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martedì 28 marzo 2017

Scambiandoci la luce degli occhi...

Domani è già ieri


di Claudio Montini




Eccomi: ti offro la parte solare di me,
la sola che potresti afferrare,
l'unica che lascio trasparire al velo delle palpebre
per lasciare traccia della mia rotta nel mondo.
Incrocerò la tua se non ti limiterai a uno sguardo frettoloso;
oppure ti indicherò un porto sicuro dove riparare vele e sartiame;
altrimenti vagheggerò di una terra nuova oltre il mare aperto, 
dove ci attendono le nostre fortune.
Difficilmente ti lascerò curiosare in quell'angolo di me,
sì, laddove tira sempre il vento che sa di terra e fieno;
dove tiro in secca il guscio che mi salva dalle tempeste 
che attraverso senza preavviso nè premeditazione;
dove chiamo ancora rimorsi e ricordi per nome,
inebriandomi col loro dolce veleno.
Voglio essere luce che scalda e suscita palpiti irregolari
per ogni battito di ciglia e per il solo che siamo,
quando ci guardiamo scambiandoci la luce degli occhi:
siamo briciole di sogni nell'infinito andare del tempo. 
Voglio essere il momento degno d'essere vissuto,
perchè domani, adesso, è già ieri e non tornerà.

(c) 2017 Testo Claudio Montini (all rights reserved)
(c) 2017 Immagine di Orazio Nullo "Time moves on again" 




domenica 26 marzo 2017

Dalla cambusa di Zio Propano: Il minestrone è la biada dell'uomo


IL MINESTRONE DEL VIGORONE



di Zio Propano

Io non sono contrario alla pentola a pressione perché non si vede la cottura, come il personaggio interpretato da Renato Pozzetto in una antica trasmissione televisiva. Anzi, è una comodità perché contingenta i tempi di cottura, limitando lo spandimento di aromi e riducendo i consumi energetici. Tanto per dire, in venticinque minuti va in pressione e in quindici porta a cottura il minestrone del Vigorone che vado ad illustrarvi.
Cominciamo dagli ingredienti:
  • due zucchine (verde scuro, sono più sode) di media grandezza
  • due carote, anche loro medie ma classicamente arancioni
  • due patate gialle buone per tutti gli usi (dal purè agli gnocchi, passando per fritture e insalate: gialle a pasta gialla sono quella ideali)
  • una cipolla dorata (quella bianca ha in sapore troppo deciso, quella rossa non credo che si presti... ma potrebbe essere una variante interessante)
  • due spicchi di aglio
  • quattro foglie di alloro
  • tutte le foglie di un rametto di rosmarino di una decina di centimetri (astenetevi dal misurarlo: mica siamo farmacisti....)
  • una manciata di funghi surgelati misti
  • un cucchiaio da tavola di sale grosso marino
  • olio di oliva extra vergine quanto basta
  • acqua di rubinetto quanto basta
  • una manciata di fagiolini surgelati
Questa è la lista di base: infatti si possono aggiungere altri ingredienti per caratterizzare in senso vegetariano o carnivoro il minestrone del Vigorone: per esempio, con un quarto posteriore di pollo e una coscia si ottiene un brodo coi caratteristici "occhioni" di grasso emulsionato, digeribile e benefico per le arterie, pare... Chi è vegetariano, invece, può aggiungere fagioli, lenticchie, fave o cereali a piacere assecondando il proprio gusto. Comunque, bando alle ciance: avanti miei brodi! Coprite il fondo della pentola a pressione con un filo d'olio extravergine d'oliva; sminuzzate la cipolla (se bagnate la cipolla con l'acqua fredda, non dovreste "piangere" troppo) e buttatela dentro; poi pelate e affettate l'aglio mandandolo a far compagnia agli altri precedenti ingredienti. Adesso armatevi di santa pazienza e staccate le foglie di rosmarino, facendo un mucchietto sul tagliere su cui depositerete quelle di alloro per tritarle, tutte insieme, con il coltello: è sufficiente ridurle in briciole, non polverizzarle... Dentro anche queste, ci si occupa delle verdure: alle zucchine si tolgono le estremità, patate e carote si sbucciano; tutte si dividono in quattro parti, secondo la lunghezza, affettandole in modo non eccessivamente fine: si otterranno dei coriandoli vegetali tozzi e dalla forma composita, il cui abbinamento di colori metterà allegria come una fioritura primaverile. Versate anche le verdure, un cucchiaio da tavola di sale grosso marino e coprite il tutto con acqua di rubinetto (sì, quella potabile con cui sciacquate mani e stoviglie nel lavello di cucina), avendo cura di non superare la tacca che il massimo riempimento della pentola a pressione che si vede all'esterno o all'interno della parete laterale. Chi avesse optato per la versione "carnivora", aggiungendo un quarto posteriore di pollo o un pezzo di biancostato (classico taglio da bollito di carne bovina) con relative ossa, le aggiungerà prima di salare e dopo le verdure: userà solo un po' meno d'acqua. Chiudetela ermeticamente e ponetela sul fornello medio a fuoco vivo; entro venticinque minuti salirà il pistone che blocca la maniglia di apertura e nel giro di un minuto si avvertirà il classico fischio della valvola di sicurezza: a quel punto, abbassate leggermente la fiamma e lasciate cuocere per quindici minuti, scaduti i quali, spegnerete il fornello e chiuderete il gas (a meno che non stiate cuocendo un'altra pietanza) mettendo da parte la curiosità di vedere il risultato dal momento che, fin tanto che non si raffredda l'interno, il pistoncino non cala e la maniglia non si muove e non può liberare il coperchio. Questo è il vero segreto della pentola a pressione: durante questo tempo di riposo o raffreddamento del sistema, il cibo in essa contenuto continua la cottura senza disperdere aromi e nutrienti in atmosfera bensì amalgamandoli ancora meglio tra loro; in ogni caso doveste accelerare i tempi, potete immergere il contenitore in acqua fredda, nel lavello magari, fino allo sblocco del coperchio. Personalmente, non adotto mai tale procedura perchè sono un romantico...in qualche angolo remoto del mio spirito e del mio stomaco! In realtà, lo faccio perchè la "biada dell'uomo" (come si diceva nelle campagne lombarde) è la base della mia cena quotidiana (arricchito da pastina o riso o addirittura tortellini) e, come diceva mia nonna, qualcosa di brodoso la sera disintossica dai malumori di tutta la giornata, distende l'animo e le budella: perciò mi piace che riposi per dare il meglio di sè al momento opportuno. Siccome non lo mangio tutto in una volta, lo travaso in un recipiente con coperchio ermetico (quelli di plastica che possono andare anche in congelatore e microonde) e lo metto in frigo prelevandone, giorno per giorno, la mia razione. Cucinare per credere e...buon appetito!


© 2017 Testo e ricetta di Claudio Montini
© 2016 Foto di Orazio Nullo




venerdì 24 marzo 2017

Anche io mi sento londinese e non ho paura!

