venerdì 17 ottobre 2025

Chiamo io o chiami tu? - Storie in divenire...

 Chiamo io o chiami tu?


di Claudio Montini



Il sabato, nell'economia esistenziale e nella prassi dei cuori solitari di lungo corso, è un palinsesto di abitudini e doveri e riti propiziatori molto confortevole assai difficile da abbandonare: pulizie, bucato, spesa al supermercato, paciughi in cucina per chi non s'accontenta dei surgelati pronti o dell'asporto da gastronomia sotto casa, la radio o un disco a far compagnia mentre si legge il giornale o un libro da finire, da troppo tempo, sul comodino.
Specialmente al mattino o al pomeriggio: la sera ci si addormenta volentieri davanti alla televisione che prova, in ogni modo, a suggerire ogni esotica evasione scadendo, spesso, nel patetico o nel grottesco o addirittura nel pessimo gusto.
Negli autunni e inverni padani, in città come in campagna, in collina o in cima a una montagna, la cosa va così un po' dappertutto se non fosse per i cinematografi appiccicati ai centri commerciali, qualche coraggiosa sala da ballo e tardive sagre patronali o fiere natalizie: la società del tutto a portata di dito o di mano, informazioni e occasioni di svago comprese, ha perso progressivamente il gusto della comunicazione e dello scambio di idee oltre che di occhiate e battute fulminanti, di strette di mano e declinazione di nome e cognome o un semplice saluto.
Essere o avere non ha più grande importanza: quel che conta è apparire e vendere, secondo la lezione e la versione dei mezzi di distrazione di massa, cui non erano del tutto estranei.
Loro due non costituivano l'eccezione ma neppure confermavano la regola, forse non l'avrebbero fatto mai, dal momento che si erano tenuti al riparo dall'amore e dai suoi fastidi facendo come l'acqua che prende la forma del suo contenitore, nascondendosi sotto gli occhi di tutti senza sparire del tutto, aspettando il momento giusto per trasferirsi altrove ad osservare il mondo girare.
Tuttavia, se è vero, come è vero, che la goccia scava la roccia, anche il sentimento che muove il sole e le altre stelle è altrettanto capace di provocare la propria epifania, scardinando e sconvolgendo le esistenze più strutturate o più organizzate secondo la logica e la pratica: perchè il destino è qualcosa di cui si ha consapevolezza soltanto quando è alle proprie spalle, non mentre lo stai vivendo.
Dieci cifre numeriche si erano insinuate nelle trame delle loro abitudini, nei vortici dei loro pensieri, aprendo la porta di quella stanza defilata, occultata e discreta tramite la quale l'ego accede a un non luogo, fuori dallo spazio e dal tempo, chiamato anima o fantasia per comodità di linguaggio nel quale verità, finzione, desiderio e ragione si mescolano e si combinano coi ricordi dei momenti felici appena vissuti per dare vita a un fascio di linee che descrivano il migliore dei mondi possibili, parallelo a quello reale ma ideale per ritrovare il piacere della compagnia dei propri simili.
Lucio aveva scoperto il mondo dei numeri e degli strumenti per indagarlo, mapparlo, studiarlo e ne aveva fatto il suo castello, la sua corazza, la sua rocca inespugnabile.
La matematica non era affatto un'opinione, sebbene avesse gli strumenti e le teorie e la conoscenza della materia per essere in grado di dimostrare il contrario: ne aveva fatto il suo mestiere e ne aveva mutuato qualche linea guida nella propria esistenza, affascinato dal rigore e dall'ordine e dalla universalità del metodo di approccio e gestione della realtà.
Priscilla aveva un prima e un dopo nella propria vita, un fulcro o un'origine o un punto zero nella linea degli eventi che la caratterizzavano, di cui parlava pochissimo nascondendolo nel suo sorriso e nel suo aspetto minuto di eterna ragazza con una volontà ferrea e feroce: un senso della misura con il relativo istinto per l'eleganza e il ripudio dell'eccesso, in ogni ambito della vita, dentro o fuori o intorno a sé che riversava nei disegni, nei dipinti, nei colori e nei soggetti delle immagini che creava per liberare il sacro fuoco dell'arte che ardeva in lei senza consumarla.
Infatti, esse erano il veicolo per esternare e scaricare da sé la paura, l'indignazione, la rabbia e il dolore per un mondo in cui gabbie e tetti di cristallo non erano mai stati del tutto infranti: il disegno e la scelta delle tinte erano discipline ben definite e dettagliate quanto lo studio di una funzione tramite la sua derivata o lo sviluppo di una matrice vettoriale, mentre le sfumature di colore o di prospettiva coinvolgevano quanto il calcolo delle probabilità.
Eppure, nessuno dei due aveva ancora trovato il coraggio di usare per ciò che erano quelle dieci cifre messe in fila una accanto all'altra e che li identificavano come utenti di telefonia mobile, un modo come un altro di socializzare, nonostante il fatto che si fossero ritrovati l'uno nei pensieri dell'altra e viceversa non appena aperti gli occhi, in cima a tutti gli altri che reca con sé l'alba del sabato allo stesso modo in cui ciò accade nel resto dei giorni della settimana.
Erano entrambi attori di una commedia, vecchia quanto il mondo, di cui ignoravano tutto tranne l'urgenza di essere in scena a scambiarsi gli occhi e a rubare le parole ai poeti.
Inconsciamente, tuttavia, temevano di rubare tempo e fiato a un piccolo sogno appena sbocciato, avventurandosi in territori inesplorati o poco frequentati in passato.
Dopo tutto, il futuro è un'ipotesi da maneggiare con cautela anche quando è un treno da non perdere, da non lasciare andare giacché non ripassa. 

