Ci
vediamo per san Patrizio
di Claudio Montini
Il bollitore fischiò la fine del suo
lavoro come un'arbitro di linea, di solito, fa con gli americani che
mettono un'ombra di piede sulla riga di bordo campo oppure si
lanciano a canestro dopo un'infrazione di passi, immaginando di avere
tra le mani la testa dell'arbitro stesso e non la gonfia a spicchi
arancioni da schiacciare nell'anello perpendicolare al tabellone. Naturalmente senza appendersi perchè
questi ultimi hanno la spiacevole tendenza ad andare in frantumi,
come i cristalli delle automobili presi a sassate. Sollevò a malincuore lo sguardo dalla
pagina di SuperBasket che stava leggendo, anzi, mandando a memoria e
chiuse il gas; prese la tazza e il filtro con il the, cavò dalla
dispensa un barattolo nuovo di miele e la scatola dei biscotti di
riso; doveva solo aspettare che suonassero alla porta e si
accomodassero, ciascuno al suo posto, per poter portare in tavola
tutto il necessario per il loro rito ultradecennale. «Finchè andiamo e veniamo, nessuna paura..» «...con la democrazia!»
Aggiungeva prendendo i loro giubbotti, cappelli o giacche a vento. Erano
le loro parole d'ordine ed erano le sole cose che li legassero ancora
al paese da dove erano scappati per la disperazione tanti anni prima:
in cerca di fortuna, dissero a chi restava, in cerca di un'altra
vita, di benessere e amore senza paraocchi, pensarono
indipendentemente gli uni dagli altri. L'Europa
era zeppa di soldati e macerie e fantasmi viventi che, liberati dai
reticolati spinati ed elettrificati, non avevano più una casa o una
famiglia dove tornare perchè l'una era stata centrata da una bomba
piovuta dal cielo, l'altra vi era salita nascosta dalle volute del
fumo soffiato da una ciminiera. Loro
erano stati più fortunati, ne erano divenuti consapevoli solo
durante il viaggio verso il nuovo mondo; la nave carica di straccioni
ottimisti riportava a casa anche i soldati che li avevano liberati
dalla fabbrica sotterranea, dove erano stati internati dopo il
rastrellamento alla stazione ferroviaria. Niente
più versioni di greco o problemi di ragioneria o estimi di
fabbricati per i due anni successivi a quel giorno, ma ore e ore di
forgia, fucina, pressa e trapano o miscelatori e reattori di sostanze
aspre e nauseabonde e irritanti, valvole e tubi e serbatoi da
controllare, da montare, da riparare. Riposando
pochissimo, mangiando peggio e finendo spesso bersaglio delle
paturnie dei carcerieri; poi erano arrivati quegli americani
taciturni e curiosi allo spasimo, con il loro plotone di traduttori,
prolungando la prigionia ma rendendola meno disagevole: dalla
fraternizzazione con quei soldati dal cognome italiano, ma che
pensavano in inglese, cui avevano ripetuto fino alla nausea i
passaggi del lavoro che si faceva lì dentro, nacque l'idea di
cambiare aria se in Italia le cose non fossero ripartite col piede
giusto. Le
giornate avevano assunto un ritmo più umano e i pasti erano regolari
e abbondanti, anche se ogni occasione era buona per sentirsi
rivolgere domandi incalzanti; possibile che nessuno, fuori nel resto
del mondo, sapesse nulla di quanto era accaduto lì e che loro, i
liberatori, fossero capitati lì per caso? Poi,
un giorno d'estate forse, li portarono tutti fuori sul prato davanti
all'ingresso della grotta che ospitava la fabbrica: l'erba era
rigogliosa e se ne era andata anche un po' a spasso per i binari
della ferrovia che, partendo dal ventre della montagna, si perdeva
nella pianura fino alla linea dell'orizzonte; di là si vide un
pennacchio di fumo bianco avvicinarsi e farsi, via via, più palese
la sagoma di una vaporiera: un brivido di commossa felicità
attraversò le schiene di molti perchè, forse, era la volta buona
che si tornava a casa. Vennero
scaricati nuovi soldati e gru semoventi, oltre a vestiti e cibo, dal
treno che ripartì con quelli che non avevano accettato di fermarsi,