God Save Britannia and London too

di Claudio Montini

"Keep calm and carry on (your businnes as usual)" pare che fosse uno degli slogan da far circolare tra la popolazione del Regno Unito agli esordi della II Guerra Mondiale; alcuni sostengono che non venne praticamente usato e, comunque, sia rimasto insieme ad altri negli archivi del Ministero della Guerra fino a che non si decise di fare pulizia di cimeli desueti, rinascendo a nuova vita in mano a scaltri pubblicitari. Comunque sia, l'immagine che ha dato di sè il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda così come la sua capitale morale e politica, Londra, in questi giorni è perfettamente riassunta nell'intera frase che ho messo all'interno delle virgolette, parentesi comprese: badate bene che non solo la forma è sostanza ma, ora più che mai, la preparazione e l'organizzazione e l'attenzione ai dettagli si sono rivelate decisive per il contenimento dei danni. Dagli attentati dinamitardi alla stazione di Londra, l'antiterrorismo britannico ha fatto un deciso salto di qualità il cui dato più evidente è la sinergia tra le varie divisioni delle forze dell'ordine, dai "Bobbies" di quartiere agli elementi dei servizi di informazione civile e militare, che ha coinvolto e motivato anche la popolazione mediante esercitazioni mirate e disposizioni chiare e dettagliate. Isolare la zona colpita, evitare di accorrere solo per curiosare, darsi da fare per soccorrere i feriti distribuendosi razionalmente tra tutti, osservare e riferire agli organi di polizia presenti informazioni ritenute utili (altrimenti starsene in zona di sicurezza, ovvero il più lontano possibile dal teatro delle operazioni rispettando il lavoro degli operatori preposti all'emergenza agevolando il compimento del loro dovere), attendere senza isterismi il via libera all'evacuazione: tutte queste non sono cose che si improvvisano o che sono doti innate e prerogative esclusive degli abitanti delle isole britanniche e che, per qualche misterioso polline diffuso nell'atmosfera di quelle latitudini, chiunque sia giunto da ogni angolo del globo sulle rive del Tamigi riesca ad assimilare e mutuare nel proprio carattere. E' frutto di analisi, di studio, di ricerca, di elaborazione, di preparazione e di esercitazione regolare, metodica, continua, scevra da ubbie umorali o squallide convenienze politiche o personali: essendo stati uno dei pochi popoli che hanno tenuto testa a Roma Imperiale, costringendola ad accontentarsi delle posizioni consolidate conquistate (il Vallo di Adriano ha, in ultima analisi, questo significato), ma essendo anche rimasti affascinati dal pragmatismo dei pronipoti di Giulio Cesare tanto da esserne appassionati studiosi, i britannici moderni e contemporanei si sono rigorosamente adeguati all'antico adagio Si vis pacem, para bellum (se vuoi la pace, prepara la guerra). Scommetto che molti sorrisero quando papa Francesco parlò di Terza Guerra Mondiale iniziata già da tempo, sottolineando che questa era fatta a puntate e in diversi teatri sparsi per il globo terracqueo: in Europa, ieri a Londra si è visto chiaramente sebbene giornalisti e cameramen sono stati tenuti ad almeno mezzo chilometro dal teatro delle operazioni, la sola autorità statale che si fosse preoccupata e preparata per tempo sia quella che ha, democraticamente, scelto di uscire dal consorzio dei bottegai e ragionieri di stanza a Bruxelles. Infatti, ricoverati i feriti e ricomposte le salme, ovvero mantenuta la calma, tutti sono tornati a portare avanti i propri affari e onorare i propri impegni come sempre, seguendo ciascuno le proprie agende (a cominciare da Mrs. May) e lasciando operare le forze di polizia senza eccessivo assillo di taccuini e microfoni perchè, anche loro, hanno fatto il loro mestiere in parallelo a quello delle forze dell'ordine, senza pestarsi reciprocamente i piedi. Lo ripeto: la forma è sostanza, ma anche metodo e professionalità non cialtroneria, sciacallaggio, pusillanimità e aria fritta per vendere una copia in più, un punto di share in più o uno spot che alzi il fatturato. Ma loro sono inglesi e noi, purtroppo, no: tuttavia, oggi, come ieri e come non mai, mi sento londinese.

(c) 2017 Testo Claudio Montini
(c) 2017 Immagine: 1000+images Rule Britannia on Pinterest / Google Images Database

martedì 21 marzo 2017

Costituzione della Repubblica Italiana - Articolo 16

ARTICOLO 16


Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche.
Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge.


Testo tratto da "Costituzione della Repubblica Italiana" ed. 2011 distribuita da "La Provincia pavese" con il numero del 17 marzo 2011 festa dell'unità nazionale, della costituzione, dell'inno e della bandiera.
(c) 2016 Immagine di Orazio Nullo "Last Empty Station" - Atelier des Pixels collection

Il continente è isolato, forse disperso

Europa non pervenuta

di Claudio Montini

Molti mesi fa, forse un'anno o due addietro, scrissi che l'Europa dei bottegai stava a guardare lo scempio di esseri umani che andava in onda nel catino salato su cui si affacciano i suoi lembi meridionali; poi, esso si è spostato sulla terraferma, con la rotta balcanica seguita dalle genti in cerca di fortuna che davano l'assalto al fortino opulento e opalescente che si arroga il titolo di culla della civiltà occidentale. Nel silenzio e nell'indifferenza più assordanti e irritanti, l'ennesima inutile strage prosegue la mietitura di esseri umani che, non potendo essere consumati altrimenti, vengono lasciati a deperire in balia degli elementi e della sorte e di chissà quali altri loschi disegni, a cura di impomatati burocrati senza scrupoli nè coscienza, in accampamenti di fortuna o in alberghi falliti e dimenticati purchè non turbino la vista e il sonno degli onesti, già ciechi e sordi. Perchè è facile fare rivoluzioni a parole, comodamente seduti in poltrona, pestando polpastrelli su tastiere, sfoggiando abiti impeccabili e acconciature fresche di parrucchiere, illuminati dalla luce giusta, ripresi nel profilo migliore dal ciclope sormontato da una lucina rossa accesa che apre le porte di case sconosciute in ogni angolo del mondo, sbraitando le proprie ragioni e ignorando quelle altrui. Lo so bene d'essere un signor nessuno, una formica o una pulce se preferite, che coltiva il sogno di lasciare un segno nella storia e nell'oceano virtuale in cui nulla si cancella, perchè non c'è nulla che un buon motore di ricerca e tanta pazienza o tanto tempo da perdere non riesca a riportare alla luce; proprio per questa mia consapevolezza, essendo consapevole del mio essere pensante, non posso fare a meno di indignarmi per l'ipocrisia di festeggiare il sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma e, ancora di più, per l'assurdità di sprecare energie e soldi e forze per mettere insieme orde di facinorosi e manifestanti che protesteranno contro l'Europa Economica e Politica. Possibile che nel ventunesimo secolo, nel terzo millennio dell'era cristiana, quando siamo stati in grado di scoprire la particella di Dio (il misterioso bosone di Higgs) senza annichilirci, siamo andati e tornati dalla Luna e vorremmo anche andare su Marte, siamo a un passo dal costruirci organi su misura per campare non solo cent'anni ma millenni senza seguitare a bere birra (come recitava uno slogan pubblicitario poco più giovane dei Trattati stessi), siamo capaci di provocare il frinire di una cicala in Perù per scatenare un'eruzione in Islanda, possibile che si sia ancora così ottusi e creduloni da berci la favola dei bei tempi andati e degli ideali sprecati? L'Europa come soggetto politico internazionale non esiste, non è mai esistito e non esisterà mai così come non esistono le nazioni unite, scritto in minuscolo volutamente: nel 1957, ma ancora prima nel 1951 (Comunità economica del carbone e dell'acciaio), si sono spese parole altisonanti e aperte cateratte di inchiostro che le hanno fissate in ponderosi volumi compitamente e debitamente firmati da capi di governo e di stato, ma là sono rimaste nonostante le doverose ratifiche ad opera dei parlamenti nazionali; hanno funzionato i consorzi e gli accordi commerciali, ricostruendo e rinvigorendo le economie dei Paesi che vi hanno aderito: i trattati di Lisbona hanno provato a rianimare la spinta al benessere che quelli avevano generato nel momento in cui le distanze tra punti del globo terracqueo si accorciavano sempre più rapidamente, giocando la carta dell'unità politica e legale illudendosi che la mentalità ottocentesca e rinascimentale (quando non medievale) fosse stata sepolta sotto le macerie della seconda guerra mondiale, coperta da un velo di polvere d'oblio. Il sole dell'avvenire, socialdemocratico più che altro, non brilla se non c'è oro o argento che ne riverberi i raggi prima di infilarsi nelle tasche di chi ha il cappello per comandare: è valso tanto di qua che di là dal Muro di Berlino e dalla cortina di ferro, vale ancora di più oggi che stanno sorgendo tanti piccoli muri in un continente che non sa reagire unitariamente, con una voce sola, agli insulti gratuiti di un dittatore in cerca di consenso e di quattrini, capace di sfruttare fino in fondo la propria posizione geopoliticamente strategica. Cicerone ebbe a scrivere che la Storia è maestra di vita, Giovan Battista Vico che questa si ripete ciclicamente, qualcuno di cui non ricordo il nome che i popoli senza memoria sono condannati a ripetere gli stessi errori: sempre, aggiungerei.

