MINUTO
DI SOSPENSIONE
Dio
creò il mondo e ci mise dentro l’uomo perché si annoiava
parecchio: non c’era cantuccio dello spazio e del tempo di cui
ignorasse vita, morte, miracoli e che non gli obbedisse ciecamente.
Col
genere umano si divertì fin dal principio: più l’istruiva circa
il bene e il male, più quello faceva di testa sua, sbagliando con
precisione chirurgica; anzi, pareva che l’istinto per l’errore
l’avesse nel sangue, come i suoi piccoli hanno la calamita per le
sculacciate.
Se
l’avesse sculacciato all’epoca della mela, gli sarebbe toccato di
ricostruirlo e non è il tipo che faccia due volte gli stessi errori;
così fece l’offeso per qualche secolo e si limitò a cacciarlo di
casa, obbligando la progenie dell’uomo al giogo del dolore, della
paura, della fatica di vivere.
Ma
questa si adattò, imparò e si moltiplicò, senza mai dimenticare
quella favolosa età in cui non esistevano nemmeno le parole per
identificare le tribolazioni: ancora oggi, fa di tutto per ritrovare
e ricreare quelle condizioni, talvolta ricorrendo a metodi non del
tutto privi di effetti collaterali.
Così
ci ritroviamo, ogni giorno che manda in terra, con ingiustizie,
soprusi e sperequazioni varie: infatti, preso singolarmente, l’uomo
sarebbe pure una bestia intelligente e ragionevole, ma già quando
sono solo in due, diventa una razza più devastante d’un esercito
di cavallette.
Però,
ogni pazienza ha un limite: così Dio, per ricondurre
l’indisciplinata creatura sulla retta via per il paradiso perduto,
scudiscia e bastona quella che si crede la prediletta, fatta a sua
immagine e somiglianza, sbagliando sovente puntamento e tiro dei
suoi strali scavando, così, un solco ancora più profondo tra terra
e cielo.
Una
frattura difficile da saldare perchè andava riempiendosi di
incredulità e diffidenza.
Era
quello che pensava tutto il paese: il giorno in cui accadde la
disgrazia, i primi che appresero la notizia; il giorno del
funerale, quelli che non riuscirono a entrare in chiesa e riempirono
il sagrato, compresa piazza Brugnatelli; tutti gli altri che, nei
giorni successivi, guardando i propri figli, non poterono fare a meno
di provare a mettersi nei panni dei genitori del ragazzino.
Era
quello che pensava il fante Poletti, che aveva appoggiato il
moschetto mod. 91 alla cuspide di travertino dalla parte del proclama
del generale Diaz ( quello che annunciava la fine dell’unica
guerra mai vinta e che lui, con troppi altri, non aveva potuto
festeggiare ).
Era
quello che pensava anche Italia, che s’era tolta la corona turrita
e aveva gettato l’elmo di Scipio, lasciando che il magone soffocato
nelle pieghe del bronzo si sciogliesse, quella notte, in un
abbraccio e in lacrime sulla giubba del soldato, di cui, alla luce
del giorno, vegliava l'agonia e rendeva grazie eterna per il
sacrificio suo e dei suoi fratelli uniti dal tricolore e dalle
stellette.
Paolo,
sceso per primo dalla sua nicchia, era in vena di facezie e provò a
fischiettare un motivetto d’un tale, un musicista caraibico, che
viaggiava su una nuvoletta azzurrognola e dall’aroma molto
pungente.
Pietro,
che era del medesimo umore di quel giorno che parevano essere
scappati tutti i pesci dal lago di Tiberiade, proprio quello in cui
si presentò il Nazareno che voleva farsi un giretto in barca, come
se non avesse niente di meglio da fare, guardò l’apostolo delle
genti come se volesse incenerirlo: mettersi a cantare No
Woman no cry, stonato com'era, suonava più d’un oltraggio
al pudore verso un sentimento di madre, per quanto simbolica e
surrogata che Italia potesse essere.
Era
una cattiveria gratuita e non volle trattenersi.
<<
Certo che, a te, la caduta sulla via di Damasco deve aver procurato
dei danni davvero gravi. Dimmi
un po’, la testa l’hai battuta più forte allora o quando te
l’hanno spiccata dal collo, a Roma, lungo la via consolare? >>
<<
A te, invece, va sempre così in fretta il sangue alla testa perché,
per farti perdonare dal capo, ti sei fatto crocifiggere a testa in
giù ? >>
Questo
era un colpo davvero basso.
Pietro
ci rimaneva ancora male per quella faccenda e Paolo lo sapeva bene,
ma era l’unico modo per troncare di netto la discussione: infatti
il pescatore si chiudeva in un silenzio imbronciato, che era l’unico
modo che conoscesse per trattenere le lacrime, ora come allora.
Sebbene
si fossero chiariti, col Nazareno, lo sentiva ancora nelle orecchie
quel gallo cantare tutte le volte che, tanto in cielo quanto in
terra, si rammentavano i fatti di quei giorni: ancora si vergognava e
si sentiva indegno d’essere stato scelto per essere a capo della
comunità di coloro che, pur non avendo visto e toccato come
Tommaso, avevano creduto alla buona novella.
Italia
ora aveva gli occhi asciutti e, avuta la muta approvazione del fante
Poletti, lasciò le sue braccia per andare incontro ai due bisbetici
vegliardi con l’aureola.
