LO SPIRITO DI SAIRANO
di Claudio Montini
Avere
un posto in cui tornare, oppure uno da cui partire senza la certezza
di rivederlo e, in fondo, nemmeno il rimpianto vuol dire essere
ancora vivi: così sosteneva Cesare Pavese in un passaggio de La
luna e i falò.
Rispetto al maestro
piemontese
e langhigiano (già professore di letteratura inglese presso
l'università di Torino, relatore della tesi di laurea di Fernanda
Pivano, redattore e collaboratore della casa editrice Einaudi), io
non sono che un granello di sabbia in riva al mare; tuttavia ho
conservato un buon ricordo delle persone e dei luoghi che hanno
caratterizzato e, devo ammetterlo, in parte forgiato la mia infanzia,
l'adolescenza e la gioventù: rispetto a lui, ho questo vantaggio e,
probabilmente, esso mi salverà dal peso del senso di estraniamento e
dalla sensazione di estraneità crescente che hanno condotto il
professor Pavese a togliersi la vita. Per fortuna, io ho Sairano che
non è un paese come gli altri, anzi, è smemorato come tutti gli
altri; ma li batte e sta in vantaggio su di loro perchè insegna a
condividere e ricordare la gioia delle piccole cose, delle abitudini,
della gente che si guarda in faccia, che si rinfaccia le peggio cose
ma che, quando c'è una lacrima da asciugare o un dispiacere da
consolare o un morto da accompagnare e far vivere nel ricordo di
tutti, non è secondo a nessuno. A chi mi
chiede di descrivere i sairanesi, dico che loro sono come i
giapponesi con la macchina fotografica al collo: lo dico perchè di
tutti i pavesi, loro sono gli unici che cercano sempre di cavarsela
meglio che possono e a testa alta in qualsiasi frangente, sanno
annusare l'aria e cercano di andare d'accordo con tutti per cavarne
il massimo profitto in questa vita, che è una sola ed è inutile
perdere tempo ad avvelenarla al prossimo. Badano al sodo, ma non
dimenticano gli amici e la buona tavola: per marcare le distanze da
antipatici e arroganti, li apostrofano ricordando loro che non hanno
mai mangiato il risotto insieme; rispettano l'impegno e la
generosità, ma non amano gli eccessi. Sairano è un posto da cui si
smania di partire per far fortuna e si spera di tornare vincitori, ma
anche un posto dove si torna volentieri, foss'anche solo con la
memoria, giusto per riassaporare le cose buone di una volta. Lo
sapeva bene anche il conte Carena che ristrutturò il castello
(fondato da un capitano di ventura della guerra dei Trent'anni, così
ricompensato dalla corona di Spagna per i suoi servigi) nel XX
secolo, elevandolo a casa di campagna dove coltivare l'otium inteso
alla latina: infatti, all'ingresso degli appartamenti privati pose
una scritta emblematica nella lingua di Cicerone "Civiles
curae procul hinc abite", andate lontano da qui
preoccupazioni civili ovvero state alla larga da questo posto
tribolazioni del lavoro e della vita pubblica. Del resto, il conte
era un notaio che aveva partecipato alla Prima Guerra Mondiale, come
i tanti che sono scritti sul monumento ai caduti (inaugurato nel 1929
proprio davanti all'ingresso carraio del maniero, sul quale tutti i
coscritti hanno scattato una foto ricordo dell'avvenuta visita di
leva); come tanti notabili che, in qualche modo, avevano partecipato
all'ultima guerra risorgimentale o alla prima del secolo breve,
anch'egli aveva caro il tenere distinta la vita professionale e
pubblica da quella privata e rustica, legata al blasone conquistato o
acquistato (sostengono le malelingue) e basato sul censo o sulla
proprietà terriera. Lo spirito di Sairano, che si era già
manifestato ai primi coloni eredi di Caio Giulio Cesare e a quelli
Ottaviano Augusto, credo lo abbia ripagato e altrettanto abbia fatto
con i suoi eredi concedendo a tutti dosi generose di buon senso
pratico, sarcasmo e scetticismo uniti a istinto di sopravvivenza e
curiosità che hanno fatto sì che echi e boati del mondo, tanto
incalzanti e contraddittori quando non perniciosi per la salute,
giungessero ben distinguibili sino a lì ma fossero anche
interpretati (ma non copiati), distillati (ma non mutuati),
metabolizzati (ma non approvati) o, infine, marginalizzati e
dimenticati. Non ho mai sentito il
bisogno di tornare a Sairano perchè il suo spirito, in fondo
all'anima, mi ha sempre fatto compagnia come una coscienza
implacabile, spietata, che vive di vita propria ma che ha saputo
consigliarmi e, lo devo ammettere a denti stretti, consolarmi nei
momenti difficili della vita e della scrittura, due mestieri
faticosissimi e due passioni cui non voglio rinunciare. Ai nostri paesi ce ne son
delle più belle non
è una antologia di racconti e non è un monumento alla memoria, o
per meglio dire, non è soltanto queste cose: è un prodotto nuovo di
quel coacervato di idee, sensazioni, sogni e riflessioni che per
qualche misteriosa ragione prende domicilio nella mia testa, si tuffa
nel cuore ed esce dalle dita componendosi sulla pagina. E' la
maturazione di materiale già scritto e pubblicato, ma dotato di
potenzialità inespresse che fremevano e urlavano tra le righe per
essere liberate, messe in luce e armonizzate al flusso narrativo. E'
la specialità dello spirito di Sairano e dei sairanesi: quella di
traformare cose vecchie in sogni nuovi da sognare, in ogni dannato
posto del mondo essi si trovino a viaggiare.
© 2018 testo di Claudio Montini
© 2018 Immagine creata da Orazio Nullo
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