ancora qualche mese forse meno, a smontare e impacchettare quella
fabbrica che interessava tanto gli americani: ciò che li spinse a
restare era la possibilità di tornarsene da quella disavventura con
qualche soldo in tasca. Questa
era la spiegazione che lui, in particolare, aveva sempre dato a
chiunque l'avesse interrogato: dal primo passo compiuto sul suolo
patrio erano stati troppi, per i suoi gusti, a farlo e a guardarlo
con sospetto, come se fosse stato in villeggiatura e non in un campo
di lavoro coatto durante la guerra che aveva martoriato e diviso lo
stivale italico. La
colpa, se saper far da mangiare anche con niente può esserlo, era
stata di Saverio e Michele che convinsero il primo sergente O'Malley
a lasciarli lavorare alla cucina da campo che preparava i pasti per
truppa e civili aggregati: con le scatolette del suo zaino e di
alcuni uomini del suo plotone, il calabrese e il campano imbandirono
un pranzo di nozze per il generale che era capitato lì per
un'ispezione a sorpresa. Franklyn
Pertusi, il traduttore canadese, fece da mediatore e da garante per
loro due, a dire il vero, perchè a Boston gli italiani erano fumo
negli occhi per gli irlandesi e il sergente, da civile, aveva preso
più di una fregatura dai figli della terra di Dante e Virgilio e
anche qualche legnata: salomonicamente, Franklyn decretò che
O'Malley avrebbe controllato la cambusa e gli approvvigionamenti,
mentre i Dioscuri italici avrebbero avuto sovranità su pentole e
padelle, con la promessa di non avvelenarsi reciprocamente
l'esistenza. Saverio
e Michele sapevano farsi voler bene e, a poco a poco, penetrarono la
corazza e conquistarono il cuore di "zio Jimmy", come
presero a chiamarlo, fino al punto di insegnarli quelle quattro
parole di italiano che conoscevano in cambio dell'inglese necessario
a farsi capire dagli altri soldati, quando Pertusi non era a portata
di mano. Si
mangiava bene e si lavorava sodo, su due turni perchè la notte è
fatta per dormire, secondo l'opinione del colonnello Beardsley, così
come il the agevola la digestione, dopo pranzo e un buon wishky
concilia il sonno dopo cena. Se
le portatono da lì, quelle abitudini, per tutta la vita ed esse non
fecero altro che aumentare la nostalgia per quei giorni: gli
americani furono di parola, pagarono il dovuto e li portarono in
treno fino a Milano da dove si sarebbero poi dispersi per le
rispettive regioni, nelle contrade e nei borghi natali, mentre il
convoglio avrebbe proseguito per Genova a imbarcarsi tutto intero per
l'America. Questa
era quello che aveva ipotizzato lo stato maggiore del colonnello
Beardsley, ma non era quello che avevano in mente Michele e Saverio:
erano scappati dalla miseria e dalla fame già prima della guerra e
del rastrellamento che li aveva portati fin lassù in Germania,
mancavano da troppo tempo perchè non li pensassero periti lontano da
casa e, comunque, si erano ripromessi di non tornare per morire da
poveri. Ne
parlarono a lungo con Franklyn Pertusi, perchè lui non faceva altro
che decantare la magnificenza e la nobiltà del Canada rispetto alle
"colonie ribelli", giusto per stuzzicare il sergente
O'Malley che faceva spallucce e rispondeva alle provocazioni
affermando che, se fosse campato a lungo, le sue ossa le avrebbe
fatte sotterrare nella contea di Cork, nella verde Irlanda da cui erano andati via i suoi
vecchi. Franklyn
fece quello che avrebbe fatto anche in seguito, da politico: promise loro che ci avrebbe pensato su, disse di non preoccuparsi che la soluzione
c'era senz'altro ma che doveva vedere delle cose e delle persone,
distribuì sorrisi e pacche sulle spalle rassicuranti ma non strinse
mai mani. Chi
fece davvero il lavoro sporco e si dannò l'anima per tutti loro,
anche negli anni successivi, fu il sergente Seamus Patrick O'Malley;
Dio solo sa quanto ci tenesse ad essere chiamato così da irlandese