©2025 Testo di Claudio Montini 
©2021 Immagine di Orazio Nullo "People in the street" - Atelier Des Pixels collection

mercoledì 15 ottobre 2025

Storie in divenire: il primo appuntamento

 Il primo appuntamento

di Claudio Montini

Venerdì erano due sconosciuti che vivevano a capolinea opposti di linee d'autobus, le cui rotte si intersecavano nel centro della città ma senza sfiorarsi: erano estranei l'uno alla vita dell'altra come turisti e indigeni, ciascuno avvolto nelle proprie aspettative così come nelle rispettive frustrazioni. 
Ciò non di meno, stavano seduti al tavolo di un bar pasticceria davanti a due tazze di cioccolata con panna e un vassoio di piccole paste frolle assortite e profumate, intenti e attenti a scambiarsi sorrisi di cortesia e aneddoti biografici per sondare i reciproci mondi, cercando ragioni o punti in comune che spiegassero perché fossero lì sul punto di scambiarsi numeri di telefono e indirizzi di casa ma vi rinunciassero, procrastinando il gesto di separarsi con una promessa di un nuovo appuntamento e una stretta di mano. 
Fuori, Novembre si ricordava d'essere il mese delle nebbie e delle prime gelate a quella latitudine a nord del quarantacinquesimo parallelo, lasciando che la foschia salisse dal fiume azzurro, per via dei Liguri e corso Strada Nuova, fino a piazza Cavagneria per dilagare in piazza Duomo fino a via Bossolaro facendo di Pavia un sobborgo della vecchia Londra, quella di Chesterton o di Conan Doyle o di Dickens, se le luci al neon delle insegne e dei lampioni non si fossero accesi con la lentezza inesorabile del crepuscolo. 
Al barista Fabio, vecchio volpone del cappuccino e sapiente ruffiano, smaliziato ed esperto quanto basta intenditore di spiriti umani e alcolici, sarebbe stata più che sufficiente una cinica occhiata per distinguere tra simpatia e infatuazione, prendendo immediatamente le distanze da entrambe le cose una volta date le spalle a quelle altrui o calata la saracinesca del locale per tornare a casa. 
Ma nessuno chiese il suo parere, per fortuna: due stelle avevano appena deviato dalle rispettive orbite per ruotare intorno a un nuovo centro di gravità, senza alterare il tessuto dello spazio e del tempo, semplicemente ignorandolo come sempre accade ad ogni svolta della vita o ad ogni evento non atteso né previsto. 
Approfittando dei tovaglioli di carta con il marchio del caffè torrefatto alle porte della città, si scambiarono le rispettive coordinate per rintracciarsi e, finalmente, si strinsero la mano. 
Quel primo contatto di pelle e di carne così sano, sodo, sincero e caldo, vivo, energico senza essere eccessivo esprimeva, a entrambi, la chiara intenzione di infondere fiducia in chi lo avesse ricevuto al di là dell'espressione del volto e dello sguardo, come se questi ultimi fossero accessori della maschera o del travestimento o del costume indossato per l'occasione. 
Intanto, grazie a quel gesto, nuvole di farfalle si erano liberate autonomamente nello stomaco e nell'anima dei due senza, però, prendere ancora la via della testa per suonare campanelle o altre melodie negli orecchi. 
Vincendo con un caldo sorriso le sue rimostranze, lui saldò il conto e le aprì la porta offrendole il braccio come facevano le coppie del secolo scorso: lei ricambiò, appena appena piacevolmente confusa e felice nello stesso tempo, facendo scivolare la propria mano sull'avambraccio fino ad avvolgerlo e a stringergli di nuovo la mano mentre uscivano dalla scena del primo appuntamento, dopo anni spesi a non farsi soverchie illusioni o a viverle tra le righe e le parole, così pure come tra le ombre e le luci proiettate sullo schermo, piccolo o grande che fosse. 
La sera era scesa in fretta come la densa umidità ghiacciata che presto sarebbe fiorita sui tetti e sulle ringhiere e le maniglie dei portoni, facendo del basolato o dei sampietrini di porfido o del selciato insidiose superfici per tutti i tacchi vertiginosi: ma quella non era roba per lei né per lui. 
C'era, tutto intorno a loro, un'aura di energia nuova che li sospinse, quasi veleggiassero sospesi da terra, alle rispettive e dirimpettaie fermate d'autobus: ad ogni passo, uscivano, insieme alle nuvole di fiato caldo, nuovi aneddoti e citazioni di canzoni e rivelazioni di gusti cui non avevano pensato prima ma ora parevano urgenti e indispensabili a comporre il mosaico di sé, quello che rimane impresso nella memoria e lavora coi sentimenti umani per eccellenza. 
Lui attese che salisse, si sistemasse e la salutò con la mano aperta che si faceva cornetta del telefono, tornando immediatamente a palmo aperto. 
Lei rispose con il pugno chiuso ma col pollice ben disteso verso l'alto, mentre le porte a soffietto si chiudevano e il motore accelerava per proseguire la corsa. 
La poteva pensare al sicuro, adesso o almeno fino a destinazione, poiché anche i malintenzionati a quell'ora pensavano alla cena oppure a trovarsi un caldo riparo per la notte. 
Ora poteva rimettere le mani in tasca e raggiungere il lato opposto della via ad attendere, insieme a una manciata di altri pavesi, di tornare ad asserragliarsi nel proprio nido o nel proprio guscio come piaceva fare a loro, lasciando che il tempo o le le mode o il mondo stesso passassero di nuovo di lì: esattamente come l'autobus e la sua linea circolare.

©2025 Testo di Claudio Montini 
©2021 Immagine di Orazio Nullo "People in the street" - Atelier Des Pixels collection

sabato 13 settembre 2025

Prendendo il primo sogno che passa

Contro le lingue biforcute
 

Io vado avanti ancora un po'
ma un'altra mezzanotte,
credimi, non l'aspetterò
in un deserto di bottiglie rotte.

Prenderò al volo un'occasione
e salterò sul primo sogno che passa,
scappando da una processione
con oro, incenso e birra nella cassa.

Tu, che hai la musica tra le mani
e chi ti riempie il cuore e il domani,
voli con loro al di là dell'orizzonte
fino alle stelle e al giardino oltre il ponte,

attraversi le nuvole ad occhi aperti
e torni recando notizie e dati certi
a quelli che hanno mille apprensioni
ma cercano sempre nuove dimensioni.

“Verrà un giorno in cui avremo giustizia,
perché ci avranno ascoltato senza malizia:
seguendo la scia di una stella propizia,
balleremo e canteremo questa bella notizia
ovunque ristagni e s'annidi la mestizia.
Ci nutriremo di luce e sapienza
esercitando il dialogo e la pazienza,
blandendo la naturale esuberanza
fino a volgerla in matura resilienza
che addolcisca e temperi l'esistenza.”

Io, però, sopravvivo qui adesso
intrecciando nuvole alla ringhiera,
tra un ricatto e un compromesso,
nelle notti dei leoni da tastiera.

