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domenica 29 marzo 2015

Inventata, impastata, infornata...e mangiata!

FROLLINI ALLE MANDORLE
della Jena Sabauda




Ricetta originale inedita





La Jena Sabauda ha inventato per i lettori di Digito ciò che penso, i frollini alle mandorle che allieteranno i vostri palati ogni volta che avrete voglia di un dolce non impegnativo, facile da preparare e gustoso quanto mai!
Buon divertimento e buon appetito!


Ingredienti:

  • 100 grammi mandorle sgusciate
  • 400 grammi farina bianca di grano tenero 00
  • 250 grammi burro a temperatura ambiente
  • 100 grammi zucchero a velo
  • 150 grammi zucchero di canna oppure bianco semolato
  • 1 bustina di lievito per dolci
  • 2 uova intere ( tuorlo+albume )
  • Scorza di 1 limone grattugiata


Procedimento:


Tritare grossolanamente le mandorle sgusciate e unirla alla farina setacciata e disposta a fontana sul tagliere; unire, al centro, entrambi i tipi di zucchero, le uova e la scorza di limone grattugiata con il burro. Ora potete procedere ad impastare, con entusiasmo ed energia, fino ad ottenere un composto omogeneno e consistente che, in forma di palla, metterete in frigorifero per 30 minuti o in freezer per soli 10 minuti.
Trascorso questo tempo, utile a rassodare la pastafrolla, lavorate ancora una volta l'impasto prima di iniziare a porzionarlo per stenderlo con il mattarello: lo spessore non deve essere troppo sottile ma neanche superiore al centimetro, sono biscotti del resto....
Tagliate le strisce di pasta con il coltello in quadrotti di due dita per lato e stendeteli nelle teglie ricoperte di carta da forno.
Nel forno già caldo, proseguite la cottura a 180°C per circa 10 o12 minuti, a secondo del forno.
Una volta raffreddati, spolverateli con zucchero a velo...e mettete sul fuoco un bollitore per un buon the, se siete astemi: sennò anche un moscato spumante farà loro ottima compagnia.






Ricetta originale di Jena Sabauda
Fotografie di Orazio Nullo
Testo di Claudio Montini

© 2015

giovedì 26 marzo 2015

Poesia & poeti di gran classe: Roberta Preda - Radio Patela Magazine

Vassilij Kandinskij Movimento I°  1935

 

TI CERCHERÓ

  

di Roberta Preda 

 

 

 

commento di Claudio Montini         

                                       

Ti cercherò sempre.             
Giacomo Balla  Il pianeta Mercurio passa davanti al sole  1915
Ho lasciato che ti spegnessi
stella lucente,
noncurante ho vissuto i miei momenti
e quando ti ho cercata
ho scoperto la notte piú nera.
Ti cercherò ancora
nei fremiti di vita piú incerti
fra i vagiti sofferti nella terra
fertile e umile zolla.
Ti cercherò dentro
nei battiti sfuggiti a ogni controllo
precocemente ali di farfalla
posate dal gelo dell'alba
e che una mano
inconsapevolmente coglie
come fossero foglie
accartocciate e umide di fango.
Ti cercherò comunque e perché
nel mio profondo che si é fatto assenza
la vertigine del vuoto che mi nausea
mi spinge di nuovo alla partenza.


(c)   2015   Roberta Preda  



Non mi stanco di leggere e rileggere questi versi di Roberta Preda, poetessa che mi onora della sua amicizia, moglie e madre e medico e anima dall'incommensurabile grandezza, dolcezza e sensibilità.
Mi ritrovo in essi, rivedo la sequenza delle salite e delle discese e delle cadute della mia stessa vita;è come se, mettendo i suoi sentimenti sulla carta per non farli svanire negli affanni del quotidiano divenire, mi avesse regalato e regalasse a chiunque la legga, uno specchio per guardarsi dentro e trovare la forza e il coraggio di non arrendersi mai al dolore, alla fatica, allo sconforto.
Perchè la ricerca che Roberta esorta sè stessa e noi altri a fare è quella della speranza, della fiducia nella forza della vita che non si crea e non si distrugge ma si trasforma, del domani che non è un'altro giorno soltanto bensì è già oggi che ci viene incontro:  come un nuovo viaggio alla scoperta di un nuovo mondo, forse una nuova stella ( la scelta di Balla e Kandinskij per accompagnare le strofe non è casuale, grazie Orazio Nullo!), sicuramente un nuovo capitolo della nostra storia già scritta da quella mano che coglie ali di farfalla e foglie accartocciate.
Colgo l'occasione per ringraziare Roberta Preda per avermi concesso la pubblicazione e per avermi regalato, a suo tempo, le sue due raccolte TORRE DI BABELE e PRIMA DELLA CIMA (rispettivamente edite da LibroitalianoWorld nel 2002 e Il Filo nel 2007), che a breve, spero, saranno ripubblicate.