vero e fiero e non James come compariva sui documenti, che spesso si
dimenticavano del secondo nome: perchè se la pelle era a stelle e
strisce, il cuore era trifoglio di san Patrizio e tricolore di
Dublino, ostinato e generoso ma sempre pronto a rispettare la dignità
e a riconoscere il valore. Era
per lui che, ogni anno da quel maledetto giorno, da qualunque parte
dell'America o del mondo fossero andati a sbattere, si ritrovavano
tutti lì a casa sua a bere un the nel pomeriggio, poi andare al
cimitero a trovarlo e a prendersi una sbronza al circolo dei reduci
in fondo a Main Street, prima del porto, dopo aver cenato. Un
uomo è fortunato quando, nel bisogno e nella tribolazione, trova
un'amico che tende la mano e lo cava dai guai, senza che lui lo abbia
mai cercato e senza chiederti nulla: in tempi diversi per ciascuno,
loro avevano trovato O'Malley. Poi
aveva accompagnato anche i loro momenti belli, stando sempre in
seconda fila, sebbene loro lo considerassero uno di famiglia: mancava
a tutti e gli occhi si facevano lucidi lucidi quando, furtivamente,
guardavano in direzione del posto vuoto a tavola, quello dove
mettevano sempre la fotografia in cui sorrideva pregustando i giorni
della pensione. Fece
in tempo a goderne troppo pochi e non importa se, come seppero tempo
dopo dalla moglie, il cancro se lo sarebbe divorato in tre mesi: non
era giusto morire per mano di uno sbarbatello in crisi di astinenza,
dovevano lasciare che Saverio facesse a pezzi a suon di schiaffoni
quel cretinetti e Michele lo passasse al tritatutto per il pastone
che regalava al canile muncipale o ai gatti del quartiere. Ma
quella sera, a festeggiare il pensionamento di "zio Jimmy",
c'era anche Franklyn Pertusi che festeggiava la nomina ad
amabsciatore presso le Nazioni Unite per il Canada: non aveva perso
il vizio di andare in fuga per mettere alla prova i suoi apparati di
sicurezza; fu lui a chiamare la polizia, a fermare Saverio e a
costringerlo a salutare, come tutti gli altri senza piangere di
rabbia e di dispiacere, Seamus Patrick O'Malley che boccheggiava tra
le braccia della sua Rosalia Cadesana, per cui aveva preso legnate
dai fratelli di lei che non volevano un irlandese in famiglia ma,
tutt'al più, un'altro paisà. Prima
della tragedia, stava raccontando che lei lo aspettò per tutti gli
anni della guerra e, per evitare equivoci e ripensamenti delle
famiglie, durante una licenza dall'addestramento trascorsero due
giorni in un motel poco lontano dalla base, mentre Little Italy era
in subbuglio per la ragazza sparita nel nulla: una fuitina
in piena regola, spiegò il tenente canadese che lo difese davanti
all'improvvisata corte marziale, aggiungendo che avrebbe parlato lui
con la famiglia della ragazza, date le comuni origini italiane, per
concordare le nozze riparatrici. A
questo punto, imitando la voce e la postura del colonnello Beardsley,
Franklyn stava per ripetere la scena della sentenza ma la porta del
locale che andò in frantumi e la comparsa del ragazzo agitato che
brandiva una quarantacinque automatica, l'interruppero; O'Malley
portò isitintivamente la mano alla cintura, sul fianco dove aveva
sempre portato la sua trentotto a canna corta ma lei non c'era più:
era in pensione da una settimana e allora si alzò per far da scudo a
Rosalia e a Franklyn, giusto per trattare con l'invasore e prendere
tempo. Quello
gridò qualcosa mentre Saverio balzava da dietro il bancone del bar
per afferrargli il braccio armato e riempirlo di schiaffoni, ma lo
fece con pochi secondi di ritardo sugli spari che l'esagitato
esplose: due proiettili centrarono le bottiglie da collezione sulla
mensola che pendeva dal soffitto, ma uno entrò nello stomaco di
Seamus che accusò il colpo e si piego sulle ginocchia mentre Rosalia
lo abbracciava disperata. Pertusi
e il suo autista respinsero l'assalto dei complici del cretino
fermandoli sulla soglia e al volante del'auto con cui avrebbero