Navigo a memoria e a vista,
una pausa effimera nel fracasso,
ogni compleanno è una conquista,
utile a non sbagliare un solo passo.

Dal passato remoto all'infinito futuro,
incontrerai sciacalli, corvi e avvoltoi
pronti a saltare sul carro più sicuro,
flagellando i rivali col senno di poi.

Quando spiccherai di nuovo il volo
pensami e augurami tanta salute:
potrei non avere più alcun ruolo
nelle trame delle lingue biforcute.

“Verrà un giorno in cui avremo giustizia,
perché ci avranno ascoltato senza malizia:
seguendo la scia di una stella propizia,
balleremo e canteremo questa bella notizia
ovunque ristagni e s'annidi la mestizia.
Ci nutriremo di luce e sapienza
esercitando il dialogo e la pazienza,
blandendo la naturale esuberanza
fino a volgerla in matura resilienza,
che addolcisca e temperi l'esistenza.”


©2025 testo di Claudio Montini – inedito
©2022 Immagine di Orazio Nullo "Against all odds" - Atelier Des Pixels Gallery


giovedì 28 agosto 2025

Letti & Piaciuti: OMICIDIO ALLA MARINA DEI CESARI Il giallo dell'estate - di Gabriele Prinelli (2025 Gemini Grafica Editrice)

