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sabato 16 marzo 2013

Settima puntata - Anche l'occhio vuole la sua parte

Alla ricerca della pietanza perduta    di  Parmigiano Gionata & Bruno Speck


La fotografia è un giudice impietoso ma non imparziale dell'aspetto delle cose: qualcuno ha detto che la bellezza sta negli occhi di chi guarda , giusto per smarcarsi dal pronunciare giudizi poco lusinghieri su quel che capitava a tiro delle proprie fosche pupille.
Talvolta accade, per imperizia degli operatori, che la fotografia non renda giustizia al soggetto ritratto: vale a dire che la vista dal vivo è assai più piacevole e affascinante tanto, addirittura, da non farci riconoscere il soggetto stesso.
La moda in auge attualmente nei periodici prevede che, oltre alla firma dell'autore, a corredo dell'articolo vi sia una sua immagine; quali siano i criteri di scelta di quest'ultima è argomento che noi, Gionata e Bruno, abbiamo relegato a livello di quello sul sesso degli angeli e pertanto là rimarrà sospeso; tuttavia, accadde proprio che la minuscola foto scelta per rappresentarla, penalizzasse assai la dottoressa che si accingeva a lanciarsi nell'impresa di avviare il bipede macilento verso la decrescita felice.
Infatti pur incontrandola nei pressi dello studio, non la riconobbe e, non trovando una segnaletica esaustiva che lo conducesse alla sua meta, si risolse a chiedere lumi proprio a lei: una giovane e morbida mora infilata in un bel vestito color salmone che esaltava la carnagione deliziosamente biscottata dal sole di luglio e i lunghi capelli corvini, oltre a una apprezzabile collezione di curve ben distribuite e un sorriso luminoso che rasserenava lo spirito e l'aria circostante.
Nonostante la presenza della moglie, ufficialmente presente per raccogliere le correzioni da apportare alla rotta della cambusa ma ufficiosamente per assicurarsi che non facesse il "tacchino", sebbene sostenesse di essere scevra da gelosia poichè si riteneva l'unica in grado di sopportarlo e perciò avviata all'onore degli altari già da viva, lui compì uno sforzo notevole per mantenere la conversazione su un piano squisitamente professionale: anche l'occhio vuole la sua parte e, dato che l'uomo non è fatto di legno, le occasioni per distrarsi e concentrarsi su particolari eccedenti il colloquio medico-paziente erano notevoli.
Tuttavia, una volta avviata l'inchiesta, il mancato tombeur de femme si ritrovo a fornirle con scioltezza disarmante una mole di dati riguardanti la propria condotta alimentare, il rapporto con medici e farmaci, la propensione ai generi di conforto che riducono l'uomo in cenere che nemmeno la moglie o il medico di famiglia avevano mai udito o intuito: mentre lei, dottoressa nutrizionista, rivelava una solida padronanza dei propri mezzi investigativi appuntandosi minuziosamente ciò che le sarebbe servito a formulare la diagnosi elaborando, allo stesso tempo, una strategia di lungo periodo che non incidesse sul morale ma fosse efficace.
Non ostentava ma ascoltava e catalogava ragionando: a lui sembrava di essere protagonista del metodo socratico o, meglio, ippocratico di indagine, basato sull'estrazione di informazioni dal paziente e sulla loro interpretazione alla luce del proprio bagaglio culturale, in tutta la sua complessità.
Erano ricordi che gli venivano dai tempi del liceo, epoca in cui aveva lo stesso problema di eccesso di affetto per la buona tavola, ma aveva ancora tutta una vita davanti per sbagliare o fare la cosa giusta.




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