giovedì 3 novembre 2016

Allergico alle regole ma ribelle per amore: estratto da "Camere ammobiliate per viaggiatori immaginari" 2015 Youcanpint

Da "CAMERE AMMOBILIATE PER VIAGGIATORI IMMAGINARI"  Youcanprint selfpublishing 2015

Senza passato e senza futuro

di Claudio Montini

La vita è un treno senza orario, dalla destinazione ignota, da cui scendi solo per salire su quello fermo alla stessa banchina ma sul binario opposto, in una anonima stazioncina persa in mezzo alla campagna e avvolta dalla nebbia.
Non c'è nessuno ad aspettarti e non hai nemmeno il tempo di affacciarti al finestrino per salutare: scendere e salire senza sosta vale per te come per tutti quelli che incontri nello scompartimento; trovi di tutto: chi fa molte tratte con te, chi sale una volta sola e poi non lo vedi più perchè cambia scompartimento, chi scende senza salutare e chi ti saluta con la mano e il viso rigato di pioggia, anche se non piove, quando il treno se ne va dalla stazione e lui prende il selciato per il cancello illuminato oltre la stazione.
In quel caso altri visi tristi, dagli occhi segnati, ti mettono in mano una sua fotografia con due giorni, due mesi, due anni e una frase di circostanza e ti rendi conto che un'altro amico ha finito il suo viaggio: perdi le parole, le certezze e le speranze ritrovandoti davanti a interrogativi più grandi di te e ti mancano tanto la forza quanto il coraggio.
Intanto i treni proseguono le loro corse, con le fermate dove si sale e dove si scende, imperterriti così come se si fosse il minuscolo dente di un'altrettanto minuscolo ingranaggio perso in un meccanismo inarrestabile: l'alba segue al tramonto che si fa giorno e poi sera per tornare ad essere la notte che la precede.
Non c'è mai troppo tempo per capire l'intera dinamica, non ce n'è a sufficienza per fare domande e aspettare risposte, se non dal manovratore, da un controllore che pattugli le carrozze: bisogna andarseli a cercare da sè, battendo il treno da cima a fondo sfidando addirittura l'astiosa indifferenza di molti altri passeggeri badando, contemporaneamente, a non perdere d'occhio stazioni e coincidenze, salite e discese, arrivi e partenze previste dalla propria tabella di marcia.
Chi salta passaggi non torna mai indietro, non può rifare il percorso evitando gli errori: è perduto come se si fosse fermato, anche se c'è chi sostiene che c'è sempre un rimedio, fuorchè alla morte.
Così nascono i dubbi e le angosce, così si alimenta il cupo dolore che annienta la volontà di continuare a vivere, dopo troppe battute d'arresto: il conforto, il consiglio, il motto divertente, vorrei dire anche il sorriso che accende una nuova speranza, non lo trovi da nessuna parte e ti accasci avvilito in uno scompartimento qualsiasi, senza accorgerti di coloro che sono già seduti lì e ti sorridono come se ti aspettassero.
Sono i rimorsi della coscienza, i nodi al fazzoletto che hai buttato alle spalle per scordarti definitivamente di una promessa, quelli nei capelli che non hanno mai incontrato un pettine, le parole dette nel momento giusto alle persone sbagliate e quelle taciute quando dovevano essere gridate in faccia al mondo, il coraggio che è mancato e il bilancio che non hai quadrato mai. Potresti persino chiamarli per nome, dare loro un posto nel dedalo di rughe e di calli che segnano il volto e le mani, fissarli nel tempo ricordando il giorno che li hai incontrati: potresti, già, se solo li riconoscessi e non ti fossi rassegnato all'eterna sconfitta, quella del peccatore che non sa perdonare sè stesso nè il prossimo.
Allora, cavi di tasca un quadernetto e una matita per imprigionare i pensieri sulla carta, per lasciare un'ultima prova della tua resistenza, per congedarti con l'onore delle armi.
Davanti al Giudice Ultimo, mi chiederanno se ho capito che cos'è l'amore, prima di pesare quello che ho dato e quello che ho ricevuto.
Lì, non avrò scampo, opzioni di appello o speranze di clemenza perchè leggeranno la risposta dentro al mio cuore; le mie parole da sole non basteranno a celare le mie intenzioni, a condividere le mie illusioni, a giustificare i miei inganni. 
Sarò nudo e trasparente come acqua di sorgente che rinasce dalle rocce e dal ghiaccio e ruzzola a valle.
Sarò sincero come il vino che scalda le vene e scioglie le parole dai vincoli del cuore e dal recinto dei denti. Sarò piano e sicuro come un sentiero ben selciato e inondato dal sole, spazzato dal vento che tra le guglie dei monti perennemente innevati.
Allora io dirò con voce sicura il tuo nome, scandendo le sillabe in modo tale che nessuno fraintenda.