(c) 2017 Testo di Claudio Montini
(c) 2016 Imagine di Orazio Nullo "Invisible Plots" - Atelier des Pixels Collection

lunedì 20 marzo 2017

Un messaggio giunto da molto lontano...Ciao papà!

Le parole che non vi ho mai detto...

...raccolte da Claudio Montini

Sei un uomo fortunato, figliolo, non dimenticarlo mai. Goditi ogni istante senza rimpiangerlo mai nè rinnegarlo e non voltarti indietro: il meglio deve ancora venire ed è tutto lì davanti a voi, padri e figli che siete e sarete, potete persino vederlo danzare all'orizzonte che tuttavia non rivela mai le sue dimensioni, nè il suo nome nè il suo volto. Dunque ogni attimo è capitale da investire, da spendere, da coltivare, da cogliere e da gustare perchè la vita non è come la libertà, che finisce dove comincia quella del mio prossimo, ma ti prende per mano e ti insegna a camminare, a leggere, a scrivere, a far di conto; ti cammina accanto e ti prepara a fare altrettanto con tutta quell'altra vita sconosciuta che aspetta sul limitare dell'orizzonte che hai davanti. Puoi dargli un nome, dedicargli un giorno di festa e sognare di condividere gioie e dolori, asciugandovi la faccia reciprocamente oppure addormentandovi l'uno sulla spalla dell'altro, sotto un cielo di stelle mute e vuote di risposte sul domani che verrà: non sarà mai solo la causa della tua origine ma la montagna da scalare più ardua, la pietra di paragone più rigorosa, il competitore che ti conosce meglio di chiunque altro e quello più difficile da battere e da tirare dalla propria parte. Tu sarai sempre suo figlio e lui sarà comunque tuo padre e vi sarete, in ogni caso senza rendervene conto, scambiati e ceduti e strappati e donati e rubati e regalati scampoli, francobolli, briciole d'anima e sogni anche quando il vostro tempo sarà finito e, uno o l'altro, sarete scesi dall'ultimo treno all'ultima stazione: perchè nessuno può fare a meno di ricordare, per quanto male possano ancora fare anche le ceneri delle ingiustizie e delle cattiverie. E' la condanna del genere umano: sbagliare e ricordare, cadere e ricordare, amare e ricordare, andare via e farsi ricordare; è la condanna di un padre che si è speso per costruire il nido, affinchè potesse insegnare ai cuccioli a volare senza sbucciarsi ginocchia o bruciarsi le ali e precipitare: ma la vita è passata oltre e sopra ai suoi sogni e l'ha chiamato altrove lasciando che ognuno trovasse la propria strada da sè. Questa è la tua fortuna, sebbene ne faresti volentieri a meno: poter scegliere la tua direzione senza sprecare un minuto; giusta o sbagliata che sia, sarà quel che Dio, ammesso e non concesso che abbia voglia di occuparsene, vorrà. Non è giusto, credimi lo so bene, ma adesso so che è così, qui da dove vi tengo d'occhio e vi aspetto.
Carlo Montini  (1929 - 1986)

(c) 2017 Testo di Claudio Montini (all rights reserved)
(c) 1968 Foto di Umberto Callegari - archivio personale Claudio Montini

domenica 19 marzo 2017

Dedicato alla nuova stagione che ci viene incontro

Il risveglio di primavera

di Claudio Montini

Marzo prende il suo nome dal dio della guerra venerato nell'antica Roma; è l'unica cosa che sia sopravvissuta immutata da quell'epoca, insieme agli stessi virus e malanni che affliggono la Città Eterna oggigiorno, poichè essa è specchio e paradigma del mondo e della temperie culturale entro cui cerchiamo di emergere e farci notare. Nessuno, io credo, ambisce a non lasciare traccia di se, a non affermare il proprio diritto a vivere, a non godere della più piccola gratifica da parte del suo prossimo, nel bene e nel male, per una magari piccola cosa fatta o per essere stato anche nel posto sbagliato al momento sbagliato o viceversa. Allora, solerti pensatori che pare non abbiano altra occupazione preminente, si inventano le Giornate nazionali o internazionali o mondiali dedicate alla memoria, o alla gloria, o alle vestigia di un fulgido passato lucidate per l'occasione e dimenticate per il resto dell'anno. Niente da eccepire: tutto fa brodo e magari da anche del pane da inzupparci dentro a chi non saprebbe come altrimenti sbarcare il lunario: le manifestazioni corali e di popolo o di piazza, che dir si voglia, sono un formidabile volano per l'economia muovendosi la gente e le rispettive ugole assetate, insieme ai rispettivi stomaci affamati, trasportati da vetture o da treni o da torpedoni che andranno ben riforniti di carburante. Poi, accade che si accodino anche facinorosi malintenzionati che poco hanno a che spartire col resto della massa: insomma a cosa servirebbero i poliziotti e sbirri vari? A dirigere il traffico? O a spartire la folla per lasciare libero il passaggio agli onorevoli in passerella oppure diretti, a velocità supersonica, ad occuparsi dei propri personali interessi e vizietti privati connessi....Cosa vogliamo farci? E' il logorio della vita moderna. Siccome la festa della donna e quella del papà non tirano più, commercialmente parlando, sotto con le celebrazioni dell'Unità d'Italia, dei Trattati di Roma che sancirono la nascita della Comunità Economica Europea, delle vittime innocenti di tutte le mafie (scusate, ma esistono anche vittime colpevoli? Ah, capisco: finché si ammazzano tra loro, tra malviventi, va bene...in fondo, sono i rischi del malaffare: prima o poi, c'è qualcuno che ti vuole soppiantare, pardon, sotterrare...), giornate del nascituro e dell'andate e moltiplicatevi, ma se non conoscete a fondo il partner munitevi di preservativo (farmacie e farmacisti vi accoglieranno a braccia aperte consigliandovi anche nel caso di imbarazzanti defaillances, esibendo un aplomb britannico rotto solo dal segno del glifo dell'euro al posto delle iridi oculari).
Il tutto inondato da fiumi d'inchiostro e folate copiose di aria fritta da salotto composto da habituè del chirurgo plastico, coreografati da abili pubblicitari e designer ultrafuturisti che daranno il giusto tocco di avanguardia moderna a manifesti, interruzioni pubblicitarie, consigli per gli acquisti e i soliti noiosi aggiornamenti sui crolli post terremoto, attentati a Bagdad, donne uccise da uomini viziati e immaturi oltre al ritorno in campo e in campagna elettorale di vecchie cariatidi che non vogliono saperne di mollare il mazzo, predicando di far largo ai giovani e ingegnandosi a far loro lo sgambetto senza farsi scoprire, affinchè si convincano che è meglio stare a casa di mamma e papà (non potendo emigrare all'estero, per mancanza di fondi e non di volontà) a giocare con la Playstation e i social networks. Che ci volete fare? E' primavera anche per quest'anno, anche in questo scellerato Paese che si crede ancora tra i sette grandi del Primo Mondo e non si è accorto di essere con tutti e due i piedi oltre la soglia del Terzo; è primavera e tutto sboccia, la natura si risveglia: chissà se la bella addormentata dalla corona turrita, che da tempo si cinge la testa con l'elmo di Scipio solo nelle fanfare degli eventi sportivi, aprirà gli occhi  e a colpi di ramazza caccerà mercanti, parolai, faccendieri, manipolatori di pensieri, comici falliti e mangiatori di pane a sbafo senza vergogna dal Bel Paese dove il "si" suona?  Dante, quando smetterà di rivoltarsi nella tomba, ci darà la risposta; Manzoni non pervenuto (ma è prevedibile che affiderà ai posteri l'ardua risposta); Sciascia e Moravia fanno gli indifferenti, aspettando il giorno della civetta e...tutto il resto è noia, non ho detto gioia, ma noia noia noia...maledetta noia! (Franco Califano aveva già capito tutto....)