Claudio Montini   (c) 2015          impaginazione e immagini Orazio Nullo                                     








mercoledì 25 marzo 2015

I sogni son desideri, maestà...- Radio Patela Magazine

La cartolina della regina





Sono d'accordo con voi: è un pò presto oppure è un troppo tardi per parlare di San Lorenzo e della notte delle stelle cadenti, questione di punti di vista.
Ma, dal momento che gli auguri vengono da una così nobile e antica figura ( non me ne voglia, Sua Maestà, i suoi 1400 anni li porta benissimo, come una regina d'altri tempi...appunto: però son sempre quasi millequattrocento ), io li accetto senza remore perchè mio padre buon'anima mi ha insegnato che le sole cose da rifiutare sono i calci nel sedere, pugni e schiaffi si evitano, gli insulti vanno rispediti con arguzia al mittente.
Gli artisti, si sà, sono tutti un poco pazzarielli perchè tengono la macchina dei sogni sempre accesa e pronta a partire per un baleno qualsiasi che attraversi la mente: sono loro che hanno inventato il detto secondo il quale i sogni son desideri solo per giustificare i colori e i suoni e le suggestioni con cui paludano la realtà, la travestono e ce la fanno sembrare accettabile e bella anche per una manciata di minuti.
Questo era il compito di poeti, musicanti e saltimbanchi anche presso la vostra corte, o regina Teodolinda, a Pavia e, immagino, ne avrete trovati anche qui a Lomello dove siete fuggita per evitare di fare la stessa fine del vostro primo marito e accettarne un secondo, il duca Agilulfo da Torino.
Non avevate torme di insolenti giornalisti a piazzarvi microfoni sotto le regali labbra e stringervi d'assedio, per carpirvi mezze frasi da fraintendere e diffondere ad uso e consumo dei sobillatori del popolo, non certo per lasciarvi spiegare le ragioni ideali dei vostri gesti; chi lo ha fatto, Paolo Diacono con la sua Historia Langobardorum, è stato spinto dalla nostalgia per un'età perduta, per un mondo tramontato, per non guardare l'orizzonte degli eventi carico di nebbie e cupe nubi che scorgeva dal monastero in cui si era rifugiato, dopo essere stato funzionario e servitore del vostro regno travolto dalla Storia che non perdona i difetti congeniti di chi non si evolve da tribù a nazione.
Lui ha scritto e ricordato per consolarsi nei suoi ultimi anni; a Lomello, da anni, ricordiamo il vostro matrimonio e la festa che ne fece un'evento memorabile tanto che non si è mai persa nel popolo, che tanto amavate poichè tale missione era impressa nelle radici celtiche del vostro nome (theud, popolo e lind, scudo o protezione); io, invece, aspirante parolaio impiccione, sogno di potervi incontrare e domandare mille cose, chiedervi conto e ragione, impressioni e valutazioni riguardo a tutto il tempo che è passato e che frutti ha portato.
Qualcuno ha scritto che la storia è maestra di vita, qualche d'un'altro ha cantato che il futuro è un'ipotesi: io mi metto in mezzo perchè sono capace di sognare e vi aspetto nella piazza a voi dedicata a Lomello, in una notte d'estate.



Testo:  (c) 2015 Claudio Montini     Fotografia e grafica: (c) 2013 Orazio Nullo

martedì 24 marzo 2015

I tempi stanno per cambiare? c'è chi dice no...

Cittadino...il sindaco è la tua voce, il municipio è la tua casa!







Quelli che vedete, nella foto di Rossi Foto Studio, sono solo alcuni dei primi cittadini che in questi giorni sono saliti agli onori delle cronache per le manovre congiunte che hanno condotto in difesa dei territori che amministrano, in nome e per conto anche di coloro che non li hanno votati.
Di solito, si usa quell'espressione riferendosi a esercitazioni militari tra forze armate di diversa nazionalità in finti teatri di guerra, in omaggio al detto cesariano si vis pacem, para bellum (se vuoi la pace prepara la guerra); in questo caso, l'unione e il cooordinamento, il contatto costante e la comunicazione reciproca hanno contribuito al fatto che hai piani alti della politica amministrativa la loro voce venisse ascoltata e gli ennesimi soprusi alle nostre terre, già marginali e ingiustamente emarginate dai grandi circuiti decisionali e produttivi dell'Italia, fossero perpetrati in un'atmosfera di ovattato e omertoso e rassegnato silenzio.
La loro ferma e civile protesta contro i tagli incomprensibili agli uffici postali nei piccoli agglomerati, prevista dal mangement di Poste Italiane e da esso considerato inderogabile, ha svegliato anche la giunta regionale lombarda la quale, appoggiando le rimostranze dei sindaci, non ha più potuto tacere e ha indotto Poste Italiane a sospendere il piano in attesa di una revisione dello stesso: attenti, però, perchè la storia insegna che è solo una apparente ritirata, in vista di un'attacco a sorpresa.
La pressochè totale opposizione al progetto dell'autostrada Broni-Mortara, i cui progettisti per poter far approvare la valutazione di impatto ambientale sarebbero pronti a togliere due caselli, tra cui proprio quello di Mortara ( ma allora a cosa serve? Tanto varrebbe non cominciarla neppure..), sta per far incassare l'ennesima bocciatura al progetto.
Il pressing continuo, stavolta con l'appoggio dell'Amministrazione Provinciale prossima all'ultimo respiro, contro il piano cave regionale e il parallelo ( ma nemmeno tanto ) piano discariche per rifiuti speciali ha raggiunto un risultato di rilievo in questi giorni quando sono riusciti a far approdare in Giunta Regionale Lombarda un documento redatto e sottoscritto da tutti loro, in cui hanno sottolineato l'urgenza di procedere alla discussione della mozione, presentata da Lega Nord; per bloccare le discarice di cemento amianto e, comunque, la loro regolamentazione secondo le nuove ( e più stringenti, immagino) norme regionali recentemente entrate in vigore.
A detta di Michele Pini, sindaco di Cava Manara, un esempio di politica che ama e ascolta il proprio territorio; io mi permetto di spingermi oltre: un bell'esempio di nuova politica, di nuovo modo di intendere la democrazia (quello più genuino), un nuovo modo di essere amministratori di un territorio e non piccoli burocrati o esecutori passivi e rassegnati di decisioni calate dall'alto, oppure miopi coltivatori della propria aiuola gaudenti del fatto che la grana sia toccata ad altri.
Da questa rinnovata sinergia tra esseri pensanti può e deve passare la ricostruzione di questo Stato, di questa Italia che tutti dicono di amare; ai piani alti della politica dovranno rendersi conto che, se non voglio essere seppelliti dalle loro stesse macerie, dovranno prendere esempio dalle proprie fondamenta che da sole stanno già rigenerandosi.


(c)  2015    Claudio Montini

domenica 22 marzo 2015

La focaccia pugliese si veste da pizza - Radio Patela Magazine

Jena Sabauda  2      Routine              0

ovvero....la focaccia si traveste da pizza!