COME SOLO LE BELLE STORIE SANNO FARE

di Claudio Montini


Finalmente c'è del bello e del nuovo nell'asfittico e sovraffollato panorama letterario italiano, ricco di titoli e parole e iperboli e altre stravaganze spacciate per cultura del terzo millennio: tutta roba già vista o sentita, rimasticata e di nuovo sputata malamente, riscaldata o rivisitata con abbondanti dosi di presunzione, superbia e alterigia culturale da professorini compunti, impomatati e incipriati ancora convinti di portare la luce nei campi e alle masse operaie. 
OMICIDIO ALLA MARINA DEI CESARI -Il giallo dell'estate (Gemini Grafica Editrice, 2025) di Gabriele Prinelli è il piccolo gioiello che non può mancare alla vostra biblioteca, l'eccezione che conferma la regola, la storia o la fiction che stavate aspettando, il romanzo apparentemente leggero e d'evasione che invece è ricco e gustoso dal punto di vista dello stile e dei contenuti, poiché si legge senza fatica a tutti i livelli d'istruzione e si “vede” come se si fosse di fronte a uno sceneggiato televisivo che va in onda davanti ai vostri occhi parola dopo parola, riga dopo riga, pagina dopo pagina senza perdersi in voli pindarici, minuziose descrizioni ambientali o altri stravaganze sintattiche o semantiche o linguistiche. 
Infatti l'autore, milanese di nascita e lomellese d'adozione per amore, della sintesi tipica dei poeti capaci di illustrare scenari immensi e complessi anche con una sola frase, del ritmo serrato proprio dei giornalisti e dei cronisti dei tempi andati (vale a dire quelli in cui quella professione era ancora una cosa seria), della cura e della precisione linguistica e grammaticale intesa come scelta artistica di esprimersi nel miglior italiano possibile, riesce a fare di tutto ciò i propri punti di forza e a suscitare fascino, attenzione e interesse crescenti verso l'opera sua, pur maneggiando temi ed elementi e “materie prime” tipiche e peculiari del romanzo “noir” e dell'intera letteratura “gialla” presente, passata e mondiale che, infine, risulta essere protagonista occulta o “spalla” ispiratrice del personaggio principale. 
C'è un omicidio, quello di una giovane donna rinvenuta cadavere a bordo di natante di lusso alla fonda presso il porto di una cittadina adriatica e marchigiana; lo yacht in questione appartiene a un facoltoso industriale e uomo d'affari, a sua volta, amicissimo di un esponente politico nazionale già catapultato dal proprio partito in quella regione e da quel collegio elettorale “miracolosamente” approdato al parlamento della Repubblica Italiana. 
C'è la presunta quiete della provincia italiana che viene, dunque, messa seriamente in discussione e l'avvio delle inchieste, giudiziarie e giornalistiche, interessate più al ripristino del quieto vivere o alla condanna morale preventiva tanto di vittima quanto dell'ignoto carnefice che alla ricerca di una qualche verità, legale o fattuale. 
Quest'ultima, per altro, come tessere di un mosaico divelte e portate a spasso dalle correnti del Mare Adriatico, si muove alla deriva lambendo altri territori d'indagine e di scandalo rispetto all'evento delittuoso accaduto alla Marina dei Cesari di Fano (PU), per farvi ritorno grazie a un disinteressato ma attento osservatore, un “umarell” da cantiere squisitamente letterario, poiché già bibliotecario ma ora in pensione, il quale, forte delle sue letture e degli insegnamenti che ha ricavato da esse oltre a una serie di capoversi notevoli che si è appuntato mentalmente e fisicamente, unisce i puntini del disegno cifrato e risolve il rebus mettendo in fila dati, eventi ed ipotesi. 
