venerdì 17 ottobre 2025

Chiamo io o chiami tu? - Storie in divenire...

 Chiamo io o chiami tu?


di Claudio Montini



Il sabato, nell'economia esistenziale e nella prassi dei cuori solitari di lungo corso, è un palinsesto di abitudini e doveri e riti propiziatori molto confortevole assai difficile da abbandonare: pulizie, bucato, spesa al supermercato, paciughi in cucina per chi non s'accontenta dei surgelati pronti o dell'asporto da gastronomia sotto casa, la radio o un disco a far compagnia mentre si legge il giornale o un libro da finire, da troppo tempo, sul comodino.
Specialmente al mattino o al pomeriggio: la sera ci si addormenta volentieri davanti alla televisione che prova, in ogni modo, a suggerire ogni esotica evasione scadendo, spesso, nel patetico o nel grottesco o addirittura nel pessimo gusto.
Negli autunni e inverni padani, in città come in campagna, in collina o in cima a una montagna, la cosa va così un po' dappertutto se non fosse per i cinematografi appiccicati ai centri commerciali, qualche coraggiosa sala da ballo e tardive sagre patronali o fiere natalizie: la società del tutto a portata di dito o di mano, informazioni e occasioni di svago comprese, ha perso progressivamente il gusto della comunicazione e dello scambio di idee oltre che di occhiate e battute fulminanti, di strette di mano e declinazione di nome e cognome o un semplice saluto.
Essere o avere non ha più grande importanza: quel che conta è apparire e vendere, secondo la lezione e la versione dei mezzi di distrazione di massa, cui non erano del tutto estranei.
Loro due non costituivano l'eccezione ma neppure confermavano la regola, forse non l'avrebbero fatto mai, dal momento che si erano tenuti al riparo dall'amore e dai suoi fastidi facendo come l'acqua che prende la forma del suo contenitore, nascondendosi sotto gli occhi di tutti senza sparire del tutto, aspettando il momento giusto per trasferirsi altrove ad osservare il mondo girare.
Tuttavia, se è vero, come è vero, che la goccia scava la roccia, anche il sentimento che muove il sole e le altre stelle è altrettanto capace di provocare la propria epifania, scardinando e sconvolgendo le esistenze più strutturate o più organizzate secondo la logica e la pratica: perchè il destino è qualcosa di cui si ha consapevolezza soltanto quando è alle proprie spalle, non mentre lo stai vivendo.
Dieci cifre numeriche si erano insinuate nelle trame delle loro abitudini, nei vortici dei loro pensieri, aprendo la porta di quella stanza defilata, occultata e discreta tramite la quale l'ego accede a un non luogo, fuori dallo spazio e dal tempo, chiamato anima o fantasia per comodità di linguaggio nel quale verità, finzione, desiderio e ragione si mescolano e si combinano coi ricordi dei momenti felici appena vissuti per dare vita a un fascio di linee che descrivano il migliore dei mondi possibili, parallelo a quello reale ma ideale per ritrovare il piacere della compagnia dei propri simili.
Lucio aveva scoperto il mondo dei numeri e degli strumenti per indagarlo, mapparlo, studiarlo e ne aveva fatto il suo castello, la sua corazza, la sua rocca inespugnabile.
La matematica non era affatto un'opinione, sebbene avesse gli strumenti e le teorie e la conoscenza della materia per essere in grado di dimostrare il contrario: ne aveva fatto il suo mestiere e ne aveva mutuato qualche linea guida nella propria esistenza, affascinato dal rigore e dall'ordine e dalla universalità del metodo di approccio e gestione della realtà.
Priscilla aveva un prima e un dopo nella propria vita, un fulcro o un'origine o un punto zero nella linea degli eventi che la caratterizzavano, di cui parlava pochissimo nascondendolo nel suo sorriso e nel suo aspetto minuto di eterna ragazza con una volontà ferrea e feroce: un senso della misura con il relativo istinto per l'eleganza e il ripudio dell'eccesso, in ogni ambito della vita, dentro o fuori o intorno a sé che riversava nei disegni, nei dipinti, nei colori e nei soggetti delle immagini che creava per liberare il sacro fuoco dell'arte che ardeva in lei senza consumarla.
Infatti, esse erano il veicolo per esternare e scaricare da sé la paura, l'indignazione, la rabbia e il dolore per un mondo in cui gabbie e tetti di cristallo non erano mai stati del tutto infranti: il disegno e la scelta delle tinte erano discipline ben definite e dettagliate quanto lo studio di una funzione tramite la sua derivata o lo sviluppo di una matrice vettoriale, mentre le sfumature di colore o di prospettiva coinvolgevano quanto il calcolo delle probabilità.
Eppure, nessuno dei due aveva ancora trovato il coraggio di usare per ciò che erano quelle dieci cifre messe in fila una accanto all'altra e che li identificavano come utenti di telefonia mobile, un modo come un altro di socializzare, nonostante il fatto che si fossero ritrovati l'uno nei pensieri dell'altra e viceversa non appena aperti gli occhi, in cima a tutti gli altri che reca con sé l'alba del sabato allo stesso modo in cui ciò accade nel resto dei giorni della settimana.
Erano entrambi attori di una commedia, vecchia quanto il mondo, di cui ignoravano tutto tranne l'urgenza di essere in scena a scambiarsi gli occhi e a rubare le parole ai poeti.
Inconsciamente, tuttavia, temevano di rubare tempo e fiato a un piccolo sogno appena sbocciato, avventurandosi in territori inesplorati o poco frequentati in passato.
Dopo tutto, il futuro è un'ipotesi da maneggiare con cautela anche quando è un treno da non perdere, da non lasciare andare giacché non ripassa. 