 

Testo di Claudio Montini

 Foto di Orazio Nullo 

 

 

 

 

 

 

Avete provato a fare la focaccia pugliese, secondo la ricetta che la Jena Sabauda ci ha dato il 15 marzo scorso? No? Peggio per voi: non sapete che bontà vi siete persi!
Comunque sia, oggi la Jena suggerisce una variante alla guarnizione della base della focaccia per regalarvi ancora una soluzione per il diuturno ed endemico problema del "cosa metto di buono in tavola, tanto per cambiare" .
Si tratta di travesformare la focaccia pugliese in una pizza...alla Jena Sabauda! 
Gli ingredienti sono tutti quelli della ricetta del 15 marzo (tranquilli, poi ve li riporto pari pari così non fate confusione), cui vanno aggiunti passato di pomodoro, mozzarella e gorgonzola stagionato (non quello cremoso, ma quello forte e bello verde, dal sapore sapido e deciso); la procedura e i tempi di cottura sono, più o meno i medesimi: se non che, si divide in due parti l'impasto e si adopera una teglia bassa (come vedete nella foto, teglia da 40 centimetri) e non una tortiera a nastro (quella a fascia laterale con la leva di chiusura e il fondo metallico separabile) .

per la base:
  • 250 grammi di farina di grano tenero 00
  • 250 grammi di semola di grano duro
(in alternativa: 500 grammi di farina di grano tenero per pizza, tipo 0)
  • 300 millilitri di acqua
  • 150 grammi di patate lessate (1 patata media va bene)
  • mezzo cucchiaio da tavola di sale (1 cucchiaio da the è meglio )
  • 4 cucchiai da tavola di olio extravergine di oliva
  • 15 grammi di lievito di birra (o lievito madre essiccato)

per la guarnizione:
  • 250 grammi di pomodorini ciliegini
  • olive denocciolate a piacere (100 grammi circa, anche meno)
  • origano 
  • sale quanto basta
  • olio quanto basta
  • 4 cucchiai da tavola di passata di pomodoro
  • una mozzarella sminuzzata a mano  (60 grammi circa)  q.b.
  •  gorgonzola stagionato forte in tocchetti  (60 gr circa)  q.b

In una ciotola amalgamate le due farine (se ne adoperate una sola basta che versiate la farina nella ciotola), unite le patate lessate passate nello schiaccia patate, unite l'acqua e il lievito sciolto in acqua tiepida, una parte del sale e iniziate a impastare; aggiungete il resto dell'acqua, del sale e l'olio extravergine e seguitate a impastare fino a ottenere una palla morbida e un tantinello appiccicosa: niente paura, va bene così!
A questo punto, lasciatela riposare nella ciotola per 2 ore coprendo con un canovaccio umido; l'impasto lieviterà e aumenterà il suo volume, quindi lavoratelo ancora una volta con le mani e poi dividete in due la pagnotta ottenuta: così ne avrete una da usare subito e una di scorta per un'altra volta.
Spianate e allargate sul tagliere la pasta che adoperate, ungete una teglia con olio d'oliva extravergine e fatecela accomodare, stendendola e distribuendola in maniera omogenea: più la teglia è larga e meglio è perchè si assottiglia la pasta.
Stendete sulla superficie la passata di pomodoro; poi, tagliate i pomodorini a metà e, già che ci siete, sminuzzate le olive verdi grossolanamente: quindi posateli sulla superficie della focaccia premendoli per farli aderire, spolverate con le olive sminuzzate, condite con origano come se piovesse e aspettate ancora 30 minuti per una ulteriore lievitazione, anche di più va bene.
Trascorso questo tempo, distribuite, tra pomodorini e olive, i tocchetti di mozzarella e di gorgonzola; aggiustate di sale (solo una lieve spolverata: la sapidità la darà il gorgonzola stagionato) e fate un giro d'olio d'oliva quindi infilate la vostra teglia in forno già caldo, a 200 °C circa, per 20 minuti circa (è più sottile, ricordate?)
Date un'occhiata e se vi par pronta (non carbonizzata, mi raccomando) servite in tavola.
 
Buon appetito dalla redazione di Radio Patela Magazine, da Claudio, Orazio e La Jena Sabauda
 
Testo: (c) 2015 Claudio Montini  Foto:(c) 2015 Orazio Nullo  

giovedì 19 marzo 2015

S.Giuseppe non è più festivo, non c'è la Milano-Sanremo ma...

Celle Ligure 1968

E' comunque la festa del papà!





di Claudio Montini 

 







Un figlio, o una figlia, è un'estraneo che ti arriva in casa, incapace e indifeso ma forte da suscitare energie e sogni e pensieri che non avresti mai creduto di elaborare; un cucciolo misterioso e curioso che trovi giusto svezzare e crescere e addestrare: ti vuole imitare, ti vuole somigliare, ti vuole superare e lo farà senz'altro, così come ti contesterà e ti detesterà solo perchè brucerà le sue ali e le sue energie perchè tu possa additarlo con orgoglio, perchè tu possa riposare, un giorno lontanissimo per entrambi, il sonno dei giusti e dire a chi ti dovrà giudicare: " Gli ho lasciato le mie orme perchè ami e segua strade oneste, ho lasciato la sua mano perchè potesse rialzarsi da solo, scrollarsi la polvere di dosso e, con la fronte al sole, ricominciare a camminare senza paure o rimpianti. Che sia uomo o sia donna, gli ho insegnato che sulla dignità non ci sono sconti. "
Livorno, 1985
Per colpa o per destino, dirimerò la questione altrove, a me non è toccata questa meravigliosa complicazione dell'esistenza, pertanto non ho nulla da festeggiare, non ho cravatte o dopobarba o cinture da collezionare: ma ti ricordo con immutato affetto, così come ricordo quelle ultime parole mentre lottavi per non morire (sono stato l'unico, di noi tre fratelli e una sorella, a godere di questo "privilegio" quasi trent'anni fa).
Ricordo tutto, o quasi, e mi fa male come solo la nostalgia sa fare; perciò, ovunque tu sia, so che mi ascolti e mi vedi e stai cacciando indietro i goccioloni dagli occhi, tirando fuori il fumo di una marlboro per non farti vedere: quindi, auguri Carlo, detto Carletto, mio per sempre papà!



