PARTIRE PER MERITARSI IL RITORNO: NAPOLI E' L'ITACA DI MAX GILARDI
di
Claudio Montini
Ci sono e si saranno tanti modi per definire il concetto
occidentale con cui si indica l'esistenza biologica e spirituale
degli esseri umani in ordine alle implicazioni dovute alle relazioni
e agli scambi interpersonali, alle emozioni e agli affetti che
generano e provocano, alle presenze o alle assenze della ragione o
del suo contrario.
Un
romanzo, seppur d'amore con un morto, come LA
BAMBINA CHE NON SAPEVA PIANGERE
di
Elda Lanza (Salani Editore, 2015) è una mirabile, geniale, elegante,
affascinante ed intelligente invenzione che insegna divertendo
moltissime cose sull'argomento detto; ci riesce con la leggerezza e
la spensieratezza di un passatempo, tanto che nemmeno ci si rende
conto delle quasi quattrocento pagine e degli oltre cinquanta capitoli
in cui si articola la quinta avventura di Massimo Gilardi, avvocato
napoletano già stato commissario di pubblica sicurezza a Milano, e
della squadra che con lui evoluisce fino a cogliere il bandolo di
matasse ben ingarbugliate, anche quando esse sembrano essere figlie
di casi di apparente lampante soluzione.
LA
BAMBINA CHE NON SAPEVA PIANGERE è
una donna cui sin dall'infanzia è stato imposto di reprimere lacrime
e sentimenti, parecchio maltrattata dal destino e dalla vita, che
viene ritrovata a casa del padre, uscito dalla sua vita alcuni
decenni prima, col suo cadavere sanguinante tra le braccia e la
pistola "calda e fumante" a poca distanza da sè sul
pavimento del salotto; viene arrestata nonostante lo stato
confusionale e la contemporanea crisi isterica post traumatica, tanto
acuta da ridurla a uno stato tra il catatonico e il neurovegetativo,
e viene ricoverata in attesa di giudizio in una struttura napoletana
specializzata nell'assistenza a questo genere di pazienti. Insomma, non può difendersi e non può dare la sua
versione dei fatti: tanto basta a stuzzicare l'innato istinto per la
giustizia che alberga in Massimo Gilardi, stimato e valente principe
del foro partenopeo, non ufficialmente specializzato nella soluzione
di casi disperati e complicati con cui cavare dai pasticci i poveri
cristi dai più designati come come capri espiatori.
Non è un cavaliere errante dispensatore di giustizia
per deboli e nemmeno un raddrizzatore di torti: è un uomo dotato di
certezze e di debolezze come tutti gli altri ma che non smette mai di
seguire virtù e conoscenza, come l'Ulisse cantato da Dante nella
Divina Commedia; viaggiando su questi due binari, indagherà e farà
interrogare dai suoi collaboratori una serie di personaggi
eterogenei, magistralmente stilizzati e caratterizzati da Elda Lanza,
i quali, senza perdere mai di vista i propri interessi, disegneranno
un ritratto di Gilla Floris, presunta assassina per caso, sufficiente
a Max Gilardi per girarsi e vedersi un film nella testa riguardo alla
dinamica dei fatti e al movente.
L'autrice lo proietta anche per noi sullo schermo di un
apposito capitolo con cui ci fa sbirciare nel mondo segreto del coma
vigile dell'imputata: ma nel successivo, emerge un piccolo dettaglio,
un particolare, un lascito di un episodio del passato sul corpo di
Gilla, notato e ricordato persino dalla figlia Carolina eppure
sottovalutato da tutti, che bollerà e casserà come fantasiosa e
infondata ogni congettura (anche quelle fin lì fatte dai lettori);
prenderà corpo un nuovo quadro della dinamica dei fatti che
consegnerà all'avvocato difensore la verità da ratificare nel
dibattimento processuale, ovvero quella che scagiona la sua
assistita.
Poichè la vita non è soltanto fatta di virtù e
conoscenza, ma anche di istinto e sensazioni con attrazioni più o
meno fatali e relazioni più o meno clandestine, scorrendo essa
nonostante noi e le nostre convinzioni, ecco che dalle indagini sorge
e si salda e cresce l'altra elica che compone il DNA de LA
BAMBINA CHE NON SAPEVA PIANGERE e che fa capolino dal
sottotitolo di questo bel romanzo di Elda Lanza, novantenne di belle
speranze con un passato di conduttrice televisiva, giornalismo e
docenza universitaria nell'ambito della storia del costume: romanzo
d'amore con un morto.
Durante la lettura, si assiste alla nascita e ai primi
passi di una storia d'amore tra adulti consenzienti ma, in
controluce, si intuiscono molti altri tipi di amore ciascuno a modo
suo complicato dalla natura e dalla psicologia dei personaggi che
l'autrice rende vivi e unici con felice, leggero e garbato tratto di
penna e un sapiente uso della lingua italiana e della sua
punteggiatura.
L'evoluzione della cifra stilistica è tale per cui,
senza scadere nella volgarità o nel parodistico, si "vedono"
i personaggi con le loro fattezze, espressioni e movenze sin dal modo
di esprimersi nel dialogo così come accade per le scne in cui sono
coinvolti, travolti dalle passioni o dagli eventi; il ritmo della
narrazione è incalzante e fluido al tempo stesso grazie a capitoli
ben definiti e non lunghi, dialoghi serrati e poco inclini
all'eccesso insieme a descrizioni precise ma essenziali affinchè
resti sempre ampio spazio di manovra per il cervello del lettore.
Così viene stimolato l'impulso a seguire l'evoluzione
del viaggio di Max Gilardi sempre partito per meritarsi il ritorno e
la sua Penelope perchè ogni uomo, anche se non si muove dalla
propria sedia, parte e qualche volta ritorna per meritarsi un posto (per sentirsi vivo, come avrebbe sostenuto Pavese), per meritarsi un'affetto o una donna che, in ogni
caso meglio d'una moltitudine di uomini, sarebbe sempre in grado di
costruire ponti tra passato e futuro senza distruggere adattandosi
alle pieghe del destino.
Esattamente come ha fatto Gilla insegnando a piangere a
sua figlia Carolina per liberare il cuore dai pesi che
inevitabilmente si accumulano; come farà Paola, intuendo la fine del
matrimonio con Max però trasformando l'amore che aveva ancora da dargli
in armonia e affetto per la famiglia allargata, come si usa dire
oggigiorno; come fa, con grande senso pratico Olga, optando per il
pendolarismo affettivo tra Toscana, casa degli affari, e la Campania,
casa del cuore, per non rinunciare a sè stessa e al suo passato e
per vivere il suo presente arricchito dall'amore senza invadere spazi
non suoi, cioè presentandosi ai figli di Max e Paola come una nuova
zia.
L'Ulisse partenopeo ha superato davvero le colonne
d'Ercole, senza cascare dall'orlo dell'Oceano: è tornato tra le
braccia della Penelope toscana scoprendo che il cielo è azzurro
sopra Napoli e, forse proprio da lì, tutto può ripartire
ricominciando ad amare anche con il cuore, non solo con la testa.
© 2016 Testo di Claudio Montini - foto di Orazio Nullo
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