venerdì 24 agosto 2018

Un gustoso e curioso rimedio all'insonnia

La forchetta al centro del piatto
di Claudio Montini

Si rese conto di soffrire di insonnia, quando provò piacere nell'attardarsi in cucina a preparare un sugo al pomodoro da conservare sotto vetro. Quanto era dolce ridurre a bocconi grossolani quei grossi e succosi ortaggi, rossi più della brace di rovere buona per il camino e per la stufa d'inverno, gonfi e tesi e pieni di sè e di polpa e succo vermiglio e acqua tanto quanto certi gaglioffi che si divertivano a fare i forti con deboli malcapitati, salvo poi finire puntualmente crivellati o maciullati o disciolti dal piombo o dall'esplosivo o dall'acido di coloro i quali erano superiori a loro per grado o per potere o per maggior e carenza di scrupoli. Era una vendetta virtuale, nemmeno una nemesi seppure tardiva per sua natura stessa, un 'ingenuo inganno alla coscienza ferita, all'orgoglio leso, alla dignità quotidianamente calpestata non solo sua ma comune a tutta l'umanità che pativa la mancanza di giustizia, di uguaglianza, di rispetto: sminuzzare a filo di coltello in una ciotola l'attore o, persino, l'autore del male patito per mescolarlo a essenze o aromi  o materie ritenuti salutari, benefici, lenitivi o ammendanti scaldando quel magma a fuoco medio e senza fretta ma in modo costante e prolungato, come un bradisismo flegreo o il vulcanismo minore della solfatare etnee, affinché esso si liberasse della maggior parte del suo umore acqueo, sembrava essere il solo espediente in grado recare pace e benessere ai suoi nervi tesi, sfibrati, sfiniti da ansie e timori e paure circa i giorni e i mesi e gli anni che gli sarebbe ancora toccato di vivere in quella valle di lacrime. Il vetro pulito e trasparente, il sigillo del tappo a vite in alluminio colorato d'ottone, era una eccellente prigione per quella miscela di vita e di estate che avrebbe nobilitato un'altra generosa e gustosa invenzione dei figli della terra che, imitando il proprio creatore, avevano impastato elementi diversi del creato per sostenere la vita della specie che si era arrogata il diritto e il dovere di esserne il custode, salvo scordarsi dei propri compiti quando lasciavano briglia sciolta alla cupidigia e altri bassi istinti. A mezzanotte era spirato il vecchio giorno, si era accomodato senza dire nulla nel passato, mentre il nuovo non dava segni di vita degni di nota se non gli scatti delle lancette degli orologi; non entrava un brusio di veicoli o di foglie, non un vociare di ubriachi o di ragazzi ebbri di libertà incosciente, non una sirena che rincorresse moribondi o malviventi, non un cane che abbaiasse alle ombre che scivolavano sui sospiri o sui rantoli delle case e dei cortili spenti dal sonno e dalla paura del buio; sollevò il coperchio alla caldera del suo piccolo vulcano domestico, si riempì narici e polmoni del profumo che gonfiava e lacerava l'incerta superficie rustica e rossa, quindi stabilì che poteva bastare così, sì, proprio come il cucchiaio di legno suggeriva ostentando la resistenza della densa massa che fendeva e ribaltava: sbarrò gradualmente la strada al gas che abbassò la sua cresta blu fino ad estinguersi, era giunto il tempo del riposo e della perdita del calore, l'attesa di una sorta di rigor mortis necessario all'ultima fase del rimedio all'insonnia conclamata. Si sbarazzò degli strumenti ormai inutili, pulendoli e sciacquandoli e riponendoli con metodo scientifico nel colatoio delle stoviglie sopra il lavello della cucina avendo, tuttavia cura di conservarsi acqua e detersivo sufficienti per quelle poche stoviglie ancora impegnate. La fresca brezza della notte fonda compì sino in fondo il suo dovere, la pentola si poteva manovrare a mani nude, i vasetti non avrebbero sofferto troppo l'esuberanza termica del loro ospite, complici un paio di cucchiai d'olio d'oliva fatti scorrere con abile gioco di polso sulle loro pareti interne; sfiorò dunque l'orlo di ciascuno, pareggiando il livello con altro olio e serrando sino in fondo la porta metallica della prigione trasparente: li lasciò allineati sul tagliere bruno di rovere o di noce (o di chissà quale altro tronco d'albero a lui ignoto e privo della benché minima importanza) sino al mattino che attese, finalmente esausto e soddisfatto, per poche ore nel suo letto russando allegramente solo dopo aver rigovernato l'ultima stoviglia e fatto sparire le prove del suo passaggio in cucina. Soltanto a mezzogiorno, con la forchetta al centro del piatto, si sarebbe udita l'ardua sentenza.   
© 2018 Testo di Claudio Montini
© 2014 Immagine di Orazio Nullo

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