testo: (c) 2015   Claudio Montini    
foto:  
(c) 1968  Elda Callegari, 
(c) 1985 Roberto Montini   

lunedì 16 marzo 2015

Omaggio ai lettori del blog: un racconto inedito dal prossimo libro

Ci vediamo per San Patrizio

 

Racconto tratto dalla nuova raccolta inedita

CAMERE AMMOBILIATE PER 

VIAGGIATORI IMMAGINARI 

 

 

DI CLAUDIO MONTINI         FOTO DI  AUGUSTA BELLONI (c) 2014





Il bollitore fischiò la fine del suo lavoro come un'arbitro di linea, di solito, fa con gli americani che mettono un'ombra di piede sulla riga di bordo campo oppure si lanciano a canestro dopo un'infrazione di passi, immaginando di avere tra le mani la testa dell'arbitro stesso e non la gonfia a spicchi arancioni da schiacciare nell'anello perpendicolare al tabellone.
Naturalmente senza appendersi perchè questi ultimi hanno la spiacevole tendenza ad andare in frantumi, come i cristalli delle automobili presi a sassate.
Sollevò a malincuore lo sguardo dalla pagina di SuperBasket che stava leggendo, anzi, mandando a memoria e chiuse il gas; prese la tazza e il filtro con il the, cavò dalla dispensa un barattolo nuovo di miele e la scatola dei biscotti di riso; doveva solo aspettare che suonassero alla porta e si accomodassero, ciascuno al suo posto, per poter portare in tavola tutto il necessario per il loro rito ultradecennale.
« Finchè andiamo e veniamo, nessuna paura..»
« ... con la democrazia!» Aggiungeva prendendo i loro giubbotti, cappelli o giacche a vento.
Erano le loro parole d'ordine ed erano le sole cose che li legassero ancora al paese da dove erano scappati per la disperazione tanti anni prima: in cerca di fortuna, dissero a chi restava, in cerca di un'altra vita, di benessere e amore senza paraocchi, pensarono indipendentemente gli uni dagli altri.
L'Europa era zeppa di soldati e macerie e fantasmi viventi che, liberati dai reticolati spinati ed elettrificati, non avevano più una casa o una famiglia dove tornare perchè l'una era stata centrata da una bomba piovuta dal cielo, l'altra vi era salita nascosta dalle volute del fumo soffiato da una ciminiera.
Loro erano stati più fortunati, ne erano divenuti consapevoli solo durante il viaggio verso il nuovo mondo; la nave carica di straccioni ottimisti riportava a casa anche i soldati che li avevano liberati dalla fabbrica sotterranea, dove erano stati internati dopo il rastrellamento alla stazione ferroviaria.
Niente più versioni di greco o problemi di ragioneria o estimi di fabbricati per i due anni successivi a quel giorno, ma ore e ore di forgia, fucina, pressa e trapano o miscelatori e reattori di sostanze aspre e nauseabonde e irritanti, valvole e tubi e serbatoi da controllare, da montare, da riparare.
Riposando pochissimo, mangiando peggio e finendo spesso bersaglio delle paturnie dei carcerieri; poi erano arrivati quegli americani taciturni e curiosi allo spasimo, con il loro plotone di traduttori, prolungando la prigionia ma rendendola meno disagevole: dalla fraternizzazione con quei soldati dal cognome italiano, ma che pensavano in inglese, cui avevano ripetuto fino alla nausea i passaggi del lavoro che si faceva lì dentro, nacque l'idea di cambiare aria se in Italia le cose non fossero ripartite col piede giusto.
Le giornate avevano assunto un ritmo più umano e i pasti erano regolari e abbondanti, anche se ogni occasione era buona per sentirsi rivolgere domandi incalzanti; possibile che nessuno, fuori nel resto del mondo, sapesse nulla di quanto era accaduto lì e che loro, i liberatori, fossero capitati lì per caso?
Poi, un giorno d'estate forse, li portarono tutti fuori sul prato davanti all'ingresso della grotta che ospitava la fabbrica: l'erba era rigogliosa e se ne era andata anche un po' a spasso per i binari della ferrovia che, partendo dal ventre della montagna, si perdeva nella pianura fino alla linea dell'orizzonte; di là si vide un pennacchio di fumo bianco avvicinarsi e farsi, via via, più palese la sagoma di una vaporiera: un brivido di commossa felicità attraversò le schiene di molti perchè, forse, era la volta buona che si tornava a casa.
Vennero scaricati nuovi soldati e gru semoventi, oltre a vestiti e cibo, dal treno che ripartì con quelli che non avevano accettato di fermarsi, ancora qualche mese forse meno, a smontare e impacchettare quella fabbrica che interessava tanto gli americani: ciò che li spinse a restare era la possibilità di tornarsene da quella disavventura con qualche soldo in tasca.
Questa era la spiegazione che lui, in particolare, aveva sempre dato a chiunque l'avesse interrogato: dal primo passo compiuto sul suolo patrio erano stati troppi, per i suoi gusti, a farlo e a guardarlo con sospetto, come se fosse stato in villeggiatura e non in un campo di lavoro coatto durante la guerra che aveva martoriato e diviso lo stivale italico.
La colpa, se saper far da mangiare anche con niente può esserlo, era stata di Saverio e Michele che convinsero il primo sergente O'Malley a lasciarli lavorare alla cucina da campo che preparava i pasti per truppa e civili aggregati: con le scatolette del suo zaino e di alcuni uomini del suo plotone, il calabrese e il campano imbandirono un pranzo di nozze per il generale che era capitato lì per un'ispezione a sorpresa.
Franklyn Pertusi, il traduttore canadese, fece da mediatore e da garante per loro due, a dire il vero, perchè a Boston gli italiani erano fumo negli occhi per gli irlandesi e il sergente, da civile, aveva preso più di una fregatura dai figli della terra di Dante e Virgilio e anche qualche legnata: salomonicamente, Franklyn decretò che O'Malley avrebbe controllato la cambusa e gli approvvigionamenti, mentre i Dioscuri italici avrebbero avuto sovranità su pentole e padelle, con la promessa di non avvelenarsi reciprocamente l'esistenza.
Saverio e Michele sapevano farsi voler bene e, a poco a poco, penetrarono la corazza e conquistarono il cuore di "zio Jimmy", come presero a chiamarlo, fino al punto di insegnarli quelle quattro parole di italiano che conoscevano in cambio dell'inglese necessario a farsi capire dagli altri soldati, quando Pertusi non era a portata di mano.
Si mangiava bene e si lavorava sodo, su due turni perchè la notte è fatta per dormire, secondo l'opinione del colonnello Beardsley, così come il the agevola la digestione, dopo pranzo e un buon wishky concilia il sonno dopo cena.
Se le portatono da lì, quelle abitudini, per tutta la vita ed esse non fecero altro che aumentare la nostalgia per quei giorni: gli americani furono di parola, pagarono il dovuto e li portarono in treno fino a Milano da dove si sarebbero poi dispersi per le rispettive regioni, nelle contrade e nei borghi natali, mentre il convoglio avrebbe proseguito per Genova a imbarcarsi tutto intero per l'America.
Questa era quello che aveva ipotizzato lo stato maggiore del colonnello Beardsley, ma non era quello che avevano in mente Michele e Saverio: erano scappati dalla miseria e dalla fame già prima della guerra e del rastrellamento che li aveva portati fin lassù in Germania, mancavano da troppo tempo perchè non li pensassero periti lontano da casa e, comunque, si erano ripromessi di non tornare per morire da poveri.
Ne parlarono a lungo con Franklyn Pertusi, perchè lui non faceva altro che decantare la magnificenza e la nobiltà del Canada rispetto alle "colonie ribelli", giusto per stuzzicare il sergente O'Malley che faceva spallucce e rispondeva alle provocazioni affermando che, se fosse campato a lungo, le sue ossa le avrebbe fatte sotterrare nella contea di Cork da cui erano andati via i suoi vecchi.
Franklyn fece quello che avrebbe fatto anche in seguito, da politico: promise che ci avrebbe pensato su, disse di non preoccuparsi che la soluzione c'era senz'altro ma che doveva vedere delle cose e delle persone, distribuì sorrisi e pacche sulle spalle rassicuranti ma non strinse mai mani.
