Da "CAMERE AMMOBILIATE PER VIAGGIATORI IMMAGINARI" Youcanprint selfpublishing 2015
Senza
passato e senza futuro
di Claudio Montini
La
vita è un treno senza orario, dalla destinazione ignota, da cui
scendi solo per salire su quello fermo alla stessa banchina ma sul
binario opposto, in una anonima stazioncina persa in mezzo alla
campagna e avvolta dalla nebbia.
Non
c'è nessuno ad aspettarti e non hai nemmeno il tempo di affacciarti
al finestrino per salutare: scendere e salire senza sosta vale per te
come per tutti quelli che incontri nello scompartimento; trovi di
tutto: chi fa molte tratte con te, chi sale una volta sola e poi non
lo vedi più perchè cambia scompartimento, chi scende senza salutare
e chi ti saluta con la mano e il viso rigato di pioggia, anche se non
piove, quando il treno se ne va dalla stazione e lui prende il
selciato per il cancello illuminato oltre la stazione.
In
quel caso altri visi tristi, dagli occhi segnati, ti mettono in mano
una sua fotografia con due giorni, due mesi, due anni e una frase di
circostanza e ti rendi conto che un'altro amico ha finito il suo
viaggio: perdi le parole, le certezze e le speranze ritrovandoti
davanti a interrogativi più grandi di te e ti mancano tanto la forza
quanto il coraggio.
Intanto
i treni proseguono le loro corse, con le fermate dove si sale e dove
si scende, imperterriti così come se si fosse il minuscolo dente di
un'altrettanto minuscolo ingranaggio perso in un meccanismo
inarrestabile: l'alba segue al tramonto che si fa giorno e poi sera
per tornare ad essere la notte che la precede.
Non
c'è mai troppo tempo per capire l'intera dinamica, non ce n'è a
sufficienza per fare domande e aspettare risposte, se non dal
manovratore, da un controllore che pattugli le carrozze: bisogna
andarseli a cercare da sè, battendo il treno da cima a fondo
sfidando addirittura l'astiosa indifferenza di molti altri passeggeri
badando, contemporaneamente, a non perdere d'occhio stazioni e
coincidenze, salite e discese, arrivi e partenze previste dalla
propria tabella di marcia.
Chi
salta passaggi non torna mai indietro, non può rifare il percorso
evitando gli errori: è perduto come se si fosse fermato, anche se
c'è chi sostiene che c'è sempre un rimedio, fuorchè alla morte.
Così
nascono i dubbi e le angosce, così si alimenta il cupo dolore che
annienta la volontà di continuare a vivere, dopo troppe battute
d'arresto: il conforto, il consiglio, il motto divertente, vorrei
dire anche il sorriso che accende una nuova speranza, non lo trovi da
nessuna parte e ti accasci avvilito in uno scompartimento qualsiasi,
senza accorgerti di coloro che sono già seduti lì e ti sorridono
come se ti aspettassero.
Sono
i rimorsi della coscienza, i nodi al fazzoletto che hai buttato alle
spalle per scordarti definitivamente di una promessa, quelli nei
capelli che non hanno mai incontrato un pettine, le parole dette nel
momento giusto alle persone sbagliate e quelle taciute quando
dovevano essere gridate in faccia al mondo, il coraggio che è
mancato e il bilancio che non hai quadrato mai. Potresti
persino chiamarli per nome, dare loro un posto nel dedalo di rughe e
di calli che segnano il volto e le mani, fissarli nel tempo
ricordando il giorno che li hai incontrati: potresti, già, se solo
li riconoscessi e non ti fossi rassegnato all'eterna sconfitta,
quella del peccatore che non sa perdonare sè stesso nè il prossimo.
Allora,
cavi di tasca un quadernetto e una matita per imprigionare i pensieri
sulla carta, per lasciare un'ultima prova della tua resistenza, per
congedarti con l'onore delle armi.
Davanti
al Giudice Ultimo, mi chiederanno se ho capito che cos'è l'amore,
prima di pesare quello che ho dato e quello che ho ricevuto.
Lì,
non avrò scampo, opzioni di appello o speranze di clemenza perchè
leggeranno la risposta dentro al mio cuore; le mie parole da sole non
basteranno a celare le mie intenzioni, a condividere le mie
illusioni, a giustificare i miei inganni.
Sarò
nudo e trasparente come acqua di sorgente che rinasce dalle rocce e
dal ghiaccio e ruzzola a valle.
Sarò
sincero come il vino che scalda le vene e scioglie le parole dai
vincoli del cuore e dal recinto dei denti. Sarò
piano e sicuro come un sentiero ben selciato e inondato dal sole,
spazzato dal vento che tra le guglie dei monti perennemente innevati.
Allora
io dirò con voce sicura il tuo nome, scandendo le sillabe in modo
tale che nessuno fraintenda.