(c) 2017 Testo di Claudio Montini
(c) 2016 Immagine di Orazio Nullo "Springtime"- Atelier des pixels collection

venerdì 17 marzo 2017

"Ci vediamo per San Patrizio" - da CAMERE AMMOBILIATE PER VIAGGIATORI OCCASIONALI - 2015 - Youcanprint Selfpublishing

Ci vediamo per san Patrizio


di Claudio Montini

Il bollitore fischiò la fine del suo lavoro come un'arbitro di linea, di solito, fa con gli americani che mettono un'ombra di piede sulla riga di bordo campo oppure si lanciano a canestro dopo un'infrazione di passi, immaginando di avere tra le mani la testa dell'arbitro stesso e non la gonfia a spicchi arancioni da schiacciare nell'anello perpendicolare al tabellone. Naturalmente senza appendersi perchè questi ultimi hanno la spiacevole tendenza ad andare in frantumi, come i cristalli delle automobili presi a sassate. Sollevò a malincuore lo sguardo dalla pagina di SuperBasket che stava leggendo, anzi, mandando a memoria e chiuse il gas; prese la tazza e il filtro con il the, cavò dalla dispensa un barattolo nuovo di miele e la scatola dei biscotti di riso; doveva solo aspettare che suonassero alla porta e si accomodassero, ciascuno al suo posto, per poter portare in tavola tutto il necessario per il loro rito ultradecennale. «Finchè andiamo e veniamo, nessuna paura..» «...con la democrazia!» Aggiungeva prendendo i loro giubbotti, cappelli o giacche a vento. Erano le loro parole d'ordine ed erano le sole cose che li legassero ancora al paese da dove erano scappati per la disperazione tanti anni prima: in cerca di fortuna, dissero a chi restava, in cerca di un'altra vita, di benessere e amore senza paraocchi, pensarono indipendentemente gli uni dagli altri. L'Europa era zeppa di soldati e macerie e fantasmi viventi che, liberati dai reticolati spinati ed elettrificati, non avevano più una casa o una famiglia dove tornare perchè l'una era stata centrata da una bomba piovuta dal cielo, l'altra vi era salita nascosta dalle volute del fumo soffiato da una ciminiera. Loro erano stati più fortunati, ne erano divenuti consapevoli solo durante il viaggio verso il nuovo mondo; la nave carica di straccioni ottimisti riportava a casa anche i soldati che li avevano liberati dalla fabbrica sotterranea, dove erano stati internati dopo il rastrellamento alla stazione ferroviaria. Niente più versioni di greco o problemi di ragioneria o estimi di fabbricati per i due anni successivi a quel giorno, ma ore e ore di forgia, fucina, pressa e trapano o miscelatori e reattori di sostanze aspre e nauseabonde e irritanti, valvole e tubi e serbatoi da controllare, da montare, da riparare. Riposando pochissimo, mangiando peggio e finendo spesso bersaglio delle paturnie dei carcerieri; poi erano arrivati quegli americani taciturni e curiosi allo spasimo, con il loro plotone di traduttori, prolungando la prigionia ma rendendola meno disagevole: dalla fraternizzazione con quei soldati dal cognome italiano, ma che pensavano in inglese, cui avevano ripetuto fino alla nausea i passaggi del lavoro che si faceva lì dentro, nacque l'idea di cambiare aria se in Italia le cose non fossero ripartite col piede giusto. Le giornate avevano assunto un ritmo più umano e i pasti erano regolari e abbondanti, anche se ogni occasione era buona per sentirsi rivolgere domandi incalzanti; possibile che nessuno, fuori nel resto del mondo, sapesse nulla di quanto era accaduto lì e che loro, i liberatori, fossero capitati lì per caso? Poi, un giorno d'estate forse, li portarono tutti fuori sul prato davanti all'ingresso della grotta che ospitava la fabbrica: l'erba era rigogliosa e se ne era andata anche un po' a spasso per i binari della ferrovia che, partendo dal ventre della montagna, si perdeva nella pianura fino alla linea dell'orizzonte; di là si vide un pennacchio di fumo bianco avvicinarsi e farsi, via via, più palese la sagoma di una vaporiera: un brivido di commossa felicità attraversò le schiene di molti perchè, forse, era la volta buona che si tornava a casa. Vennero scaricati nuovi soldati e gru semoventi, oltre a vestiti e cibo, dal treno che ripartì con quelli che non avevano accettato di fermarsi, ancora qualche mese forse meno, a smontare e impacchettare quella fabbrica che interessava tanto gli americani: ciò che li spinse a restare era la possibilità di tornarsene da quella disavventura con qualche soldo in tasca. Questa era la spiegazione che lui, in particolare, aveva sempre dato a chiunque l'avesse interrogato: dal primo passo compiuto sul suolo patrio erano stati troppi, per i suoi gusti, a farlo e a guardarlo con sospetto, come se fosse stato in villeggiatura e non in un campo di lavoro coatto durante la guerra che aveva martoriato e diviso lo stivale italico. La colpa, se saper far da mangiare anche con niente può esserlo, era stata di Saverio e Michele che convinsero il primo sergente O'Malley a lasciarli lavorare alla cucina da campo che preparava i pasti per truppa e civili aggregati: con le scatolette del suo zaino e di alcuni uomini del suo plotone, il calabrese e il campano imbandirono un pranzo di nozze per il generale che era capitato lì per un'ispezione a sorpresa. Franklyn Pertusi, il traduttore canadese, fece da mediatore e da garante per loro due, a dire il vero, perchè a Boston gli italiani erano fumo negli occhi per gli irlandesi e il sergente, da civile, aveva preso più di una fregatura dai figli della terra di Dante e Virgilio e anche qualche legnata: salomonicamente, Franklyn decretò che O'Malley avrebbe controllato la cambusa e gli approvvigionamenti, mentre i Dioscuri italici avrebbero avuto sovranità su pentole e padelle, con la promessa di non avvelenarsi reciprocamente l'esistenza. Saverio e Michele sapevano farsi voler bene e, a poco a poco, penetrarono la corazza e conquistarono il cuore di "zio Jimmy", come presero a chiamarlo, fino al punto di insegnarli quelle quattro parole di italiano che conoscevano in cambio dell'inglese necessario a farsi capire dagli altri soldati, quando Pertusi non era a portata di mano. Si mangiava bene e si lavorava sodo, su due turni perchè la notte è fatta per dormire, secondo l'opinione del colonnello Beardsley, così come il the agevola la digestione, dopo pranzo e un buon wishky concilia il sonno dopo cena. Se le portatono da lì, quelle abitudini, per tutta la vita ed esse non fecero altro che aumentare la nostalgia per quei giorni: gli americani furono di parola, pagarono il dovuto e li portarono in treno fino a Milano da dove si sarebbero poi dispersi per le rispettive regioni, nelle contrade e nei borghi natali, mentre il convoglio avrebbe proseguito per Genova a imbarcarsi tutto intero per l'America. Questa era quello che aveva ipotizzato lo stato maggiore del colonnello Beardsley, ma non era quello che avevano in mente Michele e Saverio: erano scappati dalla miseria e dalla fame già prima della guerra e del rastrellamento che li aveva portati fin lassù in Germania, mancavano da troppo tempo perchè non li pensassero periti lontano da casa e, comunque, si erano ripromessi di non tornare per morire da poveri. Ne parlarono a lungo con Franklyn Pertusi, perchè lui non faceva altro che decantare la magnificenza e la nobiltà del Canada rispetto alle "colonie ribelli", giusto per stuzzicare il sergente O'Malley che faceva spallucce e rispondeva alle provocazioni affermando che, se fosse campato a lungo, le sue ossa le avrebbe fatte sotterrare nella contea di Cork, nella verde Irlanda da cui erano andati via i suoi vecchi. Franklyn fece quello che avrebbe fatto anche in seguito, da politico: promise loro che ci avrebbe pensato su, disse di non preoccuparsi che la soluzione c'era senz'altro ma che doveva vedere delle cose e delle persone, distribuì sorrisi e pacche sulle spalle rassicuranti ma non strinse