Chi fece davvero il lavoro sporco e si dannò l'anima per tutti loro, anche negli anni successivi, fu il sergente Seamus Patrick O'Malley; Dio solo sa quanto ci tenesse ad essere chiamato così da irlandese vero e fiero e non James come compariva sui documenti, che spesso si dimenticavano del secondo nome: perchè se la pelle era a stelle e strisce, il cuore era trifoglio di san Patrizio e tricolore di Dublino, ostinato e generoso ma sempre pronto a rispettare la dignità e a riconoscere il valore.
Era per lui che, ogni anno da quel maledetto giorno, da qualunque parte dell'America o del mondo fossero andati a sbattere, si ritrovavano tutti lì a casa sua a bere un the nel pomeriggio, poi andare al cimitero a trovarlo e a prendersi una sbronza al circolo dei reduci in fondo a Main Street, prima del porto, dopo aver cenato.
Un uomo è fortunato quando, nel bisogno e nella tribolazione, trova un'amico che tende la mano e lo cava dai guai, senza che lui lo abbia mai cercato e senza chiederti nulla: in tempi diversi per ciascuno, loro avevano trovato O'Malley.
Poi aveva accompagnato anche i loro momenti belli, stando sempre in seconda fila, sebbene loro lo considerassero uno di famiglia: mancava a tutti e gli occhi si facevano lucidi lucidi quando, furtivamente, guardavano in direzione del posto vuoto a tavola, quello dove mettevano sempre la fotografia in cui sorrideva pregustando i giorni della pensione.
Fece in tempo a goderne troppo pochi e non importa se, come seppero tempo dopo dalla moglie, il cancro se lo sarebbe divorato in tre mesi: non era giusto morire per mano di uno sbarbatello in crisi di astinenza, dovevano lasciare che Saverio facesse a pezzi a suon di schiaffoni quel cretinetti e Michele lo passasse al tritatutto per il pastone che regalava al canile muncipale o ai gatti del quartiere.
Ma quella sera, a festeggiare il pensionamento di "zio Jimmy", c'era anche Franklyn Pertusi che festeggiava la nomina ad amabsciatore presso le Nazioni Unite per il Canada: non aveva perso il vizio di andare in fuga per mettere alla prova i suoi apparati di sicurezza; fu lui a chiamare la polizia, a fermare Saverio e a costringerlo a salutare, come tutti gli altri senza piangere di rabbia e di dispiacere, Seamus Patrick O'Malley che boccheggiava tra le braccia della sua Rosalia Cadesana, per cui aveva preso legnate dai fratelli di lei che non volevano un irlandese in famiglia ma, tutt'al più, un'altro paisà.
Prima della tragedia, stava raccontando che lei lo aspettò per tutti gli anni della guerra e, per evitare equivoci e ripensamenti delle famiglie, durante una licenza dall'addestramento trascorsero due giorni in un motel poco lontano dalla base, mentre Little Italy era in subbuglio per la ragazza sparita nel nulla: una fuitina in piena regola, spiegò il tenente canadese che lo difese davanti all'improvvisata corte marziale, aggiungendo che avrebbe parlato lui con la famiglia della ragazza, date le comuni origini italiane, per concordare le nozze riparatrici.
A questo punto, imitando la voce e la postura del colonnello Beardsley, Franklyn stava per ripetere la scena della sentenza ma la porta del locale che andò in frantumi e la comparsa del ragazzo agitato che brandiva una quarantacinque automatica, l'interruppero; O'Malley portò isitintivamente la mano alla cintura, sul fianco dove aveva sempre portato la sua trentotto a canna corta ma lei non c'era più: era in pensione da una settimana e allora si alzò per far da scudo a Rosalia e a Franklyn, giusto per trattare con l'invasore e prendere tempo.
Quello gridò qualcosa mentre Saverio balzava da dietro il bancone del bar per afferrargli il braccio armato e riempirlo di schiaffoni, ma lo fece con pochi secondi di ritardo sugli spari che l'esagitato esplose: due proiettili centrarono le bottiglie da collezione sulla mensola che pendeva dal soffitto, ma uno entrò nello stomaco di Seamus che accusò il colpo e si piego sulle ginocchia mentre Rosalia lo abbracciava disperata.
Pertusi e il suo autista respinsero l'assalto dei complici del cretino fermandoli sulla soglia e al volante del'auto con cui avrebbero voluto fuggire: nessun testimone, sentenza eseguita come ai vecchi tempi, così dissero al vice direttore del Bureau che si era messo in persona a rintracciare il console di un paese straniero che girava armato e senza scorta.
La polizia metropolitana non fece storie, anzi, era ben contenta di lasciare tutto in mano ai federali, nonostante lo sceriffo in pensione destinato alle grandi praterie del cielo fosse stato per un quarto di secolo una delle sue colonne: si limitarono a presenziare in alta uniforme al funerale.
Ipocriti: era la cosa più gentile che gli si affacciava nel cervello ogni volta che ricordava quei momenti, oppure cerchiava sul calendario il giorno di san Patrizio con un pennarello rosso.
<< Ci vediamo per san Patrizio, darling: e non portarmi lacrime, ma fiori freschi e un bacio di quelli che solo tu sai dare, ok? >>
Seamus Patrick O'Malley mise tutte quelle parole nell'ultimo fiato che riuscì ad esalare prima di abbracciare tutti con lo sguardo, persino il paramedico che cercava di tamponare la ferita, per spegnerlo con un'espressione che fece smettere di piangere e ammutolì Saverio: era come se gli avesse detto che non era colpa sua, che doveva andare così e che la smettesse di fare l'italiano dal cuore di burro e panna.
Rosalia Cadesana O'Malley fece del suo meglio per mettere in pratica l'ultimo desiderio del suo uomo: fiori freschi tutte le settimane, portati e sistemati di persona, ma nemmeno una lacrima quando era coi figli o coi nipoti o con gli amici a ricordare questo o quell'episodio vissuto insieme; bagnava il cuscino col suo dolore solo quando calava il silenzio della notte, nel buio della camera da letto.
Ma il suo cuore resistette solo per trecentosessantacinque giorni: la trovarono, prima i custodi del cimitero e poi Douglas suo figlio, abbracciata alla lapide la cui foto era imbrattata di rossetto, coi fiori ancora stretti in mano.
Doug e Eileen non capirono molto, lì per lì, ma per lui fu tutto chiaro: chiese loro solo due cose, se ci fossero tracce di rossetto sul marmo o sulla fotografia e che giorno fosse; poi, spense il bollitore, mise via il the e il miele, fece un paio di telefonate e si precipitò al cimitero, precedendo di un soffio l'ambulanza.
Eileen O'Malley assistette all'autopsia e controfirmò il rapporto che sanciva la morte di sua madre per crepacuore, un'anno dopo suo padre nel giorno di san Patrizio.
Franklyn Pertusi apparve silenzioso come un fantasma e si offrì di dare una mano nel sistemare tutto quel che c'era da fare in quei casi: per la prima volta, lo vide stringere mani per trasmettere cordoglio o qualcosa che gli assomigliasse.
Erano passati ormai vent'anni, ma il rito non era mai cambiato e nemmeno i partecipanti: tenevano duro i vecchietti temprati dall'ultima guerra mondiale del secolo breve.
Quella sera, dopo cena e la regolare sbronza, nella hall dell'albergo dove era sceso dal suo immenso Canada, Franklyn Pertusi strinse le mani a tutti loro facendosi promettere che si sarebbero rivisti a san Patrizio.
Molti di loro pensarono che si fosse sbronzato troppo, alcuni sfregarono ripetutamente il cornino rosso che tenevano in tasca, lui sorrise come sembrava che facesse anche il santino del vescovo d'Irlanda che teneva accanto alla foto dei figli e dei signori O'Malley.
Aveva capito il messaggio di Pertusi: siamo prossimi al traguardo e, se proprio dobbiamo scendere dal carrozzone, lasciamo un buon ricordo dietro di noi e in chi resta, così non moriremo mai.