Nella
bisaccia della memoria, troverò parole nuove e inaudite per
illustrare la luce della tua bellezza, quella che gli occhi e il
cuore hanno visto stupendosi di tanta fortuna.
Di
più, mi farò testimone di tutto il bene che hai saputo dispensare
alla vita mia come a quella altrui.
Ti
proclamerò come un miracolo che sana e resuscita e moltiplica la
vita, come il miracolo inatteso che ha riacceso la speranza di
rivedere la luce alla fine della galleria.
Canterò
il tuo nome, i tuoi baci e le tue carezze ma anche l'idea stessa
della tua esistenza nel mondo e la gioia che ha ridestato, tanto che
mi basta pensarti per scordarmi la fatica del mestiere di vivere,
anche ora che i nostri passi seguono traiettorie divergenti.
Nel
buio della noia, sei stata il lampo che ha illuminato le macerie di
una vita parcheggiata su un binario morto, senz'altra ambizione che
quella di seguire il corso degli eventi sino all'esito finale.
Ero
malato, morto senza essere immobile o incosciente o freddo: no,
respiravo ancora e ancora avevo sangue nelle vene, scrutavo la nebbia
senza penetrarla e senza cogliere orizzonti o prospettive; spingevo
vagoni d'amore che scaricavo a piene mani per fiaschi d'aceto come
salario; scappavo da dubbi e rimorsi inseguendo miraggi stantii, ma
quando la consapevolezza di tutto ciò cresceva e mi agguantava, le
bastava uno sguardo più lungo del solito a quello che si faceva la
barba di fronte a me nello specchio, per sbugiardare la mia sicumera:
allora lasciavo che le ore e i giorni mi scivolassero addosso
cedendo passione, altrimenti inutile, a ciò che altri chiamano
dovere o mestiere.
Credevo
di essere caduto in un pozzo senza fondo e senza luce, dalle pareti
viscide ora piane ora irte, dove ogni centimetro guadagnato era
mortificato dal vedere le schiene degli altri avanti anni luce senza
essere sudati nè sporchi.
Credevo
di essere precipitato in un universo parallelo dalla logica perversa
e bizzarra, in cui le scelte vincenti erano tutte quelle che avevo
scartato e valevano solo le scorciatoie.
Credevo
che ci fosse, comunque, un'altro me stesso che, in un'altro punto
dell'universo, le azzeccasse tutte e che sarebbe stato meglio sparire
smettendo di offender Dio: una parte di me, però, si è sempre
ribellata a questa opzione perchè non voleva e non vuole fuggire, ma
arrendersi o perdere con l'onore delle armi. Dopo
tanto correre e faticare, il caso e il mio corpo, rivelatosi
insospettabilmente fragile, mi avevano costretto ad avere tempo per
fare il punto della situazione, senza rimandare ancora, scrutando le
regioni inesplorate del mio cuore e i misfatti compiuti nel passato.
Non
tanto per certificare la mia mediocrità, quanto per trovarne una via
d'uscita perchè era necessario voltare pagina e iniziare a scrivere
un nuovo capitolo.
Apparentemente,
ogni cosa procedeva per il meglio e la guarigione sembrava vicina:
poi, come nella strofa di una canzone che con alcuni vecchi amici
provammo a lungo a suonare, una frase sciocca o un banale
doppiosenso, non è come io la penso, ma il sentimento era già un
po' troppo denso.
Sono
restato imbambolato a guardare la tua fotografia migliorata dagli
anni trascorsi sul tuo viso e lasciati tra noi, alle nostre spalle,
mentre trascrivevo su un francobollo il tuo numero di telefono.
E'
stato un dolcissimo delirio, l'evento umanamente migliore che abbia
mai sperimentato, indimenticabile e irripetibile.
Per
ogni sogno che tramonta, c'è una nuova illusione che sorge e veste
le macerie di nuova luce, tanto che si azzarda a pensare di
adoperarle per la ricostruzione: la stoltezza dell'animale umano, di
genere maschile, è smisurata e sarebbe sorprendente se non fosse
anche perniciosa per la sua stessa sopravvivenza.
Ti
fermi con la matita a mezz'aria e il naso al soffitto: una voce ha
chiamato il tuo nome per la prossima stazione; c'è un'altro treno da
cambiare, uno da cui scendere e uno su cui salire: forse è l'ultimo
e forse no, ma sei sicuro che non lo perderai e strappi dal quaderno
i fogli appena scritti abbandonandoli nello scompartimento,
lasciandoli preda della curiosità dei tuoi occasionali compagni di
viaggio che ugualmente non porterai con te. Sul
nuovo convoglio vuoi salire senza passato e senza futuro: l'uno
perchè hai imparato che recriminare è fatica sprecata, l'altro
perchè ti sta venendo incontro e puoi solo allargare le braccia per
raccogliere il meglio che reca con se, adattandoti come l'acqua in
ogni recipiente.
(c) 2015 Testo di Claudio Montini
(c) 2015 Immagine di Orazio Nullo
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