Come Agatha Christie docet nel finale di Dieci Piccoli Indiani, egli affida la dimostrazione della propria tesi sulla dinamica del delitto a una lettera anonima, che il direttore de Il Resto del Carlino non leggerà mai ma che aiuterà le forze dell'ordine a risolvere il caso, limitando i danni collaterali per i sopravvissuti e una sorta di giustizia tardiva per la vittima. 
Insomma, tutti guadagneranno più di quel che rischiavano di perdere e il quieto vivere stabilmente tornerà a dominare la Marina dei Cesari in Fano (PU). 
Dunque, in OMICIDIO ALLA MARINA DEI CESARI -Il giallo dell'estate (Gemini Grafica Editrice, 2025) di Gabriele Prinelli, gli ingredienti per un buon giallo leggibile e godibile in tutte le stagioni ci sono tutti: ciò che lo rende una meravigliosa, piacevole e divertente novità è la sua scorrevolezza narrativa schietta, misurata, elegante e chiarissima, mai banale né scontata e neppure stravagante a titolo gratuito, che non distrae il lettore ma lo invoglia a non staccarsi dalle pagine. 
Inoltre è notevole e deliziosa la precisione chirurgica con cui mette in mostra l'ipocrisia manichea, la superficialità, il cinismo imbarazzante congeniti nella società italiana, a partire soprattutto dai livelli intermedi e andando a salire a quelli dirigenti, cui non si oppone ma si adegua il mondo dell'informazione ormai troppo più attento al contenitore che ai contenuti e, di conseguenza, meno che mai alla verità nella ricostruzione delle dinamiche dei fatti. 
Vale a dire che le domande da porsi sono evidenti e qualcuno ci prova a interrogarsi e interrogare ma, per evitare di calpestare calli importanti o avventurarsi in un campo minato senza mappa o per altri interessi o tornaconti personali, non si sforza di aspettare risposte o di andarle a cercare come invece insegnano, a modo loro, tutti i capolavori della letteratura del passato e i loro personaggi di punta che Prinelli, lettore a sua volta, adopera con garbo e maestria per spalleggiare i ragionamenti del suo antieroe e solutore più che abile di enigmi. 
Il lavoro che l'autore ha fatto sull'idea, prima, sulla sceneggiatura, poi, sul testo, infine, è opera di cesello da orafo geniale alla Benvenuto Cellini, di sottrazione e condensazione e distillazione di essenza rara da raffinato e abile profumiere d'altri tempi: esso dona ritmo serrato e corpo e spessore di tipo teatrale a tutto l'impianto narrativo e ai personaggi, minori e maggiori, senza stravaganze né espedienti retorici o eccessi descrittivi. 
In ultima analisi, OMICIDIO ALLA MARINA DEI CESARI -Il giallo dell'estate (Gemini Grafica Editrice, 2025) è un romanzo che si legge con piacevole agilità e si “vede” nella mente con netta immediatezza sin dalle prime battute grazie alle parole scelte con cura dall'autore, Gabriele Prinelli, per sentirsi accanto a lui dietro la macchina da presa o presso una quinta del palcoscenico sul quale ha allestito questo giallo dell'estate, buono da leggere e gustare in tutte le stagioni dell'anno poiché capace, come pochi ultimamente, di materializzarsi nel lettore senza ansia e senza sforzo e senza altre noie ad ogni volgere di pagina lasciando soddisfatti e sazi come solo le belle storie sanno fare.