mai mani. Chi fece davvero il lavoro sporco e si dannò l'anima per tutti loro, anche negli anni successivi, fu il sergente Seamus Patrick O'Malley; Dio solo sa quanto ci tenesse ad essere chiamato così da irlandese vero e fiero e non James come compariva sui documenti, che spesso si dimenticavano del secondo nome: perchè se la pelle era a stelle e strisce, il cuore era trifoglio di san Patrizio e tricolore di Dublino, ostinato e generoso ma sempre pronto a rispettare la dignità e a riconoscere il valore. Era per lui che, ogni anno da quel maledetto giorno, da qualunque parte dell'America o del mondo fossero andati a sbattere, si ritrovavano tutti lì a casa sua a bere un the nel pomeriggio, poi andare al cimitero a trovarlo e a prendersi una sbronza al circolo dei reduci in fondo a Main Street, prima del porto, dopo aver cenato. Un uomo è fortunato quando, nel bisogno e nella tribolazione, trova un'amico che tende la mano e lo cava dai guai, senza che lui lo abbia mai cercato e senza chiederti nulla: in tempi diversi per ciascuno, loro avevano trovato O'Malley. Poi aveva accompagnato anche i loro momenti belli, stando sempre in seconda fila, sebbene loro lo considerassero uno di famiglia: mancava a tutti e gli occhi si facevano lucidi lucidi quando, furtivamente, guardavano in direzione del posto vuoto a tavola, quello dove mettevano sempre la fotografia in cui sorrideva pregustando i giorni della pensione. Fece in tempo a goderne troppo pochi e non importa se, come seppero tempo dopo dalla moglie, il cancro se lo sarebbe divorato in tre mesi: non era giusto morire per mano di uno sbarbatello in crisi di astinenza, dovevano lasciare che Saverio facesse a pezzi a suon di schiaffoni quel cretinetti e Michele lo passasse al tritatutto per il pastone che regalava al canile muncipale o ai gatti del quartiere. Ma quella sera, a festeggiare il pensionamento di "zio Jimmy", c'era anche Franklyn Pertusi che festeggiava la nomina ad amabsciatore presso le Nazioni Unite per il Canada: non aveva perso il vizio di andare in fuga per mettere alla prova i suoi apparati di sicurezza; fu lui a chiamare la polizia, a fermare Saverio e a costringerlo a salutare, come tutti gli altri senza piangere di rabbia e di dispiacere, Seamus Patrick O'Malley che boccheggiava tra le braccia della sua Rosalia Cadesana, per cui aveva preso legnate dai fratelli di lei che non volevano un irlandese in famiglia ma, tutt'al più, un'altro paisà. Prima della tragedia, stava raccontando che lei lo aspettò per tutti gli anni della guerra e, per evitare equivoci e ripensamenti delle famiglie, durante una licenza dall'addestramento trascorsero due giorni in un motel poco lontano dalla base, mentre Little Italy era in subbuglio per la ragazza sparita nel nulla: una fuitina in piena regola, spiegò il tenente canadese che lo difese davanti all'improvvisata corte marziale, aggiungendo che avrebbe parlato lui con la famiglia della ragazza, date le comuni origini italiane, per concordare le nozze riparatrici. A questo punto, imitando la voce e la postura del colonnello Beardsley, Franklyn stava per ripetere la scena della sentenza ma la porta del locale che andò in frantumi e la comparsa del ragazzo agitato che brandiva una quarantacinque automatica, l'interruppero; O'Malley portò isitintivamente la mano alla cintura, sul fianco dove aveva sempre portato la sua trentotto a canna corta ma lei non c'era più: era in pensione da una settimana e allora si alzò per far da scudo a Rosalia e a Franklyn, giusto per trattare con l'invasore e prendere tempo. Quello gridò qualcosa mentre Saverio balzava da dietro il bancone del bar per afferrargli il braccio armato e riempirlo di schiaffoni, ma lo fece con pochi secondi di ritardo sugli spari che l'esagitato esplose: due proiettili centrarono le bottiglie da collezione sulla mensola che pendeva dal soffitto, ma uno entrò nello stomaco di Seamus che accusò il colpo e si piego sulle ginocchia mentre Rosalia lo abbracciava disperata. Pertusi e il suo autista respinsero l'assalto dei complici del cretino fermandoli sulla soglia e al volante del'auto con cui avrebbero voluto fuggire: nessun testimone, sentenza eseguita come ai vecchi tempi, così dissero al vice direttore del Bureau che si era messo in persona a rintracciare il console di un paese straniero che girava armato e senza scorta. La polizia metropolitana non fece storie, anzi, era ben contenta di lasciare tutto in mano ai federali, nonostante lo sceriffo in pensione destinato alle grandi praterie del cielo fosse stato per un quarto di secolo una delle sue colonne: si limitarono a presenziare in alta uniforme al funerale. Ipocriti: era la cosa più gentile che gli si affacciava nel cervello ogni volta che ricordava quei momenti, oppure cerchiava sul calendario il giorno di san Patrizio con un pennarello rosso. "Ci vediamo per san Patrizio, darling: e non portarmi lacrime, ma fiori freschi e un bacio di quelli che solo tu sai dare, ok Rosie?" Seamus Patrick O'Malley mise tutte quelle parole nell'ultimo fiato che riuscì ad esalare prima di abbracciare tutti con lo sguardo, persino il paramedico che cercava di tamponare la ferita, per spegnerlo con un'espressione che fece smettere di piangere e ammutolì Saverio: era come se gli avesse detto che non era colpa sua, che doveva andare così e che la smettesse di fare l'italiano dal cuore di burro e panna. Rosalia Cadesana O'Malley, Rosie, fece del suo meglio per mettere in pratica l'ultimo desiderio del suo uomo: fiori freschi tutte le settimane, portati e sistemati di persona, ma nemmeno una lacrima quando era coi figli o coi nipoti o con gli amici a ricordare questo o quell'episodio vissuto insieme; bagnava il cuscino col suo dolore solo quando calava il silenzio della notte, nel buio della camera da letto, orgogliosamente sola. Ma il suo cuore resistette solo per trecentosessantacinque giorni: la trovarono, prima i custodi del cimitero e poi Douglas, suo figlio, abbracciata alla lapide la cui foto era imbrattata di rossetto, coi fiori ancora stretti in mano. Doug e Eileen non capirono molto, lì per lì, ma per lui fu tutto chiaro: chiese loro solo due cose, se ci fossero tracce di rossetto sul marmo o sulla fotografia e che giorno fosse; poi, spense il bollitore, mise via il the e il miele, fece un paio di telefonate e si precipitò al cimitero, precedendo di un soffio l'ambulanza. Eileen O'Malley assistette all'autopsia e controfirmò il rapporto che sanciva la morte di sua madre per crepacuore, un'anno dopo suo padre nel giorno di san Patrizio. Franklyn Pertusi apparve silenzioso come un fantasma e si offrì di dare una mano nel sistemare tutto quel che c'era da fare in quei casi: per la prima volta, lo vide stringere mani per trasmettere cordoglio o qualcosa che gli assomigliasse. Erano passati ormai vent'anni, ma il rito non era mai cambiato e nemmeno i partecipanti: tenevano duro i vecchietti temprati dall'ultima guerra mondiale del secolo breve. Quella sera, dopo cena e la regolare sbronza, nella hall dell'albergo dove era sceso dal suo immenso Canada, Franklyn Pertusi strinse le mani a tutti loro facendosi promettere che si sarebbero rivisti a san Patrizio. Molti di loro pensarono che si fosse sbronzato troppo, alcuni sfregarono ripetutamente il cornino rosso che tenevano da sempre in tasca, lui sorrise come sembrava che facesse anche il santino del vescovo d'Irlanda che teneva accanto alla foto dei figli e dei signori O'Malley, in un portafoglio distinto da quello delle carte di credito. Tra tutti, lui per primo, aveva capito il messaggio di Pertusi: siamo prossimi al traguardo e, se proprio dobbiamo scendere dal carrozzone, lasciamo un buon ricordo dietro di noi e in chi resta, così non moriremo mai. Proprio come sosteneva Cicerone.

