di Claudio Montini
Ci sono molte cose per cui varrebbe la pena indignarsi e sfruttare la forza dei social media per scuotere dal torpore estivo la coscienza collettiva. Alcune, anzi, troppe sono così vicino a noi e al nostro giardino che quasi non le notiamo più, sembrano entrate a far parte dell'arredamento urbano o delle abitudini quotidiane tanto che, se non c'è l'occhio di una telecamera e una persona con un microfono colorato in mano, manco le degnamo di uno sguardo. Quando ci parlavano delle missioni e dei missionari cattolici, da ragazzini, pensavamo alle savane africane o alle boscaglie sudamericane, raramente ai deserti e alle pietraie che anche il Falegname Nazareno (ben prima di loro e comunque dopo tanti altri) aveva calpestato. Non pensavamo mai alle periferie delle città, ma anche a certe cascine o quartieri dei nostri paeselli, o che in certe case delle nostre insignificanti frazioni ci fosse gente che se la passava male come in quelle lande desolate: si facevano i salti mortali per far apparire, anche nel poco, tutto dignitosamente ricco e si giungevano le mani davanti a crocifissi impolverati, conservando smunti moccoli di candela da accendere davanti a santi e santini affinchè ci mettessero una buona parola e facessero piovere un pò di buona sorte dal cielo. Pensavamo che fossero cose distanti come un'altro mondo: e chissà quanti casi come quello del bimbo inglese sono passati sotto silenzio; chissà quanti altri genitori sono passati dall'euforia alla disperazione, scoprendo che il pianto del loro bimbo o il comportamento anomalo era dovuto a qualcosa che nessuna aspirina poteva risolvere e guarire. Il nostro mondo, dico quello di noi che abbiamo passato adesso i cinquant'anni d'età, era davvero piccolo e ristretto; poi è diventato globale, grazie alla televisione, alla telefonia cellulare, alla interconnessione informatica: a questa espansione potente ed enorme avrebbe dovuto anche corrispondere una affinazione del senso pratico e del senso critico che ha permesso alle generazioni dei nostri padri di emanciparsi, di liberarsi, di uscire dalle brutture del cosidetto secolo breve (il XX, il Novecento), quali guerre e prevaricazioni e altri accidenti indegni di una società civile. Invece, siamo diventati una massa sempre più informe e amorfa di pecore da mungere e tosare, col cervello nascosto in una cappelliera in fondo all'armadio quattro stagioni della camera da letto, gli occhi incollati a un quadratino di silicio e plexiglass per cristalli liquidi (una curiosa contraddizione in termini, regalataci dalla moderna tecnologia), belve con la verità in tasca pronte a sbranare i mostri veri o presunti esposti ai riflettori della ribalta così come pronti a dimenticarsi in fretta di avere sparato cazzate senza prendere la mira (scusate il francesismo...) sentendosi, me compreso, tutti quanti Soloni o Ciceroni per giunta unti dal Signore. Per niente non abbaiano nemmeno i cani, si dice al mio paese d'origine: ogni scelta è frutto di un calcolo strategico, economico, politico a qualunque livello essa venga fatta; allora dobbiamo ricominciare a chiedere a chi di dovere, a parlare tra noi guardandoci negli occhi, a scrutare la terra dove posiamo i piedi e interrogarci, non tanto su quello che l'universo possa fare per me quanto su quello che io posso fare per lui e dove sono nascosti gli strumenti che mi possono agevolare in questo compito: nè Dio, nè il partito, nè il capo del governo, nè il capo bastone o mandamento o cosca riusciranno mai a leggere o intercettare o soffocare tutta l'energia che si sprigiona e passa tra cure e cervello. No! La testa non serve solo a portare il cappello: se io sto bene, faccio bene il mio compito e chi viene dopo di me riesce a lavorare meglio e a stare meglio a sua volta...il resto lo farà il destino.
(c) 2017 testo di Claudio Montini
(c) 2016 Immagine di Orazio Nullo "Twenty second century engine"
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