voluto fuggire: nessun testimone, sentenza eseguita come ai vecchi
tempi, così dissero al vice direttore del Bureau che si era messo in
persona a rintracciare il console di un paese straniero che girava
armato e senza scorta. La
polizia metropolitana non fece storie, anzi, era ben contenta di
lasciare tutto in mano ai federali, nonostante lo sceriffo in
pensione destinato alle grandi praterie del cielo fosse stato per un
quarto di secolo una delle sue colonne: si limitarono a presenziare
in alta uniforme al funerale. Ipocriti:
era la cosa più gentile che gli si affacciava nel cervello ogni
volta che ricordava quei momenti, oppure cerchiava sul calendario il
giorno di san Patrizio con un pennarello rosso. "Ci vediamo per san Patrizio, darling: e non portarmi lacrime, ma
fiori freschi e un bacio di quelli che solo tu sai dare, ok Rosie?" Seamus
Patrick O'Malley mise tutte quelle parole nell'ultimo fiato che
riuscì ad esalare prima di abbracciare tutti con lo sguardo, persino
il paramedico che cercava di tamponare la ferita, per spegnerlo con
un'espressione che fece smettere di piangere e ammutolì Saverio: era
come se gli avesse detto che non era colpa sua, che doveva andare
così e che la smettesse di fare l'italiano dal cuore di burro e
panna. Rosalia
Cadesana O'Malley, Rosie, fece del suo meglio per mettere in pratica l'ultimo
desiderio del suo uomo: fiori freschi tutte le settimane, portati e
sistemati di persona, ma nemmeno una lacrima quando era coi figli o
coi nipoti o con gli amici a ricordare questo o quell'episodio
vissuto insieme; bagnava il cuscino col suo dolore solo quando calava
il silenzio della notte, nel buio della camera da letto, orgogliosamente sola. Ma
il suo cuore resistette solo per trecentosessantacinque giorni: la
trovarono, prima i custodi del cimitero e poi Douglas, suo figlio,
abbracciata alla lapide la cui foto era imbrattata di rossetto, coi
fiori ancora stretti in mano. Doug
e Eileen non capirono molto, lì per lì, ma per lui fu tutto chiaro:
chiese loro solo due cose, se ci fossero tracce di rossetto sul marmo
o sulla fotografia e che giorno fosse; poi, spense il bollitore, mise
via il the e il miele, fece un paio di telefonate e si precipitò al
cimitero, precedendo di un soffio l'ambulanza. Eileen
O'Malley assistette all'autopsia e controfirmò il rapporto che
sanciva la morte di sua madre per crepacuore, un'anno dopo suo padre
nel giorno di san Patrizio. Franklyn
Pertusi apparve silenzioso come un fantasma e si offrì di dare una
mano nel sistemare tutto quel che c'era da fare in quei casi: per la
prima volta, lo vide stringere mani per trasmettere cordoglio o
qualcosa che gli assomigliasse. Erano
passati ormai vent'anni, ma il rito non era mai cambiato e nemmeno i
partecipanti: tenevano duro i vecchietti temprati dall'ultima guerra
mondiale del secolo breve. Quella
sera, dopo cena e la regolare sbronza, nella hall dell'albergo dove
era sceso dal suo immenso Canada, Franklyn Pertusi strinse le mani a
tutti loro facendosi promettere che si sarebbero rivisti a san
Patrizio. Molti
di loro pensarono che si fosse sbronzato troppo, alcuni sfregarono
ripetutamente il cornino rosso che tenevano da sempre in tasca, lui sorrise
come sembrava che facesse anche il santino del vescovo d'Irlanda che
teneva accanto alla foto dei figli e dei signori O'Malley, in un portafoglio distinto da quello delle carte di credito. Tra tutti, lui per primo, aveva
capito il messaggio di Pertusi: siamo prossimi al traguardo e, se
proprio dobbiamo scendere dal carrozzone, lasciamo un buon ricordo
dietro di noi e in chi resta, così non moriremo mai. Proprio come sosteneva Cicerone.
(c) 2015 Testo di Claudio Montini da CAMERE AMMOBILIATE PER VIAGGIATORI IMMAGINARI - Youcanprint selfpublishing
(c) 2017 Immagine di Orazio Nullo "Irish feast day"
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