domenica 15 marzo 2015

Le ricette della Jena Sabauda: focaccia pugliese -Radio Patela Magazine


La Jena Sabauda e la focaccia pugliese

Quella che vedete è la focaccia pugliese secondo la Jena Sabauda, che ama i pomodori e le olive per dare maggiore sapidità.
La presenta in una tortiera, ma vi assicuro che l'ha già fatta anche in una teglia rettangolare e il risultato è stato comunque eccellente, la sofficità e il gusto si sono mantenuti anche se è risultato uno spessore più basso: infatti, i più golosi potrebbero tagliarla longitudinalmente, come si fa col pan di spagna, e farcirla a piacere (formaggio, prosciutto, acciughe....) avendo l'accortezza di farla rinvenire una manciata di secondi, al massimo un minuto, nel forno a microonde.
Bando alle ciance, ecco gli ingredienti per 6 persone:

per la base:
  • 250 grammi di farina di grano tenero 00
  • 250 grammi di semola di grano duro
(in alternativa: 500 grammi di farina di grano tenero per pizza, tipo 0)
  • 300 millilitri di acqua
  • 150 grammi di patate lessate (1 patata media va bene)
  • mezzo cucchiaio da tavola di sale (1 cucchiaio da the è meglio )
  • 4 cucchiai da tavola di olio extravergine di oliva
  • 15 grammi di lievito di birra (o lievito madre essiccato)

per la guarnizione:
  • 250 grammi di pomodorini ciliegini
  • olive denocciolate a piacere (100 grammi circa, anche meno)
  • origano 
  • sale quanto basta
  • olio quanto basta 

