Tra dubbi inquietanti e amare certezze
di Claudio Montini
Io sto dalla parte di una ragazza di ventisei anni, come tante ce n'erano allora e ce ne sono anche adesso, che aveva un sogno di famiglia, a family dream come direbbe Elton John in una sua produzione di qualche anno fa, una ragazza che è morta senza poterlo realizzare. Non sono mai andata a trovarla nella sua ultima dimora, non conosco i suoi genitori e nemmeno posso immaginare cosa provino, giorno dopo giorno; immagino, del resto uno scrittore di narrativa quale mi ritengo altro non può onestamente fare; ascolto il rincorrersi di strilli e lanci d'agenzia con un certo fastidio, in verità, poichè sembra ridursi tutto alla solita commedia all'italiana che dura il tempo necessario a lucrare copie vendute, punti di share, roboanti quanto evanescenti e inutili interventi sui social network; cerco di pensare con la mia testa e con il mio cuore provando a mettermi nei panni degli attori coinvolti in questa triste storia.
Ho una mia teoria sulla dinamica dei fatti, sui moventi, sugli indizi trascurati e su quelli traballanti e, persino, su quelli ridicolmente tirati per i capelli con cui si sono confezionate ore di televisione e impiastrato chilometri di carta: ma me li tengo per me, forse li metterò in un romanzo quando le acque si saranno calmate.
Ho due certezze, due amare certezze che nessuno pare cogliere ma potrebbero addirittura aiutare a migliorare questo incompresibile Paese, se fossero assimilate e comprese suscitando reazioni e proteste: Chiara Poggi è morta da ben otto anni senza un motivo e senza un colpevole colto con le mani ancora lorde del suo sangue, sebbene dopo otto anni e quattro (o cinque che siano, si tratta comunque di una assurdità) gradi di giudizio si sia giunti a una sentenza definitiva (questo fa la Corte di Cassazione esaminando gli atti, non le fasi e non le prove, di ogni processo su cui è chiamata ad esprimersi) che indica un colpevole da mettere dietro le sbarre con buona pace dei colpevolisti del Bar Sport e anche dei parenti della vittima che possono piangere in pace il loro dolore, dopo anni di incertezza e rancore e promesse d'avvocato.
Chiara è morta e sepolta e non può restituirla nessuno all'affetto di tutti quanti le vollero bene; ma è morta anche la giustizia perchè l'inchiesta, sin da luglio 2007, è stata istruita male e condotta peggio persino in sede di autopsia o di interrogatori o di indagini sui personaggi a vario titolo coinvolti, per non dire dei maldestri tentativi di depistare o di aggravare la posizione dell'unico indagato.
Onestamente, non posso dire che la sentenza attuale fosse già stata scritta negli anni scorsi e che sia colpa del clamore mediatico, come ha velatamente fatto capire la difesa di Alberto Stasi; vero è che la manovra a tenaglia del Procuratore Generale di Cassazione, cioè chiedere un annullamento con rinvio lasciando che i mass media tirassero conclusioni affrettate sull'esito finale, è stata una mossa che nemmeno gli sceneggiatori di "Law & Order" avrebbero mai pensato per Jack McCoy procuratore distrettuale di New York City: un'altro sputtanamento della giustizia italiana alla "Sollecito-Knox" i giudici del Palazzaccio non se lo potevano permettere, nemmeno statisticamente, e così si è giunti a questa conclusione.
Resta il fatto, agghiacciante e ignobile, che siano trascorsi otto anni e che non sapremo mai la verità; perchè una cosa è la realtà dei fatti e un'altra quella degli atti giuridici, delle carte bollate: troppo spesso i due percorsi non coincidono o si prestano ad abili e ardite interpretazioni.
Questo dovrebbe suscitare interesse e indignazione: non la certezza o l'incertezza della pena, ma ancora prima la certezza e la solidità della prova del reato e la scrupolosa, efficace, pervicare rapidità dell'inchiesta in modo tale che non ci siano dubbi e possibilità di fumosi ricorsi.
(c) 2015 Testo di Claudio Montini
(c) 2015 Immagine di Orazio Nullo "Dangerous Hypocrites"
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