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giovedì 3 marzo 2016

L'Italia fa da sè - Radio Patela Fiction con Youcanprint


L'italia fa da sè



di Claudio Montini







Cominciò a pensare d'aver sbagliato numero, tanti erano ormai gli squilli a vuoto di cui aveva perso il conto; la regola che si era imposto, del resto, era semplice: se non rispondi al terzo squillo, o non sei in casa o hai di meglio da fare e allora ciao, sarà per un'altra volta. Se e quando avrai davvero bisogno, ti farai trovare: ma non era mai stato sufficientemente cinico e spregiudicato da portare fino in fondo quel proposito. Nel caso specifico, poi, la regola era inapplicabile per una serie di ragioni che andavano collocate negli ambiti irrazionali dell'istinto animale. Un complesso di cose in tutto e per tutto simile a quella nota, ma misteriosa, forza che li aveva spinti in un motel ad amoreggiare come fossero ragazzini in gita scolastica, staccando le batterie dei cellulari: come fosse la prima volta che scoprissero la reciproca nudità e la consapevolezza crescente del piacere, della tenerezza e del desiderio di sentire pelle contro pelle, labbra sulle labbra, mani intrecciate eppure piene di vita e di sospiri e di fuoco di paglia che scoppia dentro, invisibile ma che cresce e sale nella buia volta del cielo e lì si disperde in un ventaglio di minute scintille.
Anche l'uscita di scena l'uno dalla vita dell'altra, schiena contro schiena diretti ai propri orizzonti con la muta promessa di ritenersi sazi di quell'occasione, sapeva di collaudato copione e di melodia popolare fino alla nausea.
Nel posto giusto e al momento sbagliato, quando il tempo era ormai scaduto, avevano ceduto alla follia come non avevano fatto prima e non avrebbero mai immaginato di fare dopo la loro gioventù, quando Milano era la porta di servizio dell'Europa e a Londra o Parigi ci si arrivava più in fretta che non a Roma o a Palermo, quando avevano deciso di costruire qualcosa per il futuro, come una casa e una famiglia.
Forse aveva ragione Seneca, quando sosteneva che una volta all'anno è permesso impazzire: proprio lui che aveva educato al comando un paranoico presuntuoso incendiario cui non aveva dato la soddisfazione di condannarlo a morte, quando questi aveva deciso di fare a meno di lui; oppure ne aveva avuta di più sir Winston Churchill, che scrisse nel suo diario che gli italiani sono un popolo straordinario: riescono ad andare avanti, pur camminando con la testa ben voltata all'indietro?
Noi due, pensava lui mentre frugava con lo sguardo Piazza della Vittoria e i suoi portici per vederla arrivare, abbiamo fatto entrambe le cose e ci siamo pure persi di vista per trent'anni. Il destino, cui lui credeva più di ogni altra cosa, in qualche modo misterioso stava presentando loro il conto per le promesse che non avevano onorato e per le premesse che avevano disatteso: una vita di gesti e di parole, come quella inverosimile delle canzonette che le radio private mandavano in onda facendo a gara coi juke-box che, ai tempi con poche monetine, riempivano l'aria estiva di sogni amorosi, loro se l'erano goduta, bevuta, bruciata e fumata in una sera e nella notte che avevano acceso, invece di tornare ciascuno a casa propria dopo quella rimpatriata tra vecchi compagni di scuola.
Guardando il mozzicone prossimo al filtro e soffiando il fumo dalle narici, fu lei a pronunciare la sentenza, andando a farsi la doccia per prima.
« Non c'è futuro per noi e non ce n'era nemmeno in passato: il nostro egoismo ha fermato il tempo, questa notte. Ma siamo adulti, abbiamo barattato o perduto tutti i nostri sogni per esserlo: allora dimenticami, se puoi.»
Lui annuì e aspettò il suo turno: siccome era già da tempo abituato a vivere alla giornata, non durò troppa fatica a perdere quel ricordo nei tre mesi successivi. La candidatura accettata quasi per scherzo, nella parte bassa dell'elenco quando mai l'avrebbe visto uno scranno di Montecitorio?; le solite inchieste a orologeria di magistrati smaniosi di far carriera che avevano falcidiato buona parte di coloro che lo precedevano sul tabellone; il mai domo vizio dei big del partito di candidarsi in più seggi, vizio da prima repubblica fin che si vuole ma utilissimo a crearsi una piccola corte di peones e miracolati da adoperare per i lavori sporchi nelle commissioni parlamentari più sonnacchiose. Tutta questa congerie di cause lo avevano catapultato a Roma, mai stata troppo ladrona ma soltanto capoccia der monno infame, come aveva cantato tante volte con l'amico chitarrista devoto alla falce e al martello, imitando maldestramente Antonello Venditti.