In una ciotola amalgamate le due farine (se ne adoperate una sola basta che versiate la farina nella ciotola), unite le patate lessate passate nello schiaccia patate, unite l'acqua e il lievito sciolto in acqua tiepida, una parte del sale e iniziate a impastare; aggiungete il resto dell'acqua, del sale e l'olio extravergine e seguitate a ipastare fino a ottenere una palla morbida e un tantinello appiccicosa: niente paura, va bene così!
A questo punto, lasciatela riposare nella ciotola per 2 ore coprendo con un canovaccio umido: l'impasto lieviterà e aumenterà il suo volume...un po' come fare la pizza in casa!
Trascorso questo tempo, ungete una teglia con olio d'oliva extravergine e fateci accomodare la pasta, stendendola e distribuendola in maniera omogenea; adesso tagliate i pomodorini a metà e, già che ci siete, sminuzzate le olive verdi grossolanamente: quindi posateli sulla superficie della focaccia premendoli per farli aderire alla pasta, spolverate con le olive sminuzzate fino a occupare gli spazi tra un pomodorino e l'altro, condite con origano come se piovesse e sale e olio.
Aspettate ancora 30 minuti per una ulteriore lievitazione, quindi infilate la vostra teglia in forno già caldo, a 200 °C circa, per 25 minuti circa.
Prima di servirla, lasciatela intiepidire per una manciata di minuti e....  
BUON APPETITO!!
 

 

Testo: Claudio Montini    Foto: Orazio Nullo   (c) 2015

sabato 14 marzo 2015

Una serata alla quale anche a Carlo sarebbe piaciuto esserci - Radio Patela Magazine





Musica, colori e parole per un amico partito troppo presto da Lomello.... 

 

...ricordando Carlo Campari...

di Claudio Montini  

Foto di Orazio Nullo e Daniele Massola

 

 
C'era tanta bella gente in San Rocco sconsacrato, venerdì 6 marzo alle nove di sera passate: a Lomello (PV) si ricordava un grande amico del paese tanto da esserne stato sindaco e appassionato quanto puntiglioso storico.
Silvia Ruggia, Mario e Luigina Galli con Beppe Pasciutti
Infatti, dalle suggestioni scaturite da un suo libro, IL GIUDICE DEL MALEFICIO, raccolta di atti giudiziari del XVII e XVIII secolo relativi a fatti di cronaca "nera" (per usare un modernismo) accaduti in Lomello, Beppe Pasciutti e Nando De Luca con Silvia Ruggia (sindaco in carica con delega all'assessorato alla cultura, che però ha ceduto letture e leggìo a Luigina e Piermario Galli) hanno allestito uno spettacolo semplice, essenziale ma assolutamente magico, unico e leggero come tulle e raffinato come seta, affatto agiografico o nostalgico, senza fronzoli o eccessi ma anche senza cadute di ritmo o di stile.
Una chiesa, seppure sconsacrata o radiata dall'esercizio del culto, esercita sempre il medesimo fascino e incute il timore reverenziale dovuto ad ogni luogo sacro, civile o religioso che sia: anche nell'ex chiesa oratorio di San Rocco la gente è affluita lentamente e in silenzio riempiendo il centinaio di posti a sedere ( una sessantina di sedie imbottite e sei file di panche a ridosso dell'ingresso), disposti in due settori separati da un corridoio centrale di fronte all'altare maggiore (di tipica fattura barocca piemontese a marmi policromi con prevalenza di nero e rosso) addossato a una parete completa fino alla volta che divide l'unica navata da una parte retrostante a soffitto più basso e volta a crociera (quasi fosse un'abside a pianta quadrata), recante sulla parete di fondo l'affresco di una crocefissione con Madonna e San Giovanni dolenti e adoranti.
A questa parte si accederebbe attraverso due aperture rettangolari, sormontate da finestre monofore, poste ai lati dell'altare che, a sua volta in cima al tabernacolo, reca un'apertura ovale inferriata; ma per l'occasione esse sono chiuse da tende: allora è chiaro che lo spettacolo avrà come palcoscenico l'intera area dell'altar maggiore delimitata da balaustre preconciliari in marmo policromo come l'altare stesso.

