Il
principio di azione e reazione, codificato scientificamente da Newton
nel XVII secolo, era noto all'animale chiamato uomo sin dagli esordi
sull'inquieta crosta crosta del terzo pianeta di un sistema
planetario tenuta insieme da una nana gialla, ai confini di una
anonima galassia sperduta nell'universo.
Altrimenti
non si spiegherebbe la determinazione ossessiva nell'identificare gli
opposti che si attraggono come il giorno e la notte, il freddo e il
caldo, il dolce e il salato, l'andata e il ritorno, l'amore e l'odio
se non con l'invenzione del prima e del dopo che, con l'inizio e la
fine, apre la porta del successo alla concezione del tempo lineare
frutto di una concatenazione di eventi apparentemente casuali che si
susseguono, come i passi alternati uno davanti all'altro che i bipedi
senzienti fanno sulla terra per andare da un posto all'altro.
La
civiltà umanoide di questo terzo pianeta, che con scarsa fantasia
chiama Terra come quell'agglomerato di minerali che si ritrova sotto
ai piedi, odia il caos, l'imprevisto, l'imponderabile: ha bisogno
continuamente di fissare punti di riferimento, come traguardi e
partenze, per sfidare l'ignoto e scoprire cosa si cela dietro gli
angoli e le curve cieche dell'universo, tanto quello che la circonda
che l'altro racchiuso tra le volute della massa cerebrale e gli
anfratti del muscolo cardiaco.
Quest'ansia
di classificazione e inquadramento in parametri e categorie è figlia
della paura di essere eliminati, cancellati, scalzati dal proprio
posto nell'universo presumendo, con arroganza siderale, di esserne un
ingranaggio indispensabile.
Questa
continua ricerca di significato e di ragioni ad ogni livello, cioè
dal più basso o terra terra fino a quello cosmico che coglie taluni
intenti ad osservare la miriade di stelle che trapunta la notte, si
concretizza nel camminare, appunto un piede messo avanti all'altro,
nel calpestare terra da lasciare dietro di sè insieme alla natura
che la circonda le quali non saranno più le stesse, nella percezione
di chi lo fa perchè costretto a fare appello a tutto sè stesso.
L'entusiasmo
lascia il posto alla fatica e al dubbio che viene, poi, soppiantato e
sostituito dall'euforia per la vista della meta agognata e dalla
soddisfazione per il traguardo raggiunto; ma già durante il ritorno,
o nello svolgimento della tappa successiva, si condensano i pilastri
del ricordo e della consapevolezza della propria forza e dei propri
limiti, fondamenta su cui poggerà il castello teorico di parametri
che genereranno la sensazione di essersi elevati dalla massa
indistinta del consorzio umano.
La
vittoria sul prima e sul dopo, l'esorcizzazione della paura della
fine attraverso la scoperta di limiti e qualità latenti non risolve
l'enigma e non risponde a tutte le domande: spesso alimenta la
superbia; tuttavia aiuta a crescere, aumenta la resistenza agli
strali del destino, porta a rompere gli schemi che bollano come
follia o, tutt'al più, come trasgressione non socialmente pericolosa
buona per far spettacolo, ogni manifestazione di pensiero autonomo e
spontaneo.
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