mercoledì 8 agosto 2018

Anteprima da "Ai nostri paesi ce ne son delle più belle"

LO SPIRITO DI SAIRANO
di Claudio Montini
Avere un posto in cui tornare, oppure uno da cui partire senza la certezza di rivederlo e, in fondo, nemmeno il rimpianto vuol dire essere ancora vivi: così sosteneva Cesare Pavese in un passaggio de La luna e i falò. Rispetto al maestro piemontese e langhigiano (già professore di letteratura inglese presso l'università di Torino, relatore della tesi di laurea di Fernanda Pivano, redattore e collaboratore della casa editrice Einaudi), io non sono che un granello di sabbia in riva al mare; tuttavia ho conservato un buon ricordo delle persone e dei luoghi che hanno caratterizzato e, devo ammetterlo, in parte forgiato la mia infanzia, l'adolescenza e la gioventù: rispetto a lui, ho questo vantaggio e, probabilmente, esso mi salverà dal peso del senso di estraniamento e dalla sensazione di estraneità crescente che hanno condotto il professor Pavese a togliersi la vita. Per fortuna, io ho Sairano che non è un paese come gli altri, anzi, è smemorato come tutti gli altri; ma li batte e sta in vantaggio su di loro perchè insegna a condividere e ricordare la gioia delle piccole cose, delle abitudini, della gente che si guarda in faccia, che si rinfaccia le peggio cose ma che, quando c'è una lacrima da asciugare o un dispiacere da consolare o un morto da accompagnare e far vivere nel ricordo di tutti, non è secondo a nessuno. A chi mi chiede di descrivere i sairanesi, dico che loro sono come i giapponesi con la macchina fotografica al collo: lo dico perchè di tutti i pavesi, loro sono gli unici che cercano sempre di cavarsela meglio che possono e a testa alta in qualsiasi frangente, sanno annusare l'aria e cercano di andare d'accordo con tutti per cavarne il massimo profitto in questa vita, che è una sola ed è inutile perdere tempo ad avvelenarla al prossimo. Badano al sodo, ma non dimenticano gli amici e la buona tavola: per marcare le distanze da antipatici e arroganti, li apostrofano ricordando loro che non hanno mai mangiato il risotto insieme; rispettano l'impegno e la generosità, ma non amano gli eccessi. Sairano è un posto da cui si smania di partire per far fortuna e si spera di tornare vincitori, ma anche un posto dove si torna volentieri, foss'anche solo con la memoria, giusto per riassaporare le cose buone di una volta. Lo sapeva bene anche il conte Carena che ristrutturò il castello (fondato da un capitano di ventura della guerra dei Trent'anni, così ricompensato dalla corona di Spagna per i suoi servigi) nel XX secolo, elevandolo a casa di campagna dove coltivare l'otium inteso alla latina: infatti, all'ingresso degli appartamenti privati pose una scritta emblematica nella lingua di Cicerone "Civiles curae procul hinc abite", andate lontano da qui preoccupazioni civili ovvero state alla larga da questo posto tribolazioni del lavoro e della vita pubblica. Del resto, il conte era un notaio che aveva partecipato alla Prima Guerra Mondiale, come i tanti che sono scritti sul monumento ai caduti (inaugurato nel 1929 proprio davanti all'ingresso carraio del maniero, sul quale tutti i coscritti hanno scattato una foto ricordo dell'avvenuta visita di leva); come tanti notabili che, in qualche modo, avevano partecipato all'ultima guerra risorgimentale o alla prima del secolo breve, anch'egli aveva caro il tenere distinta la vita professionale e pubblica da quella privata e rustica, legata al blasone conquistato o acquistato (sostengono le malelingue) e basato sul censo o sulla proprietà terriera. Lo spirito di Sairano, che si era già manifestato ai primi coloni eredi di Caio Giulio Cesare e a quelli Ottaviano Augusto, credo lo abbia ripagato e altrettanto abbia fatto con i suoi eredi concedendo a tutti dosi generose di buon senso pratico, sarcasmo e scetticismo uniti a istinto di sopravvivenza e curiosità che hanno fatto sì che echi e boati del mondo, tanto incalzanti e contraddittori quando non perniciosi per la salute, giungessero ben distinguibili sino a lì ma fossero anche interpretati (ma non copiati), distillati (ma non mutuati), metabolizzati (ma non approvati) o, infine, marginalizzati e dimenticati. Non ho mai sentito il bisogno di tornare a Sairano perchè il suo spirito, in fondo all'anima, mi ha sempre fatto compagnia come una coscienza implacabile, spietata, che vive di vita propria ma che ha saputo consigliarmi e, lo devo ammettere a denti stretti, consolarmi nei momenti difficili della vita e della scrittura, due mestieri faticosissimi e due passioni cui non voglio rinunciare. Ai nostri paesi ce ne son delle più belle non è una antologia di racconti e non è un monumento alla memoria, o per meglio dire, non è soltanto queste cose: è un prodotto nuovo di quel coacervato di idee, sensazioni, sogni e riflessioni che per qualche misteriosa ragione prende domicilio nella mia testa, si tuffa nel cuore ed esce dalle dita componendosi sulla pagina. E' la maturazione di materiale già scritto e pubblicato, ma dotato di potenzialità inespresse che fremevano e urlavano tra le righe per essere liberate, messe in luce e armonizzate al flusso narrativo. E' la specialità dello spirito di Sairano e dei sairanesi: quella di traformare cose vecchie in sogni nuovi da sognare, in ogni dannato posto del mondo essi si trovino a viaggiare.

© 2018 testo di Claudio Montini
© 2018 Immagine creata da Orazio Nullo

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