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domenica 24 aprile 2016

Un'amicizia a muso duro da ASSENTARSI PER UNA MANCIATA DI MINUTI (Youcanprint 2012)

MESSAGGERIA ISTANTANEA:
 UN’AMICIZIA A MUSO DURO


di Claudio Montini
 
Da Sugar ray a Vento
Versiamoci ancora un bicchiere di ricordi, amico mio, da lasciare scendere per la gola a sciogliere il nodo di lacrime e rimpianti che ci toglie il fiato: sarà questo vino, fatto di parole e di immagini che ci sono state care, a trovare la strada giusta che ci riporterà ai sapori e ai suoni che hanno acceso la nostra comune passione. Un tempo eravamo artisti, ricordi? Inconsapevoli della nostra modestia, forse, ma orgogliosi di salire sulle assi di un qualsiasi palcoscenico e volare, coi suoni e con le parole, sulle teste dell’altra gente fingendo di regalare loro un’emozione, ma rubando la loro invidia e l’ammirazione per sfamare la nostra ambizione. Bastava così poco, del resto, per uscire dal cerchio di ferro delle abitudini consolidate: l’unico satellite che conoscevamo era la luna ed era gratis; gli elettroni lavoravano per noi ma solo per darci luce in casa e nelle strade; alla radio sognavamo ancora l’America e l’eccentrica ( e libertina ) Londra scimmiottandone vesti e gesta, non senza tralasciare di tormentare sei corde con accordi captati con poco orecchio e molto…….beh, ci siamo capiti, no? A onor del vero, a qualcuno di noi, madre natura qualche dote artistica l’aveva pure data e, coltivata nei dovuti modi, l’avrebbe magari anche portato lontano, via da quel nostro paese troppo quieto e disteso, senza sorprese, all’estrema periferia della storia e del sistema solare. Però, tu lo sai meglio di me, i sogni spesso non hanno soldi e la realtà quotidiana ti butta giù dal letto, se va bene coi piedi a terra, senza complimenti e tanti saluti all’arte! Via, via, palla lunga e pedalare finché fatica e vecchiaia non ti schiantino. Questa è la fine che abbiamo fatto tutti, quelli che sono restati e quelli che hanno provato a mettere radici altrove. Perché, allora, mi viene voglia di tornare a vedere se è cresciuto e se è cambiato, se finge di dormire e se rincorre il futuro che sta passando o invecchia annoiato? La risposta già la conosco ed è la stessa che si danno quelli che tornano solo per i funerali di un conoscente o, al principio di Novembre, vengono a salutare i sopravvissuti con la scusa di portare fiori e rispetto ai propri morti.

Da Vento a Sugar ray
No, non te la prendere a male,ma mi rifiuto persino di avvicinarlo alle labbra questo tuo bicchiere: non è vino quello che mi stai esibendo ma rancore stanco e stantio, nostalgia arrugginita e bolsi luoghi comuni, vetriolo scaduto di uno che ha paura di guardare avanti e scommettere sul futuro e crede di essere arrivato alla frutta, solamente perché la vita gli ha dato qualche schiaffo e gli ha abbattuto qualche torre delle cento che i suoi castelli in aria vantavano. Anch’io alla tua età, ma anche prima, mi sono fermato a fare la conta dei vivi e dei morti e a dare un’occhiata alle macerie, mi sono guardato intorno e mi sono spolverato la giacca, ho annusato l’aria e poi sono andato incontro al domani a testa alta perché, una volta a terra, se non scavi puoi solo risalire: alla fossa ci penseranno quelli che restano giacchè tu sei già là dove non si torna. In fondo, ne sono convinto, il nostro vivere quotidiano è come l’acqua per una macina di mulino: va dalla sorgente al mare e non è mai la stessa a bagnare e muovere la ruota che, a sua volta, gira sempre in avanti; i giorni passano sotto la macina e diventano farina e crusca che il mugnaio eterno divide per te e di cui ti chiederà conto a tempo debito.
Fei c’anduma e gnuma, mai pagura! Te la ricordi nona Carulina? Fino all’ultima volta che salì in paese a fare la spesa, a novanta e passa anni, a chi l’incontrava e gli domandava “ Come va, Carolina?” lei rispondeva, con fiero ottimismo, “ Finchè andiamo e veniamo, non c’è nulla da temere!” sottolineando il tutto con un luminosissimo sorriso in cui c’era più d’un dente latitante. Ora, io vivo in città e anche tu non vivi più al paese da tempo, anzi hai solo cambiato paese (mah, ancora mi domando il perché, dato che sei andato solo lontano…beh, sono comunque fatti tuoi): non apparteniamo più a quel posto, in senso fisico, siamo stranieri che vagheggiano un luogo che abbiamo edificato nella nostra memoria e può vivere solo lì, popolato di facce ed episodi che sono come l’acqua di quel mulino di cui ti dicevo prima, passata via verso il mare nebbioso e immenso dei ricordi e delle cose dimenticate. Ti concedo che, talvolta, accada che si comporti ugualmente a quello vero, in cui ami immergerti quindici giorni all’anno; le onde non smettono mai di rincorrersi e d’incontrare scogli e spiagge, ora infrangendosi spumeggiando, ora carezzando le rive lisciando sabbia e sassi, ora restituendo un frammento di realtà fino a prima disperso nella sua scura immensità. Io preferisco lasciarlo là dove si trova, è meglio scrutare l’orizzonte per vedere se arriva qualche vela nuova o solo nubi di burrasca: entrambe saranno al porto l’indomani.

