giovedì 19 giugno 2014

Prefazione ad un libro mai scritto


Il principio di azione e reazione, codificato scientificamente da Newton nel XVII secolo, era noto all'animale chiamato uomo sin dagli esordi sull'inquieta crosta crosta del terzo pianeta di un sistema planetario tenuta insieme da una nana gialla, ai confini di una anonima galassia sperduta nell'universo.
Altrimenti non si spiegherebbe la determinazione ossessiva nell'identificare gli opposti che si attraggono come il giorno e la notte, il freddo e il caldo, il dolce e il salato, l'andata e il ritorno, l'amore e l'odio se non con l'invenzione del prima e del dopo che, con l'inizio e la fine, apre la porta del successo alla concezione del tempo lineare frutto di una concatenazione di eventi apparentemente casuali che si susseguono, come i passi alternati uno davanti all'altro che i bipedi senzienti fanno sulla terra per andare da un posto all'altro.
La civiltà umanoide di questo terzo pianeta, che con scarsa fantasia chiama Terra come quell'agglomerato di minerali che si ritrova sotto ai piedi, odia il caos, l'imprevisto, l'imponderabile: ha bisogno continuamente di fissare punti di riferimento, come traguardi e partenze, per sfidare l'ignoto e scoprire cosa si cela dietro gli angoli e le curve cieche dell'universo, tanto quello che la circonda che l'altro racchiuso tra le volute della massa cerebrale e gli anfratti del muscolo cardiaco.
Quest'ansia di classificazione e inquadramento in parametri e categorie è figlia della paura di essere eliminati, cancellati, scalzati dal proprio posto nell'universo presumendo, con arroganza siderale, di esserne un ingranaggio indispensabile.
Questa continua ricerca di significato e di ragioni ad ogni livello, cioè dal più basso o terra terra fino a quello cosmico che coglie taluni intenti ad osservare la miriade di stelle che trapunta la notte, si concretizza nel camminare, appunto un piede messo avanti all'altro, nel calpestare terra da lasciare dietro di sè insieme alla natura che la circonda le quali non saranno più le stesse, nella percezione di chi lo fa perchè costretto a fare appello a tutto sè stesso.
L'entusiasmo lascia il posto alla fatica e al dubbio che viene, poi, soppiantato e sostituito dall'euforia per la vista della meta agognata e dalla soddisfazione per il traguardo raggiunto; ma già durante il ritorno, o nello svolgimento della tappa successiva, si condensano i pilastri del ricordo e della consapevolezza della propria forza e dei propri limiti, fondamenta su cui poggerà il castello teorico di parametri che genereranno la sensazione di essersi elevati dalla massa indistinta del consorzio umano.
La vittoria sul prima e sul dopo, l'esorcizzazione della paura della fine attraverso la scoperta di limiti e qualità latenti non risolve l'enigma e non risponde a tutte le domande: spesso alimenta la superbia; tuttavia aiuta a crescere, aumenta la resistenza agli strali del destino, porta a rompere gli schemi che bollano come follia o, tutt'al più, come trasgressione non socialmente pericolosa buona per far spettacolo, ogni manifestazione di pensiero autonomo e spontaneo.

Nessun commento:

Posta un commento