©2025 Testo e immagine di Claudio Montini  

sabato 5 luglio 2025

Sentenze notturne - episodio 1

 Eternamente irraggiungibile... 

di Claudio Montini

Un manipolo di eroi non cambia il corso degli eventi.
Avete voglia a scandire slogan, seccandovi le fauci e graffiandovi la gola, a organizzare marce e vertici e raduni: la verità è amara ed è una sola. 
Quale? Siete ancora così ingenui e sprovveduti da non aver compreso alcuna lezione dalla Storia?
La rivoluzione dei "se" e dei "ma", senza copertura finanziaria, non si fa e non si farà finché alcun gettone non cadrà nell'apposito cassetto. 
Le belle parole sono munizioni senza ogiva né polvere da sparo: si perdono nel vento come il fumo del tabacco che brucia tra le dita, mentre il petrolio riempie un barile dopo l'altro, il rifiuto speciale una buca in una terra ignara, l'uranio arricchisce l'ennesimo tiranno e signore della paura.
Intanto, la fame e i medicinali scaduti insieme a quelli negati per calcolo economico fanno piazza pulita del superfluo materiale biologico esausto, difettoso, in esubero oppure obsoleto.
In un libro vecchio quanto il mondo e, mai come oggi abusato e misconosciuto, un saggio sconosciuto scrisse che c'è un tempo per ogni cosa, sotto al cielo che sovrasta gli uomini.
A lui non piaceva il suo tempo, a me non piace questo che stiamo vivendo: eppure, entrambi, dopo millenni, stiamo ancora cercando di rintracciare Dio per chiedergli conto del peccato che avremmo commesso per meritarci un simile castigo.
Che abbia spento il telefono? Sembra eternamente irraggiungibile...

©2025 testo di Claudio Montini
©2021 immagine di Orazio Nullo "Partnership" da Atelier Des Pixels gallery

lunedì 30 giugno 2025

Per non dimenticare i santi Pietro e Paolo: buon onomastico a chi porta tali nomi...

 Un ricordo ripreso da "UNA PASSIONE DI FAMIGLIA"
(2020, Independent publishing)


di Claudio Montini
 Anche se il giorno dei santi Pietro e Paolo si è già concluso, mi ostino a celebrarlo condividendo con voi un piccolo brano tratto da "UNA PASSIONE DI FAMIGLIA" , volume 11 della serie "GLI ATOMI - micro romanzi per chi va di fretta" autopubblicato un po' di anni fa. Si tratta di una storia del tutto vera anche se interamente sognata dal sottoscritto, durante un brevissimo ricovero ospedaliero e un'esperienza di pre-morte di cui rendo conto nel libro stesso.