Da Sugar ray a Vento
Sulla tua spalla è difficile piangere perché strappi la maschera che uno ha indosso e lo costringi a guardarsi dentro, senza sconti né remore; poi, l’aiuti a vedere con chiarezza e con semplicità i fatti della vita per quel che sono: così va a finire che una ragione per tornare a scrutar le stelle e che sia già domani, ti prende per mano e non ti molla più.
Però, scusa se insisto, stavolta la magia del vecchio saggio di città non funziona: le macerie dei miei sogni sono lievitate, diventano malinconia che zavorra l’anima e annerisce l’orizzonte. Allora, se il morale era sotto le scarpe, bastava uno di quei giri di accordi strani che cavavi dalla chitarra a farmi intonare una melodia, scritta solo nella mia testa e nelle mie orecchie, che rivestivo di parole solo per non farti smettere di suonare: proprio lì cominciava la magia perché quelle non si perdevano nell’aria come fumo di sigaretta, ma si depositavano in me, attecchivano in me e crescevano in me ridestando l’allegria e la convinzione di poter essere migliore di qualunque altro uomo comune. Sognavo, in realtà, che accadesse un miracolo, perché ancora ci credevo…

Da Vento a Sugar ray
Quale miracolo?

Da Sugar ray a Vento
Quello per cui un innocente passatempo artistico diventa un impegno a tempo pieno, un’attività con cui procurarsi di che vivere: fare ciò che più mi piace in modo tale che dia soddisfazione e piaccia ad altra gente, regalandogli una briciola di spensieratezza e una scintilla di speranza che incendi di nuovo entusiasmo il duro cammino quotidiano.

Da Vento a Sugar ray
Eccoci al punto, dunque! Tu quel miracolo lo stai ancora aspettando!! Ti contorci le budella e ti fai il sangue amaro perché il cielo, o chi per esso, non t’ha mai più dato alcun segno. Povero illuso, scendi giù dal pero che, via dalle nuvole e le stelle, non c’è altro che polvere di galassie già bruciate. Non credere che scoprire a quale bivio tu abbia sbagliato strada possa giovarti: l’uomo che sei diventato lo devi anche a quegli errori là; è chiaro che, ora, ne commetterai altri, sicuramente non quelli, ma tutto ciò lo scoprirai solo vivendo con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro.

Da Sugar ray a Vento
Come un guerriero senza patria e senza spada, canterò le mie canzoni per la strada... Se non avrò gli amici a farmi il coro, canterò a volti sconosciuti le nostre canzoni e le mie storie e, alla fine della strada, potrò dire che i miei giorni li ho vissuti.

Da Vento a Sugar ray
Bravo! Così il prossimo vino che mi offrirai sarà magari di carta e d’inchiostro, però sarà quello giusto che scalda il cuore e soffia via i veleni quotidiani.


(c) 2012 testo di Claudio Montini immagine Orazio Nullo
(c) 2012 Youcanprint edizioni in self-publishing for paperback edition 

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