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domenica 3 luglio 2016

Miccium - seconda puntata

MICCIUM: 
IL GATTO DELLA TELEVISIONE

SECONDA PUNTATA
di Claudio Montini



Lo sguardo radiografico del felino mi stava mettendo a disagio e allora richiusi anche quest'altra finestra sull'anima per non farmela rubare, convinto com'ero che fosse un incubo farmacologico, oppure perchè temevo che Belzebù in persona fosse venuto a prendermi: evidentemente i miei antenati già transitati dalle grandi praterie del cielo avevano di meglio da fare...No, no, no: quella era soltanto una vecchia leggenda che i nonni ripetevano il giorno di Ognissanti quando andavamo al cimitero cattolico di Brooklym e poi al La Guardia a vedere decollare i Boeing che sognavo di pilotare; mi ero fatto tutta una mia tabella di marcia: quegli enormi albatros di metallo erano la tappa intermedia verso le stelle perchè da grande sarei stato davanti alla consolle di una navicella spaziale, come quelle che si vedevano già nei telefilm di fantascienza sulla CBS.
Fortuna che la porta era socchiusa e quindi non venne, come al solito, abbattuta dall'imponente sposa di Cristo ma spalancata con relativo spostamento d'aria tale da chiudere la rivista che avevo lasciato sul tavolo telescopico, quello per i pazienti allettati come me; speravo che la folata cattolica avesse dissipato anche il fantasma di Miccium, il gatto che Tom tanto bene aveva descritto in quella che sarebbe stata la sua ultima notte da sembrare pure a me di vederlo gironzolare per la stanza e addormentarsi sul suo letto accanto alla montagnola dei piedi: suor Maria Betania non amava i gatti ma almeno li rispettava, forse perchè aveva letto un'articolo sul New England Journal of Medicine riguardo ad Oscar, il micio comparso in una corsia di un ospedale del Rhode Island che andava a fare visita ai pazienti prossimi all'ultimo lancio.
Se questo non fosse stato un nosocomio militare, non sarebbe stato una così brutta cosa avere una simile mascotte: avrebbe semplificato il lavoro dei cappellani della base o forse sarebbe stata soltanto l'ennesima cavia in una gabbia da laboratorio di ricerca incastonata tra le insenature della costa del Maine, sufficientemente lontana da occhi e orecchie indiscreti come il cosmodromo in cui imparammo ad andare e tornare dalla faccia nascosta della Luna.
«Qual buon vento di redenzione la porta, sorella Betania, da questa pecorella smarrita prossima al rendez-vous con il suo creatore?»
«La mia fama mi precede sempre...Lo so che mi chiamate sorella Agonia, tra di voi senza tonaca, senza vergogna nè timor di Dio: il velo e il voto di castità, la promessa fatta a Cristo, non ci rende mica sorde o ingenue e sprovvedute.»
Per la prima volta la vidi sorridere: fu il lampo di un istante di umanità, forse, o la momentanea sospensione della rassegnazione alla fine cui ero destinato; quando ancora ero in grado di reggermi sulle gambe, l'avevo sorpresa più d'una volta nella cappella cattolica a pregare singhiozzando per chiunque fosse terminato sul tavolo dell'obitorio prima di essere spedito ad Arlington o dove la famiglia avesse chiesto che riposasse, ammesso e non concesso che il malcapitato ne avesse una che ne reclamasse la salma, per piangerselo in santa pace lasciando la bandiera e le medaglie in fondo al più remoto cassetto del comò in camera da letto.
Tra i tanti che avevo corso in vita mia, quello mi era stato risparmiato: ero orfano di madre nubile come il protagonista di una struggente ballata di un musicista italiano che ascoltai quando ero di stanza a Napoli, per le selezioni di aspiranti astronauti militari; Tom aveva stabilito che dovevamo andare in pensione e addestrare una nuova squadra, lui era il comandante del programma, lui sapeva cosa ci sarebbe toccato in sorte ma non lo disse a nessuno: non lo biasimo, avrei fatto la stessa cosa.
«Tuttavia, questa volta non sono stata anticipata dalla mia nomea...Ah, ci sei anche tu? Era già tutto previsto, dunque...sia fatta la sua volontà.»
Lasciò il telecomando del televisore sul letto, a portata di mano, ma non diede evasione alcuna alla mia espressione da punto interrogativo disegnato in faccia, poichè eseguì un repentino dietrofront e scomparve dietro la porta senza fare rumore; indipendentemente dalla mia volontà, la testa si girò dalla parte opposta e i miei occhi inquadrarono, di nuovo, la causa scatenante della fuga di sorella Agonia: il gatto dal pelo scuro, quasi nero, con una grossa stella bianca sul petto e una più piccola che dal centro della fronte scendeva fino alla punta del naso, dando l'impressione che avesse una mascherina da Zorro sugli occhi, era esattamente dove lo avevo lasciato come se fosse una statua di sale, eccezion fatta per la coda che ora ondeggiava con voluttuosa soddisfazione, forse, per aver costretto alla precipitosa ritirata la sgranatrice di rosario.
- continua -

(c) 2016 testo inedito di Claudio Montini da un'idea di Silvio Curti
(c) 2016 immagine di Orazio Nullo "Television cat show"

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