In un tempo lontanissimo, quando il cinismo non aveva ancora distrutto l'utopia e tutto sembrava a portata di mano, la capitale d'Italia l'aveva pensata come un trogolo inesauribile pronto a ingrassare maiali sempre più numerosi e voraci: ora che si era pasciuto di quel mangime, si preoccupava solamente di arrivare alla fine della legislatura per mettere altro copioso fieno in cascina per blindare la pensione da parlamentare.
Lui era stato ai patti, dunque, lei cosa voleva ancora? Un'intervista informale con cui montare un pezzo per fare bella figura con la nuova redazione?
Certo, dopo che la fine delle province, i loro uffici stampa erano stati smantellati e i molti parolai erano finiti nel limbo degli esuberi e degli esodati; qualcuno era stato anche fortunato, era tornato da dove era venuto: in una redazione di imberbi dal pollice più veloce del west, una testa pensante che fosse in grado di infilare due congiuntivi corretti nella stessa frase coordinandoli con i fondamentali della grammatica italiana, così come di infilare il microfono sotto i nasi giusti senza attendere le agenzie, faceva parecchio comodo ai contenitori di pubblicità in carta stampata.
A grandi linee, era il percorso che era toccato in sorte anche a lei sebbene ora dovesse fare la spola tra Pavia e Milano, da quel che gli aveva riferito Alberto, altro sodale scolastico, cui aveva fatto avere un bel contratto per la fornitura di materiale elettronico e informatico per le sedi del partito nel nord Italia, anche se l'ex genio della matematica l'aveva contattato per un appalto per le forze armate che lui aveva sconsigliato, essendo lo Stato un puntiglioso esattore ma un pessimo pagatore. Alberto era rimasto alquanto perplesso e aveva giocato la carta sentimentale dei vecchi tempi e della passione mai sopita ma palese tanto da essere imbarazzante, per tutti gli altri tranne che per i diretti interessati i quali si erano chiariti fin dal principio.
Il tempo, in entrambi i casi, aveva dato ragione all'onorevole e l'ingegnere mancato (una volta avviata l'azienda, egli trascurò gli studi perchè soldi e lavoro affluirono in modo cospicuo e costante),complice uno scandalo scoppiato ad hoc, fu felice di aver evitato grane peggiori e di aver intascato abbastanza rapidamente il pattuito senza dover oliare troppi ingranaggi.
Anche in quel caso, lui era stato ai patti e Alberto non era mai più tornato sull'argomento.
Eppure c'era qualcosa che non quadrava, un'ansia irrazionale, dall'origine sconosciuta, come una catastrofe immanente.
Dette la colpa alla sua mania di arrivare con largo anticipo agli appuntamenti; poi, sentì il taschino della giacca vibrare contro le costole: era il cellulare che gli avevano dato quelli dei servizi di sicurezza dopo le minacce di sedicenti jihadisti italiani, per poterlo controllare senza asfissiarlo con la scorta fuori dal parlamento e da Roma. In realtà, l'espressione usata era garantire la sua sicurezza senza l'ingombro e l'assillo della scorta che altro non voleva dire se non che, sapendo la sua posizione, i cani da guardia dissimulati ad ogni crocicchio potevano intervenire con un comando automatico; aver deciso di rinviare il rientro nella capitale di un giorno doveva aver fatto saltare la mosca al naso a qualcuno che voleva spiegazioni che, a sua volta, avrebbe dato ad altri subalterni e superiori: il partito, almeno in questo, si era sempre dimostrato molto più elastico.
Prima di portare l'apparecchio all'orecchio e rispondere, la vide scendere dall'autobus e attraversare gli ultimi metri di corso Cavour, prima dell'incrocio con Strada Nuova; le fece anche un cenno con la mano per per richiamare la sua attenzione; la vide inciampare e cadere con la testa reclinata all'indietro prima che l'onda d'urto dell'esplosione lo investisse, scaraventandolo bocconi sul selciato di Piazza della Vittoria e una delle lancette dell'orologio di Palazzo Broletto gli trapassasse la schiena inchiodandolo come una farfalla da collezione.