Nella bisaccia della memoria, troverò parole nuove e inaudite per illustrare la luce della tua bellezza, quella che gli occhi e il cuore hanno visto stupendosi di tanta fortuna.
Di più, mi farò testimone di tutto il bene che hai saputo dispensare alla vita mia come a quella altrui.
Ti proclamerò come un miracolo che sana e resuscita e moltiplica la vita, come il miracolo inatteso che ha riacceso la speranza di rivedere la luce alla fine della galleria.
Canterò il tuo nome, i tuoi baci e le tue carezze ma anche l'idea stessa della tua esistenza nel mondo e la gioia che ha ridestato, tanto che mi basta pensarti per scordarmi la fatica del mestiere di vivere, anche ora che i nostri passi seguono traiettorie divergenti.
Nel buio della noia, sei stata il lampo che ha illuminato le macerie di una vita parcheggiata su un binario morto, senz'altra ambizione che quella di seguire il corso degli eventi sino all'esito finale.
Ero malato, morto senza essere immobile o incosciente o freddo: no, respiravo ancora e ancora avevo sangue nelle vene, scrutavo la nebbia senza penetrarla e senza cogliere orizzonti o prospettive; spingevo vagoni d'amore che scaricavo a piene mani per fiaschi d'aceto come salario; scappavo da dubbi e rimorsi inseguendo miraggi stantii, ma quando la consapevolezza di tutto ciò cresceva e mi agguantava, le bastava uno sguardo più lungo del solito a quello che si faceva la barba di fronte a me nello specchio, per sbugiardare la mia sicumera: allora lasciavo che le ore e i giorni mi scivolassero addosso cedendo passione, altrimenti inutile, a ciò che altri chiamano dovere o mestiere.
Credevo di essere caduto in un pozzo senza fondo e senza luce, dalle pareti viscide ora piane ora irte, dove ogni centimetro guadagnato era mortificato dal vedere le schiene degli altri avanti anni luce senza essere sudati nè sporchi.
Credevo di essere precipitato in un universo parallelo dalla logica perversa e bizzarra, in cui le scelte vincenti erano tutte quelle che avevo scartato e valevano solo le scorciatoie.
Credevo che ci fosse, comunque, un'altro me stesso che, in un'altro punto dell'universo, le azzeccasse tutte e che sarebbe stato meglio sparire smettendo di offender Dio: una parte di me, però, si è sempre ribellata a questa opzione perchè non voleva e non vuole fuggire, ma arrendersi o perdere con l'onore delle armi.  Dopo tanto correre e faticare, il caso e il mio corpo, rivelatosi insospettabilmente fragile, mi avevano costretto ad avere tempo per fare il punto della situazione, senza rimandare ancora, scrutando le regioni inesplorate del mio cuore e i misfatti compiuti nel passato.
Non tanto per certificare la mia mediocrità, quanto per trovarne una via d'uscita perchè era necessario voltare pagina e iniziare a scrivere un nuovo capitolo.
Apparentemente, ogni cosa procedeva per il meglio e la guarigione sembrava vicina: poi, come nella strofa di una canzone che con alcuni vecchi amici provammo a lungo a suonare, una frase sciocca o un banale doppiosenso, non è come io la penso, ma il sentimento era già un po' troppo denso.
Sono restato imbambolato a guardare la tua fotografia migliorata dagli anni trascorsi sul tuo viso e lasciati tra noi, alle nostre spalle, mentre trascrivevo su un francobollo il tuo numero di telefono.
E' stato un dolcissimo delirio, l'evento umanamente migliore che abbia mai sperimentato, indimenticabile e irripetibile.
Per ogni sogno che tramonta, c'è una nuova illusione che sorge e veste le macerie di nuova luce, tanto che si azzarda a pensare di adoperarle per la ricostruzione: la stoltezza dell'animale umano, di genere maschile, è smisurata e sarebbe sorprendente se non fosse anche perniciosa per la sua stessa sopravvivenza.
Ti fermi con la matita a mezz'aria e il naso al soffitto: una voce ha chiamato il tuo nome per la prossima stazione; c'è un'altro treno da cambiare, uno da cui scendere e uno su cui salire: forse è l'ultimo e forse no, ma sei sicuro che non lo perderai e strappi dal quaderno i fogli appena scritti abbandonandoli nello scompartimento, lasciandoli preda della curiosità dei tuoi occasionali compagni di viaggio che ugualmente non porterai con te. Sul nuovo convoglio vuoi salire senza passato e senza futuro: l'uno perchè hai imparato che recriminare è fatica sprecata, l'altro perchè ti sta venendo incontro e puoi solo allargare le braccia per raccogliere il meglio che reca con se, adattandoti come l'acqua in ogni recipiente.


(c) 2015 Testo di Claudio Montini
(c) 2015 Immagine di Orazio Nullo

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