani altrettanto validi e competitivi, erano i capri espiatori perfetti per chiarire che il C.I.O. non è l'O.N.U., che chi lo comanda non ha affatto voglia di spartire il potere nè tollerare grilli parlanti nè interferire con i profitti degli sponsor (più veloci della luce a disintegrare contratti al minimo sentore di scandalo), che una volta tanto le regole valgono indipendentemente dalle tessere e dalle truppe a disposizione.
Per fortuna delle televisioni collegate, del Brasile e del resto del mondo, tutti gli atleti si sono ricordati che l'importante è partecipare per vincere e si sono dannati l'anima per riuscirci; ciò è valso per il professionista della racchetta o del pedale come per il sollevatore di pesi, lo schermidore o il tuffatore: le lacrime di gioia o di rabbia, così come le belluine urla di esultanza e le corse per gli stadi con la bandiera nazionale avvolta sulle spalle, sono state la testimonianza più genuina del fatto che siamo esseri umani, di carne e sangue e cuore e testa. Nonostante tutta la tecnologia che ci circonda e ci soffoca, ci spia e ci condiziona, ci spaventa e ci può uccidere (le bombe e i proiettili son stupidi ciechi e sordi in mano a pazzi scriteriati che non distinguono civili disarmati da soldati), la prima olimpiade svolta nell'America Latina ha sottolineato che l'ultima parola, quella che da sola può salvare dalla catastrofe e dall'estinzione, tocca alla scimmia che, prima che Pangea si scindesse, calò dai rami della foresta pluviale e imparò a camminare eretta e poi a pensare e quindi a parlare. E' vero: le armi non hanno taciuto durante i Giochi di Olimpia, ma non lo hanno mai fatto nemmeno nelle precedenti trenta edizioni; è vero: il Brasile non ha risolto tutte le sue contraddizioni, forse ha nascosto molti dei suoi problemi rimandandone la soluzione, ma con i Giochi ha permesso a tanta gente di campare un po' meglio per qualche giorno della sua vita e forse trovare nuove opportunità per sbarcare il lunario; è vero: alcuni impianti rimarranno cattedrali nel deserto, ma è anche vero che eventi di questa grandezza generino lavoro, profitti, posti di lavoro, benessere che giovano enormemente all'autostima del singolo e del popolo di cui fa parte. Il Brasile si è preso questo impegno quando era ancora una economia emergente; l'ha mantenuto e portato a termine nonostante fattori e attori interni ed esterni, buon ultima la recessione economica mondiale, abbiano provato a costringerlo a gettare la spugna: ha insomma dimostrato che dobbiamo godere del fatto di essere umani, ci conviene, ci fa bene assai più che drogarci, spararci e ammazzarci per un dollaro in più o per una preghiera che si scioglie nel cielo.
Quindi, grazie Rio de Janeiro e a Colui che ti protegge dalla sommità del Corcovado; proprio Lui ci ha chiesto di ricordarlo amandoci e rispettandoci vicendevolmente: tu hai mostrato al mondo che si può fare!
(c) 2016 testo di Claudio Montini
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