Finestre e vetrine scagliarono frantumi micidiali su tutta la piazza disintegrandosi quasi contemporaneamente: forte odore di metano e polvere di tegole, mattoni, pietre e cemento riempirono l'aria in cui si insinuavano a fatica le sirene dei primi mezzi di soccorso e quelle degli allarmi dei negozi.
Incendi spontanei e boati meno fragorosi coprirono i lamenti dei feriti; l'autobus che si era appena sgravato dei passeggeri, tra i quali c'era lei, ora scomposta sul selciato con uno strano fiore rosso in fronte e la borsetta ancora a tracolla, prese fuoco e parve sollevarsi mentre le ruote schizzavano frantumi di gomma nera come il fumo che saliva dal resto della carcassa.
Nessuno, neppure quelli che invocavano aiuto, notarono un vigile del fuoco e una crocerossina dal volto nascosto sotto una maschera antigas che, nascondendo una mano sotto la giubba, però ben stretta su Beretta semiautomatica con silenziatore, si avvicinarono a due cadaveri in particolare ignorando il resto del girone infernale che li circondava.
Non si resero conto che questi misteriosi sciacalli frugarono nelle tasche dei morti allontanandosi con la borsetta della donna e con il cellulare dell'onorevole, così come nessuno vide che salirono su un furgone grigio con l'insegna di un negozio di riparazione di elettrodomestici che, solo i pavesi indigeni non acquisiti, sapevano essere chiuso da quando il vecchio Vertuani era morto e il figlio si era trasferito in Svizzera, almeno dodici anni prima.
Il tiratore scelto che si era occupato della donna conosceva molto bene il dedalo di vie fiorite lungo i bracci dei carri decumani di Pavia, fù un gioco da ragazzi portare il furgone in viale Cremona e poi nel garage in fondo all'orto di casa Vertuani mentre forze di polizia e ambulanze sfrecciavano nel senso opposto; del resto, le bigiate degli anni del liceo senza farsi beccare da amici o parenti, per scendere dal Confluente con la canoa fino al Barcone Ponte Becca e risalire in perfetto orario con la campanella d'uscita e il biennio da infiltrato a tenere d'occhio le teste calde (e vuote) che avrebbero voluto fare la rivoluzione, coi soldi che papà elargiva loro per le tasse universitarie, erano state una buona palestra.
Quella villetta, frutto della mente di un geometra con poche ambizioni e ancor meno scrupoli, era stata un'ottimo acquisto da parte del ministero, sia dal punto di vista immobiliare che strategico: era una zona che si rivalutava di anno in anno grazie ai vincoli naturalistici e storici che impedivano ai palazzinari di farne scempio e a un patto di non belligeranza tra guardie e ladri (nel senso che questi ultimi, eleggendolo a casa e bottega, evitavano agli altri di dover intervenire per questioni di ordine pubblico o di proprietà privata: in casa del ladro non ruba nessuno), agevolando chi ci abitava a godere della comodità di un'oasi di pace a meno di tre quarti d'ora dal centro della città e dalle sue tangenziali.
Incidentalmente, poi, a quelli che avrebbero dovuto essere dalla parte delle guardie per mandato istituzionale, il fitto bosco alle spalle di quell'ultima propaggine di città, classificato come area golenale del Ticino, offriva legna gratuita per il camino e riparo da occhi indiscreti per l'accesso o l'addestramento o la fuga poichè celava uno degli approdi più comodi e fondi che si potessero sperare tra il ponte della Becca e la chiusa di Golasecca, a ridosso di Sesto Calende: una via d'acqua è troppo spesso sottovalutata, ma può essere assai più veloce e ancora più discreta di tutte le altre dal momento che nel suo incessante scorrere cancella ogni traccia di transito, trascinando con sè detriti e anche cadaveri, se necessario. Stavano per lasciare la casa sicura, abbigliati come cicloturisti olandesi, quando l'anziano custode e ortolano, copertura in cui si trovava a suo agio dopo una vita a fare da angelo custode ai comandanti della compagnia Carabinieri Pavia, porse a Beta il cellulare dell'onorevole che vibrava per una chiamata in entrata.
«Qui Alfa: rapporto.»
«Obbiettivi acquisiti.»
