Sta per nascere un nuovo volume, il quarto per la precisione, della mia personale collana di micro romanzi per chi va di fretta. Non ho la più pallida idea della meta verso cui sono diretto: la narrazione scaturisce dalle mie dita come se fossi in stato di trance cosciente; ad ogni frase, ad ogni periodo che completo con un punto fermo contemporaneamente vengo assalito da una decisa sensazione di deja-vu come se una parte del mio inconscio annuisse e mi rassicurasse sulla bontà e sulla necessità dell'andamento delle cose. Il titolo di questo nuovo "lavoro", titolo ovviamente provvisorio, sarà Maison Anne et Daniel. Vi regalo il primo capitolo e vi invito a visitare https://il-raccontatore.stores.streetlib.com dove troverete tutta la mia produzione.
Claudio Montini
LA CERIMONIA
di Claudio Montini
Nell'aria c'era odore di caldarroste e di neve pronta a cadere da molto oltre le cime nascoste dalla grigia bambagia che il sole, scalando il versante opposto a quello in cui lasciavamo i nostri passi dietro gli zaini che ci eravamo caricati alla partenza, tentava di accendere o di spostare con la complicità del vento in quota: mi guardai in giro, sbirciando nella penombra senza perdere di vista la sagoma di Victor e i suoi sbuffi regolari, rassicurato soltanto dall'idea che a chiudere la colonna c'era il taciturno Bruno cui era toccato il compito di farmi da balia nel caso in cui cominciassi a perdere contatto. Un compito non scritto e non ordinato da alcuno ma previsto da Roger, quella volta come tutte le altre che alla “cerimonia”, come amava definirla padre Barthelemy, avevano concesso ad un forestiero di prendervi parte: mi ero accorto che era bastata un'occhiata tra loro per accordarsi, così come mi ero reso conto quanto una luce di soddisfazione e d'orgoglio paterno avesse lampeggiato nello sguardo del poderoso valligiano che, ai miei occhi, era la personificazione dell'ideale rustico montanaro, un po' boscaiolo e un po' pastore ma anche scaltro contrabbandiere e leale custode alpino del confine tra terra e cielo, avvezzo a leggere più i segni della natura che quelli d'inchiostro stampato a me tanto cari. Per qualche misterioso motivo, ignoto soltanto a me come venni a sapere da Maurice diversi anni dopo, Bruno mi aveva preso in simpatia e, in un modo tutto suo, mi aveva preso sotto la sua ala protettrice in modo tale che ogni soggiorno da quelle parti mi regalasse ricordi indelebili, da racchiudere nelle storie con cui riempivo i miei quadernetti dalla copertina rossa e nera prima che l'imbrunire cedesse il passo alla notte, dopo un caffè e un genepy. Come un nipote, figlio di un figlio troppo lontano, intuito ma non dimenticato, non perduto ma separato dai volteggi della sorte o dai puntigliosi maneggi dell'orgoglio e delle convenienze sociali che, da giovane scienziato politico, mi ero ripromesso di indagare e scardinare in nome di regole nuove, tutte da scrivere; poi, la montagna ha scremato e limato gli orpelli e messo a nudo i miei limiti, sfidandomi a pensare e respirare e dosare le energie affinché fossero sufficienti per ogni passo, senza perdere di vista la meta che non doveva mai restare celata perchè nessun uomo è un'isola. Quando compresi ciò, io vidi loro e loro videro che ero pronto per la “cerimonia”: restavo pur sempre un forestiero ma, per la frequenza e la regolarità con cui mi rifugiavo in quella vallata per sfuggire al logorio della vita cittadina, era chiaro che non fosse una coincidenza e che c'era un disegno già tracciato da scoprire giorno per giorno tutti insieme. Eppure, le narici erano solleticate da quei due aromi mescolati insieme, neve e caldarroste, mentre percorrevamo un sentiero invisibile e noto a Roger soltanto: la neve era caduta nella notte ed ora era un tappeto di fiori di ghiaccio sciabolato da temerari raggi solari, ruzzolati dall'orlo delle cime davanti a noi, tinto da colori evanescenti e improbabili come ombre colte solo con la coda dell'occhio. Forse si trattava di un'allucinazione per via della temperatura, dell'altitudine, della fatica; forse non avrei dovuto lasciarmi lusingare dal desiderio di padre Barthelemy di poter contare su un resoconto scritto di quella cosa che, negli ultimi eventuali giorni d'ozio che avrebbe speso nell'ospizio per i vecchi preti in pensione, avrebbe riempito il suo cuore del ricordo di quelle belle giornate e non di rimorsi o rosari.
© 2018 Testo di Claudio Montini
© 2017 Immagine di Orazio Nullo
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