Aveva
visto troppe ingiustizie compiersi in nome di Dio, del re o di
chiunque altro si arrogasse il diritto di elevarsi sugli altri suoi
simili e dettare loro legge, da parte di ogni pusillanime invasato
che fosse passato per le terre cui lei dava il nome, per non cogliere
al volo l’occasione di domandare spiegazioni a chi, almeno Dio,
l’aveva visto in faccia.
Credeva
alla fortuna piuttosto che al destino, credeva ai principi
dell’azione e della reazione piuttosto che alla giustizia, umana o
divina che fosse, credeva al tempo che passa facendo come più gli
piace e smussa gli spigoli della Storia.
Non
accettava il fatto che fosse la morte l'unica soluzione, l’unica
punizione efficace, l’unica lezione per cambiare, per maturare,
per rinnovarsi: meno che mai quando si trattava di un ragazzino con
tutta la vita davanti da vivere, da scoprire, da sbagliare e da
ricominciare.
Stava
per rovesciare addosso ai due campioni della fede e del martirio,
tutti i dolenti dubbi che la gente macerava in cuore ma non era stata
capace di consegnare alle parole di una preghiera, nonostante fosse
straripata dalle vie del paese sulla piazza per riempire la chiesa
dove molti non avevano trovato posto, per abbracciare lo sgomento
dei genitori, per avere un segno dal cielo che aveva voluto con sé
la madre delle madri, Maria, il medesimo cielo che li aveva
scampati, secoli prima dalla grandine e dalla carestia.
Era
pronta a farlo ma si bloccò come se fosse testimone e protagonista
di un miracolo, pur essendolo già lei e il fante Poletti, Pietro e
Paolo.
Era
mezzanotte da un minuto, tutte le strade del cielo e della terra
erano accese, ma il creato non l’aveva mai saputo, non lo sapeva,
non l’avrebbe mai saputo.
Era
un regalo di Dio per non soffocare la speranza, per dare una
risposta, quasi consolatoria, all’ultima domanda: immobilizzava il
tempo e lo spazio affinché i piani paralleli della vita si
toccassero e si facessero, reciprocamente, coraggio per continuare
il cammino nel giorno appena iniziato.
Italia
se ne era dimenticata, presa com’era dal dolore di avere perduto un
altro figlio per futili motivi; Pietro, Paolo e il fante Poletti, che
avevano usufruito di quel dono, ciascuno a suo tempo, sorrisero al
nuovo venuto.
Il
ragazzo venne spingendo il suo scooter e scese issandolo sul
cavalletto; carezzò il viso di Italia, giusto per asciugarle una
lacrima impertinente che aveva attraversato la guancia: poi parlò a
tutti loro.
<<
Il mio tempo non è più il presente e nemmeno il futuro: il mio
tempo è l’imperfetto.
Vi
confesso che, sulle prime, non ero affatto contento di questo mio
nuovo stato.
Io
volevo solo fare un giro in moto, provarla a manetta, prima di
ritornare sui libri a sforzarmi di riempire la testa di tutte quelle
noiose nozioni.
Non
me l’aspettavo che accadesse proprio a me, non l’avevo chiesto né
voluto: avevo una vita davanti e avevo anche trovato con chi
condividerla.
Poi,
dopo il buio, seguendo nella luce una voce che chiamava il mio nome
ho visto ogni cosa di me, della mia storia, del mio posto in un
disegno più grande cui anche io avevo dato qualcosa per realizzarsi.
Allora,
ho capito tutto.
Sono
in pace con quel che resta di me e con quel che è stato reso a chi
mi inviò tra le braccia dei miei genitori. >>
Si
interruppe, abbassando lo sguardo attraversato da ansia d’essere
creduto e mille altri pensieri; riaccese il sorriso e proseguì con
dolcezza.
<<
Già...i miei genitori...proprio adesso che avevamo trovato il modo
di comunicare.....
Chissà
se, in questo primo minuto del nuovo giorno, staranno facendo
l’amore.....
Anche
solo per consolarsi, per farsi coraggio a vicenda, per aiutarsi ad
aspettare senza troppa malinconia il giorno in cui ci
ritroveremo.....
Bene,
vorrà dire che entrerò in punta di piedi nei loro sogni e lascerò
poche parole che sciolgano il dolore!
Chiederò
loro di preparare una stanzetta nel cuore per tutte le volte che
potrò tornare, perché il cielo è grande ma non abbastanza per
contenere il nostro amore, infinito come questo minuto che avvicina
la valle di lacrime alla luce della verità e della vita.
Scusatemi,
ora dovrei andare..... >>
Così,
spinse giù la moto dal cavalletto e scomparve lungo la discesa che
digradava fino al bivio che, a sinistra, portava a quella che era
stata casa sua.
Piazza
Brugnatelli, si svuotò in un’istante: Pietro e Paolo ripresero
posto nelle loro nicchie a lato del portone della Chiesa dedicata
alla Beata Vergine Maria Assunta in Cielo; Italia riprese ad
assistere all'ultimo respiro del valoroso fante Poletti sul Carso
insanguinato e liberato dall’austriaco invasore.
Una folata di ponentino
accarezzò le fronde dei castagni vicini al monumento, rimettendo in
moto l'universo e le lancette del campanile.
Dedicato a Cinzia e Davide e Matteo Brigliadori, che non ho conosciuto, ma che vive anche lui nel mio cuore.
(c) Claudio Montini 2013 da BRICIOLE DI SOGNI NELLO SGUARDO - racconti - Yocanprint Edizioni
Foto di Davide Brigliadori e Paolo CBR Milanesi
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