«Perdite?»
«Nessuna. Materiale recuperato e pronto alla spedizione.»
«Ottimo lavoro. Procedete come da programma.»
«Sissignore. Grazie, signore.»
«Ci vediamo a San Giorgio; la Luftwaffe ci darà un passaggio.»
«Signore, posso parlare liberamente?»
«Accordato. Avanti, Beta.»
«Questa volta lo Zio Sam non ci metterà i bastoni fra le ruote, vero? Li porteremo a casa vivi e per sempre?»
«L'Italia fa da sè.»
Chiuse la comunicazione perchè anche dall'altra parte non c'era nemmeno più l'apparecchio, già distrutto e disperso nel sacco della plastica.
Vittorio era un carabiniere garantito e certificato, come quelli che aveva addestrato ed erano entrati in servizio dopo di lui, usi ad obbedir tacendo e tacendo morir: era il custode ideale per una casa sicura, capace di tenerla sempre efficiente e pronta. Con la pensione era diventato un'ortolano uso a coltivar tacendo e tacendo a regalare la verdura che coltivava alla mensa dei frati di Canepanova, guarda caso, poco distante dalla sede della compagnia comando dove aveva servito lo Stato.
Il Marinaio sapeva di poter contare su di lui, che avrebbe pianto di rabbia in silenzio nel confessionale del figlio per i morti di quel giorno come per tanti altri, ma che non avrebbe mai lasciato uscire dalle labbra una virgola, nemmeno davanti alla carne della sua carne che rappresentava Cristo sulla terra. L'Aviatore si appoggiò totalmente allo schienale della poltrona, quasi sconfitto e schiacciato dal peso delle sue elucubrazioni circa gli sviluppi e le reazioni a catena scatenate dall'attentato che, in quel preciso istante, veniva rivendicato da un sedicente gruppo jihadista italiano e la notizia veniva rilanciata tanto dalle agenzie quanto dai bollettini parrocchiali, interrompendo persino le televendite di materassi, vasche da bagno, tarocchi e numeri del lotto vincenti.
«Hanno abboccato!» gongolò il Marinaio.
«Hanno abboccato?? Dico, ma ti rendi conto della tempesta di guano che hai sollevato? Hai la minima idea dello tsunami di merda che sta per sommergere questo porco Paese?»
«No, dimmelo tu...Bada, però: devi essere molto convincente perchè, come altri sessanta milioni di persone in questo nostro stivale, ne ho le tasche piene di slogan, belle parole e promesse vane che ai politicanti piacciono tanto.
Voglio fatti concreti non idee volatili e vanesie, voglio che quei due ragazzi, che hanno fatto soltanto il loro dovere e hanno sempre ubbidito agli ordini, tornino a casa sani, salvi e a testa alta: se per ottenere questo risultato mi servono le bombe, puoi starne certo che , userò tutte quelle che mi servono a spianarmi la strada per New Dehli e ritorno, qui a Roma!»
Erano scattati in piedi entrambi e puntavano i pugni contro il piano della scrivania: avrebbero preferito scaricarli su nasi o mascelle l'uno dell'altro, ma non erano sul set di un film con John Wayne o Bud Spencer. L'Aviatore si ritrasse e drizzò la schiena, manifestando tutto il suo sconcerto e lo sdegno per quanto aveva appena udito.
«Hai appena scatenato il razzismo latente degli italiani, condannando al potenziale linciaggio ogni extracomunitario, compresi gli sportivi; non riesco a capacitarmi del fatto che, proprio tu, abbia tolto la museruola ai mastini della razza nordica e cattolica.»
«Gli italiani hanno la memoria corta, si turano il naso in fretta e votano gli stessi che li hanno fregati: a loro basta che vinca la loro squadra di pallone o la Ferrari arrivi prima in un gran premio e tutto passa, tanto c'è sempre qualche santo che vede e provvede. Io ne ho abbastanza di “italiani brava gente”, è ora che la smettano di prenderci in giro: ci devono rispettare tanto quanto noi abbiamo rispettato loro.»
« Allora, tu dichiareresti guerra a una potenza economica per liberare due fucilieri, con una cassa di Stinger e l'altro drone che hai fatto rubare a Vicenza e a Livorno, sotto il naso della CIA? Oppure lo fai perchè quei cinque elicotteri che gli indiani non hanno voluto nè ritirare nè pagare, nonostante gli avessimo lasciato proseguire la farsa dei pescatori scambiati per pirati, non li hanno assegnati alla tua banda di ficcanaso tagliagole per le loro scorrerie?»
