di Claudio Montini
Sabato è sempre stato un giorno speciale della settimana, come il punto che si mette in fondo ai pensieri quando si ritiene di aver chiarito il concetto che premeva per uscire dalla scatola cranica. Qualcuno tirava le somme, qualcuno sognava in grande, qualcuno tirava calci ad un pallone, qualcuno sfogliava l'enciclopedia per provare a sentirsi in un'altro posto e, magari, in un'altra vita. Sognava, quel qualcuno, di fare l'astronauta ma per sua sfortuna di navicelle spaziali della sua misura non ne costruivano; probabilmente il razzo Saturno V dell'ingenger Von Braun non avrebbe avuto la forza necessaria a spingerlo, almeno, in orbita intorno alla Terra data la sua troppa confidenza con pastasciutta, cotolette impanate, patatine fritte, focacce e pane bianco in ogni sua forma e composizione. Così si accontentava di farlo con la fantasia, con le fotografie e coi rari servizi giornalistici che passavano in televisione: quarant'anni fa, non si era ancora diffusa tutta questa tecnologia, questa orgia di informazioni e dati rubati e scambiati da entità in grado di condizionare la nostra vita. Il sabato era il tempo da dedicare alla bellezza e alla moda, alle apparenze e anche il tempo per respirare e pensare ad altro: una pausa nel logorio della vita moderna. Mi piacerebbe tornare indietro a quei sabati con la televisione in bianco e nero, le discoteche coi divanetti di velluto e le luci colorate e i cuba libre che scorrevano a fiumi alternandosi ai gin tonic, la pizza alle due di notte e poi guidare piano fino a casa ascoltando le cassette comprate dal disc jockey. Giusto per farmi quattro risate sane e spensierate e rendermi conto che, in fondo, non è stato tempo sprecato.
(c) 2017 testo di Claudio Montini
(c) 2017 immagine di Orazio Nullo "Peculiar Time Machine"
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