(c) 2015 Testo di Claudio Montini da CAMERE AMMOBILIATE PER VIAGGIATORI IMMAGINARI - Youcanprint selfpublishing 
(c) 2017 Immagine di Orazio Nullo "Irish feast day" 

Costituzione della Repubblica Italiana - Articolo 15

ARTICOLO 15


La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili.
La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge.

Testo tratto da "Costituzione della Repubblica Italiana" ed. 2011 distribuita da "La Provincia pavese" con il numero del 17 marzo 2011 festa dell'unità nazionale, della costituzione, dell'inno e della bandiera.
(c) 2015 Immagine di Orazio Nullo "Origami paper bird" - Atelier des pixels collection

mercoledì 15 marzo 2017

Dialogo surreale intorno alle seconde nozze, citando una vecchia canzone!

Se telefonando....

di Claudio Montini

Pronto, Orazio?
Sono nato pronto, Claudio...!
Ah, simpaticone...tempo tinto sul canale di Sicilia?
Nonnò...ma quando mai...E' colpa del plenilunio: mi riempio di peli e mi si ingrossano i canini...Magari s'ingrossasse pure qualcos'altro...ma niente di niente: è andato in pensione prima di me e senza nemmeno salutare!
E meno male: avevo giusto bisogno di un consiglio, come dire?, spassionato.
Sono tutt'orecchi.
Ti ho mai parlato di Gennaro? Quel tale sposato a quella pertica vestita che si dava arie da svedese...e ci credevi pure, finchè non apriva bocca e ci dava fiato.
Me li avevi pure presentati, qualche estate fa: lui si sarebbe fatto zerbino, mentre lei aveva un'aria da vergine delle rocce al bagno penale. Però son passati un bel po' di anni, ne ho un'immagine un tantinello sbiadita, ma credo che ti dissi che non sarebbero durati gran che insieme.
Indovinasti, amico mio, indovinasti come al solito..
Ah sì?
Si sono separati e poi divorziati, facendo ognuno vita propria; chi ci ha rimesso è stato lui, economicamente parlando, ma per il resto si è ripreso proprio bene...è rifiorito, è persino diventato anche più malleabile, più umano, quasi contagiosamente simpatico.
Ma va là...non mi verrai a dire che il matrimonio è la tomba dell'amore e il divorzio la resurrezione? Non sarà mica che sei invidioso e ci vorresti provare pure tu?
No, no...Per sposarsi ci vogliono soldi ma per dividersi ce ne vogliono ancora di più, come diceva un vecchio saggio che pagava il mio stipendio da ragazzo: ora come ora, sono pelato come la mano e poi sono più da rottamare che da accasare...
Hai appeso le velleità al chiodo?
Per le mie velleità, basta una puntina da disegno: un chiodo è già troppo. Meglio così, poichè i miei treni sono passati tutti e mi sono risparmiato brutte figure.
No, caro amico, non sono d'accordo: parli da uomo ferito. Non esistono leggi in amore...
...basta essere quello che sei...
Lascia aperta la porta del cuore...
Vedrai che qualcuna è già in cerca di te...
Senza l'amore un uomo che cos'è?
Su questo sono d'accordo con te, con Herbert Pagani e con Marco Ferradini: infatti Gennaro ha conosciuto una tizia, pure lei divorziata, e a maggio si sposa...pardon, si risposa! E mi ha pure invitato alla cerimonia e al ricevimento!
Ecco svelato l'arcano, qui sta il busillis: ma zio Orazio ha la soluzione.
Davvero?
Fissa ai due piccioncini un'appuntamento con un buon esorcista.
Perchè mai?
Errare humanum est, perseverare diabolicum! ...e auguri e figli maschi: chè il buon Dio quelli te li manda anche senza anelli e promesse al vento.

(c) 2017 Testo di Claudio Montini
(c) 2015 Immagine di Orazio Nullo "Funky aliens"

venerdì 10 marzo 2017

Dal romanzo di Claudio Montini "IL DESTINO E' UN'AMANTE SENZA PIETA' "- 2016- StreetLib Selfpublishing....