©2025 Testo di Claudio Montini 
©2021 Immagine di Orazio Nullo "People in the street" - Atelier Des Pixels collection

mercoledì 15 ottobre 2025

Storie in divenire: il primo appuntamento

 Il primo appuntamento

di Claudio Montini

Venerdì erano due sconosciuti che vivevano a capolinea opposti di linee d'autobus, le cui rotte si intersecavano nel centro della città ma senza sfiorarsi: erano estranei l'uno alla vita dell'altra come turisti e indigeni, ciascuno avvolto nelle proprie aspettative così come nelle rispettive frustrazioni. 
Ciò non di meno, stavano seduti al tavolo di un bar pasticceria davanti a due tazze di cioccolata con panna e un vassoio di piccole paste frolle assortite e profumate, intenti e attenti a scambiarsi sorrisi di cortesia e aneddoti biografici per sondare i reciproci mondi, cercando ragioni o punti in comune che spiegassero perché fossero lì sul punto di scambiarsi numeri di telefono e indirizzi di casa ma vi rinunciassero, procrastinando il gesto di separarsi con una promessa di un nuovo appuntamento e una stretta di mano. 
Fuori, Novembre si ricordava d'essere il mese delle nebbie e delle prime gelate a quella latitudine a nord del quarantacinquesimo parallelo, lasciando che la foschia salisse dal fiume azzurro, per via dei Liguri e corso Strada Nuova, fino a piazza Cavagneria per dilagare in piazza Duomo fino a via Bossolaro facendo di Pavia un sobborgo della vecchia Londra, quella di Chesterton o di Conan Doyle o di Dickens, se le luci al neon delle insegne e dei lampioni non si fossero accesi con la lentezza inesorabile del crepuscolo. 
Al barista Fabio, vecchio volpone del cappuccino e sapiente ruffiano, smaliziato ed esperto quanto basta intenditore di spiriti umani e alcolici, sarebbe stata più che sufficiente una cinica occhiata per distinguere tra simpatia e infatuazione, prendendo immediatamente le distanze da entrambe le cose una volta date le spalle a quelle altrui o calata la saracinesca del locale per tornare a casa. 
Ma nessuno chiese il suo parere, per fortuna: due stelle avevano appena deviato dalle rispettive orbite per ruotare intorno a un nuovo centro di gravità, senza alterare il tessuto dello spazio e del tempo, semplicemente ignorandolo come sempre accade ad ogni svolta della vita o ad ogni evento non atteso né previsto. 
Approfittando dei tovaglioli di carta con il marchio del caffè torrefatto alle porte della città, si scambiarono le rispettive coordinate per rintracciarsi e, finalmente, si strinsero la mano. 
Quel primo contatto di pelle e di carne così sano, sodo, sincero e caldo, vivo, energico senza essere eccessivo esprimeva, a entrambi, la chiara intenzione di infondere fiducia in chi lo avesse ricevuto al di là dell'espressione del volto e dello sguardo, come se questi ultimi fossero accessori della maschera o del travestimento o del costume indossato per l'occasione. 
Intanto, grazie a quel gesto, nuvole di farfalle si erano liberate autonomamente nello stomaco e nell'anima dei due senza, però, prendere ancora la via della testa per suonare campanelle o altre melodie negli orecchi. 
Vincendo con un caldo sorriso le sue rimostranze, lui saldò il conto e le aprì la porta offrendole il braccio come facevano le coppie del secolo scorso: lei ricambiò, appena appena piacevolmente confusa e felice nello stesso tempo, facendo scivolare la propria mano sull'avambraccio fino ad avvolgerlo e a stringergli di nuovo la mano mentre uscivano dalla scena del primo appuntamento, dopo anni spesi a non farsi soverchie illusioni o a viverle tra le righe e le parole, così pure come tra le ombre e le luci proiettate sullo schermo, piccolo o grande che fosse. 
La sera era scesa in fretta come la densa umidità ghiacciata che presto sarebbe fiorita sui tetti e sulle ringhiere e le maniglie dei portoni, facendo del basolato o dei sampietrini di porfido o del selciato insidiose superfici per tutti i tacchi vertiginosi: ma quella non era roba per lei né per lui. 
C'era, tutto intorno a loro, un'aura di energia nuova che li sospinse, quasi veleggiassero sospesi da terra, alle rispettive e dirimpettaie fermate d'autobus: ad ogni passo, uscivano, insieme alle nuvole di fiato caldo, nuovi aneddoti e citazioni di canzoni e rivelazioni di gusti cui non avevano pensato prima ma ora parevano urgenti e indispensabili a comporre il mosaico di sé, quello che rimane impresso nella memoria e lavora coi sentimenti umani per eccellenza. 
Lui attese che salisse, si sistemasse e la salutò con la mano aperta che si faceva cornetta del telefono, tornando immediatamente a palmo aperto. 
Lei rispose con il pugno chiuso ma col pollice ben disteso verso l'alto, mentre le porte a soffietto si chiudevano e il motore accelerava per proseguire la corsa. 
La poteva pensare al sicuro, adesso o almeno fino a destinazione, poiché anche i malintenzionati a quell'ora pensavano alla cena oppure a trovarsi un caldo riparo per la notte. 
Ora poteva rimettere le mani in tasca e raggiungere il lato opposto della via ad attendere, insieme a una manciata di altri pavesi, di tornare ad asserragliarsi nel proprio nido o nel proprio guscio come piaceva fare a loro, lasciando che il tempo o le le mode o il mondo stesso passassero di nuovo di lì: esattamente come l'autobus e la sua linea circolare.

©2025 Testo di Claudio Montini 
©2021 Immagine di Orazio Nullo "People in the street" - Atelier Des Pixels collection