sabato 1 aprile 2017

Riparte la stagione delle visite guidate a cura della Pro Loco: Parola di Lomello!

  
Voce di antichi mattoni: io sono Lomello

di Claudio Montini
Salve forestiero: la fortuna cieca e il fato baro ti hanno portato sin qui a incontrare il mio cuore di mattoni cotti dal sole e dal vento, sferzati di pioggia e di vento e di neve. Il Tempo e la Storia sono scivolati sulla loro superficie impregnando anche gli intonaci di memorie tramandate e conservate dai vincitori e dai sopravvissuti, perchè l'imponenza del manufatto, da sola, dura poco più di chi l'ha creata e non ha facoltà di parola: se viene fagocitata dall'oblio del silenzio, se rimane senza testimoni, essa si perde nella polvere da cui è sorta e in cui sono dispersi, ben prima di lei, i suoi artefici. La natura si riprende sempre ciò che le è stato sottratto, per restituirlo sotto altre spoglie destinate a un'altra vita. I re comandano le guerre che i popoli, per lealtà o per dovere, pagano con tributi di sangue e di gioventù portandole a termine: i vincitori si affannano a scrivere la Storia per compiacersi e giustificarsi delle loro imprese, tacendo e mistificando a propria convenienza; chi sopravvive alla tragedia, si secca la gola per raccontare mille storie di eroi e d'infami, mescolando dolore e pietà con verità e leggenda, a beneficio e istruzione delle generazioni successive che abbiano ancora voglia di ascoltare. A suffragio della verità delle proprie parole, entrambe le schiere di narratori additano e descrivono case e templi, simulacri e reliquie, lande e borghi che sono stati teatro o semplice quinta o fondale di scena degli eventi che vanno narrando, purchè siano ancora lì in piedi da vedere. Quel che manca, come sempre, lo aggiunge la fantasia di chi ascolta e di colui che racconta. Quel che resta è ciò che il Tempo, un galantuomo che sa fare il suo mestiere, lascia levigando gli spigoli dei ricordi e distillando il tutto in quella materia impalpabile e altamente malleabile che gli umili chiamano memoria e i signori, scaltri e potenti, indicano col nome di Storia seppellendo la verità sotto una montagna di carte, di codici e pareri autorevoli. Raggiungermi non è difficile, sebbene io non sia da secoli nelle prime posizioni delle tabelle di marcia dei pellegrini per fede o per diletto: del resto, non ho mai fatto molto per mettermi in mostra, amo la placida tranquillità della campagna che mi circonda. Però, oggigiorno, non è nemmeno difficile sapere delle piccole gemme antiche che custodisco e che sono la ragione per cui vale la pena venirmi a trovare: pensa che se digiti il mio nome in bocca al ficcanaso globale elettronico, è capace di farti vedere anche se c'è qualcuno che, davanti al mio castello, aspetta che apra la farmacia e butta un'occhiata distratta al monumento all'unico soldato italiano che abbia mai vinto una guerra: il milite ignoto vestito da fante della prima Guerra Mondiale. Ma tu sei già qui e stai anche dando un'occhiata ai tanti nomi di quelli che non sono tornati: troppa gioventù sprecata, altro che Lomello riconoscente ai suoi figli caduti per la patria. Come tanti altri miei colleghi, ne avrei fatto volentieri a meno di vederli partire giovani, vivi e forti e tornare in una cassa da morto o storpi o malati. Scusami, sto parlando come un vecchio patetico... Allora, prima di parlarti della chiesa prepositurale di Santa Maria e del battistero di San Giovanni ad Fontes che sono le mie parti più antiche (considera un'arco di tempo tra il X e il XII secolo dopo Cristo) mentre la chiesa di San Michele e il castello sono tra le più giovani (hanno tre o quattro secoli di meno), vorrei spendere ancora altre parole su di me che ti mostreranno un'immagine della mia anima che le