mercoledì 4 marzo 2015

L'oligarchia editoriale italiana: l'indignazione è condivisibile.


Edvard Munch  Springtime   1911-1913
Per migliorare i concorsi letterari




di Claudio Montini

foto di  acomearte.blogspot.com







Ho trovato e letto tra le notifiche di facebook, il 2 marzo 2015, l'amara e indignata riflessione scritta dall'amico/amica che ha come nickname Genova Nera (con buona probabilità, Carlo Frilli in persona ); confesso che non conosco i meccanismi dei concorsi nazionali di letteratura e sono rimasto sbalordito e anche amareggiato, quando non frustrato nelle mie velleità di scrittore aspirante professionista.
Vi trascrivo il post tal quale e vi invito a leggerlo in totale libertà e buona fede, senza paraocchi o pregiudizi di sorta.

Quindi fatemi capire, il prestigioso Premio Strega istituisce una "clausola di salvaguardia" che favorisce la presenza nella Cinquina dei piccoli e medi editori...pretendendo però 500 COPIE GRATUITE per i giurati ed escludendo di conseguenza proprio i piccoli editori!
Ma si rendono conto di quanto sono falsi, infidi e ipocriti? 
Per una buona parte dei piccoi editori spesso 500 cp. costituiscono l'intera tiratura!
Altrettanto spesso la tiratura arriva faticosamente a 1000 copie, privare un editore di 500 equivale a dirgli di non partecipare.
Idem o simile per chi, come ad esempio la Fratelli Frilli Editori, ne stampa mediamente 1500 cp. e fortunatamente le distribuisce tutte tra i canali libreria, Gdo ed edicola.
Siamo certi che questi signori vogliano davvero favorire un'apertura alle piccole e medie case editrici al loro prestigioso premio?
Non è che si vogliono costruire un alibi per non essere additati come i soliti furbetti che a turno si spartiscono la solita golosa torta?
Qui c'è puzza di marcio, ma noi all'occasione sappiamo essere ottimi indagatori, investigatori e ficcanaso e andremo a fondo della questione!
Non è certo la mia battaglia: io non ho mai creduto nella buona fede dei concorsi, di chi li organizza, di chi li gestisce e persino di chi vi partecipa; come per tante altre cose della vita, il cinquanta per cento è fortuna e l'altro destino: fatto salvo il fatto che esiste, è sempre esistito ed esisterà sempre chi voglia vincere a tutti i costi e non lesina mezzi e risorse per farlo.
Meno che mai credo ai concorsi letterari, divenuti col tempo meri espedienti per favorire le vendite di un prodotto di per sè misterioso e difficile da piazzare sul mercato perchè impone uno sforzo fisico e psicologico affinchè venga apprezzato, valorizzato e richiesto: non è un detersivo nè un paio di mutande, non è una bevanda gassata o un'aperitivo, non è un'automobile lucida e veloce o una pietanza che si cuoce da sè.
Non erano nati, i premi letterari, per dare visibilità alle belle lettere quanto per celebrare se stesse e la setta di loro adoratori: che poi questi eventi per adepti dell'arte oratoria e scrittoria venissero associati a un liquore...beh, l'idea era quella di nobilitare il liquore dopopasto con un tocco di cultura e dargli il viatico per entrare stabilmente nei salotti buoni della borghesia industriale, che aveva sostituito la nobiltà decaduta, nel ruolo di eminenza grigia e dirigente e formante della società italiana del secondo dopoguerra.
Quel che è accaduto, invece, è che si è cominciato a parlare dei libri senza averli letti con la dovuta passione (che dovrebbe essere pari almeno alla metà della fatica che fa chi li scrive) dando loro una forza e un prestigio pari a quello che si da alle parure di brillanti o alle pellicce di visone: così avere un libro che ha vinto o partecipato a quel dato concorso, regala ( al mai modico prezzo di copertina ) una bella patente di intellettuale o di essere umano culturalmente evoluto.
La ferrea logica del profitto ha fatto il resto: l'editore ha smesso di essere un osservatore e un esteta, travolto o ingolosito dai grandi numeri del fatturato o dei ricavi o delle tirature (scegliete voi) e ha allevato una congerie di alchimisti delle parole, armati di stereotipi, cui manca il coraggio o soverchia la frustrazione tipica del correttore di bozze a vita per stroncare parolai da strapazzo, le cui prime dieci righe del primo capitolo dell'opera prima (e anche ultima) generano il moto repentino del lancio della medesima dalla scrivania al cassone della carta da macero.
Poi, ci sono le case editrici piccole e medie che reclamano il loro posto al sole: sono aziende, generatrici di lavoro e di profitto a loro volta e che, segretamente, sognano di avere tra le mani e in rotativa il prossimo Salgari o Moravia o Flaiano o Eco o Pavese o Montale o, più semplicemente, Camilleri o Scerbanenco o Saviano per fare il grande successo di vendita e salire in serie A....
Taccio, poi, di quelli come me che, non avendo santi in paradiso ma credendosi onesti artigiani della parola e appassionati lettori, si buttano nel mondo nuovo dell'autopubblicazione per avere l'illusione di aver realizzato il sogno di vedere sullo scaffale di una libreria il proprio volume, con tanto di codice ISBN e copertina lucida.
Tutti, grandi e piccini e autopubblicati ( i più pezzenti, i parenti poveri ), si dimenticano che la vera giuria al cui giudizio saranno sempre sottoposti, che piaccia loro o no, è composta da tutti quegli anonimi appassionati delle pagine rilegate e stampate che cavano di tasca decine e decine di euro, una volta varcata la soglia di quelle meravigliose e imprescindibili isole del tesoro che sono le librerie.
Dai lettori e dalle librerie, dai commenti di chi rinuncia ad altro per concedersi il piacere della lettura e dai riscontri oggettivi di chi allestisce l'offerta di cultura, da questa base dovrebbe ripartire il ripensamento di tutti i concorsi letterari: forse, è un sogno e un'opinione, anche l'editoria italiana spiccherebbe il volo e il nostro tornerebbe ad essere il Bel Paese dove il si suona.




(c)  2015     Claudio Montini



  

 

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