ROTOLA IL CERCHIO
DELLA VITA
Davide Longo
MAESTRO UTRECHT
NN Editore (2016)
di Claudio Montini
Sin dai tempi dei classici greci, era in cui per convenzione
eurocentrica si colloca la nascita della cultura cosiddetta
occidentale, il sogno di ogni insegnante è sempre stato quello di
compilare il manuale definitivo, nelle intenzioni del compilatore
anche perfetto, ad uso e consumo dei propri discepoli e di tutti
coloro che sarebbero succeduti ad attingere a tal fonte del sapere. Fortunatamente, molti si sono limitati a concedere, a pochi eletti,
appunti e schemi procedurali con cui preparavano di volta in volta le
lezioni: in fondo ad ogni artista, del resto, si cela un solerte e
permaloso artigiano geloso della propria sapienza conquistata in anni
di gavetta e di prove ripetute. Altri si sono gettati stoicamente nell'impresa di mostrare al mondo
come si fa a far fortuna quasi dovessero dettare le dosi per un
pranzo di nozze regali: e guai a sgarrare, pena l'oblio e la
dannazione eterna; alcuni, infine, hanno scelto una via ardua e
impervia e fragile quanto un ponte di corda e assicelle di legno
sospeso su un orrido (o burrone, se preferite), tappezzato di muschi
e ribollente di schiuma di torrente impaziente di farsi fiume e
correre al mare: costruire una storia o una serie di racconti che si
intrecciano e si intersecano aventi come perno un personaggio ignoto
e il suo investigatore, cacciatore e inquirente di una preda
inconsapevole, per infarcirla di tutte quelle cose da trasmettere ai
propri discepoli scommettendo sulla sensibilità critica e analitica
del proprio uditorio, ovvero illudendosi che dall'esempio o
dall'aneddoto tutti sappiano trarre la legge o la regola universale
per il successo o, almeno, una pacifica soddisfazione. Purtroppo, è quel che accade a Davide Longo in MAESTRO
UTRECHT (N N Editore, 2016) che confeziona una favola
moderna alla Italo Calvino, quello dello stralunato Marcovaldo e del
Castello dei destini incrociati, in cui è forte la anche la
presenza dei tormenti di Cesare Pavese, con gli influssi della luna e
i riverberi dei falò, così come le luci e le ombre di Carlo Cassola
e Carlo Fruttero in cui anche la realtà è un'ipotesi poichè ognuno
di noi, dello stesso fatto, ricorda e riferisce cose diverse
destinate ad essere trascinate via dalla risacca instancabile,
beffarda e implacabile del mare nel quale Hemingway andava a pescare
e vedeva un vecchio sconosciuto e cocciuto cercare di farsi
restituire un poco di fortuna o di riscatto rubato dai flutti e dai
pescecani. Troppo bello per essere vero: infatti, si vira verso la trama di una
puntata di CHI L'HA VISTO e il neorealismo per arrivare alla
fine, già nota e scontata, la morte senza colpevoli e senza moventi
di Maestro Utrecht che si è trasformato più volte, nell'aspetto e
negli atteggiamenti, lasciando il lettore sempre più disorientato
come se la storia fosse divenuta un labirinto di specchi da cui si
esce, appunto, fermandosi di fronte al dato di fatto del rapporto di
polizia sul decesso e sul funerale cui presenziano due poeti e una
poesia per il defunto, unici testimoni del commiato di uno
sconosciuto da questa valle di lacrime. MAESTRO UTRECHT è un pretesto per Davide Longo, già
romanziere e autore di testi teatrali e radiofonici oltre che
insegnante di scrittura alla Scuola Holden (fondata da Alessandro
Baricco), per mettere in rassegna tutto quello che uno scrittore non,
ripeto, non
deve fare per provare a scrivere con un certo successo e
soddisfazione propria e di chi lo andrà a leggere: un buon avvio
giocato sul registro della favola surreale che, però, poi si perde
per trasformarsi in indagine su un cittadino al di sopra di ogni
sospetto e decisamente fuori dagli schemi; un pizzico di
introspezione psicologica che non deve mai mancare, secondo i canoni
della letteratura moderna; dialoghi serrati e scorrevoli, quando
servono a disegnare ambienti e situazioni, staccando magistralmente
(ci mancherebbe) dal soliloquio del narratore; l'esposizione dei
proprio metodo di lavoro e uno spiraglio sulla vita privata
dell'autore come a scusarsi del fascino morboso per l'esistenza
altrui; una bella citazione riportata senza rivelare la fonte,
riguardo al rapporto tra l'essere umano e l'amore (quel passo mi è
sembrato di averlo già letto altrove, ma non ricordo dove...), la
quale rende magnifico e altamente lirico il finale di un capitolo che
comincia a mostrare la fatica di uscire dal labirinto delle ipotesi
con le poche prove e testimonianze racimolate, mentre la vita reale
prosegue e bussa alla nostra porta con le sue esigenze. A questo
punto, il lettore si aspetta il colpo di scena, il lampo di genio,
l'idea non ponderata che, grazie alla fantasia sfrenata di cui lo
scrittore dovrebbe essere proverbialmente dotato, colma i vuoti e
unisce i segmenti e mette in ordine i dati raccolti dal cronista di
vita altrui suggellando con grazia e garbo sovraumano la fiaba
moderna da cui, nelle prime pagine, è stato piacevolmente attratto e
affascinato: ma in MAESTRO
UTRECHT il
miracolo tipico del romanzo, questa volta, non si compie, come il
sangue di San Gennaro che non si liquefa ma a Napoli la vita continua
ugualmente. Se ai napoletani resta comunque
intatta la fede nel loro santo patrono e la speranza che la prossima
sia la volta buona, a me resta il piacere di essermi imbattuto in un
bellissimo italiano, inteso come lingua della narrazione, con tutti
gli elementi della frase e del discorso esatti e concordanti tra
loro, mai ridondanti e mai ripetitivi e mai banali, supportati da una
attenta e intelligente punteggiatura che da vita a una prosa
avvolgente, affascinante e lieve tanto da scorrere per gli occhi
nella mente (talvolta anche nell'anima) come acqua fresca e dolce e
pura e viva per chi ha attraversato il deserto di Atacama in cerca
delle sue rose. Forse Davide
Longo in MAESTRO
UTRECHT (NN
Editore, 2016) le ha
trovate o forse si è arreso al rotolare del cerchio della vita [...]
perchè tutto scomparirà, amici miei [...]come una nave che poco a
poco si allontana dalla costa (pag.156). Io, invece, le sto ancora
cercando perchè non mi accontento di un bel giro di parole ma cerco,
in uno scritto, quel
che tutte le campane andranno a sfidare, che gli inni sacri a
glorificare, che va gridando forte nei portoni che sta nella natura e
nella bellezza, quel che non ha giudizio nè mai ce l'avrà, quel che
non ha paura nè mai ce l'avrà, quel che non ha misura... (Ivano
Fossati)
©
2017 Testo di Claudio Montini
©
2017 Foto di Orazio Nullo
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