sabato 29 luglio 2017

La testa non serve solo per portare il cappello

Il resto lo farà il destino

di Claudio Montini 

Ci sono molte cose per cui varrebbe la pena indignarsi e sfruttare la forza dei social media per scuotere dal torpore estivo la coscienza collettiva. Alcune, anzi, troppe sono così vicino a noi e al nostro giardino che quasi non le notiamo più, sembrano entrate a far parte dell'arredamento urbano o delle abitudini quotidiane tanto che, se non c'è l'occhio di una telecamera e una persona con un microfono colorato in mano, manco le degnamo di uno sguardo. Quando ci parlavano delle missioni e dei missionari cattolici, da ragazzini, pensavamo alle savane africane o alle boscaglie sudamericane, raramente ai deserti e alle pietraie che anche il Falegname Nazareno (ben prima di loro e comunque dopo tanti altri) aveva calpestato. Non pensavamo mai alle periferie delle città, ma anche a certe cascine o quartieri dei nostri paeselli, o che in certe case delle nostre insignificanti frazioni ci fosse gente che se la passava male come in quelle lande desolate: si facevano i salti mortali per far apparire, anche nel poco, tutto dignitosamente ricco e si giungevano le mani davanti a crocifissi impolverati, conservando smunti moccoli di candela da accendere davanti a santi e santini affinchè ci mettessero una buona parola e facessero piovere un pò di buona sorte dal cielo. Pensavamo che fossero cose distanti come un'altro mondo: e chissà quanti casi come quello del bimbo inglese sono passati sotto silenzio; chissà quanti altri genitori sono passati dall'euforia alla disperazione, scoprendo che il pianto del loro bimbo o il comportamento anomalo era dovuto a qualcosa che nessuna aspirina poteva risolvere e guarire. Il nostro mondo, dico quello di noi che abbiamo passato adesso i cinquant'anni d'età, era davvero piccolo e ristretto; poi è diventato globale, grazie alla televisione, alla telefonia cellulare, alla interconnessione informatica: a questa espansione potente ed enorme avrebbe dovuto anche corrispondere una affinazione del senso pratico e del senso critico che ha permesso alle generazioni dei nostri padri di emanciparsi, di liberarsi, di uscire dalle brutture del cosidetto secolo breve (il XX, il Novecento), quali guerre e prevaricazioni e altri accidenti indegni di una società civile. Invece, siamo diventati una massa sempre più informe e amorfa di pecore da mungere e tosare, col cervello nascosto in una cappelliera in fondo all'armadio quattro stagioni della camera da letto, gli occhi incollati a un quadratino di silicio e plexiglass per cristalli liquidi (una curiosa contraddizione in termini, regalataci dalla moderna tecnologia), belve con la verità in tasca pronte a sbranare i mostri veri o presunti esposti ai riflettori della ribalta così come pronti a dimenticarsi in fretta di avere sparato cazzate senza prendere la mira (scusate il francesismo...) sentendosi, me compreso, tutti quanti Soloni o Ciceroni per giunta unti dal Signore. Per niente non abbaiano nemmeno i cani, si dice al mio paese d'origine: ogni scelta è frutto di un calcolo strategico, economico, politico a qualunque livello essa venga fatta; allora dobbiamo ricominciare a chiedere a chi di dovere, a parlare tra noi guardandoci negli occhi, a scrutare la terra dove posiamo i piedi e interrogarci, non tanto su quello che l'universo possa fare per me quanto su quello che io posso fare per lui e dove sono nascosti gli strumenti che mi possono agevolare in questo compito: nè Dio, nè il partito, nè il capo del governo, nè il capo bastone o mandamento o cosca riusciranno mai a leggere o intercettare o soffocare tutta l'energia che si sprigiona e passa tra cure e cervello. No! La testa non serve solo a portare il cappello: se io sto bene, faccio bene il mio compito e chi viene dopo di me riesce a lavorare meglio e a stare meglio a sua volta...il resto lo farà il destino.

(c) 2017 testo di Claudio Montini
(c) 2016 Immagine di Orazio Nullo "Twenty second century engine"

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