Infatti, chi è entrato ha visto alla sua sinistra un pianoforte orizzontale a coda corta classico per concerti da camera, col coperchio del piano armonicoaperto e inclinato con l'apposita stampella; al centro, campeggia una tela bianca da pittore da centocinquanta per centonovanta centimetri (a occhio e croce), sistemata su un'apposito cavalletto di legno alla cui base c'è una scatola di colori e pennelli; a destra, invece, il leggìo e le sedie dove prenderanno posto Luigina e Piermario Galli, dopo la breve introduzione di Silvia Ruggia ch ha ricordato come l'evento sia stato ideato dalla nipote di Carlo Campari con il maestro pittore e scultore astrattista Beppe Pasciutti da Sartirana.
Insieme hanno ricordato l'eclettismo degli interessi dell'uomo e la vivacità intellettuale dell'amico, oltre all'amore per la sua terra e per il suo paese di cui è stato, storico e anche sindaco; a tal proposito, l'artista sartiranese ha rivelato la profondità del suo legame con Lomello e con Campari rammentando che la sua prima esibizione di opere pittoriche, la sua prima mostra ufficiale, la partenza della sua carriera, avvenne nel 1979 in questo paese con Carlo sindaco in carica.
Dunque il modo migliore per ricordarlo non poteva essere altro che quello di realizzare uno show che comprendesse e mostrasse la più ampia varietà di aspetti artistici e culturali.
Le mani del maestro Nando De Luca si sono, quindi, posate sulla tastiera del
pianoforte per riempire il religioso silenzio del centinaio di spettatori con una suite per pianoforte solista in cui ha trascrittoe amalgamato, con sorpresa di molti e del cronista in particolare, cinquant'anni di musica pop nel senso più anglosassone del termine: gli arpeggi e i fraseggi tra melodia e accordi, ora in crescendo ora in calando, hanno sottolineato e preparato l'ascoltatore al tema o al movimento successivo della carrellata di successi aperti da una struggente Vedrai vedrai di Luigi Tenco, passando per Estate di Bruno Martino, Besame mucho, Non ti scordar di me, Una carezza in un pugno di Adriano Celentano (di cui De Luca è autore della musica e degli arrangiamenti) fino all'overture di Rapsody in blue di George e Ira Gershwin....soltanto per citarne alcuni, perchè le emozioni piacevoli e il trasporto sono cresciuti fino a sfociare in un lungo e caloroso applauso che ha conquistato il pianista milanese, così come lui ha fatto con quella platea sconosciuta ma attenta.
Nel corso della serata, ci sono stati altri due interventi musicali nei quali Nando De Luca (che vanta collaborazioni con Tenco, Celentano, Jannacci oltre alla composizione di colonne sonore per il cinema e all'attività attuale, col proprio trio, nell'ambito del panorama jazz italiano) ha proposto ed eseguito due brani di sua composizione sempre con il tocco del concertista classico esperto, fine e delicato ma potente e chiaro nel fraseggio, perfettamente intellegibile da chiunque, lucido e teso ma elegante e brillante come un'ottimo strumentista jazz: in poche parole, Enrico Intra e Arturo Benedetti Michelangeli in una persona sola.
La sensazione che l'evento assuma una sua tridimensionalità, nella quale i connubi tra parola e disegno e colori e musica si fanno concreti, si intersecano e si scambiano energia, si ha mentre scorrono le letture di brani tratti dal libro di Carlo Campari IL GIUDICE DEL MALEFICIO: Beppe Pasciutti traccia sulla grande tela bianca le linee guida dell'opera pittorica astratta e informale che resterà a testimonianza dell'evento, sfatando il falso mito secondo cui l'arte moderna viva e si nutra di sola ispirazione scevra da regole o programmazione senza dover ricorrere a discorsi sui massimi sistemi, stucchevoli quanto vacui.
Luigina e Piermario si alternano, acquisendo via via maggiore sicurezza, nel dare voce e corpo a quei verbali di fatti di cronaca, resi alle autorità costituite del sei-settecento, in un italiano che non è ancora gonfio di burocratica retorica ma è ancora quello pratico e diretto (quasi verista o neorealista oserei dire) che si adoperava (e talvolta si adopera ancora dalle nostre parti) per intendersi con chi non è avezzo ai sensi e ai suoni del dialetto locale.
Beppe Pasciutti
Contemporaneamente, sulla tela cominciano a posarsi, a colare, a spalmarsi anche i colori con suggestivo tempismo rispetto alle parole dei lettori, così che i colori danno plasticità alle parole come le note del secondo intervento musicale pare ispirino i gesti del pittore, che seguono il movimento della melodia e il fraseggio fino all'ultima nota, come se stesse suonando tela e colori.
Altro grande applauso per tutti e si entra nella terza ed ultima parte della serata in cui Beppe Pasciutti racconta un episodio della Sartirana che fu, partendo dalla spiegazione di un quadro di Renoir La colazione dei canottieri custodito in un museo degli Stati Uniti.
Tanto il quadro impressionista che l'episodio piacevano anche a Carlo Campari e sono stati il motore dell'ispirazione che ha portato all'ideazione dello spettacolo: la naturale tendenza dell'essere umano a stare in compagnia dei suoi simili è nota ad ogni latitudine e in ogni tempo e, lo stare a tavola in grande compagnia, ne è l'espressione migliore.
Accadeva anche a Sartirana, nel cortile dove Pasciutti abitava, che la domenica tutte le famiglie si trovassero a pranzare sotto la pergola e poi spendessero il pomeriggio in infuocate partite di briscola in cinque; accadde che una discussione intorno a una vittoria troppo facile (complice, pare, una lucidissima calvizie, quasi uno specchio) degenerasse in rissa con amputazione di un dito di uno dei contendenti, a causa di una pudarlina (piccola roncola tascabile) comparsa tra le mani di uno dei belligeranti e volata insieme al moncone nella letamaia al limitare del cortile stesso.
Ora, la letamaia fungeva anche da latrina pubblica, per le famiglie residenti, oltre che da discarica domestica e zootecnica; tra gli spettatori della concitata scena, il gatto in attesa che i topolini da granaio tentassero una sortita dai loro nascondigli: essendo quelli latitanti e poco avezzo al baccano che andavano facendo i bipedi, decise di recuperare e restituire loro il dito staccato prima che affondasse del tutto in cosa è facile da immaginare.
Fortunatamente si rintracciò un medico che riusci persino a riattaccare l'arto, senza porre troppo tempo in mezzo: però, questo causò la crescita di una piccola colonia vegetale che il malcapitato infortunato, di professione falegname, non rimosse e anzi dotò di apposita fioriera di legno curando anche di innaffiare, di tanto in tanto, la vegetazione.
Per dirla con De Andrè, dal letame può nascere un fiore e dai diamanti non nasce nulla....
Sole freddo di Beppe Pasciutti 2015
Con il giusto tributo di applausi alle doti di affabulatore del maestro Pasciutti e la terza parentesi musicale che dovrebbe essere la sigla finale su cui scorrono i titoli di coda, saremmo giunti all'inito al buffet e alla bicchierata che augura la buonanotte a tutto il pubblico e ai protagonisti: ma il condizionale è d'obbligo perchè Nando De Luca concede due bis fuori programma eseguendo un medley di successi di Celentano e Jannacci (coi quali ha lungamente collaborato) e I sogni son desideri da Cenerentola, mentre Pietro Pastorini, ex allenatore federale FIDAL per la marcia e già commissario tecnico anche di altre nazionali, che conobbe Campari come assessore nel 1972 quando Lomello ospitò una gara internazionale di marcia apprezzandolo, chiede e ottiene dal pubblico presente una standing ovation per ricordare e ringraziare (perchè no?) Carlo Campari per aver incrociato le nostre vite, per l'impegno e l'amore che ha riversato nel suo lavoro, che ha mostrato verso il suo paese e verso ogni cosa che fosse strana ma bella.
Proprio come questa serata a cui gli sarebbe piaciuto partecipare, per vedere l'effetto che fa.

(c) 2015 Claudio Montini