« Quanto alla prima domanda, ti ho già risposto; in merito alla seconda, ti ricordo di sciacquarti la bocca con l'aceto la prossima volta che parlerai dei miei uomini perchè ti potrei infilare una mano in bocca e rivoltarti la testa come un calzino, giusto per il piacere di liberarti le orecchie e la scatola cranica dalla merda che li intasano.
Quei cinque aeromobili non sono mai esistiti, non è mai esistito nemmeno l'ordine per una singola vite: è stato solo becchime per i pappagalli del mondo dell'informazione e, a quanto pare, ne sono andati matti tanto da condividerlo.
Gli Italiani hanno la memoria corta, te lo ripeto, la lingua lunga ma le mani immobili: anzi, sono propensi a prostrarsi con chi fa la faccia scura e la voce grossa, anche se ha torto. Nell'Oceano Indiano non siamo in grado di garantire nulla ai nostri mercantili o alle petroliere, nemmeno come Europa: gli americani badano soltanto alle loro imbarcazioni e, più di una volta, ci hanno detto di arrangiarci. Ci siamo arrangiati e abbiamo chiesto aiuto ai locali fornendo assistenza, mezzi, formazione; poi, casualmente ma non troppo poichè gli olandesi ci erano arrivati prima, abbiamo scoperto che le molteplici braccia della dea Khali servono a giocare su più tavoli: la pirateria elargiva cospicue mance anche a coloro che ci affiancavano nel pattugliamento. Nel momento esatto in cui i miei ficcanaso tagliagole, come li hai definiti poc'anzi, stavano per cogliere con le mani nel sacco i corrotti e calare gioiosamente la scure su quelle braccia incancrenite dall'avidità, ecco che accade un incidente in acque internazionali con alcuni protagonisti su una nave italiana.»
«Non ho bisogno di lezioni di storia contemporanea: sono a conoscenza dei fatti e...»
«No, ti sbagli: tu sai solo quello che i miei predecessori e i funzionari dei ministeri hanno voluto che tu sapessi: ed io sono tra quelli. Ma, ora, io ho aperto gli occhi grazie al lavoro dei miei ficcanaso e, giuro sulla patria e sul mio onore, che quel che ho appreso non mi piace affatto.»
«Non fare il sentimentale: non ti si addice! Pensa piuttosto ai civili che hai coinvolto nella tua guerra personale e ai danni che hai provocato al patrimonio artistico di una città, minore fin che vuoi, ma pur sempre parte della patria che hai giurato di servire e onorare.»
«Anche le bombe sui treni e nelle banche o i proiettili piantati nelle teste di professori universitari che rincasavano erano stati preparate e portati ed esplosi da gente come noi, che aveva fatto lo stesso giuramento: loro hanno fatto la loro parte e io devo fare la mia, altrimenti ben più loschi figuri si occuperanno di questa e di molte altre faccende, fino al punto che non lo riconoscerai più questo Paese.»
«Smettila di girarci intorno e sputa il rospo, marinaio!»
«Lo Stato si ritira ogni giorno di più e lascia la gente alla mercè del proprio destino e della burocrazia, perdendo tempo; allora, ecco che entra in scena l'Onorata Società, chiamala mafia o camorra o ndrangheta o sacra corona unita non importa: in un tempo assai breve, risolvono il problema, aggiustano il guaio, danno conforto e lavoro ma in cambio pretendono assoluta e cieca fedeltà anche quando l'ingiustizia e l'efferatezza toccano livelli diabolici.
Tutte le volte impiantano i loro traffici, quando regolano conti tra di loro, quando decidono per la vita o per la morte chi ha avuto bisogno di loro deve farsi cieco, muto, sordo oppure correre ad ogni schiocco di dita.
Quei due ragazzi sono stati turlupinati e abbandonati dal loro stesso datore di lavoro e dalla loro patria, quando è stato dato l'ordine alla nave di rientrare in acque territoriali indiane e poi in porto; quando sono stati arrestati e disarmati su territorio italiano da forze di polizia straniere; quando, contro la loro volontà e contro tutti i principi del diritto internazionale, sono stati trattenuti in stato di fermo. Nemmeno i tribunali nazisti erano stati tanto farraginosi e lenti nel formulare accuse e fornire prove false per accuse infondate; sprofondati nelle nostre comode poltrone abbiamo creduto nella diplomazia o, semplicemente, sposato la disciplina statunitense per cui i dispersi sono morti e non si danno soldi per gli ostaggi, che diventino pure dispersi e caduti.»