[...]
Mi guardavo intorno e non trovavo risposte alle incongruenze, ai dubbi, alle dissonanze di quell'esperienza che interessava i cinque sensi ma non poteva essere vera.
"Sono finito in un altra dimensione? Sicuramente fuori dal tempo e dallo spazio ordinario...
Come in un teatro di posa, dove i registi realizzano i sogni che hanno immaginato...
Eppure, io li vedo bene e ogni cosa è al suo posto nel cortile, persino i profumi e le voci e le tovaglie...
Tutto somiglia tanto a quella serata della fine di giugno di tanti anni fa, non avevo ancora la patente per guidare l'automobile...
Avevo il motorino ma non avevo ragazze da andare a trovare...
Ma sì, quell'estate in cui il giorno dei santi Pietro e Paolo era ancora festa nazionale e comandata, prima di essere abolita dal governo, insieme a tante altre l'anno successivo, addirittura con la benedizione dei preti per via del nuovo Concordato..." pensai, nonostante il sonno profondo.
No, non era per quello che ricordavo l'episodio: era, piuttosto, per l'aura di terrore che circondò la figura di mia madre prima, durante e dopo la serata e che ignorai volutamente per incosciente ottimismo d'adolescente.
La cena andò in onda al sabato e mia madre Elda, che lo seppe solo il venerdì pomeriggio, era già pronta alle esequie del consorte per lunedì, martedì al massimo.
Non erano passati che cinque mesi dal terzo infarto consecutivo che lo aveva colpito e lei, che avrebbe voluto rinchiuderlo sotto una campana di vetro mobile su cuscino d'aria come un hovercraft, si convinse che quella sarebbe stata l'ultima cena di suo marito.
Carlo, infatti, si esibì nel percorso completo e non si lasciò sfuggire una sola portata: antipasti misti di salumi e sottaceti, polenta e frittura con straccetti di lombo in umido, polenta e gorgonzola, scaglia di grana padano e torta gelato, innaffiando il tutto con una bottiglia intera di lambrusco imbottigliato un mese prima, giusto una settimana dopo essere arrivato in damigiana dai dintorni di Reggio Emilia grazie all'autotreno di un'attempato autista venuto a caricare da noi un carico di ritorno, mais destinato agli allevamenti della terra del parmigiano reggiano e del prosciutto crudo, per non rientrare senza remunerazione.
Si usa, nel mondo dell'autotrasporto, evitare andate o ritorni senza carico poiché non viene né fatturato né rimborsato dalle aziende committenti; allora, si cercano o si accettano carichi per consegna verso la strada di casa: in questo caso, a quel camionista erano toccate due consegne di grano tenero presso un mulino pavese e altrettanti “ritorni” di mais per uso zootecnico.
Non ho mai saputo come sia andata, come abbiano familiarizzato: probabilmente avranno parlato di trattorie e tradizioni culinarie, fatto sta che la seconda volta, dalla cabina del camion scesero due damigiane e salirono due scatoloni di confezioni di riso, una di Arborio e una di Carnaroli, che mio padre usava regalare sotto le feste di Natale ad amici e clienti di riguardo.
Forse già sapeva che il gran finale non era tanto lontano e voleva levarsi uno sfizio, voleva godersi la famiglia nel miglior posto nel quale quel concetto si esprime con generosità e voluttà: a tavola, davanti a piatti pieni e forchette pronte e bicchieri colmi.
Conoscendo i suoi polli, forse, ci stava pensando da parecchio ma si era ben guardato dal lasciarselo sfuggire di bocca; aveva scelto con cura le parole e le mosse da fare e da ispirare; aveva atteso il momento giusto e tutti recitarono, ignari, secondo il copione che da solo aveva immaginato.
Circondato anche da figli e nipoti e un paio di amici, proprio di quelli là così discreti ma presenti e cari più dei familiari, trascorse una bella serata beata e dormì sereno quasi senza russare; il giorno dopo andò pure a messa e trascorse il pomeriggio a fare fatture e registrare carichi e scarichi: la fine arrivò soltanto tre anni e mezzo dopo, in un letto d'ospedale e non in quello di casa.
Riteneva che l'agonia di un genitore non fosse un bello spettacolo per i propri figli e, d'accordo col medico di famiglia, volle fare un'ultima cosa per loro: farsi ricoverare affinchè non ne fossero spettatori impotenti.
©2020 - 2025 Testo di Claudio Montini diritti riservati
©2020 Immagine di Orazio Nullo diritti riservati

domenica 1 giugno 2025

Da "COSE CHE CAPITANO AI VIVI" (Gemini Grafica Editore, 2023)

 Indorare e addolcire pillole amare

di Claudio Montini

 Imitare l'amore e andare incontro alla vita senza domandarsi quando sarà finita: queste, in fondo, sono le cose che capitano ai vivi e sono anche quelle che lasciano ai poeti e ai narratori il compito di indorare e addolcire pillole e bocconi amari da ingoiare, lungo tutto il transito nella valle di lacrime.

Sento il profumo del legno e della grafite,
intanto il foglio si spalma sotto le dita.
Non torno indietro, non temo le salite
ma vorrei riposare un poco: corro da una vita!
Da bimbi, piangevamo e ridevamo per niente.
Da ragazzi, saltavamo come grilli fossi e barriere.
Da adulti, rotoliamo su vetri rotti anime scontente
per treni perduti e ombre alla porta tutte le sere.
Da questa confusione c'è una sola via d'uscita:
una cesta piena zeppa di verbi all'infinito,
una matita nuova, lunga e ben appuntita,
un foglio bianco per ogni desiderio mai sopito.
Fare qualcosa di bello per gli altri,
avendo per paga sorrisi e occhi felici,
scaccerà molti più demoni e mostri
di tutti i colpi sparati dalle mitragliatrici!

©2023 Gemini Grafica Editore (testi selezionati dall'autore)
Il volume "Cose che capitano ai vivi" è disponibile nelle migliori librerie o, in alternativa, sul sito dell'editore. Buona lettura!