Ventunesimo capitolo: 
Non sparate sul pianista

di Claudio Montini

Prima, una porta chiusa con la foga di chi l'avrebbe voluta scardinare e rompere sulla testa di un interlocutore che, per mille ragioni, non si poteva altrimenti mandare a quel paese; poi, una motocicletta, forse tutta cromata e forse no, che si allontanava sbraitando dalla marmitta ogni marcia del motore in un crescendo rossiniano; alla fine tornò la quiete fittizia condita col rumore di fondo del traffico attutito dalle barriere dell'autostrada, mescolato al buio pesto debolmente attenuato dai colori dell'insegna luminosa sul tetto del motel e dai lampioncini col numero della stanza: con tutto ciò, la Signora spalancò gli occhi e tentò di rizzarsi seduta sul letto, preda di un panico ancora incosciente come se non avesse udito la sveglia e fosse in ritardo per un'appuntamento. L'emicrania strinse d'assedio le tempie e aggiunse dolore al fastidio di dover riemergere dalla profondità di un sonno finalmente sereno e disteso, a guisa di balena che interrompa la scorpacciata di plancton degli abissi onde riguadagnare la superficie del mare per respirare.
Accese un lampo di luce solo per rendersi conto dove fosse e per vedere che non ci fossero sveglie martellanti sul comodino: no, la testa rimbombava per altri motivi. Si lasciò ricadere sul cuscino confidando in un rapido soccorso del dio del sonno affinché le concedesse, se non l'oblio d'un sogno, almeno la fine della pressione che attanagliava la scatola cranica: rumorosamente, una bolla d'aria e vapori alcolici risalì il tubo digerente e dissolse il cerchio alla testa, rilassando il resto dei muscoli ma caricandoli di una spossatezza paralizzante. D'accordo, un rutto non fa primavera ma muove la classifica e l'emicrania pareva quietarsi; dopo tutto quello che aveva mangiato e bevuto da Oscar, sopratutto bevuto, quello era il minimo che le potesse accadere: avrebbe potuto anche vomitare tutto e soffocarsi come una vecchia baldracca ubriacona, abbandonata chissà dove e ritrovata quando era ormai troppo tardi. Un po' baldracca lo era stata, è vero; ma non sarebbe mai diventata vecchia: l'aveva deciso prima di partire con Valkowskij, appena uscita dallo studio del notaio Carcangiu, no, appena Giustina aveva apposto l'ultima firma sui documenti.
Ecco, doveva rimanere sobria e lucida fino al termine del funerale di Amedeo, cioè quando i muratori avrebbero cominciato a posare la malta e poi una fila di mattoni forati e poi ancora malta e ancora altri forati, fino a chiudere il loculo mentre spremute di falangi e abbracci condivano la successione di condoglianze, lacrime e occhi arrossati o pronti a esondare sulle guance. Ogni cosa a suo tempo, disse a se stessa coprendosi il viso con le mani e lasciandole cadere sul petto: c'era una coperta leggera tra i palmi e i suoi vestiti e una serie di domande che frullavano per la testa in cerca di risposta. Avrebbe voluto alzarsi e spogliarsi, magari farsi una lunga doccia calda e infilarsi di nuovo a letto, ma dentro le lenzuola per scrollarsi di dosso quella stanchezza che appesantiva e indolenziva ogni centimetro cubo della sua carne: ma quel pensiero, quel desiderio una volta tanto logico, rimase un lampo muto e senza bersaglio. Inutile indovinare dove fosse finito Valkowskij, perchè l'avesse depositata lì e, quel che è peggio, che diamine di posto fosse quello. Troppe domande tutte insieme: le palpebre si erano già richiuse, la testa reclinata e il respiro s'era fatto regolare.
Era mattino o giorno pieno? Era primavera oppure estate? L'aria era tiepida, profumata di fiori e di frutta e di erbe della sua terra, il cielo non aveva nuvole e il mare si intuiva dagli scrosci delle onde che si infrangevano sugli scogli; l'odore del mare, il sentore di alghe e salsedine, si insinuava tra gli altri aromi invitandola a scendere il viale di ghiaietta bianca, limitato da lavanda e rosmarino che si alternavano senza soluzione di continuità, fino alle sbarre di un cancello di ferro nero che si stagliava contro la coda bianca di un pianoforte da cui saliva una flebile melodia. Alle spalle lasciava un viale di platani con fiori finti legati ai fusti e qualche foglia ingiallita sull'asfalto: automobili di varia foggia e colore sfrecciavano nelle due direzioni, ma ormai non la interessavano più. Era attratta dalla musica, sebbene non capisse ancora dove fosse capitata e neppure come: stringeva in cuore solo l'intima certezza di dover scendere fino alla terrazza su cui stava quel pianoforte che stava suonando; una volta lì, appoggiata alla balaustra sicuramente a picco sul mare, ad occhi chiusi, avrebbe goduto della sapiente danza delle dita del suonatore sul tappeto d'ebano e d'avorio mentre l'alito del mare avrebbe gonfiato la sua veste di lino e scompigliato i suoi capelli. Nonostante fosse scalza, corse fino al cancello come se camminasse sul pavimento in cotto di Villa Gelsomina: le parve addirittura di volare. Varcata la soglia, però, avrebbe voluto scappare, tornare indietro, chiudere gli occhi con forza e riaprirli di scatto sul buio che avrebbe dovuto circondare il suo letto. Lo fece più volte ma non ottenne nulla; provò persino a ritornare sui suoi passi, ma il cancello si allontanò da lei e si chiuse saldamente davanti al suo naso. Era in trappola, era sola, aveva paura e non era la prima volta che accadeva; ma qui e ora, accidenti, stava sicuramente sognando e non avrebbe voluto vedere Amedeo seduto al pianoforte che suonava Gershwin con tanto di smoking e cravattino a farfalla, come se fosse sul palcoscenico del Radio City Music Hall o in qualche locale elegante a Las Vegas. Lui le sorrise inclinando la testa di lato e dondolandola, per sottolineare la linea sincopata della melodia; poi, parlò seguitando a suonare.
« Benvenuta nella terra di nessuno, l'ultima stanza dove i due mondi si intrecciano, si toccano e si parlano; l'ultima spiaggia dove passeggia la giustizia mentre aspetta la verità: questo è lo scoglio su cui naufragano le buone intenzioni e ogni ingenua illusione. Bada che in pochissimi hanno questa opportunità: è data solo a chi ha tanto amato o tanto sofferto. Questa sarà l'ultima volta che ci vediamo; il mio bilancio è già stato chiuso e approvato: sono in cammino per la nuova meta: incontrarti qui e in questo modo, ne è la prima tappa. »
La Signora si era avvicinata al pianoforte, senza staccare gli occhi da Amedeo, fermandosi alla punta arrotondata come se volesse sottolineare quanto fossero l'uno agli antipodi dell'altra: lui morto che parla e lei vittima di un brutto sogno ma, in fondo, viva; il coperchio era chiuso e il piano candido era come un bizzarro tavolo su cui erano disposti altrettanto curiosi oggetti: due volumi ponderosi, due proiettili, varie fotografie e una pistola che riconobbe immediatamente; non prestò molta attenzione ai due libri o alle fotografie, perchè pensò che avessero attinenza col bilancio cui faceva riferimento Amedeo che, quasi avesse letto i suoi pensieri, accennò alla pistola semiautomatica lasciando che le sue dita danzassero imperterrite sui tasti bianchi e neri.
«Quella la stanno ancora cercando, Del Bosco e Campoporzio; si augurano di trovartela addosso, così resterebbe loro soltanto il compito di ammanettarti, tradurti nelle patrie galere per farti comparire davanti a un giudice: ma i loro auspici saranno soddisfatti solo a metà... Valkowskij sa bene che te la porti appresso ma ignora lo scopo per ilqualete lasei portata appresso anche questa volta: del resto, ti ha insegnato a usarla, fin troppo bene a mio parere, e mantenerla efficiente e il suo compito ha sempre pensato che fosse finito lì...» aggiunse il pianista ultraterreno avviandosi alla conclusione del brano.
Quando smise di suonare, la fissò puntando lo sguardo dritto nelle sue pupille e assumendo un'aria seria.
« Quelli, invece...Sì, quei due proiettili sono proprio quelli che tu hai regalato a me, tre giorni fa, in treno: dato che a me non servono più, te li restituisco e, mi raccomando, fanne buon uso... »
C'era amarezza e non sarcasmo, nella sua voce, ma la Signora non apprezzò né l'una né l'altro e puntò l'arma a braccia tese contro colui che sapeva troppo e poteva ancora romperle le uova nel paniere: Amedeo sapeva già come si sarebbe conclusa l'intera vicenda e assunse un'aria mesta, rassegnata alla cecità e alla miopia dei viventi. Le voleva ancora bene, nonostante tutto, così come ne voleva a chi aveva incrociato la sua rotta e ne aveva condiviso un tratto scambiando affetto, attenzione, sostegno reciproco ma che sarebbe rimasto a ricordarlo nella valle di lacrime. Se avesse potuto, l'avrebbe dissuasa dal mettere in atto il suo piano ma, nella terra di nessuno, quella cosa non era stata concessa nemmeno al figlio di Colui che Lassù Risiede quando aveva rinegoziato i patti fra i figli dell'uomo e il Padre suo.
«Ehi! Non li leggi i cartelli?» protestò Amedeo.
«Quali cartelli?!?!?» replicò stupita la Signora.
«Da qualche parte ne hanno messo uno grosso così che dice NON SPARATE SUL PIANISTA! TANTO E' GIA' MORTO!!»
Spalancò la giacca e mise in mostra la camicia con i due fori d'entrata ancora lordi di sangue, sul petto all'altezza dello sterno: tanto bastò perchè il terrore puro si impadronisse della donna che scaricò mezzo caricatore sulla serratura del cancello. Quest'ultimo non si fece un graffio ma si aprì ugualmente e la vide correre senza voltarsi lungo il vialetto, barcollare e incespicare sulla ghiaia, rialzarsi e seguitare a correre verso la strada trafficata. All'ultimo metro, cadde di nuovo e perse la pistola che volò tra una lavanda e un rosmarino mentre tentava di ammorbidire l'atterraggio sulla ghiaia, istintivamente, coi palmi aperti e le braccia pronte all'impatto. Si risvegliò sudata, ammaccata, stropicciata e bocconi sulla moquette della stanza di motel dove l'aveva deposta Dimitrij Nikolaevič dopo la bisboccia da Oscar e l'addio a Pavia.