pietre, i mattoni, le guide e le altre enciclopedie non ti daranno mai. Sono nato in una terra ricca d'acqua e un tempo, ormai distante alcuni secoli, anche ricca di boschi fitti e affollati di selvaggina, trapuntata di fontanili e prati e marcite, con piccoli dossi argillosi e sabbiosi. Tutti questi dettagli insieme all'assenza di grossi ostacoli orografici, ha fatto in modo che questa porzione di Pianura Padana diventasse un posto ideale tanto per scorribande di esaltati di ogni genere quanto per dimore del buon ritiro, dove stare alla larga dai veleni e dagli intrighi delle segrete stanze del potere temporale, così come culla di bontà e prelibatezze. Da me, la Storia si è fermata poche volte e solo per abbeverare i cavalli, rifocillarsi e curarsi graffi e ferite, stringere patti anche matrimoniali ( di cui ti dirò in seguito ) e ripartire più forte e più sana verso altre terre e verso più memorabili imprese e rocambolesche avventure; tuttavia non ha mancato di lasciare segni del suo passaggio, a volte per caso ma più spesso per necessità: un castello, una via o un ponte, un tempio o solo un'edicola votiva. Altrove, per molto meno, ci si gonfierebbe il petto facendo la ruota come pavoni con ogni forestiero che si presentasse curioso di cimeli, reliquie e antiche mura ostinate nello sfidare i secoli: qui la memoria dura un giorno, al massimo due o tre, come le rose, paragonata alla lunga catena dei secoli che ti hanno portato qui oggi. Se tornasse Cicerone a dirmi che " Historia magistra vitae est " gli riderei in faccia, anche se all'epoca del suo consolato ero già un satellite nell'orbita di Roma, da almeno un secolo. In fondo, le tribù dei Levi che erano scese dagli Appennini liguri e dalle morene monferrine, non avendo alcuna nostalgia del mare con cui litigavano per il pesce e per la terra inclinata e dura su cui piantare capanne, ma avendo da quello imparato a cavare il sale da scambiare con le genti di pianura, erano desiderose di vivere senza doversi sempre guardare le spalle, capaci di adattarsi a ciò che trovavano e fare scambi proficui. Ai Romani piaceva la campagna boscosa e ricca di fontanili e fiumi limpidi e pescosi: chissà perchè, acqua e terra da lavorare, con le mani e con gli aratri, li rilassava e smettevano di pensare solo a menar le mani con gladi e lance; ai Levi, piacevano quei prodi operosi con cui si facevano spesso buoni scambi e, sebbene avessero preso a comandare a destra e a manca, avevano pensato da subito alla sicurezza e all'ordine per tutti cingendomi con una palizzata e un fortino in cui anche chi pensava ai commerci e agli stomaci potesse trovare conforto e scampo dai predatori randagi d'ogni razza e stirpe, che anche allora non mancavano. Gli uni pensavano alle armi, gli altri al benessere senza stare a cavillare sul fatto di doversi romanizzare, conveniva ai traffici di entrambe le parti! Gli dei, anche se avessero cambiato nome, avrebbero continuato a stare oltre le nuvole e sotto la terra che calpestavano mentre tutti quanti loro che stavano nel mezzo dovevano mangiare, mettere su casa, prosperare e fare figlioli che li avrebbero sostenuti nella vecchiaia: finchè il cielo non fosse caduto sulla testa, d'altra parte, c'era rimedio ad ogni cosa. Allora vennero le strade che ricongiunsero il mare con le montagne e con le terre che vi stendono oltre, fino ai confini del continente in faccia ad altro mare e così, sopra questi tracciati selciati e poi asfaltati, son passati secoli di Storia e di storie fatte di risate e pianti, congiure e atti di valore e di coraggio; orde di vandali e bruti, bande di soldataglia e squadroni di cavalleria sono passati come la tempesta, arraffando quel che potevano e andandosene senza voltarsi a gettare uno sguardo