CAINO È AVVISATO: ABELE NON ALZA PIÙ LE MANI
di Claudio Montini
Se avete smesso di credere che Milano
sia una città da bere, capitale morale d'Italia, cuore e cervello
del made in Italy di cui meniamo gran vanto per le contrade del
mondo, siete pronti per mettervi comodi in poltrona e godervi il film
su carta più avvincente mai realizzato, per Feltrinelli, da Romano
De Marco che ha dato, al capoluogo lombardo, un nuovo appellativo:
CITTÀ DI POLVERE.
Questa nuova opera d'ingegno lucida, guizzante, precisa, atletica ma
non eccessivamente muscolare, diretta ma elegante e mai scabrosa o
morbosa nei particolari truculenti (che vengono sapientemente
lasciati all'immaginazione del lettore) è chiara e brillante fin
dalla copertina che, a colpo d'occhio, sgombra il campo da ogni
dubbio grazie a una eccellente scelta di simboli: il cucchiaio, il
fumo e la sostanza verdognola che, posata o scaldata sul cucchiaio
stesso, assume la forma stilizzata del Duomo di Milano come quella
che campeggiava sul logo del panettone Motta-Alemagna.
L'eterna lotta tra Bene e Male, malavitosi e forze dell'ordine mai
nettamente divisi in opposti schieramenti, ma propensi all'osmosi gli
uni dagli altri anche solo nelle scelte strategiche e metodologiche,
si svolge nella metropoli lombarda postulata come capitale dello
spaccio di sostanze stupefacenti in cui sta per sbarcare una nuova
droga, dagli effetti dirompenti per l'organismo e dal costo assai più
contenuto della cocaina, poichè totalmente sintetica e facile da
riprodurre.
L'obbiettivo dei nuovi mercanti di morte è quello di far crollare il
mercato monopolizzato dalla ndrangheta che ha al suo soldo il
migliore poliziotto della città, guarda caso capo dell'antidroga; la
rete di distribuzione dei nuovi arrivati si appoggia a circoli di
estrema destra extraparlamentare, ma il loro errore fondamentale è
quello di finanziare la scalata al monopolio narcotico con una rapina
a una merchant bank, in pieno centro di Milano ma emanazione diretta
della cosca di Franco Capasso, che si trova ad ospitare il transito
di un enorme quantità di denaro destinato ai fornitori colombiani.
Una banca d'affari solitamente non muove denaro se non per via
telematica ma, se questo deve passare inosservato agli occhi della
vigilanza bancaria e degli investigatori, in questo caso accade.
Il superpoliziotto Matteo Serra riesce a infilarsi nel flusso delle
indagini e fare per bene il suo compito per i suoi padroni (scovare i
nuovi arrivati, neutralizzarli e recuperare il denaro utilizzandolo
per stipulare un nuovo accordo), sbarazzandosi con cinismo
agghiacciante di collaboratori e avversari; ma troverà sulla sua
strada un drappello di uomini e donne delle istituzioni, onesti e
determinati e degni di questo appellativo, spegiudicati e coraggiosi
quanto basta, che risciranno a stroncare la sua carriera criminale.
Riusciranno anche a chiudere i conti in sospeso con il loro passato e
cominciare a ricostruire la propria vita, dopo essere risaliti
dall'abisso e dal limbo in cui erano precipitati o si erano
autoesiliati.
C'è
molta umanità, nel senso più ampio del termine, in questa CITTÀ
DI POLVERE di
Romano De Marco edito da Feltrinelli, e le donne in tutto il romanzo
fanno una figura decisamente migliore dei loro colleghi maschi: i
personaggi sono tutti, minori e maggiori, inquadrati dalle due
cineprese che l'autore ha imparato a maneggiare con perizia e abile
maestria, vale a dire che sono ripresi e mostrati nei loro moti
interiori e nelle reazioni esteriori con efficaci e gradevoli scorci
sui loro retroterra culturali e storici, in modo tale che il lettore
li veda a tutto tondo.
Ottima
è la scansione e la successione dei capitoli che arriva sempre al
punto giusto della tensione narrativa, cioè quando c'è bisogno di
tirare il fiato e fare una pausa o andare in bagno: come accadeva agli
esordi della televisione commerciale (e, dopo, anche di quella
pubblica) in cui gli spot pubblicitari erano sapientemente dosati;
chi, come il sottoscritto, prima di alzarsi definitivamente dal letto
al mattino, è solito leggersi un capitolo per riavviare
correttamente il cervello, troverà eccellente il palinsesto di
questo romanzo: capitoli nè troppo lunghi nè troppo corti e,
sopratutto, ben compiuti sul piano semantico e linguistico.
A corredo e sostegno dell'opera, c'è un italiano scorrevole e
levigato, mai gratuitamente volgare, non lirico, non retorico, mai
aulico o supponente: perfettamente comprensibile a chiunque perchè
essenziale e diretto, senza fronzoli; quello che importa è il ritmo
e la nitidezza delle immagini che esso suscita lungo la narrazione che
il lettore segue con passione perchè, come ho già accennato, Romano
De Marco è abile a dotare della terza dimensione, quella fisica e
spaziale, le parole della storia che racconta: ci riesce adottando
l'indicativo presente come tempo dominante dei verbi diversamente da
quel che accade, di norma, dove la narrazione è resa adottando il
passato remoto e tutte le sue implicazioni.
Si potrebbe parlare di scelta coraggiosa, dal punto di vista
stilistico: in realtà, io credo che essa sia figlia di questi tempi
dove domina il bello della diretta, la cronaca in tempo reale,
l'avvenimento colto nel suo divenire posticipando commenti e
ragionamenti, anche se l'autore non si esime dal corredare la
narrazione e la descrizione di ambienti e situazioni del proprio
giudizio morale e personale (come quando parla dell'ambiente
carcerario o dello scempio di un parco pubblico milanese a beneficio
dei palazzinari meneghini).
Comunque
sia, CITTÀ
DI POLVERE
di Romano De Marco edito da Feltrinelli, è un'ottimo romanzo: noir o
poliziesco che di si voglia è comunque riduttivo rispetto alle buone
qualità già espresse in IO LA TROVERÒ
e
MILANO A MANO ARMATA
(rispettivamente del 2014 e del 2012); è un'ottimo lavoro che ridà
fiato ed energia alla letteratura italiana assorbendo la realtà e
assolvendo a uno dei compiti fondamentali dell'intellettuale,
letterato o filosofo o artista, cioè quello di coscienza critica e
analitica del costume e della società senza limitarsi ad esserne un
mero fotografo o registratore.
La polvere qui non si posa perchè la dignità, il senso del dovere,
la coscienza e il rispetto per la natura umana possono e devono
essere spesi nella lotta per migliorare sè stessi e il mondo; poco
alla volta, certo, ma gli strumenti ci sono per battere Caino: Abele
non alza più le mani, le muove.
©
2015 Testo: Claudio Montini
© 2015 Foto: Orazio Nullo
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