di Claudio Montini
Era l'ultimo giorno di villeggiatura, in vacanza col prete sulle montagne piemontesi, a Ceresole Reale: quella notte ebbi un sonno agitato, mi disse al mattino il compagno di branda, quello che dormiva al piano superiore. Candidamente domandai: "Come hai fatto a rendertene conto se russi più di me e ti addormenti prima?" " Ho sognato un incubo terribile: stavo in mezzo a una esplosione; tutto si faceva a pezzetti come mattoncini Lego e scappava da me in tutte le direzioni e io cadevo in una buca." "Vedi che succede a ingozzarti di gelato prima di salire in camera? Per non dire dei biscotti al cioccolato che sai solo tu come nascondere nel cuscino..." "Parli te che stanotte sembravi una betoniera di ghiaione e cemento da fondamenta! Ho messo la testa due volte sotto per vedere se stavi male...non ti sei mai agitato tanto nemmeno quando siamo tornati dal Nivolet con la faringite e la febbre a trentotto...""...che è sparita quando ho fatto i gargarismi con l'acqua ossigenata e sputato le placche che avevano infiammato le tonsille: una scopa, come dice la signora Rina. Comunque io, con la febbre, dormo e sudo." Ci guardammo negli occhi e non ci volle molto a capire che, forse, avevamo fatto lo stesso sogno e che in fondo al cuore avevamo ancora paura di quello che avevamo visto proiettarsi sulle palpebre chiuse. Era comprensibile che i nostri animi adolescenziali fossero in subbuglio, non solo per la giostra degli ormoni che iniziava a girare: era il due agosto del 1980, c'era ancora la guerra fredda, Usa e Urss si facevano dispetti reciproci, c'era il terrorismo rosso e nero e a strisce anche per le contrade italiche, un aeroplano caduto o forse abbattuto partito da Bologna e diretto a Palermo, i treni che non arrivavano mai puntuali ma ogni tanto esplodevano puntuali in galleria e noi che dovevamo sceglierci una strada per costruirci il futuro, magari come impiegati dello stato o delle forze armate o capitani d'industria. Era anche il compleanno di un nostro amico comune e ci scordammo di tutto tranne che di quello, perchè si festeggiò con una torta a colazione e una a pranzo prima di ritornare a casa, nella nostra provincia che credevamo essere ai confini dell'impero, nel nostro paese piccolo e immutabile. Ma c'era già la televisione, a colori e in diretta, che ci spiegò lo smarrimento misto alla felicità, superiore al dovuto e al solito, dei nostri genitori quando scendemmo dalle due corriere e ci ammassammo a recuperare le nostre valigie. Io, la stazione di Bologna non l'avevo mai vista prima e ora era lì come se fosse stata presa a calci da un gigante, un mucchi di macerie e polvere persino sui treni fermi sui binari, ammaccati e coi finestrini polverizzati, i taxi gialli arenati lì davanti e alcuni mezzo sepolti, i camion dei pompieri e un'autobus (che cosa mai ci faceva lì un'autobus? Poi ho visto le barelle ci che salivano sopra e ho capito). Poi vidi l'orologio della stazione, appeso al muro col quadrante appena un poco squinternato, che segnava l'ora dello scoppio: perchè nemmeno per un'istante ho creduto allo scoppio di una caldaia. Che bisogno c'era di accendere una caldaia, il due di agosto a Bologna con tutta la gente che doveva partire per il sud, per il mare per le vacanze? Che bisogno c'era di mettere una bomba proprio lì, in un coacervo e raduno di poveri cristi che volevano solo andarsene a rilassarsi in un bel posto? Il due agosto millenovecentoottanta faticai a prendere sonno: avevo paura di fare altri sogni premonitori, avevo paura non riuscire a fare altri sogni per colpa di qualcuno che ancora oggi, due agosto duemiladiciotto, non si è pentito di quello che ha fatto né degli ottantacinque morti che ha sulla coscienza, ammesso e non concesso che ne abbia una.
© 2018 testo di Claudio Montini© 2018 Immagine di Orazio Nullo
Nessun commento:
Posta un commento