Da grande volevo fare il giornalista...
di Claudio Montini
Mi sono seduto comodo, alla scrivania, allungando le gambe e sfidando la cefalea montante; sarà il freddo o sarà l'età? Non dovrebbe farmi male qualcosa che, notoriamente, non possiedo...eppure, è così!
Ho sempre davanti agli occhi una foto che vidi, da ragazzino su un allegato del Corriere della sera prodotto per il centenario del giornale, che ritraeva un signore attempato accovacciato in un corridoio con una macchina per scrivere sulle gambe, assorto e intento a dattilografare il proprio articolo come se il mondo non esistesse e la posa fosse la più normale al mondo. Mi ispirò subito simpatia quel tipo tanto informale e tanto appassionato di ciò che faceva per vivere: lessi la didascalia e fissai a lungo quella foto, come rapito o folgorato sulla via di Damasco.
Mi ero già fatto l'idea che i giornalisti fossero, comunque, un po' pazzi e un po' eroi votati a raccontare quello che accadeva lontano da noi gente normale perchè non rimanessimo ignoranti del mondo, come la mia maestra di allora che con santa pazienza riusciva a farci esprimere in un corretto italiano, senza perderci nei meandri dell'aritmetica e della geografia, riuscendo persino a spiegarci le asprezze della vita senza spaventarci.
Eravamo agli inizi degli anni di piombo, delle bombe nelle piazze e sui treni, del terrorismo politico, della prima crisi petrolifera: erano gli anni a cavallo tra i settanta e gli ottanta del secolo breve, il Ventesimo, e quel signore attempato era Indro Montanelli che nei decenni successivi avrei apprezzato e rimpianto come lettore e come giornalista mancato.
Infatti quando vidi quella fotografia, io che sin da bimbo scalpitavo per capire cosa fossero quei segni neri, così regolari e ripetitivi, ma di misure diverse e sparsi così ordinatamente su quegli enormi fogli di carta sottile che nascondevano la faccia del mio papà, quando lo studiava per un ora almeno seduto sul divano e guai a disturbarlo, allora sognai e decisi dentro di me che da grande avrei fatto il giornalista o tutt'al più lo scrittore: se poi fossi stato tanto bravo da andare a farlo anche in televisione, avrei toccato il cielo con un dito.
Poter portare il mondo che stava fuori dal paese dentro le case della gente e spiegare, con parole semplici e comprensibili a tutti, quello che stava succedendo affinchè tutti sapessero dove sta il bene e dove stava il male per schierarsi liberamente da una parte o dall'altra: quella sarebbe stata la mia missione che riassunsi in una massima che avevo ascoltato in un documentario storico, ovvero "la mia libertà finisce dove inizia quella del prossimo e, sebbene io non la pensi come lui, mi batterò perchè egli possa esprimere la sua idea".
Sebbene non me ne sia mai discostato più di tanto, ero già oltre il primo comandamento ribadito dal falegname nazareno di cui tra pochi giorni si celebra il compleanno.
(c) 2015 Testo Claudio Montini
(c) 1968 Foto Anna Mazzocchi Callegari "Claudio a Celle Ligure (SV)"
Nessun commento:
Posta un commento