pietoso a macerie fumanti e vedove e orfani; stuoli di millantatori venuti a promettere castelli sulle nuvole e fiumi d'oro e di latte e miele, hanno preteso in cambio giovani vite e frutti della fatica nei campi per foraggiare le loro ambizioni o quelle di sovrani lontani come le montagne, ancora innevate, che si vedono nei giorni sereni e tersi di primavera. La Storia e la vita non si fermano mai, si rincorrono da un capo all'altro dell'infinito, dal primo istante dell'universo al grande botto finale che lo farà ripartire in tutt'altro modo. Per questa ragione ti risparmio la lunga teoria di generali e teste coronate che mi hanno usato come pedina per i loro disegni ed eviterò di raccontarti rappresaglie e altre feroci loro meschinità di cui sono stato teatro: cambiano impresari e orchestrali ma la musica che il popolo ascolta è sempre la medesima, se vuole sopravvivere. La fortuna degli uomini è una linea ondulata disegnata sulla trama e sull'ordito del Tempo: sale e scende senza tregua e senza rispetto per sudditi, sovrani o eroi. Non si è mai fermata nemmeno la regina Teodolinda, che è passata di qua per scampare alle congiure di palazzo che, a Pavia, le avevano ucciso il marito e che qui ne ha trovato un altro dandogli una figlia e un figlio; lei, che qui ha abbracciato la fede cattolica abbandonando l'arianesimo cristiano per farsi battezzare in quello che sarebbe diventato il battistero di San Giovanni ad Fontes, in tal modo riunendo il suo popolo alla comunione con la chiesa cattolica romana. Senza dire nulla delle chiese e dei conventi e degli ospizi che ha fondato per tenere fede al suo nome di battesimo, tanto nella fede ariana che in quella cattolica: in celtico, dal momento che lei proveniva da una tribù che si muoveva tra la Baviera e la Foresta Nera, il suo nome si compone di due radici verbali che significano amica, o scudo o protettrice, del popolo. Anche io ho potuti annoverare molti suoi doni ma pochi hanno resistito alle ingiurie del tempo e alla memoria corta degli uomini; su tutti, quelli che sono ancora evidenti sono la basilica di Santa Maria Maggiore e il Battistero di San Giovanni ad Fontes: sebbene quello che vedi sono manufatti sorti parecchi secoli dopo di lei, la loro fondazione le è sicuramente dovuta. Mentre segui il mio discorso, fai scorrere il tuo sguardo sui mattoni rossi, sui ciottoli di fiume e sulle lastre lapidee di questa piazza, intitolata a quell'antica regina per l'ipocrisia di un regime che piegava la storia e la schiena dei giusti per la propria gloria ingrassando solo i proseliti e gli accoliti. Percorrila con calma, misurando i passi, sali o scendi la via che gira intorno al complesso monumentale che comprende il battistero e la basilica e l'oratorio femminile, che un tempo era anche casa parrocchiale. Non una sola volta, mi raccomando; entra in loro e ascolta quanto la guida ha da dirti: poi lascia che siano le pietre, i mattoni gli intonaci a parlarti. Non temere: lo faranno e ti renderai conto che il tempo e la frenesia contemporanea svaniranno per attestarsi più in là, verso il castello e la chiesa sconsacrata di San Rocco. Soltanto i mattoni e le pietre dei manufatti posati ed eretti dagli avi di coloro che animano questo paese, paradigma a modo suo di questa nazione fatta a stivale, sfidano la miopia e l'oblio per parlare con pazienza a te, forestiero giunto a Lomello per vedere il mio cuore antico e sentirlo ancora pulsare.

(c) 2015 Testo di Claudio Montini tratto da "Camere ammobiliate per viaggiatori immaginari" Ed. Youcanprint Selfpublishing
(c) 2015 Immagine di Orazio Nullo
(c) 2017 Video di Pro Loco Lomello da www.youtube.com - www.prolocolomello.blogspot.it













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