La capitale dell'isola che non c'è
di Claudio Montini
Da dieci giorni c'è una parte d'Italia, continente europeo, occidente industrializzato e presuntuosamente moderno ed emancipato che si trova a patire i disagi della mancanza di acqua potabile come se fosse Bangui nella Repubblica Centrafricana, da anni tormentato da una dimenticata guerra civile e dalla povertà lasciata dal colonialismo becero del XX secolo.
Messina è senza acqua potabile da dieci giorni a causa di una frana che ha spezzato la condotta dell'acquedotto, quello nuovo, che attraversa le colline alle sue spalle; si è ovviato ai disagi con le autobotti, con una nave cisterna, con le scorte che tutte le abitazioni hanno sopra i tetti da sempre (indispensabili nei mesi estivi); ora, dopo dieci giorni (perdonatemi se lo sottolineo, ma mi sembra inconcepibile nel terzo millennio per un Paese che si vanta di stare nel novero dei paesi industrializzati), è finalmente scesa in campo la Protezione Civile Nazionale: ma una nuova frana ha vanificato gli sforzi dei tecnici che avevano ripristinato la conduttura e, pare, che si ripristinerà il vecchio acquedotto che sembra avere resistito meglio alle ingiurie del maltempo (abbondanti sono state le piogge nella zona e nella vicina Calabria si sono registrati livelli di precipitazioni, in due giorni, pari a quelli di nove mesi) e degli anni di servizio trascorsi.
Eppure nei giornali e nei telegiornali e persino nei giornali radio, della drammatica situazione che calabresi e siciliani flagellati, ugualmente dalla pioggia e ugualmente cittadini italiani come lo sono liguri e lombardi e veneti, non v'è traccia o al più è riservato uno spazio marginale nonostante illustri figli di quelle terre abbiano provato a destare l'attenzione.
I mezzi di comunicazione di massa, che da tempo hanno abdicato al loro ruolo di informare optando per un pecoronesco e pecoreccio ruolo di contenitori di pubblicità, a favore di prodotti industriali e satrapi e furbetti e arrivisti vari ed eventuali, hanno serenamente ignorato la faccenda e le sue ignomignose implicazioni privilegiando la pagliacciata capitolina e i mal di pancia del Partito Democratico, le balle governative sulla ripresa e l'occupazione, il revanscismo libico (hanno scambiato due pattugliatori della marina militare per pescherecci da sequestrare a scopo di estorsione: ma i nostri marinai hanno fatto fischiare proiettili alle loro orecchie facendoli battere in ritirata con le pinne tra le gambe), le manovre oscure nelle segrete stanze vaticane per fare fuori Papa Francesco.
Così Messina è diventata la capitale dell'isola che non c'è, un'invenzione, un gioco di parole da relegare in cronaca locale e non la spia di una situazione insostenibile nel terzo millennio, di una cattiva politica amministrativa e dell'ennesima presa in giro di una classe dirigente che si accontenta del fascino oscuro del potere e del profitto che se ne può trarre.
I siciliani e gli italiani, in proporzione, hanno una grande pazienza e una grande capacità di adattamento: ma non durerà a lungo.
Non vogliamo cattedrali nel deserto: ci basta una strada ben fatta e un tetto sicuro sulla testa, ci basta un lavoro per campare dignitosamente e uno stato che non ci faccia avere paura nè della nostra stessa ombra nè di ogni cosa che il cielo possa scaricarci addosso.
Messina è senza acqua potabile da dieci giorni a causa di una frana che ha spezzato la condotta dell'acquedotto, quello nuovo, che attraversa le colline alle sue spalle; si è ovviato ai disagi con le autobotti, con una nave cisterna, con le scorte che tutte le abitazioni hanno sopra i tetti da sempre (indispensabili nei mesi estivi); ora, dopo dieci giorni (perdonatemi se lo sottolineo, ma mi sembra inconcepibile nel terzo millennio per un Paese che si vanta di stare nel novero dei paesi industrializzati), è finalmente scesa in campo la Protezione Civile Nazionale: ma una nuova frana ha vanificato gli sforzi dei tecnici che avevano ripristinato la conduttura e, pare, che si ripristinerà il vecchio acquedotto che sembra avere resistito meglio alle ingiurie del maltempo (abbondanti sono state le piogge nella zona e nella vicina Calabria si sono registrati livelli di precipitazioni, in due giorni, pari a quelli di nove mesi) e degli anni di servizio trascorsi.
Eppure nei giornali e nei telegiornali e persino nei giornali radio, della drammatica situazione che calabresi e siciliani flagellati, ugualmente dalla pioggia e ugualmente cittadini italiani come lo sono liguri e lombardi e veneti, non v'è traccia o al più è riservato uno spazio marginale nonostante illustri figli di quelle terre abbiano provato a destare l'attenzione.
I mezzi di comunicazione di massa, che da tempo hanno abdicato al loro ruolo di informare optando per un pecoronesco e pecoreccio ruolo di contenitori di pubblicità, a favore di prodotti industriali e satrapi e furbetti e arrivisti vari ed eventuali, hanno serenamente ignorato la faccenda e le sue ignomignose implicazioni privilegiando la pagliacciata capitolina e i mal di pancia del Partito Democratico, le balle governative sulla ripresa e l'occupazione, il revanscismo libico (hanno scambiato due pattugliatori della marina militare per pescherecci da sequestrare a scopo di estorsione: ma i nostri marinai hanno fatto fischiare proiettili alle loro orecchie facendoli battere in ritirata con le pinne tra le gambe), le manovre oscure nelle segrete stanze vaticane per fare fuori Papa Francesco.
Così Messina è diventata la capitale dell'isola che non c'è, un'invenzione, un gioco di parole da relegare in cronaca locale e non la spia di una situazione insostenibile nel terzo millennio, di una cattiva politica amministrativa e dell'ennesima presa in giro di una classe dirigente che si accontenta del fascino oscuro del potere e del profitto che se ne può trarre.
I siciliani e gli italiani, in proporzione, hanno una grande pazienza e una grande capacità di adattamento: ma non durerà a lungo.
Non vogliamo cattedrali nel deserto: ci basta una strada ben fatta e un tetto sicuro sulla testa, ci basta un lavoro per campare dignitosamente e uno stato che non ci faccia avere paura nè della nostra stessa ombra nè di ogni cosa che il cielo possa scaricarci addosso.
(c) 2015 testo Claudio Montini
(c) 2015 immagine Orazio Nullo "Nowhere Island"
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