(c) 2016 Testo di Claudio Montini tratto da IL DESTINO E' UN'AMANTE SENZA PIETA' StreetLib Selfpublishing 
(c) 2016 Immagine di Orazio Nullo per VideoKlaut66 

mercoledì 8 marzo 2017

Compleanno della Jena Sabauda: auguri da Zio Propano e tutta la redazione di Radio Patela!
















Insieme nella buona e nella cattiva sorte
Non è solo una frase di circostanza.
Ciascuno ha fatto la sua parte
Portando croci e spine con pazienza.
Entrambi abbiamo avuto doni non chiesti,
Pugnalate alle spalle e sorrisi sconosciuti,
Ma, per fortuna, anche amici che son rimasti
A consolarci e ad aiutarci quando siam caduti.
Non sei mai sola in questa salita lunga un anno:
Ci sono ancora io a dirti "Buon compleanno"!

(c) 2017 Testo di Claudio Montini ; immagini di Orazio Nullo

lunedì 6 marzo 2017

Costituzione della Repubblica Italiana - Articolo 14

ARTICOLO 14

Il domicilio è inviolabile.
Non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e nei modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela delle libertà personale.
Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali.

Testo tratto da "Costituzione della Repubblica Italiana" ed. 2011 distribuita da "La Provincia pavese" con il numero del 17 marzo 2011 festa dell'unità nazionale, della costituzione, dell'inno e della bandiera.
(c) 2015 Immagine di Orazio Nullo "Holiday's House" - Atelier des pixels collection

sabato 4 marzo 2017

Dalla cambusa di Zio Propano: Lumìe di Sicilia...


LUMIE DI SICILIA OVVERO
I BISCOTTI CICLOPE

di Zio Propano

In un momento di follia o fulminato da un lampo di genio, mentre stava cuocendo il riso all'inglese, secondo i dettami lasciati scritti dalla sua Jena Sabauda convinta che senza di lei lui morisse di fame (ma quando mai...!!), risotto però modificato a suo uso e consumo e piacere, lo Zio si è inventato biscottiere e ha messo in opera la seguente ricetta che, più che richiamare la memoria ai fasti del poema omerico, vuole rendere omaggio all'isola dai tre lati passata nei secoli da terra di grano a patria di agrumi e tante altre prelibatezze che danno lustro a una terra amata e negletta come un paradiso perduto. Premesso che zio Propano cucina per sè soltanto, che le dosi vanno ragionevolmente adattate al numero dei commensali, che mi sembrava inutile ricordarvelo (ma non si sa mai...), procuratevi:
  • 100 grammi di farina di grano tenero (00 o miscela di farina di grano tenero e semola rimacinata di grano duro, o quel che più vi aggrada...io ho adoperato la miscela)
  • 50 grammi di burro
  • 50 grammi di fecola di patate
  • 50 grammi di zucchero semolato bianco
  • 16 grammi di lievito per dolci (tanto ne contiene una bustina)
  • 1 bicchierino di vino Marsala secco (due dita in un bicchiere da tavola normale sono più che sufficienti: se vi sembra troppo...bevetevi l'eccedenza alla mia salute!)
  • 1 uovo di gallina intero (il guscio potete anche buttarlo: si amalgama davvero male...)
  • 1 arancia tarocco
  • un pizzico di sale
  • zucchero a velo quanto basta a guarnire
In una ciotola dai bordi alti (sì, quella che adoperate abitualmente per l'insalata va bene...è sufficiente che non sia grossa come la coppa Davis e nemmeno piccola come quella in cui versate il latte per il gatto di casa), versate e mescolate la farina, lo zucchero, la fecola, il sale senza liquidi; quindi unite il marsala, il burro, la scorza di limone grattugiata e l'uovo intero (niente guscio! Mi raccomando...) dandoci dentro con l'olio di gomito per amalgamare una massa omogenea, densa ma anche elastica, senza grumi. Lasciatela riposare in frigorifero per una mezz'oretta (a Zio Propano è servita per spazzolare via il risotto, al cane Leone basta molto meno....), quindi la distribuite su una teglia foderata con carta da forno mediante un cucchiaio da tavola (ben colmo) avendo cura di lasciare un po' di spazio tra una cucchiaiata e l'altra. Date una lavata all'arancia (la polvere, il lucidante con cui vengono immesse sul mercato, le manate che hanno preso...non si sa mai!), asciugatela con un panno e poi affettatela come se fosse un salame, mantenendo la buccia per ottenere dei bei dischi che deporrete sopra i mucchietti di impasto, una fetta per ciascuno, esercitando anche una lieve pressione; una spolveratina di cannella o di zucchero sulla fetta non è una idea da scartare, ma non è nemmeno obbligatoria: si scalda il forno a 175 °C e ci si infila la teglia per 13-14 minuti circa, a seconda delle caratteristiche del vostro forno e del vostro occhio sovrano e giudice ultimo. Lasciateli raffreddare fuori dal forno e poi spolverateli con lo zucchero a velo prima di servirli, a colazione o per dessert...per me pari sono! Buon appetito!!

© 2017 testo di Claudio Montini

© 2017 Foto di Orazio Nullo