« E allora? L'Aeronautica non ti darà mai un solo velivolo per dare corpo a questa fantasia, io non ti darò mai nemmeno un aliante!
Ti dirò di più: nessun comandante che tenga alla propria carriera e al suo equipaggio ti concederà neanche un canotto a remi.
Tu sei completamente uscito di senno e darò immediatamente ordine che ti arrestino!»
L'Aviatore era persino paonazzo, il collo voleva spezzare la costrizione del colletto della camicia e il nodo della cravatta; estrasse il cellulare ma non riuscì a terminare la composizione del numero o la sua ricerca in rubrica: il Marinaio aveva teso il braccio e fatto fuoco spargendo sangue e materia cerebrale nella stanza; era stato pure fortunato perchè l'Aviatore si era girato di lato, tanto da opporgli il fianco giusto, e il cadavere era ricaduto sulla poltrona che aveva occupato fino a pochi istanti prima: non gli restava che estrarre il caricatore, inserire quello coi colpi a salve, fare esplodere un colpo al defunto, rimettere il caricatore originale, raccogliere il telefonino per rimetterlo in tasca al morto e il finto suicidio era servito.
Freddamente e meccanicamente portò a termine l'operazione e poi lasciò sulla scrivania un dossier e una busta con la lettera d'addio e, nel dossier, la confessione di essere la mano che aveva scritto alcune delle pagine nere della Repubblica. Mano che la giustizia aveva sempre fatto finta di non trovare perchè non conveniva a nessuno, Onorata Società in testa, che ciò avvenisse: era scomoda la verità, per l'Italia che fa da sé, tanto quanto quella giornalista che l'operatore Delta aveva sistemato qualche attimo prima dell'impatto del drone sulla cupola bramantesca del Duomo di Pavia.
I suoi servizi sulla presenza delle installazioni militari, attive o dismesse nel territorio pavese e, in particolare, sull'Arsenale di via Riviera l'avevano portata a un passo dallo svelare tutta la trama che aveva pazientemente ordito: se il ministero aveva deciso la cessazione dell'operatività di quello stabilimento, licenziando senza tanti complimenti i civili in esso impiegati, la sorveglianza e la custodia dell'area era totalmente militare fino alla presa in consegna da parte delle autorità civili. Dal momento che questa sarebbe avvenuta solo dopo la presentazione di un apposito progetto di riqualificazione per una nuova destinazione d'uso, la spiccata tendenza degli enti interessati ad andare in direzioni ostinate e contrarie aveva consentito al Marinaio di mettere a punto ogni dettaglio del suo piano; tuttavia aveva saputo che le notizie e i dati raccolti dalla giornalista avevano superato il livello di guardia e le bastava una piccola riflessione per tirare le somme. L'appuntamento con un onorevole che era appena stato spostato dalla commissione esteri a quella della difesa, per esigenze di partito, rappresentava il momento in cui quella scintilla sarebbe potuta scoccare e mandare all'aria tutto. Se l'operazione che aveva progettato fosse andata in porto, sarebbe stato ricordato come un'eroe e avrebbe potuto onorare la memoria di tutti i servitori dello Stato caduti onestamente, lavando anche la propria coscienza.
In caso contrario, lui non era mai stato lì, aveva cancellato le tracce più evidenti, e i colpevoli del finto suicidio, qualora fosse stata formulata quell'ipotesi investigativa, non sarebbero mai stati trovati: ci avrebbero pensato le cariche incendiare che aveva piazzato nei punti nevralgici dell'edificio.
Vittorio aveva ricevuto precise istruzioni e un numero di telefono fisso da comporre per attivare la procedura.
Alla CIA aveva scroccato anche un buon addestramento: nel bene e nel male, quando vuole, l'Italia fa da sé.

(c) 2015 Testo di Claudio Montini 
tratto da "CAMERE AMMOBILIATE PER VIAGGIATORI IMMAGINARI"  ed.Youcanprint selfpublishing  2015
(c) 2015 Immagine di Orazio Nullo
 

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